sabato 31 luglio 2021

Il castello di sabato 31 luglio




COLMURANO (MC) - Mura castellane

In epoca medioevale Colmurano raggiunse la propria autonomia tutelata dal proprio Castello e da quello del vicino Montenereto (oggi Monteloreto), anche se, di volta in volta, costretto a subire le pressioni e le protezioni del vicino comune di Tolentino, allora grossa potenza economica e militare. Tanto è vero che i tolentinati, stufi delle azioni facinorose dei castellani, nel 1273 distrussero questo castello. Per i secoli futuri fu il solo Castello di Colmurano a governare l’intero territorio, ma il suo sindaco era un cittadino di Tolentino costretto annualmente a giurare fedeltà al comune oppressore nella Chiesa di S.Catervo in Tolentino. Nel periodo medievale la vita dei colmuranesi dovette svolgersi come quella di tante altre comunità civiche. L’attività annuale era scandita dalle vicende della vita agricola e dalle festività religiose. L’inizio dell’incastellamento dei personaggi colmuranesi più importanti nell’interno della città di Tolentino e la contemporanea cessione delle loro case e torri al citato Comune, ebbe inizio nel 1204. E proseguì nel tempo impoverendo notevolmente Colmurano. Forza di Tolentino nei riguardi dei grossi proprietari locali oppure preferenza di questi per una loro migliore sistemazione per superare le violenze del tempo? Non è facile risolvere questo interrogativo. Cessioni ed incastellamenti che portarono Tolentino ad essere condomina di torri, gironi ed altri beni colmuranesi. L’ultima cessione fatta a Tolentino avvenne nel 1255. Furono comunque un complesso di cessioni, se ne contano ottantaquattro, che portarono il potere in mano dei tolentinati. Il sindaco, come già detto, era un uomo imposto da Tolentino e non era quindi più scelto dal popolo colmuranese al quale non rimaneva altro compito che quello di pagare le nuove gabelle, essere disponibile con i propri uomini per necessità belliche e soddisfare tutte le altre obbligazioni che discendono dall’imperio del nuovo padrone. Finì così la breve storia di Colmurano autonoma. E siamo all’anno 1259. Da questo anno gli abitanti di Colmurano vissero quasi sempre subendo l’oppressione di altri socialmente e militarmente più forti di loro. Più di una volta hanno tentato di tirar su la loro testa e ragionare in proprio, ma hanno dovuto pagare molto cari, con vite umane, sacrifici, tassazioni, vessazioni ecc., questi atti che venivano considerati di ribellione. Ci riuscirono nel XV secolo e nell’anno 1487 si diedero anche regole di vita che ancora oggi si possono ammirare, per la loro bontà, leggendo gli Statuti che in quell’anno la comunità colmuranese emanò autoritariamente per se stessa. In questo periodo Colmurano si diede anche uno stemma, quello che ancora oggi rappresenta il Comune: un monte all’italiana e su di esso una vivace pianta di ulivo sormontata da una croce. Fu riconosciuto Comune nell’anno 1798, allorchè la Repubblica Romana istituì nelle Marche il Dipartimento del Musone con Macerata capoluogo e Tolentino primo Comune di quel Cantone che comprendeva il Comune di Colmurano. Fu una libertà illusoria quella vissuta in questo tempo dai colmuranesi perchè il potere era ritornato nelle mani… del suo secolare oppressore: Tolentino. Un periodo che miseramente crolla nel 1799 e cioè fino a quanto tutto il territorio torna sotto il dominio del Papa. Si raggiunge così la data del 2 aprile 1808, giorno in cui si entrò nel periodo napoleonico con l’annessione del territorio delle Delegazioni Pontificie al Regno italico. Colmurano finisce, con Urbisaglia e Sanseverino nel dipartimento del Tronto, Distretto di Fermo, Cantone di san Ginesio. Il castello di Colmurano comprendeva la torre ed il girone, ossia la cerchia delle mura, che può essere ricostruita nelle sue grandi linee sulla scorta di quanto rimasto. La torre, o castello vero e proprio, era ove oggi è la piazza su cui si affacciano la Chiesa parrocchiale e l’edificio del Comune. Dalla torre partivano le cortine, intercalate da torri minori, che circondavano l’abitato presente sulla spianata che aveva favorito l’insediamento sulla sommità del colle. L’accesso alla cittadina era ad ovest, verso il torrente Entogge e si conserva ancora, nonostante rinnovi ed adattamenti. Le mura si addossavano al colle seguendo l’andamento del terreno. L’ingresso era guardato e difeso da una torre. Una vecchia mappa di epoca settecentesca contiene uno schizzo panoramico di Colmurano dal quale si ha la conferma dell’esistenza di quattro torri e di una rocca. La strada che correva sulla sommità dei colli, preveniente da San Ginesio, la disimpegnava; strada che poi, oltrepassato Colmurano ed Urbisaglia, scendeva definitivamente sul fondo valle del Fiastra laddove questa riceve le acque dell’Entogge ed ingloba al suo interno la meravigliosa Abbazia Cistercense di Santa Maria di Chiaravalle di Fiastra. Una moderna nuova strada unisce oggi Colmurano alla Strada Statale Picena che corre nel fondovalle del Fiastra. Il centro storico del paese conserva ancora tratti delle mura difensive trecentesche e quattrocentesche, provviste di bastioni, e il torrione poligonale a difesa della porta ogivale di San Rocco, anteriore al 1200, ancora oggi quasi intatta e un tempo dotata di ponte levatoio e con soprastante torre triangolare. La porta S. Rocco è ultima rimasta degli antichi accessi cittadini. Altri link di approfondimento: https://www.sibillinigo.it/colmurano/ (video), https://www.facebook.com/watch/?v=1367893630085860 (video di Comune di Colmurano)

Fonti: http://turismo.comune.colmurano.mc.it/alla-scoperta-del-comune/la-storia/, https://it.wikipedia.org/wiki/Colmurano, https://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-colmurano-mc/

Foto: tutte e tre prese da https://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-colmurano-mc/

