venerdì 30 agosto 2019

Il castello di venerdì 30 agosto




CORTAZZONE (AT) - Castello

Si ritiene che l'origine del borgo risalga alla fine del IX secolo. Il toponimo deriva presumibilmente da Curtis Azonis (denominazione tuttora presente nello stemma del Comune), dal nome del primo Signore Azzone (da alcuni identificato col conte di Modena) che nel 1094/1095 lo donò al vescovado di Pavia, il quale ne infeudò i Monaci della Torre Rossa di Asti. Da questi il feudo passò nel 1314 alla potente famiglia dei banchieri Pelletta, anch'essi vassalli del vescovo di Pavia, che dominarono sul territorio per circa quattro secoli, fatto salvo il breve periodo (1374/1395) di dominazione viscontea in cui fu infeudato ai Dal Verme, in particolare nella persona di Luchino Novello, figlio di Luchino Dal Verme, assieme al fratello e condottiero Jacopo Dal Verme. Estinto il ramo principale della dinastia, il borgo passò alla discendente di un ramo cadetto (Irene Pelletta) e da lei, a seguito di matrimonio nel 1734, al conte di Favria e successivamente al figlio Vittorio Amedeo conte di Govone. Costui alla sua morte (1792) legò il feudo all'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, che dominò sul territorio fino al 1860, quando lo vendette a lotti segnando così il passaggio dall'economia feudale alla piccola proprietà contadina. Il comune seguì in seguito le sorti storiche dell'Italia, con i suoi piccoli e grandi fatti di quotidianità e di cronaca, il più grave dei quali fu, nel 1990 il misterioso assassinio del Parroco, Don Guglielmo Alessio. Il castello che domina il paese è d'impianto medievale, ma ricostruito tra il Settecento e l'Ottocento a seguito dei gravi danneggiamenti subiti dai Francesi nel 1706, durante la guerra di successione spagnola (quella del sacrificio di Pietro Micca). Della precedente struttura sussistono l'antica torre quadrata e tratti delle mura, con tracce di merli guelfi (merlatura bifida e cornici multiple a dente di sega sul lato est della costruzione). Inoltre, finestre a sesto acuto affiorano in diversi punti della muratura. L'edificio attualmente è di proprietà privata e non visitabile. Secondo alcune fonti, il castello venne eretto nel II secolo, distrutto nel 1362 - durante le lotte di successione tra i Marchesi del Monferrato, i Visconti e i Savoia - e ricostruito verso la fine del XIV secolo. Altro link suggerito: https://vimeo.com/13327232 (video di Monferrato TV).

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Cortazzone, https://www.comune.cortazzone.at.it/it/point-of-interest/castello-di-cortazzone, http://www.astiturismo.it/it/content/cortazzone, testo su pubblicazione "Castelli in Piemonte" di Rosella Seren Rosso (1999), http://www.beniculturali.monferratoastigiano.it/cortz_castello.htm

Foto: la prima è di Bruno Accomasso su http://www.osservatoriodelpaesaggio.org/ATLANTE%20DEL%20PAESAGGIO/Foto%20Atlante%20Astigiano/Foto%20del%20Comune%20di%20Cortazzone%20(AT)%20(Bruno%20Accomasso)/slides/Cortazzone,%20castello-074_(Bruno%20Accomasso).html, la seconda è una cartolina che ho trovato in vendita sul sito di collezionismo Delcampe

giovedì 29 agosto 2019

Il castello di giovedì 29 agosto




PALIANO (FR) - Castel Mattia (o Castellaccio)

