JELSI (CB) - Palazzo Ducale Carafa e Palazzo Valiante Capozio
Il primo documento riguardante Jelsi come territorio
indipendente e non unito ad altri agri risale al 1249 ed elenca i suoi confini.
Da un diploma del 6 marzo 1270 si apprende, invece, che Jelsi e il vicino
territorio di Gildone furono riuniti sotto uno stesso feudo e assegnati a
Bertrando di Beaumont. Il suo nome ricorre ancora in un atto del 1294, il quale
attesta a Bertrando un risarcimento (120 once), per i danni causati al feudo da
un evento sismico. L'estinzione del casato di Beaumont fu segnata dalla morte
di Bertrando nel 1334 e il feudo di Jelsi, dopo il matrimonio di Bertranda con
Barrasio Barras, passò alla famiglia Barras fino al 1477. Le fonti scritte
citate, se non quella del 1562, non fanno menzione del castello, per dare
quindi una data, se pure approssimativa al maniero, occorre scendere nella
cripta del palazzo scoperta del 1947. Qui infatti è custodito il sepolcro
attribuito alla nobile famiglia Beaumont, sul quale è scolpito uno scudo a suo
ricordo. A sinistra dello stemma è dipinto il volto di Bertranda Beaumont; a
destra doveva essere raffigurato il consorte, Barrasio Barras, che poi
probabilmente fu seppellito altrove. Quasi sicuramente i dipinti furono
commissionati dalla famiglia Beaumont, che utilizzò il luogo, come detto, per
la sepoltura dei suoi familiari. Tali ritrovamenti inquadrano la nascita del
Castello Angioino nel XIII sec. Il Palazzo ammirabile oggi, invece, risale al
1517 e fu eretto da Giovanni Pinabello sulle rovine del precedente castello di
cui ancora oggi si hanno testimonianze nei primi piani e negli scantinati. L'edificio
è collocato all’interno della cinta muraria del borgo medioevale del paese. Lungo
la facciata esterna è presente la porta principale, anticamente fornita di
ponte levatoio, che permette l'ingresso nel borgo antico e al palazzo. L'8
febbraio 1477 il feudo di Jelsi fu comprato da Alberico Carafa. I Carafa
tennero il feudo fino al 1586 data in cui passò, per problemi economici, a
Nicolò Pavesio e poi successivamente tornò a loro nel 1606. Il XVII secolo fu
un secolo molto travagliato per Jelsi, che tra il 1656 e 1657 dovette lottare
contro la peste. Dopo l'epidemia, il paese subì nel 1672 l'attacco dei briganti
di Cesare Riccardo: questi, alleatosi con una famiglia di Jelsi, intenzionata a
vendicarsi dei Carafa, operò saccheggi e distruzioni. Il Palazzo rimasto
proprietà dei Carafa venne venduto nel 1957 dalla duchessa Maddalena Carafa a V.
D’Amico, medico e appassionato studioso della storia dell’agro di Jelsi e di
Gildone, grazie al cui lavoro è stato possibile recuperare testimonianze
storiche e sociologiche di queste due aree. Dal 1870 al 1973 è stato sede della
caserma dell'arma dei Carabinieri. Nel prospetto del palazzo che affaccia in
"Largo Chiesa Madre" al di sopra di un balcone del secondo piano, in
corrispondenza dell'ingresso è ancora presente uno scudo marmoreo risalente al
1736 della famiglia Carafa che riporta il nome del Duca Francesco Carafa. Una
parte dell'edificio è stata ristrutturata nel dicembre del 2001 grazie ai fondi
del programma multiregionale denominato “Sviluppo Locale” ed è diventata una
dimora storica, vale a dire un centro per vacanze per brevi soggiorni. La parte
destinata a scopi turistici è quella collocata al secondo piano nonchè la
torretta panoramica che si affaccia sulla piazza del paese.