Il castello di venerdì 30 luglio



VIGOLZONE (PC) - Castello in frazione Bicchignano

Bicchignano fece parte del feudo di Veano, anch'essa frazione del comune di Vigolzone e distante pochi chilometri da Bicchignano, di cui si ha notizia a partire dal 1043 quando fu donato al monastero di San Savino. Bicchignano ospita i resti di un antico castello medievale conosciuto anche come Castellone, Castellaccio o Castellazzo, una fortificazione situata in una posizione dominante sulle prime propaggini collinari della val Nure. Esso occupava una posizione strategica all'interno del sistema difensivo della famiglia Anguissola, che si estendeva tra la media val Trebbia e le vallate limitrofe fino ad avvicinarsi alla città di Piacenza. Il castello venne citato per la prima volta nel corso dell'XI secolo, periodo durante il quale esso fu donato al monastero di San Savino di Piacenza; successivamente entrò a far parte dei possedimenti della famiglia Anguissola, divenendo uno dei capisaldi del suo sistema difensivo. Nel 1324 divenne di proprietà di Gandolfo Zanardi. Nel 1404 divenne un possesso di Bernabò Landi, che avviò una serie di lavori di espansione e rafforzamento della fortificazione. Nel corso del mese di gennaio del 1513 la fortificazione, divenuta nel frattempo di proprietà della camera apostolica, venne ceduta al conte Ettore Scotti; passata ai suoi figli, nel 1527 fu acquistata da Claudio Landi. Il castello fu, poi, comprato dalla famiglia Zanardi Landi, la quale nel 1577 ne ottenne l'investitura feudale. Verso la fine del Cinquecento, all'epoca del dominio dei Farnese il feudatario doveva pagare ai duchi due forme di formaggio in luogo di dieci fagiani come Censuo quinquennale. Il castello venne, infine, abbandonato nel XVIII secolo, durante il quale divenne di proprietà dei conti Costa.Durante la seconda guerra mondiale, nell'ambito della lotta partigiana, fu teatro di scontri tra i partigiani e le truppe tedesche. Questi scontri causarono ulteriori danni alla struttura. Della costruzione, realizzata in pietre di fiume dotate di un rivestimento in laterizio, rimangono solo alcuni resti, dai quali traspaiono tuttavia elementi a testimonianza dell'originaria importanza strategica e grandezza della fortificazione. Il più imponente è il rudere di un torrione (fatto risalire all'inizio del Trecento) dotato di un'alta base scarpata e lunghi beccatelli su cui poggiava il cammino di ronda, tutti elementi caratteristici della tipologia architettonica sforzesca. Il complesso presentava originariamente una struttura a pianta quadrangolare dotata di due torri di forma quadrata situate ai vertici contrapposti, orientate rispettivamente a occidente e a oriente. Relativamente alla consistenza del castello, interessanti informazioni possono essere desunte dai contratti di locazione dei dazi del fieno e del vino del XVI secolo che testimoniano l’esistenza della “camera ab igne” e di una stanza superiore “appellata la camera bianca”. Lo stato di abbandono del complesso sta cancellando, progressivamente, le parti superstiti aggredite dalla vegetazione e compromesse dai crolli.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Bicchignano, https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Bicchignano, http://www.altavaltrebbia.net/castelli/val-nure/2173-castellone-di-bicchignano.html, http://www.turismoapiacenza.it/resti_del_castello_di_bicchignano.html

Foto: la prima è di FAM~itwiki su https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Bicchignano#/media/File:Castello_di_Bicchignano.jpg, la seconda è Luigi.Milanesi su https://mapio.net/pic/p-14216711/

giovedì 29 luglio 2021

Il castello di giovedì 29 luglio



ORZINUOVI (BS) - Palazzo Caprioli in frazione Pudiano

Pudiano, Püdià, è una piccolissima frazione di poche decine di abitanti ricca di storia. I nobili Caprioli vi hanno vissuto dal 1400 e fino ai primi anni del 1900. Pudiano era un tempo raggiungibile da una caratteristica strada affiancata da due filari di pioppi cipressini (ora abbattuti) messi a dimora dal conte Giulio Tartarino Caprioli nei primi anni del '900. Pregevole l'antico Palazzo, probabilmente utilizzato in passato anche come "castello-ricetto". Sorto negli ultimi anni del secolo XVI, questo palazzo severo sta sulla piazza del piccolo borgo quasi ad affermare una assoluta signoria. Altra importante famiglia che ha vissuto e vi vive tuttora è quella dei Lanzani. Notevole la chiesa di San Giorgio, costruita ai primi del '900 sull'area della antica chiesa, di cui conserva la struttura nella canonica. La nuova chiesa conserva le reliquie di San Bonifacio martire, acquisite dai Caprioli, oltre ad una pala del Cossali. Altri link per approfondire: http://www.enciclopediabresciana.it/enciclopedia/index.php?title=CAPRIOLI_nobili (storia della famiglia Caprioli), https://www.giornalepaesemio.it/orzinuovi/pudiano-si-riscopre-una-frazione-che-ha-tanto-da-raccontare/

Fonti: https://www.fondoambiente.it/luoghi/pudiano-di-orzinuovi-l-antico-feudo-caprioli?ldc, http://www.comune.orzinuovi.bs.it/content/monumenti-principali

Foto: la prima è di Casalmaggiore Provincia su https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Pudiano_(Orzinuovi)_-_Palazzo_Caprioli_02.jpg, la seconda è di pierox70 su https://mapio.net/pic/p-89594813/