Il maniero sorge su una piccola altura nel mezzo della Valle del Sacco, posizionato qui non tanto per la difendibilità naturale del sito quanto per la sua capacità di controllare la valle proprio in corrispondenza di importanti direttrici stradali (ieri la via Latina). La sua struttura si è conservata in gran parte integra ed isolata nella campagna. La pianta del castello è a forma grosso modo rettangolare, e sullo spigolo sud-ovest c’è una torre cilindrica di guardia, con merli a coda di rondine. Sovrasta il portale di accesso (a cui si accede dopo aver attraversato un “ponte levatoio” oggi non presente) lo stemma della famiglia Colonna, realizzato in tecnica musiva. All’interno delle mura ci sono degli edifici adibiti un tempo ad usi abitativi e militari, in seguito ad uso agricolo e abitativo. Fondato verso il 1250 probabilmente da Mattia di Anagni, figlio di Nicola e nipote di Papa Gregorio IX, fu chiamato appunto Castel Mattia o Castellaccio, avendone fatto il centro di incursioni devastatrici ai danni di castelli e feudatari vicini, a conferma della ottima scelta geografica del sito. Ne vennero poi in possesso prima i Colonna, poi nel 1498 Jacopo Conti, infine di nuovo i Colonna (Prospero Colonna lo riprese insieme a vari castelli dei Conti, come fu per il Castello di Zancati). Dopo un breve periodo nelle mani dei Borgia dal 1501 al 1503, tornò nuovamente ai Colonna e venne compreso tra i feudi del Principato di Paliano nel 1569. Nel 1650 il cardinal Girolamo Colonna, principe di Paliano, al centro del recinto doveva possedere un’alta torre, successivamente decapitata ed usata come base per edifici abitativi. Varie proprietà si susseguirono nel tempo: Lante della Rovere, famiglia Borghini-Nagliati, famiglia Giuliani, fino ad arrivare al 1937, quando ad acquistare la proprietà dell’intero stabile fu il signor Marco Renzoni. Nel 1941 il complesso venne ereditato dalla figlia Nicoletta, attuale proprietaria con il marito generale Cajaffa. La sopraelevazione della torre rispetto al piano di campagna, ed anche lo spessore delle mura, fanno pensare ad una struttura difensiva autonoma; è possibile che nel momento in cui avvenne la sua costruzione, il castello non esistesse ancora. L’interno conserva lo stesso stile sobrio, severo e compatto dell’esterno. E' difficile, per la presenza dell'intonaco di rivestimento e per la mancanza di appositi studi, identificare lo stato del complesso prima delle trasformazioni moderne e, in particolare, nell'originaria edificazione duecentesca. Trasformato in casale agricolo già a partire dal '600, con parte dei fabbricati riadattati a granaio, il complesso fortificato si è venuto a trovare al centro di un nucleo abitato formatosi in seguito alla nascita nella zona di stabilimenti industriali. Oggi, il tutto è lasciato al più completo degrado, poiché non c'è alcun tipo di manutenzione. Anticamente di fronte all’ingresso del castello vi era una piccola chiesa costituita da una sola navata, sotto una piccola volta c’era l’altare, con l’immagine di San Carlo, al quale era dedicata. Fu forse eretta per volontà di Filippo I Colonna, figlio di Anna Borromeo e nipote del cardinal Carlo Borromeo, volto dunque al culto di San Carlo. Venne adibita alla celebrazione della messa per i contadini. Oggi al suo fianco sorge un’abitazione privata. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=OUMnORhU26s (video aereo di Valerio Massimi), http://centrostudisalvatori.blogspot.com/2017/02/il-patrimonio-monumentale-compreso-nel_24.html

Fonti: http://www.tesoridellazio.it/tesori/paliano-fr-castel-mattia-o-castellaccio/, https://www.fondoambiente.it/luoghi/castel-mattia-o-castellaccio?ldc, https://www.palianoturismo.it/Itinerari/itinerario_tracce_epoca_romana_medioevale/castel_mattia_e_chiesa_di_san_carlo.html, https://www.casilinanews.it/57030/cultura/curiosita/cera-una-volta-il-castellaccio-viaggio-alla-scoperta-di-castel-mattia-in-via-casilina-2.html

Foto: la prima è presa da http://centrostudisalvatori.blogspot.com/2017/02/il-patrimonio-monumentale-compreso-nel_24.html, la seconda è un fermo immagine del video sopracitato (https://www.youtube.com/watch?v=OUMnORhU26s)