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    Il palazzo Valiante Capozio è l'ultimo edificio sulla strada che dal
    centro del paese conduce ai paesi limitrofi. Il palazzo fu edificato da
    Andrea Valiante tra il 1790 e il 1796, in occasione delle sue nozze con
    Maria Concetta Mutarelli. La vita di questo personaggio non è stata
    tranquilla, per prima cosa partecipò alle lotte riformiste e prese parte
    alla Massoneria; dopo aver preso parte alla spedizione di Giuseppe
    Bonaparte, Valiante fu nominato da Murat comandante militare del Molise e
    ospitò nel suo palazzo i capi della Carboneria. Purtroppo fu scoperto dal
    Re Ferdinando e costretto a nascondersi fino a quando non fu tradito da un
    concittadino; nel 1827 fu condannato a morte ma la sua pena fu convertita in
    ergastolo. Morì nel 1829 nell’isola di Pantelleria. Nella notte del 26
    Luglio 1805 un rovinoso terremoto (10° grado della scala Mercalli), con
    epicentro nel Matese, causò nel Molise circa 6000 morti (una trentina a
    Jelsi), distruggendo molte case tra le quali non v'era il Palazzo Valiante,
    perchè la vecchia palazzina del 1750 (costruita senza stile, senza torri,
    senza accessori, senza pretese difensive) era stata data alle fiamme, dopo essere
    stata spogliata di ogni suppellettile, il 3 giugno del 1799 dalle truppe
    borboniche capeggiate da Cesare Zanchi di Ururi, ed il nuovo Palazzo
    Valiante non era stato ancora ricostruito. Dopo l'incendio l'avvocato
    Saverio Valiante chiese al figlio, che si trovava allora a Marsiglia, un
    progetto per un nuovo palazzo, sullo stile dei castelli che abbellivano la
    provincia francese. Il palazzo, a forma di fortilizio delimitato da torri
    circolari, venne ricostruito sul luogo in cui sorgeva la precedente dimora
    di famiglia. I progetti furono elaborati da architetti francesi e dalla
    Francia vennero i parati per la decorazione interna, i dipinti su carta
    posti sulle porte con raffigurazioni di animali entro contesti bucolici,
    secondo la moda neoclassica in voga a Parigi. Il mobilio, le porcellane e
    gli oggetti d'arredo presenti nel salone costituiscono certamente una delle
    più preziose testimonianze della diffusione dello stile impero nella nostra
    regione. L'opera fu realizzata dal 1806 al 1809 dall'architetto-pittore
    Musenga, il più noto allora nel Molise, su di un'area di mq. 2000 compresi
    gli accessori, con quattro torri imponenti cilindriche ai lati, con le
    feritoie per le canne degli archibugi e con un fregio di pietre sporgenti, giusta
    nella metà, a mò di fascia o di cordone per renderle più slanciate. Il
    fortilizio, con mura maestre di cm.80, sommava le caratteristiche di un
    castello a quelle di dimora delle famiglie del Comandante. Il palazzo
    Valiante fu occupato, durante la seconda Guerra Mondiale, dai tedeschi,
    nonché dai canadesi, che lo adibirono ad ospedale. All'edificio si accede
    attraverso un portone incastrato tra quattro finestre, oltre il quale vi è un
    atrio che conserva sulla volta lo stemma della famiglia Valiante. Per
    accedere al piano superiore dove si trovano le stanze da letto bisogna
    salire una rampa di scale. La prima stanza è il salone il cui soffitto
    affrescato è abbellito da uno stupendo lampadario. Successivamente si
    arriva nel salone in stile Luigi XV, al cui interno sono tuttora conservati
    un divano, poltrone e una vetrina in oro; il salone presenta anche un
    camino. Un arco a tutto sesto (metri 5x3) su di un muro di cinta introduce
    nell'ampio cortile della cisterna, profonda metri 10 e larga metri 5, con
    acqua sorgiva e vasca scalpellata ove, tra l'altro, si abbeverarono i
    cavalli delle scuderie di Valiante e quelli degli austriaci comandati dal
    gen. Frimont, che assediarono il palazzo nel 1821 e catturarono Valiante. Delle
    scuderie di Valiante ne resta una sola, anche se con il tetto crollato per
    vetustà; è chiamata "stallone", cioè stalla per antonomasia, le
    altre sono andate distutte dal fuoco nel febbraio del 1949. 
    Fienili, rimesse, legnaie, cantine, fondaci, opifici, laboratori, per oltre
    cento metri a destra e a sinistra del palazzo, dal Corallone (oggi Vico
    interno al Corso) alla Taverna, fin sulla contrada Chiusa, costituivano
    nell'insieme beni pertinenti al castello e accessori necessari alle persone
    che vi gravitavano per lo sviluppo della loro attività economica
    autosufficiente, detta appunto economia curtense. Il Corallone, specie di
    aggregazione corallina, era una serie di casette a schiera, per gli addetti
    al palazzo a vario titolo: stallieri, maniscalchi, fabbri ferrai,
    falegnami, calzolai esperti in selleria, fornai, lavandaie. Altre notizie
    si possono trovare al seguente link: http://www.altromolise.it/notizia.php?argomento=cultura&articolo=46050 
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