Il castello di mercoledì 28 luglio



TRENTO - Palazzo delle Albere

"Il luogo detto per antonomasia il Palazzo fuori Porta Santa Croce merita essere visitato. Vi si va per un ampio e lungo spalleggio di densi alberi e grandi, a man destra de' quali scorre mormorando un gentil alveo. Arrivando s'apre davanti, come un anfiteatro di pianura, o Piazza distinta in Alberi, e passaggi, formando di sé il Palazzo, quasi bel teatro in prospettiva. Il luogo è posto in isola di forma quadrangolare a Torri con riparo nobile di Balaustrata e regolare recinto di Mura, e Fosse, e Ponte levatoio alle gran Porte". Così scriveva nel 1673 Michelangelo Mariani a proposito della Villa delle Albere. Il palazzo, una vera e propria villa fortificata, deve il proprio nome alla doppia fila di pioppi cipressini che, in passato, erano allineati lungo il viale che dalla città conduceva all'edificio, attraverso il cosiddetto "arco dei tre portoni" posto all'ingresso del viale. Dalla presenza del viale si deduce che un tempo l'accesso principale era rivolto ad oriente. L'assetto territoriale fu completamente stravolto dalla costruzione della ferrovia e dalle installazioni industriali e sportive, che hanno compromesso la fisionomia della villa, un tempo così rilevante nelle vedute della città. Ad oriente vi è il parco, ridotto rispetto alla superficie originaria poiché attraversato dalla ferrovia del Brennero ed in parte occupato dal cimitero monumentale di Trento. Tra la ferrovia ed il cimitero, ai lati dell'originario viale, vi sono inoltre i resti di due baluardi che si suppone abbiano avuto funzione di barchesse. L'edificio ha una pianta quadrata, con quattro torri angolari quadrate di 6 m di lato e alte 20 m, e circondato da un fossato. E' suddiviso al piano terra da un "portego" passante che si ripete al piano superiore e si apre verso oriente alla città con ampie finestrature alla serliana. Sul prospetto orientale si rileva la presenza di più strati di paramento affrescato a motivi architettonici. I dipinti dei saloni furono eseguiti dalle maestranze che avevano operato anche nel Magno Palazzo clesiano del Castello del Buonconsiglio, al seguito dei Dossi, del Romanino e di Marcello Fogolino. A piano terra si accede al portico passante. Qui originariamente si affacciavano vari locali di servizio, compresa la cucina su due livelli, munita di un grande camino, di un pozzo per l'acqua e di un sottopasso che permetteva di raggiungere l'altro lato del palazzo, passando sotto l'ingresso principale. I saloni di rappresentanza, tutti originariamente decorati da cicli affrescati, sono situati nei torrioni del primo e del secondo piano. Al centro del tetto era originariamente presente una piccola torre quadrangolare (come dimostrano alcuni antichi disegni), ormai andata distrutta. Anche molti degli affreschi presenti nel palazzo sono andati perduti. Al primo piano si trova "la gran sala in quadro e affrescata con le imprese di Carlo V e della di lui vita", dipinta dopo la morte dell'imperatore avvenuta nel 1558. Di questo ciclo si conservano pochi frammenti. La sala con camino è decorata dal ciclo di pitture raffiguranti i 12 mesi. Sul camino campeggia un grande stemma della famiglia Madruzzo. Nel torrino di sud-est si può ammirare un ciclo dedicato all'età dell'uomo, attribuito a Marcello Fogolino, autore anche degli affreschi dei torrioni superiori. Al secondo piano si sono invece conservati molti affreschi rinascimentali: paesaggi immaginari, con rovine e castelli. Altre pitture presenti nel palazzo rappresentano le sette Arti liberali (nel torrino di sud-est): Grammatica, Logica, Retorica, Aritmetica, Musica, Geometria, Astronomia; le quattro Virtù cardinali (nel torrino di nord-est): Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza; e le tre Virtù teologali (sempre nel torrino di nord-est): Fede, Speranza e Carità. Leggenda popolare vuole che esistesse un lungo cunicolo sotterraneo che collegava la villa al duomo (la stessa leggenda parla anche di varie gallerie e cunicoli che si dipartivano dal Castello del Buonconsiglio e che permettevano ai principi vescovi di spostarsi senza esser visti). L'anno di costruzione della villa è incerto, e a tal proposito esistono due tesi: la prima colloca la costruzione nel 1530 su commissione di Giovanni Gaudenzio Madruzzo, padre di Cristoforo Madruzzo, come peraltro riportato dal cronista bresciano del XVII secolo Michelangelo Mariani, aggiungendo che essa avrebbe ospitato nel 1540 circa Carlo V; l'altra tesi, suffragata anche da notizie d'archivio rivelate nel 1910, colloca la costruzione intorno al 1550 su commissione di Cristoforo Madruzzo. Il progettista fu Francesco Chiaramella da Gandino, ingegnere militare del cardinale. Alle Albere fu ospite dei Madruzzo il vescovo di Alba Marco Girolamo Vida, che a Trento compose il dialogo “De Rei Publicae Dignitate”, rievocazione delle dotte discussioni umanistiche dei padri conciliari. Durante il Concilio di Trento del 1545 il palazzo fu teatro di banchetti e tornei in onore di principi e ambasciatori. Il 7 giugno 1551 vi si tenne un pranzo in onore di Filippo II di Spagna (allora principe, figlio di Carlo V) accompagnato da Emanuele Filiberto I di Savoia ed altri nobili, giunti a Trento in occasione del Concilio. Nel novembre del 1552 l'architetto Andrea Palladio fu invitato a Trento da Cristoforo Madruzzo per esaminare l'opera e consigliare migliorie (la cui influenza si ritrova nell'architettura della villa, assieme a quella di Sebastiano Serlio, tanto che tra il XVII e XVIII secolo era diffusa tra i cronisti l'attribuzione diretta dell'opera ai due architetti, oggigiorno generalmente non accettata). Alla morte di Carlo Emanuele Madruzzo (1658) la villa passò nel patrimonio della Mensa vescovile, ma in breve andò in decadenza: fu demolita la cinta muraria e parte degli affreschi furono coperti o andarono distrutti. Nel giugno 1721 fu sede provvisoria trentina delle monache di sant'Orsola, che vi rimasero per un tempo imprecisato. Nel settembre 1796, poco dopo l'occupazione di Trento da parte di Napoleone Bonaparte, la villa fu saccheggiata dai soldati francesi e il furioso incendio rovinò irreparabilmente la villa, soprattutto nell'ala orientale. Nel novembre dello stesso anno la città fu ripresa dagli austriaci, che usarono la villa come prigione ed ospedale. La notte di Natale dello stesso anno l'edificio prese fuoco e subì gravi danni a causa dell'incendio. Messa all'asta nell'ottobre 1806, la villa ebbe un primo restauro nel 1833 per opera del vescovo di Trento Francesco Saverio Luschin. Durante i lavori il tetto fu completamente ricostruito, eliminando il torrino con belvedere che vi si trovava al centro. Nella seconda metà del XIX secolo l'edificio venne utilizzato come modesta dimora di contadini. Fra il 1927 ed il 1933 la curia vescovile che lo aveva acquisito lo concesse in gestione alla vicina fabbrica di pneumatici della Michelin come alloggio per i suoi operai. Nel 1951 vi fu un secondo restauro, poi ripreso nel 1970 con l'acquisizione della villa da parte della Provincia di Trento ed il passaggio, nel 1973, delle competenze in materia di tutela del patrimonio storico artistico dallo stato alla provincia. Nel 1981 fu la sede espositiva della sezione d'arte contemporanea del Museo provinciale d'arte. Nel 1998 il parco del palazzo ha ospitato tutte le puntate della 29ª edizione di Giochi senza frontiere. Nel 1987 è diventato la sede di Trento del MART, ospitando la parte relativa all'Ottocento del patrimonio artistico museale. Il 1º gennaio 2011 è stato chiuso per restauro. La riapertura al pubblico, inizialmente prevista per il 2012, è stata rimandata. Nel 2013 è stato aperto a fianco il Museo delle Scienze di Trento MUSE. Dal 2015 il Palazzo delle Albere è utilizzato come spazio espositivo per mostre temporanee. Altri link per approfondimento: https://www.trentinofilmcommission.it/it/locations/detail/palazzo-delle-albere/, https://www.youtube.com/watch?v=xKEqL2sY4Pw (video di Trentino Cultura), https://www.youtube.com/watch?v=ZC-UZaBZRXg (video di FerdinandoGonzaga)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_delle_Albere, https://www.cultura.trentino.it/Luoghi/Tutti-i-luoghi-della-cultura/Palazzi-storici/Palazzo-delle-Albere, https://www.comune.trento.it/Aree-tematiche/Cultura-e-turismo/Visitare/Edifici-storici/Palazzo-delle-Albere