mercoledì 28 agosto 2019

Il castello di mecoledì 28 agosto




SASSOFERRATO (AN) - Rocca Albornoz

Sassoferrato sorge presso le rovine dell’antica città umbro-romana di Sentinum, di cui si ammirano ancora sul posto grandiose vestigia (molti e notevoli reperti sono esposti nel Museo Archeologico locale, di Ancona e in quello di Monaco di Baviera). Nel 1150 circa, un conte di nome Atto, proveniente dal Castello di Galla, presso Genga, fondò un castello, a cui dette il nome di Sassoferrato. Il castello non tardò a diventare un paese, poiché i discendenti dei vecchi sentinati scesero dai loro rifugi montani e vi costruirono le loro case con materiale preso dalla vecchia città. Il Paese fu soggetto ai Conti Atti fino al 1460, quando diventò libero comune, assumendo da subito la fisionomia di città fortificata che doveva avere imponenti mura di cinta in doppia cintura, delle quali ancora oggi rimangono resti evidenti. Nel corso dei secoli la città fu soggetta anche a diverse occupazioni: da parte dei Malatesta di Rimini nel 1349, dall’esercito di Braccio da Montone nel 1417 e dalla soldataglia di Francesco Sforza nel 1433, il quale ne fece strazio con orribile saccheggio. Nel 1460 Sassoferrato divenne libero Comune emancipandosi definitivamente dal dominio dei Conti Atti, divenuti sempre più dispotici e crudeli. Dal 1457 l’ordinamento legislativo era raccolto in uno Statuto che ha regolato la vita della città fino al 1827, anno in cui venne redatto un Regolamento Pontificio in sostituzione del vecchio Statuto. Nel febbraio del 1500 la città subì anche la pacifica occupazione del Duca Valentino. Nei secoli che seguirono la vita di Sassoferrato è comune a quella di tanti altri centri simili. Tutto il 1600 appare, come risulta dai documenti e dalle carte di archivio, un periodo piuttosto oscuro per la città, la quale, probabilmente, ebbe a risentire delle notevoli turbolenze alle quali era stata sottoposta nei periodi precedenti, che avevano determinato da un lato il degrado degli edifici, delle chiese e dei monumenti e dall’altro ne avevano impedito la cura e il restauro. Allo stesso modo nel secolo XVIII le lunghe ed estenuanti guerre, di cui fu teatro l’intera Europa e nelle quali fu coinvolto anche lo Stato Pontificio, al quale Sassoferrato era soggetta, finirono per incidere anche nella realtà socio-economica e sassoferratese. Nel 1798 Sassoferrato venne inglobata nella Repubblica Romana, proclamata in quell’anno dai francesi, ma l’anno successivo, l’11 giugno 1799, il popolo decise una controrivoluzione e in un consiglio popolare nominò tre Priori. Le vicissitudini della città non terminarono con la controrivoluzione del 1799 perché, nel 1808, Napoleone, ignorando il concordato attuato con Pio VII, cedette Sassoferrato al Regno Italico assieme ad altre Province dello Stato Pontificio. Nel 1815, infine, la città venne occupata dagli austriaci e successivamente restituita alla Chiesa entro la deputazione di Macerata. Attorno al 1830 si rinnovò la rete stradale di collegamento con i centri vicini: con Pergola (1827), Fabriano (1829), Arcevia (stessi anni). Si fabbricarono anche nuovi ponti. Con l’annessione dello Stato Pontificio, Sassoferrato passò definitivamente al nuovo Regno d’Italia e amministrativamente fu compresa tra i Comuni della Provincia di Ancona (1862), mentre, dal punto di vista ecclesiastico, rimase entro il territorio della Diocesi di Nocera fino al 1984, anno in cui fu assegnata alla Diocesi di Fabriano. Nel 1860 Sassoferrato entra a far parte del Regno d’Italia. Massiccia costruzione militare risalente al XIV secolo, la rocca rappresenta il simbolo della città, sia per la sua imponente collocazione in posizione dominante, sia per la sua storia. Fu fatta erigere nel 1365 per ordine del Cardinale Egidio Albornoz, legato papale, con il denaro ricavato dalla vendita dei beni confiscati alla famiglia degli Atti di Sassoferrato. Restaurata in diverse epoche, la Rocca costituiva un bastione difensivo di grande importanza per tutta la zona. Efficiente presidio, decadde per calamità naturali ed incuria; comunque, grazie a recenti restauri, ancora se ne ammirano resti imponenti. Il parco intorno, da cui si gode un vastissimo panorama, costituisce un luogo particolarmente idoneo per la quiete delle persone e per il divertimento dei bambini. Grazie agli ultimi restauri se ne ammirano ancora i resti imponenti. Nel ripulire l’interno, durante uno degli interventi di recupero, furono rinvenute ceramiche di produzione locale di fine sec. XVI e resti di artiglieria. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=sYHldboiEFg (video di ManagementService1, http://www.iluoghidelsilenzio.it/rocca-albornoz-sassoferrato-an/ (con diverse foto)

Fonti: http://www.comune.sassoferrato.an.it/c042044/zf/index.php/storia-comune, https://it.wikipedia.org/wiki/Sassoferrato, http://www.comune.sassoferrato.an.it/c042044/zf/index.php/musei-monumenti/index/dettaglio-museo/museo/8

Foto: la prima è del mio amico e "inviato speciale" del blog Claudio Vagaggini (recentissima), la seconda è presa da https://www.turismo.marche.it/Dettaglio/Title/Sassoferrato/IdPOI/5641/C/042044

mercoledì 7 agosto 2019

Chiuso per ferie



Cari amici,

da domani iniziano le mie ferie e, non avendo con me un pc da poter utilizzare, mi trovo costretto a interrompere l'aggiornamento del blog fino al mio rientro al lavoro che avverrà verso la fine del mese. Domani col mio amico Claudio andrò a visitare un po' di castelli in provincia di Frosinone (tutti già trattati qui da me in precedenza) e spero di trovare qualche cartolina per la mia collezione oltre che poter scattare qualche foto interessante.