Foto: la prima è presa da https://www.ufficiostampa.provincia.tn.it/var/002/storage/images/media/immagini-comunicati-stampa/palazzo_delle_albere_ripreso_da_sardagna-image/927934-1-ita-IT/Palazzo_delle_Albere_ripreso_da_Sardagna.jpg, la seconda è presa da https://www.trentotoday.it/attualita/nuovo-museo-scienza-albere.html

martedì 27 luglio 2021

Il castello di martedì 27 luglio


 
BISTAGNO (AL) - Castello

Bistagno compare in documenti del 991 e 1155 col nome di Bestagnio, del 1052 con Bistanno. Secondo l'Olivieri « Bistagno esistette con termine di topolessigrafia: da spiegare come variante peggiorativa della parola stagno coi valore di terreno acquitrinoso ». Forse il nome attuale proviene da quello di uno dei tre borghi distrutti, situato nei pressi dell'antica chiesa di S. Maria « de plebe » (riedificata sul finir dei '700 col titolo di N. D. Assunta) nella piana a est del nuovo borgo. In poco tempo Bistagno crebbe in potenza e autorità, al punto che nel 1264 venne fondato un ospedale sotto il titolo di San Nicolao. Il castello, di cui resta la torre, sorgeva a uno degli angoli della base del triangolo (la caratteristica forma del nucleo urbano originario, oggi occupata dal centro storico), a strapiombo sul fiume, e fu per parecchi anni sicura residenza episcopale, quando nel 1343 a causa delle furiose lotte che si combattevano in Acqui tra le fazioni Guelfa e Ghibellina, il Vescovo Guido II dei Marchesi di Incisa preferì abbandonare la città e rifugiarsi nella fortezza di Bistagno, che poi donò al Marchese di Monferrato. Il paese, dopo un breve ritorno alla Chiesa sotto il Vescovo De Regibus, fece parte della dote di Lucrezia del Monferrato, venne conquistato da Amedeo VIII di Savoia e poi restituito alla dinastia casalese con la pace di Torino del 1435. Dal 1491 al 1651 fu dei Della Rovere di Monastero, parenti del papa Giulio II, e poi dei Bassi di Savona. Nel periodo dell'invasione napoleonica Bistagno fu teatro di scaramucce e insorgenze contro i Francesi, con conseguente saccheggio e pesante risarcimento. Il castello ha rappresentato il fulcro della vita bistagnese attraverso i secoli, ma, paradossalmente, è stato allo stesso tempo il punto più oscuro della storia del borgo. E' veramente più unico che raro, che un popolo non abbia saputo, voluto e potuto tramandare o conservare notizie attendibili su questo argomento. Il castello nacque nel XIII secolo ad opera del vescovo Enrico e aveva una cinta muraria intervallata da ben sei grosse torri che la suddividevano nelle relative cortine. Il XIII secolo si deduce in quanto il castrum bistagnese, da cui quasi certamente come ovunque altrove ebbe origine il castellum, viene nominato per la prima volta verso la conclusione di quel periodo storico. Quando il vescovo Enrico nel 1253, diede vita al nuovo concentrico bistagnese, certamente provvedette, come sempre in quei tempi, alla sua difesa con progetti per un fortilizio, che nei decenni seguenti deve aver visto l'avvio, se non la sua definitiva costruzione. L'attuale torre doveva far parte dell'edificio o palazzo, in quanto proprio nel punto più alto dello spazio interno era normalmente eretta una torre, ben più alta delle altre che sorgevano lungo le mura. Che il castello primigenio fosse munito del ponte levatoio e che fosse circondato da un ampio fosso, lo si ricava da ripetute citazioni negli ordinati. Oggi, però, poco o nulla, oltre la torre, rimane. La stessa, di forma esagonale è già per questo di aspetto poco comune e piuttosto rara. L'unico luogo ancora conservato della struttura originaria sono le cantine. Le riproduzioni inserite, ci mostrano rispettivamente un angolo ad arco, annerito dal tempo, ma con ancora ben visibili i materiali con cui fu costruita la muratura del tempo; l'altra, invece, offre alla nostra attenzione l'angolo più caratteristico, forse, dell'intero sottosuolo dei castello. Si tratta degli ultimi gradini di una scala che proviene dal piano terra e conduce ad un profondo e buio pozzo sottostante, evidentemente uno di quei pozzi che erano destinati ad oscure funzioni, non rare nel medioevo.La torre è dotata di cortina in laterizio coronata superiormente da una fascia di archetti ciechi.
Altri link suggeriti: http://lnx.iislevimontalcini.it/sitob/Bistagno/assedio2.html, https://langhe.net/town/bistagno-piemonte/

Fonti: https://www.comune.bistagno.al.it/it-it/vivere-il-comune/storia, https://www.comune.bistagno.al.it/it-it/vivere-il-comune/cosa-vedere/il-castello-e-la-torre-34521-1-b063f4b7ba98491ac556d67fd2cfa779, testo da pubblicazione "Castelli in Piemonte" di Rosella Seren Rosso (1999)