Ci rivediamo tra una ventina di giorni, a meno che non riesca a pubblicare qualcosa prima !

Ciaooooo

Valentino 

Il castello di mercoledì 7 agosto





CASTELSARACENO (PZ) - Palazzo Baronale

Castelsaraceno venne edificato nel 1031 dai Saraceni, presso l’antico nucleo abitativo di Planura, come vedetta, ma diversi anni dopo fu distrutto da un terremoto. Dopo essere stato abbandonato dai normanni, il paese passò sotto il dominio dei Mango di San Chirico, che lo donarono nel 1086 agli Abati dell’Abbazia di San Angelo al Raparo, perchè fosse ristrutturato e ripopolato. Furono dunque i monaci basiliani a risollevare le sorti del paese trasformandolo in un florido casale. Nel XV secolo furono i Carafa ad entrare in possesso di Castelsaraceno, protagonisti di numerosi soprusi, finchè subentrarono i Sanseverino, ai quali seguirono diversi altri signori (il duca Rovito, poi i D'Amato, il barone Lepore di Molfetta ed infine i Picinni). Il Palazzo Baronale è l’edificio civile più importante di Castelsaraceno e domina la piazza principale. Costruito nei primi decenni del XVI secolo dai Sanseverino, è caratterizzato dal portale bugnato sovrastato da uno stemma gentilizio. Il palazzo conserva gli stemmi delle famiglie nobili che vi hanno abitato, dai Sanseverino ai Pignatelli. E' possibile vedere il palazzo in questo video con drone: https://www.youtube.com/watch?v=nOTnYIIj6gQ (di Omar Verderame)

Fonti: https://www.basilicataturistica.it/territori/castelsaraceno/, http://www.comune.castelsaraceno.pz.it/?page_id=2780, http://www.basilicatanet.com/ita/web/item.asp?nav=castelsaraceno, http://www.avmstudio.it/lucusnet/basilicata/provincia-di-potenza/183-castelsaraceno.html

Foto: impossibile trovare foto valide sul web !! Le uniche che permettano di vedere un minimo il palazzo sono queste due: un fermo immagine del suddetto video di Omar Verderame (il palazzo bianco è più o meno al centro dell'inquadratura) e una foto presa dal gruppo Facebook "Castelsaraceno accoglie" (https://www.facebook.com/pg/Castelsaracenoaccoglie/photos/?ref=page_internal)