Foto: la prima è di mpvicenza su https://www.flickr.com/photos/36102477@N04/11136465956, la seconda è di michele anesa su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/172732/view

lunedì 26 luglio 2021

Il castello di lunedì 26 luglio

 

TARVISIO (UD) - Castello di Weissenfels in frazione Fusine in Valromana

La vallata era ricca di ferro estratto e lavorato fin dall'antichità. Da qui il nome "Fusine", che nel dialetto friulano significa appunto fucina, fabbrica, opificio. Secondo altri invece tale nome risalirebbe ai tempi delle dominazioni carolinge, più precisamente ai feudatari franchi, tali Weissenfels, che si sarebbero insediati nella valle loro assegnata dai discendenti di Carlo Magno. Un tempo questo territorio faceva parte non della Carinzia, ma della Carniola ed il vasto pianoro apparteneva al vicino paese di Ratece. Però già nel 950 si fa menzione di concessioni imperiali e di suddivisioni della Carniola superiore in quattro signorie; tra queste quella di Weissenfels. Solo nel 1404 avvenne la prima concessione a tale Bartolomeo Consuran, da parte di Federico conte di Ortenburg per l'erezione di una fucina nei pressi della chiesetta di S. Leonardo. Passata la signoria in mano ai conti Cilli, si ebbe la costruzione, nel 1431, del castello di Weissenfels, per merito del conte Federico II che ne ebbe il possesso territoriale tra il 1420 e il 1465, sul monte ora detto Castello e sul quale sono visibili ancora le rovine. Il castello per la sua elevata posizione (a quota 1.120 metri di altezza) si dimostrò subito inadatto a scopi amministrativi e difensivi: decadde ben presto e venne distrutto, secondo una leggenda, nel 1618. Il maniero aveva pianta poligonale irregolare con una torre alta una dozzina di metri posta sul lato nord-est del complesso e con un mastio romboidale situato nel lato sud. Vi si accede da Poscolle lungo una bella strada panoramica. Sono visibili ancora il fossato sul lato settentrionale e alcuni ruderi. Lo storico Paolo Santonino, vissuto alla fine del quindicesimo secolo, in un suo libro descrisse Weissenfels «come un castello posto in alto, a un'altezza quale nessun altro castello era situato». Tale altitudine e la difficoltà di una costante opera di manutenzione causarono l'abbandono del castello, che andò velocemente in rovina. La proprietà del sito seguì le sorti dell'antica Signoria, passando di mano ai vari proprietari delle storiche acciaierie presenti in valle. Da ultimo ha seguito le sorti della Forestale Weissenfels e del suo fallimento. Nel 1456 la Signoria, per l'estinzione dei conti Cilli, cambiò titolare e divenne proprietà degli Asburgo che la tennero a mezzo di amministratori fino al 1636. Dal 1540 in poi fu attiva come proprietaria di fucine la famiglia Caspar, alla quale succedettero in tempi successivi quelle dei Cavallar e di Rechbach. Le Famiglie Cavallar e Rechbach (gabellieri imperiali) si impegnarono a Weissenfels per oltre un secolo, con la costruzione, tra il 1706 e il 1716, del castello di Stuckl (che fu anche sede delle Acciaierie Weissenfels Spa) - andato distrutto per un incendio nel 1961 - e l'edificazione, forse precedente, del castelletto ancora visibile nel centro del paese, a destra per chi sale da Tarvisio. Degradato e oramai al collasso, è stato salvato nelle strutture essenziali grazie all'intervento operato dal 1991 in poi da Antonello Perissinotto. Altri link consigliati: https://it.wikiqube.net/wiki/weissenfels_castle,https://messaggeroveneto.gelocal.it/udine/cronaca/2015/03/31/news/tarvisio-vuole-ridare-vita-al-monte-castello-1.11155977

Fonti: http://tarvisiano.digitalwebland.com/code/39675/Archeologia-e-architettura, http://tarvisiano.digitalwebland.com/it/39776/Fusine-in-Valromana, https://ricerca.gelocal.it/messaggeroveneto/archivio/messaggeroveneto/2008/03/13/GO_15_LET50.html

Foto: l'unica che ho trovato è un'antica cartolina che è in vendita sul sito www.delcampe.net. Poi c'è una stampa di come poteva essere il castello prima della sua distruzione, presa da https://messaggeroveneto.gelocal.it/udine/cronaca/2015/03/31/news/tarvisio-vuole-ridare-vita-al-monte-castello-1.11155977

domenica 25 luglio 2021

Il castello di domenica 25 luglio


ASCIANO (SI) - Rocca Tolomei in frazione Chiusure

Il borgo di Chiusure sorse intorno ad un'antica chiesa denominata Sant'Angelo in Luco, già esistente nell'VIII secolo quando fu oggetto di contesa fra i vescovi di Siena e di Arezzo, ricadendo poi sotto la giurisdizione di quest'ultimo. La nobile famiglia Tolomei di Siena aveva vari possedimenti nei dintorni di Chiusure. Nel 1313, Bernardo Tolomei si ritirò per condurre una vita eremitica in una sua proprietà nel deserto di Accona non lontana da Chiusure e lì fondò, nel 1319, la Congregazione Olivetana. Nel 1333 Antonio di Meo Tolomei acquistò il borgo di Chiusure cedendo poi al popolo i terreni e le abitazioni. Nel XIV secolo la chiesa di Sant'Angelo in Luco, mutando il suo nome in San Michele in Luco, venne affidata alla vicina abbazia di Monte Oliveto Maggiore insieme alla quale, nel 1462, entrò a far parte della Diocesi di Pienza. Nel 1777, Chiusure, da comune autonomo, divenne frazione di Asciano. L'antico accesso al borgo è costituito dalla Porta Senese, della quale è conservato l'unico fornice inglobato in seguito all'interno di un edificio di abitazione. Poco oltre si trova una piccola piazza con al centro una vera di pozzo circolare affiancata da una colonna marmorea; una seconda vera di pozzo, ma di forma quadrangolare, si trova nella piazza antistante la chiesa di San Michele. Nella parte alta del borgo sorge l'antica rocca dei Tolomei, risalente al XIV secolo. Essa si struttura intorno ad una corte, sulla quale si affacciano il cassero e la cappella, dedicata a San Leonardo. La comunità locale, già esistente al tempo degli etruschi, fu dotata di una prima fortificazione sotto il dominio dei Cacciaconti, essendo Chiusure il più alto punto di osservazione del vasto territorio delle Crete. Nel 1265 sotto il dominio senese, il castello fu consolidato e rinforzato come struttura fortificata a presidio della frontiera sud-ovest della Repubblica di Siena. Dal 1333 il castello divenne "Rocca dei Tolomei" a seguito dell'acquisto, da parte della potente famiglia senese, di tutto il borgo e i terreni intorno non ancora di sua proprietà. Dopo la caduta della Repubblica di Siena, il castello perse ogni sua importanza difensiva e fu oggetto di usi diversi. Oggi, la struttura principale del castello è stata riadattata a residenza per anziani. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=m0TK9_nmOrw (video di Fabio Balocchi), https://www.youtube.com/watch?v=RC43JPKC4Dk (video di grazia video)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Chiusure_(Asciano), http://www.cretesenesi.com/castello-di-chiusure-o-rocca-tolomei-p-1_vis_9_1217.html