martedì 6 agosto 2019

Il castello di martedì 6 agosto


TUGLIE (LE) - Palazzo Ducale

Un primo nucleo abitativo propriamente detto sorse nel XIII secolo con il nome di Casale Tulli e, intorno al 1270, apparteneva ad Almerico di Montedragone, un ufficiale dell'esercito di Carlo d'Angiò. Nel 1280 Almerico si allontanò dal casale per sedare una rivolta popolare scoppiata a Taranto; della sua assenza approfittò Gervaso da Matino che occupò il casale e gli attribuì il nuovo nome di Castri Tulli. Dopo la devastazione di Otranto del 1480 da parte dei Turchi ottomani, i paesi dell'entroterra subirono la stessa sorte e il casale di Tuglie fu completamente distrutto. Per un lungo periodo di tempo, il feudo rimase totalmente disabitato e passò in proprietà di diversi feudatari. Nel 1681 venne acquistato dal nobile gallipolino Francesco Antonio Cariddi, al quale gli successe il figlio Pietro. Nel 1696 divenne di proprietà della marchesa di Arnesano Antonia Prato, la quale, insieme con il marito Ferrante Guarino, signore di Poggiardo, si trasferì nella residenza baronale di Tuglie. I Guarino operarono la prima riforma fondiaria e con loro si ebbe una significativa crescita demografica ed economica. Nel 1715, alla morte della baronessa Prato, il feudo fu assegnato al primogenito Fabrizio, che morì il 22 settembre 1717, lasciando il feudo al fratello Filippo. Nel 1737 Carlo III di Borbone, con proprio decreto, istituì l'Università di Tuglie che immediatamente elesse il suo primo sindaco, un certo Quadrucci. Alla morte di Filippo 1740, senza eredi legittimi, il feudo fu lasciato al nipote Giuseppe Ferdinando Venturi, duca di Minervino. I discendenti dei Venturi furono gli ultimi feudatari prima dell'abolizione dei privilegi feudali (1806). Il Castello di Tuglie o Palazzo Ducale, dimora dei duchi Venturi edificata nei primi del ‘600, è oggi diviso in due proprietà. Una parte, di proprietà del sig. Antonio Venturi, è destinata a residenza ed una parte è sede del Museo della Civiltà Contadina e delle tradizioni popolari del Salento. L'edificio presenta una semplice facciata, arricchita da balconi con balaustre barocche e dal portale. Alla residenza si accede attraverso una scalinata interamente in pietra locale (carparo e pietra leccese), recentemente restituita all’antico splendore. L’ingresso permette di accedere a tre diverse zone del palazzo: una centrale destinata a salone, salotto e cucina, e due laterali destinate a zona notte. Il palazzo dispone di due diversi giardini: il primo, su un’ala, destinato a frutteto tipico salentino, accoglie al relax ed al riposo, con un lungo viale centrale e dei viali trasversali. Degno di nota l'antico pozzo seicentesco. La pavimentazione dei viali è interamente in pietra leccese, e nel centro del giardino sono presenti dei sedili posti al di sotto di una cupola realizzata con piante rampicanti fiorite. Fondato da Giuseppe Bernardi nel 1982, il Museo della Civiltà Contadina occupa l'intera ala dei servizi, dove si è voluto ricostruire, con oggetti ed attrezzi agricoli, il tipico ambiente di lavoro dei contadini locali. Nella cucina sono esposti oggetti molto particolari come un setaccio (farnaru) del '700 in pelle di cane bucherellata con un ago arroventato in modo da riprodurre una figura d'animale. Nella vecchia madia sono riposte le fische per confezionare la ricotta e sul tavolo il prototipo di una macchina per fare la pasta. Nella lavanderia sono conservati gli antichi oggetti usati per fare il bucato (cofanu, limbu, cenneraturu, stricaturi). Nella "stanza del contadino" si possono ammirare gli arnesi utilizzati dai nostri furesi per il lavoro dei campi: aratri a chiodo, roncule, crocci, stangati, stompaturi per pigiare l'uva e una statera del '700 usata per misurare i tini al momento della vendemmia. Nel palmento è conservata l'attrezzatura originale dell'epoca, compresa la vasca in pietra per la fermentazione dell'uva ed un torchio in legno del '700. Inoltre vi sono gli attrezzi per costruire e riparare botti, carri e ruote. La camera da letto è arredata in modo particolare: un telaio del '700 è affiancato da una macinula, fusu e fusifierru per tessere e filare. Si può ammirare la "dote femminile" contenuta nel cascione che, in mancanza d'altro, serviva anche da bara. Altri link suggeriti: http://www.otranto.biz/salento/it/struttura/tuglie/palazzo-venturi.html, https://culturasalentina.wordpress.com/2011/11/24/la-famiglia-venturi-a-tuglie/, https://www.salentoacolory.it/museodellaciviltacontadina/, https://www.youtube.com/watch?v=OC0LA9T3Kh4 (video di Antenna Sud Live TeleOnda)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Tuglie, https://www.forzasalento.it/castelli/castello-di-tuglie/, http://www.comunedituglie.gov.it/territorio/da-visitare/item/il-palazzo-ducale

Foto: la prima è presa da http://www.tuglie.com/museo.asp, la seconda è presa da https://archividituglie.wordpress.com/home/palazzo-ducale-scalinata/