Foto: entrambe del mio amico (e inviato speciale del blog) Claudio Vagaggini

sabato 24 luglio 2021

Il castello di sabato 24 luglio

 


                                       

ACQUEDOLCI (ME) - Castello Cupane

Sorto sul lido di San Fratello, detto delle Acque Dolci, è situato al margine orientale dell'attuale abitato, distante poche decine di metri dalla battigia del mare e ne rimane isolato dal tracciato della linea ferrata. Il castello affonda le proprie radici nel XVI secolo, quando i baroni catalani Larcan De Soto si occuparono della costruzione della torre di avvistamento a pianta quadrata, utile alla difesa della costa, facente parte del progetto difensivo organizzato da Carlo V. I Larcan de Soto, erano giunti in Sicilia nel 1391 al seguito di Re Martino I (1392-1409). Nel 1398 Augerot Larcan ricevette da Re Martino la baronia di San Fratello. A questi va attribuita la costruzione della torre nella marina di Acquedolci, all’inizio del XV secolo. Nel 1405 si decise la costruzione di una Torre “in fogia flomarie que est in medio Sancti Fladelli et Caronie”; incaricati di raccogliere il denaro furono il notaio Pietro de Domenico, vicesegretario di Cefalù, e Andrea de Jaconia (Maurici 1985-87). Il nipote Antonio Giacomo Larcan Barone di San Fratello ottenne, nel 1498, la licenza di riedificare e fortificare l’antica torre esistente; in seguito ebbe il permesso di costruire il baglio, potendovi applicare i merli a coronamento delle mura, e la licenza per aprire una nuova tonnara. Nel 1622 la baronia di queste terre passò a Giulia Larcan e alla sua morte alla casa Lucchesi dei Marchesi di Delia. Ferdinando Francesco Gravina e Cruyllas, Principe di Palagonia, Grande di Spagna di Prima Classe, Cavaliere dell’insigne Ordine del Toson d’Oro, divenuto Barone di San Fratello a seguito del matrimonio contratto nel 1698 con Anna Maria Lucchesi e Filangeri, ereditò “in infinitum ed in perpetum la detta Terra, Stato e Baronia di San fratello, della Signoria e Trappeto dell’Acquedolci […]“. Al Principe di Palagonia si deve la decisione di abbandonare la coltivazione della canna da zucchero nel territorio di Acquedolci. Non essendo più in funzione il trappeto di zucchero, il complesso fu trasformato in una lussuosa dimora feudale potendo così accogliere comodamente il Barone e la propria famiglia durante le visite nel feudo di Acquedolci. Attualmente poco o nulla resta che ricordi lo sfarzo di un tempo. È possibile rintracciare una qualità architettonica nel prospetto settentrionale della palazzina. La mancanza della copertura, ha fatto si che l’interno della palazzina sia andato completamente distrutto. La torre rappresenta il nucleo intorno al quale procedette la costruzione del castello nella sua interezza, impegno edilizio che occupò i decenni compresi tra la fine del XVII (probabilmente a partire dal 1660) e l’inizio del XIII secolo. Il complesso, dotato di impianto rettangolare a corte con torrette circolari ai rispettivi angoli Nord/Est e Nord/Ovest (ad amplificare il carattere di fortezza della residenza baronale), attualmente si presenta in accentuato stato di degrado. Della torre cinquecentesca è andata demolita gran parte della struttura nel XX secolo, probabilmente anche in seguito alla distruzione apportata dalla frana del 1922 (allo stato attuale la parte basamentale è ancora leggibile anche se è sostanzialmente coperta dai materiali derivanti dal crollo. Non è pertanto possibile descrivere l'organizzazione degli spazi interni), mentre degli interni risultano visibili le zone adibite alla cantina, agli appartamenti privati ed al salone, ma particolarmente rilevante risulta la presenza della Chiesa di San Giuseppe (attualmente sconsacrata), ornata da un altare settecentesco ed architettonicamente recuperata. Da immagini precedenti il crollo, pare che i quattro angoli del castello fossero rinforzati da cantonali costituiti da grossi blocchi di pietra squadrati. L’esterno è caratterizzato dall’impiego di pietra, laterizi e malta lasciata a vista. Appartenente al momento della fondazione ai Principi di Palagonia, il Castello fu venduto nel XIX secolo alla famiglia Cupane, responsabile di un ampliamento degli spazi, sino a divenire, in tempi recenti, proprietà del Comune, con l’intento di potenziarne l’importanza storico-artistica. I progetti, infatti, mirano al recupero di alcuni locali ed al seguente impiego degli stessi spazi per attività culturali, ospitando un’eventuale biblioteca, una sala convegni, un auditorium, una pinacoteca ed un museo. Attualmente il castello è liberamente visitabile dall’esterno. Altri link suggeriti: https://youtu.be/ysyn3pSoj-I (video di FAIchannel), https://www.youtube.com/watch?v=eIwJM9m2ybM (video di Bella Sicilia), https://goowai.com/castello-gravina-cupane-di-acquedolci/ (con foto del castello dall'alto), https://www.youtube.com/watch?v=cRFjupkL7Ao (video di Droniland Fpv), https://www.siciliafan.it/castello-larcan-gravina-castello-cupane/?refresh_ce, https://acquedolcifuriano.blogspot.com/2019/05/castello-di-acquedolci-un-video-aereo.html?fbclid=IwAR2_yrRsbaGxkFZhTq7nApz64LwY0RA20Wt9ifmKEjXK6Qy_i6LS0049KSY, https://www.youtube.com/watch?v=fB9p5S4QiBM (video di dronedary)

Fonti: https://www.messinaweb.eu/messinesit%C3%A0/architettura/i-castelli/item/636-il-castello-di-acquedolci.html, https://prolocoacquedolci.it/turismo/il-castello-larcan-gravina/, https://www.icastelli.it/it/sicilia/messina/acquedolci/castello-cupane-di-acquedolci, https://www.fondoambiente.it/luoghi/castello-cupane-di-acquedolci?ldc

Foto: la prima è di azotoliquido su https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:Acquedolci_castello.JPG, la seconda è presa da https://goowai.com/castello-gravina-cupane-di-acquedolci/

venerdì 23 luglio 2021

Il castello di venerdì 23 luglio


CERESETO (AL) - Castello

Il borgo, sorto in vicinanza dell’antica abbazia di San Cassiano venne infeudato da dei seguaci di Ardoino d’Ivrea e poi confiscato al cavaliere sàssone Granseverto suo sostenitore. Divenne in seguito possedimento dei monasteri della Novalesa e di Breme, dei marchesi di Monferrato aleramici e paleologi. Alla fine del 1500 Vincenzo I di Gonzaga lo concesse a Germanico Sarvognan costruttore della cittadella di Casale Monferrato. Il Castello di Cereseto sorge proprio nelle vicinanze di Casale Monferrato. L'attuale struttura è di origine relativamente recente e risale al 1910 circa. Fu eretto dall'industriale e mecenate Riccardo Gualino, su progetto dell'ingegnere casalese Vittorio Tornielli, in stile tardo quattrocentesco piemontese. L’edificio ha dimensioni monumentali, la sua costruzione impegnò per un decennio un numero considerevole di maestranze che portarono movimento ed attività in paese. L’imprenditore curò moltissimo anche gli interni, costruendo una collezione di mobili di pregio provenienti da tutta Italia e dall’estero, indispensabili per creare una sontuosa dimora. Il castello però sorge sulle ceneri di una roccaforte molto più antica che venne completamente abbattuta nel 1600: la datazione dell'antica roccaforte ricade nel periodo medievale, in quanto Cereseto era un piccolo feudo nato tra il 500 e il 600 d.C. e tra il 900 ed il 1000 venne governato dalla nobile famiglia astigiana dei Groseverto ed è proprio in questo periodo che probabilmente venne eretta la roccaforte, poi abbattuta nel 1600 e successivamente restaurata dai conti De-Maistre Lovera di Maria, per lasciare spazio alla bellissima e sontuosa ricostruzione novecentesca che ancora oggi è possibile ammirare. Nel 2019 a Torino, all'interno della importante mostra su Riccardo Gualino, sono stati esposte le opere e le fotografie storiche della vita all'interno del castello. Contemporaneamente la famiglia Sangiovanni, attuale proprietaria, ha aperto il castello ai visitatori ed attraverso una rappresentazione olografica del conte Gualino ha accolto un numeroso pubblico. Il Castello ed il suo stupendo parco sono stati visitati ed apprezzati dal Fondo Ambiente Italiano e sono oggetto di un progetto di ristrutturazione per trasformazione in Hotel e centro eventi del Basso Monferrato. Oggi il Castello si presenta in ottimo stato esternamente, in quanto abitato fino a pochi decenni or sono, mentre internamente ha perso molto degli originali fasti. Conta 153 stanze, 6000 metri quadrati lordi di abitazione e 170.000 metri quadrati di parco. Nel parco vi erano grotte e tane artificiali, una voliera, un’enorme serra in vetro, una vigna che era chiamata “la colonnella”, dei laghi artificiali, le fontane, i ruscelli e i giochi d’acqua. Tra le opere raccolte molti dipinti di valore sono poi stati ceduti alla Galleria Sabauda, come il trittico di Andrea Giusto che arredava il salottino d’ingresso, la lunetta di Matteo da Gualco che faceva bella mostra nel salone del pianterreno oppure il ritratto di Sofonisba Anguissola di Van Dyck che abbelliva la seconda sala dello stesso piano. Il giorno dell’inaugurazione del castello, l’8 settembre 1912, i proprietari e gli amici erano vestiti con abiti quattrocenteschi così da formare un colpo d’occhio unico nella storia monferrina; pareva essere resuscitato l’ambiente medievale. Una storia di sfarzi e cultura quella del Castello di Cereseto, che vide l’inizio del suo tramonto nel periodo che seguì immediatamente la fine della prima guerra mondiale. Ma quello che avvenne dopo va ben al di là di ogni previsione che si potesse fare. Un declino inarrestabile, con la vegetazione che giorno dopo giorno ha ricoperto quanto un tempo risuonava di note musicali e coppie danzanti, all’ombra delle imponenti torri che sembravano vigilare su ogni movimento interno ed esterno al maniero. Eppure, gli anni trascorsero inarrestabili e tra quelle mura iniziarono ad accadere cose di cui nessuno sembrava accorgersi nell’anonimato di un’imponenza che da fastosa diventava sempre più lugubre e impenetrabile. Non storie di fantasmi o mobili che inspiegabilmente cambiano stanza al passaggio dell’ultimo testimone disposto a spergiurare che non fossero collocati lì appena il giorno prima. Protetto dalle imponenti mura il Castello di Cereseto, è diventato negli anni ’80 il peggior posto che il maniero potesse diventare: la base per una banda di loschi criminali. Quanto le illegali attività di trasformazione e raffinazione di droghe pesanti siano durate non è certo individuabile, sta di fatto però che un giorno, una nutrita compagine di uomini della Guardia di Finanza riuscì a penetrare nel Castello di Cereseto, sgominando la banda di delinquenti che da qualche tempo sfruttava la tranquilla dimora per gli affari più loschi. Tutto sommato una storia come tante di cui sono pieni i quotidiani, dall’esito se vogliamo positivo ma, quando si costruisce sulle rovine di qualcosa di cui non si conosce la storia, essa è destinata a ripetersi senza che nessuno possa indicare mai il come e il quando. E infatti, dopo l’intervento per ripristinare la legalità nel Castello di Cereseto, accadde qualcosa di veramente inaspettato in grado però di scuotere molte coscienze ma più di tutte quelle che di certo non ne erano all’oscuro. Da un’intercapedine, in un luogo angusto, alla ricerca di chissà quale nascondiglio dei trafficanti di droga insediatisi tra quelle mura, venne scoperto quello che per sempre resterà il segreto più atroce del Castello di Cereseto: una piccola bara di zinco. Cosa conteneva è facile immaginarlo, come siano accaduti i fatti, senz’altro è meno intuibile. Sta di fatto che mai nessuno scorderà quel ritrovamento ma è certo che da qualche parte, una o più coscienze hanno visto parzialmente svelato il loro terribile segreto. Altri link proposti: https://www.youtube.com/watch?v=hKRvPplyK94 (video di Paolo Crepaldi), https://www.youtube.com/watch?v=vCMBSyWVEng (video de Il castello di Cereseto), https://www.youtube.com/watch?v=zo17Xvy068o (video di Rino Mansi), https://www.youtube.com/watch?v=Bymu95ekaH4 (video di Albyphoto - Urbex Italia), http://www.monferrato.org/ita/risorse-turistiche/castelli-fortezze/castello-di-cereseto/6bf7d467fc1e138be90fd428307a221c.pdf