lunedì 5 agosto 2019

Il castello di lunedì 5 agosto



VICOLUNGO (NO) - Castello

Vicus Longos, cioè paese lungo, anticamente sorgeva più ad ovest dell’attuale ubicazione ma, probabilmente a causa dei frequenti straripamenti del fiume Sesia, prima del VII secolo, il villaggio venne rifondato a maggiore distanza dal corso d’acqua. Unito alla corte di Mosezzo a metà del X secolo dal conte Maginfredo di Lomello, l’abitato di Vicolungo , insieme ai servi ed ai beni immobili, venne venduto il 4 luglio 1070 ai conti di Pombia, detti in seguito di Biandrate. Per oltre un secolo manca documentazione storica, fino all’accordo di Cameriano del 12 agosto 1199 tra i comuni di Novara e Vercelli, quando si stabilì che gli uomini dei conti di Biandrate non potevano risiedere a Vicolungo e nei paese vicini. La disposizione però non trovò pratica applicazione ed infatti quarant’anni dopo, Vicolungo, Casalbeltrame e Biandrate formavano un unico comune ed i consoli di giustizia di Biandrate avevano potere giurisdizionale anche sulle due località vicine. A ciò si aggiunga che nel 1242 i conti cedettero in feudo a Novara e Vercelli diritti giurisdizionali, uso delle baragge e dei beni comuni del territorio di Biandrate, ottenendo in cambio che gli abitanti partecipassero alle loro spedizioni militari. Nel 1259 Vicolungo passò ai vercellesi, ma il controllo fu contrastato dalla famiglia comitale e dal comune di Novara e dopo oltre cinquant’anni di scontri bellici, la località, attribuita ai Visconti, venne distrutta dal marchese di Monferrato dapprima nel 1332 e poi nel 1358. Galeazzo Visconti la fece rapidamente riscostruire nominando un Vicario che prendeva ordini direttamente dal signore di Milano. A fine secolo XIV la comunità scrisse gli Statuti che vennero però corretti da giuristi milanesi dipendenti dal Duca. Attribuita a Facino Cane nel 1406 e nel 1428 ad Angelo della Pergola, Vicolungo, insieme al feudo di Landiona, fu assegnata il 29 settembre 1450 da Francesco Sforza ai Rabozio, sostenitori ed alleati dei duchi milanesi, milites vassalli dei conti di Biandrate e proprietari da moltissimo tempo di costruzioni situate nel castrum. Nel 1480, prima di morire, non avendo figli maschi, Antonio Rabozio scrisse una lettera ai signori del comune lombardo per assicurare il possesso della fortificazione e del feudo alle figlie ed ai generi. La richiesta fu approvata e, prima del 1488 le tre figlie ereditarono tutti i beni. Assaltato e depredato da un esercito franco- biellese nel 1522, ma subito restaurato, il castello passò nel 1539 ai Gritta, già da anni feudatari di Vicolungo e Landiona, che mantennero sempre buoni rapporti con la comunità. Il castello di Vicolungo si trova nel centro dell’abitato e si affaccia sulla piazza principale, adiacente all’antica parrocchiale di San Giorgio. E' attualmente composto da vari edifici costruiti man mano nei secoli e si sviluppa con gli annessi corpi di fabbrica e le due corti lungo un asse nord-sud. Risulta molto difficile risalire a una datazione certa del nucleo più antico, come pure conoscere la forma originaria dell’intero complesso, non essendoci documentazioni antecedenti il XV secolo. Da un attento esame si può però dedurre che la muratura a ciottoli di fiume disposti a spina di pesce, di cui si trovano alcune tracce nel “Caseggiato in Castello”, risale ai secoli XI-XIV. La rocca venne eretta da Antonio Rabozio – fido sostenitore degli Sforza negli anni di guerra per la conquista del Ducato di Milano – tra il 1453 e il 1464, al fine di assicurare una difesa maggiore alla propria residenza. I Rabozio furono già “milites” vassalli dei conti di Biandrate e grazie a questo titolo abitarono gli edifici del “castrum” per tempo immemorabile. Molto interessante è il contenuto del documento (1480) che il Rabozio scrisse ai duchi milanesi prima di morire per assicurare alle figlie il possesso della fortificazione e del feudo; da questo veniamo così a conoscere la storia della fortezza: “Antonio Rabozio, del fu Bertolino, abitante nella terra di Vicolungo, posta nella contea di Biandrate, ha fatto costruire una fortezza, nello stesso luogo di Vicolungo, circondata da fossati, con pivellini, ponti e assi, sebbene tutte queste cose siano in forma angusta per poter diminuire la spesa…”. Nel 1491, Bernardina e Maria, figlie del Rabozio, si divisero la rocca, che passò nel 1539 ai Gritta. Sempre da documentazioni sappiamo che tra la famiglia novarese proprietaria dell’intero complesso e la comunità vi furono rapporti molto cordiali, tanto che nel giugno del 1599 i capi famiglia di Vicolungo (24 persone) furono adunati a consiglio, assieme ai fratelli Gritta, dal podestà di Biandrate. In sostanza, gli uomini di Vicolungo espressero il desiderio di poter avere una piazza davanti alla parrocchiale di San Giorgio, così da avere l’accesso diretto al luogo di culto senza più transitare nel castello. I Gritta acconsentirono a rinunciare al loro orto a favore del Comune e a costruire una nuova porta sempre aperta, ove ancora oggi si ammira l’affresco di San Giorgio e il drago. Sotto la famiglia Gritta, venne restaurato parte del fortilizio, si aggiunsero tre sale e una loggetta (dipinta tra il 1624 e il 1647). All’estinzione della nobile famiglia, per uno strano asse ereditario, la proprietà venne rivendicata dai Caccia da Mandello, per poi passare definitivamente nel 1687 all’Ospedale della Carità di Novara. La residenza da allora fu trasformata in cascina e ancora oggi ha queste caratteristiche. Nonostante alcune demolizioni avvenute alla metà dell’Ottocento, sono ancora ben conservate alcune parti della rocca: il torrione quadrato sull’angolo sud-est; sul lato est vi è ancora traccia della postierla (murata), la cui planca scavalca la roggia Molinara; e poi ancora le finestre a sesto acuto in corrispondenza dei vari piani del torrione e le imponenti caditoie. Il castello ha subito opere di restauro e ampliamento dal XV al XVII secolo, inglobando parte delle mura di epoca tardoromanica che sono ancora visibili sul lato ovest. Tre sale conservano decorazioni pittoriche, ora molto degradate, della prima metà del Seicento, raffiguranti immagini grottesche, simboli araldici e stemmi gentilizi. Altri link suggeriti: http://www.preboggion.it/CastelloIT_di_NO_Vicolungo.htm (con notizie storiche e foto), https://www.youtube.com/watch?v=JzJxaRfPqGg (video di PiccolaGrandeItalia.Tv)

Fonti: http://www.centocastellinovara.it/castle?id=98, https://www.turismonovara.it/it/ArteStoriaScheda?Id=69, https://www.comune.vicolungo.no.it/it-it/vivere-il-comune/cosa-vedere/castello-1614-1-2a93860dd159e743b1ce12f8fe8169e4,

Foto: la prima è del mio amico e inviato "speciale" del blog Claudio Vagaggini, realizzata di recente sul posto. La seconda è di Solaxart 2016 su http://www.preboggion.it/CastelloIT_di_NO_Vicolungo.htm

venerdì 2 agosto 2019

Il castello di venerdì 2 agosto



PERUGIA - Castello in frazione San Giovanni del Pantano - località Pian di Nese

Da un punto di vista orografico, la zona è posta alla confluenza del Rio della Scannata, del Rio delle Gorghe, del Rio della Costa poste sulla sponda sinistra del Torrente Nese, mentre sulla destra si incontra il Rio Poggio e il Rio Casalino. La vallata prende il nome dal torrente omonimo che nasce a circa quattro chilometri nella direzione ovest e si va poi a immettere nel fiume Tevere nei pressi di Ascagnano. Il complesso di Piano del Nese si nota su una piccola collina. Si tratta di una torre di dimensioni ragguardevoli circondata e legata da casali che ne fanno un aggregato dominante l’intorno. Appartiene alla famiglia Fabbri e ad altri proprietari. La torre quadrata di circa 8 metri di lato, ha subito nel tempo manomissioni di vario tipo, tutt’oggi percepibili nella struttura muraria.
Una variazione di struttura a circa tre metri sotto la cornice aggettante, pone in evidenza le tracce di due falde inclinate: segno che denota esserci stato, in un periodo non definibile, un tetto con conseguente riduzione dell’altezza della torre. Venne poi sopraelevata e, oltre la cornice citata, dotata di merlatura rettangolare. Oggi, tale coronamento presente sui quattro fronti, è seminascosto dalle tamponature: la torre termina con un tetto a due falde. Si percepiscono i segni della presenza di aperture originarie poste nei paramenti murari, sostituite più tardi da finestre più ampie e di forma rettangolare. Il resto dei caseggiati evidenzia uno stato di aggregazione di unità edilizie singole, molto più evidenti Sul fronte lungo ad ovest. Sulla testata di questo corpo lungo esiste un campaniletto a vela: si può ipotizzare la presenza di una piccola chiesa. La campana poteva anche servire per chiamare a raccolta i lavoranti della terra circostante. Sulle facciate si rinvengono archeggiature antiche ogivali con conci di pietra.

Fonte: https://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-pian-del-nese-san-giovanni-del-pantano-pg/

Foto: sono entrambe del mio amico e inviato speciale del blog Claudio Vagaggini, che è stato sul posto poche settimane fa

giovedì 1 agosto 2019

Il castello di giovedì 1 agosto




MANTOVA - Rocca di Sparafucile

E' un edificio militare, eretto probabilmente alla fine del Trecento a difesa del Ponte di San Giorgio, accesso della città da est. Sono tuttora in larga misura misteriose la sua genesi, le sue trasformazioni e persino parte delle vicende moderne; quello che oggi pare un pittoresco fortilizio, in parte ammantato d’edera e segnato dal tempo, è il frutto di una lunga stratificazione d’interventi. Chi lo osserva volgendo le spalle alla città distingue tre corpi di fabbrica, di altezza crescente da sinistra a destra, l’un l’altro uniti. Quello più vetusto è la massiccia torre a destra, di pianta rettangolare, con rade finestre e feritoie nelle facciate; i due edifici merlati sorti a ridosso sono aggiunte posteriori. Per taluni storici la rocchetta sarebbe sorta nel 1370-72, assieme alla cinta muraria del borgo di San Giorgio che concordemente si data agli anni di Ludovico I Gonzaga (1370 circa); per lo più si ritiene invece che il corpo più antico della rocchetta, la torre, sia posteriore al 1417. In quell’anno difatti, stando al cronista settecentesco Federico Amadei, ne sarebbe stata posta la prima pietra, ma l’edificio sarebbe giunto a termine nel 1443. In realtà, già un documento del 1414 attesta l’esistenza tanto di una “turris porte Sancti Georgii”, quanto di una “porta rochete Sancti Georgii”, evidentemente in essere. A quella data, chi avesse voluto accedere al ponte superando lo sbarramento, avrebbe dovuto esibire come contrassegno “due partes unius cogali nigri, longi et riangolati, incalcinati ab uno latere” (“due parti d’un ciottolo nero, lungo e triangolare, scialbato da un lato”), come attestano i documenti dell’epoca, in un latino non proprio “ciceroniano”. La rocchetta subì lavori di ristrutturazione nella metà del XV secolo (1458-59). La torre venne inserita da Andrea Mantegna, nel 1462 circa, nel dipinto Morte della Vergine, conservato a Madrid al Museo del Prado, facente parte delle Collezioni Gonzaga. L’eminente grado di realismo del Mantegna sarebbe la massima testimonianza dell’aspetto della torre al 1465: robusta e tozza, alta poco più d’una volta e mezzo la sua larghezza. Di fianco vi passava la strada che da Est conduceva in città; su un tratto di questa strada sorge il corpo centrale della rocchetta, il cui prospetto verso la città, con due finestre bifore e merlature sopra l’arco d’accesso, ha oggi fattezze proto-rinascimentali alquanto sospette. La cinta muraria di cui la rocchetta era parte venne abbattuta nel 1808-10, durante un effimero governo napoleonico. All’interno del corpo centrale, un’epigrafe ricorda un restauro del 1863, quando le sorti del Mantovano oramai pendevano contro gli Asburgo, cacciati tre anni dopo. Gli Austriaci vollero rafforzare la struttura difensiva, che perse la sua funzione militare allorché Mantova entrò, nel 1866 appunto, nel Regno d’Italia. Dopo una lunga fase di abbandono, i restauri della struttura iniziarono nel 1970 e nel 1975 essa fu trasformata in Ostello della Gioventù. Negli anni Settanta durante i lavori emerse il tracciato della strada originale – con l’acciottolato e il trottatoio di granito – e furono realizzati importanti interventi sulle architetture. La torre fu sopraelevata con quattro corpi angolari posti sopra una fila di mattoni a coltello che segna la quota originale: si ottennero così quattro vaste aperture, coperte da un tetto moderno. Furono rimossi gli intonaci, che nascondevano la sofferta stratificazione architettonica: sono così oggi visibili l’originale forometria e persino, nel corpo a nord, tracce di una scarpata, forse pertinente a una precedente fortificazione poi demolita. Nuovamente abbandonata negli anni Novanta, fu nuovamente restaurata nel 2010. All'interno dell'edificio, sempre in quell'anno, venne girato il film televisivo "Rigoletto a Mantova". La rocca è stata censita nel 2016 tra I Luoghi del Cuore del FAI - Fondo Ambiente Italiano. Nell'autunno del 2017 l'intera area su sui sorge la rocca è stata oggetto di riqualificazione con l'intento di collocare nell'edificio un ufficio di accoglienza turistica. Pare inoltre che una moderna tradizione popolare gli abbia assegnato anche il dimenticato nome di “Castello degli Zingari”. Altri link suggeriti: http://www.parcodelmincio.it/pun_dettaglio.php?id_pun=1501, http://www.mantovafortezza.it/it/scheda_fortificazione/lunetta_san_giorgio, https://www.youtube.com/watch?v=e3RgoHme1yE (video di Mantova.TV)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Rocca_di_Sparafucile, testo di Stefano L'Occaso su http://www.comune.mantova.gov.it/index.php/rigoletto-a-mantova/la-parola-ai-protagonisti/130-location/428-location-rocca-di-sparafucile

Foto: la prima è presa da http://www.mantovafortezza.it/it/scheda_fortificazione/lunetta_san_giorgio, la seconda è presa da http://www.parcodelmincio.it/pun_dettaglio.php?id_pun=1501