Fonti: http://www.comune.cereseto.al.it/Home/Guida-al-paese?IDDettaglio=30395, https://it.wikipedia.org/wiki/Cereseto#Castello_di_Cereseto, http://www.comune.cereseto.al.it/Home/Guida-al-paese?IDDettaglio=30397, https://www.percorsimonferrato.com/castello-cereseto-monferrato/, https://www.fondoambiente.it/luoghi/castello-di-cereseto, https://www.gognasrl.it/antiquariato/blog-rassegna-stampa-pubblicazioni/personaggi-luoghi/castello-di-cereseto/, https://arte.icrewplay.com/castello-di-cereseto-monferrato-gualino-1900/

Foto: la prima è presa da https://www.cuneo24.it/2021/02/nel-monferrato-la-maestosa-bellezza-del-castello-di-cereseto-104956/, la seconda è presa da https://www.ilmonferrato.it/articolo/p5DnKiTHF0Wi2atdkpzm6A/cereseto-lavori-al-castello-danneggiato-dalla-tromba-d-aria-d-agosto

giovedì 22 luglio 2021

Il castello di giovedì 22 luglio



BORGIO VEREZZI (SV) - Torrione e Forte di Borgio

In epoca medievale, una parte del Burgum Albinganeum e di Veretium (antichi nomi di Borgio e di Verezzi), già possedimenti del vescovo-conte di Albenga, rientrarono dal 1076 nei possedimenti dell'abbazia benedettina di San Pietro in Varatella presso Toirano; l'atto di cessione fu firmato dal vescovo ingauno Diodato. Le due principali borgate furono quindi annesse, intorno al 1212, al ramo feudale dei Del Carretto del Finale (diventando, di fatto, località di confine tra le due marche Arduinica e Aleramica) salvo poi, nel 1216, ritornare tra i domini del vescovo di Albenga che inserì questa parte del territorio nella giurisdizione della castellania della Pietra. Solamente nel 1385 papa Urbano VI, prigioniero nel Regno di Napoli e successivamente liberato anche grazie all'aiuto della Repubblica di Genova, per sdebitarsi con quest'ultima decise la cessione dei borghi di Pietra (citato come "borgo o castello della Pietra", l'attuale città di Pietra Ligure), Toirano, Giustenice, Borgio, Verezzi e altre terre nelle mani del doge Antoniotto Adorno e quindi della repubblica. Sotto il dominio genovese questa parte del territorio venne inserita nella podesteria della Pietra e ogni comunità aveva il compito di garantire la sicurezza e la difesa della giurisdizione. Sotto questo punto di vista la località di Borgio risultò però carente in quanto sprovvista di una postazione difensiva e tale mancanza, fondamentale per la sopravvivenza dei borghi in un periodo tormentato dai sempre più numerosi assalti dei pirati, fu colmata nel 1564 quando, su progetto di Antonio Rodaro, inviato a Borgio dal Senato della Repubblica, vennero edificati prima una torre e poi un forte (1588), ancora oggi presente sul territorio borgese. Nel corso del XVII secolo vi fu un attacco da parte dei Savoia in varie podesterie liguri e proprio nel territorio della giurisdizione della Pietra, il 30 maggio del 1625, le truppe sabaude furono respinte dal loro cammino verso Genova. Con la dominazione di Napoleone Bonaparte il territorio tra Borgio e Verezzi rientrò dal 2 dicembre 1797 nel Dipartimento del Letimbro, con capoluogo Savona, all'interno della Repubblica Ligure. Il Torrione, visitabile dall’esterno sempre e parzialmente ristrutturato, è oggi utilizzato dalle Associazioni di volontariato e dal Comune a scopo sociale e culturale. Venne ultimato in pochi anni a scopo difensivo con la partecipazione di tutta la cittadinanza: pare che alla sua erezione avessero partecipato anche le donne e i bambini. Questa struttura è tuttora visibile a ponente dell’abitato di Borgio, inglobata nelle costruzioni più antiche del centro storico. Nei pressi vi è l’ingresso originario al Borgo storico (Vico del Forno). Negli anni successivi i borgesi capirono che il Torrione non era sufficiente in casi di attacco e chiesero ed ottennero il permesso di costruire un baluardo difensivo in grado di ospitare tutta la popolazione. Fu così che nel 1588 terminarono la costruzione del Forte di Borgio. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=8Ujuc-lx6Ss (video di VerdiFinale), https://www.ivg.it/2016/05/sara-restaurato-lo-storico-torrione-borgio-verezzi/

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Borgio_Verezzi, https://www.visitborgioverezzi.it/11569/cultura-turismo-e-territorio/cosa-ce-da-vedere-a-borgio-verezzi/borgio-verezzi-da-scoprire-clicca-qui/, https://www.fondoambiente.it/luoghi/torrione-borgio-verezzi

Foto: la prima è presa da https://www.visitborgioverezzi.it/category/cultura-turismo-e-territorio/, la seconda è presa da http://vagabondele.blogspot.com/2016/09/borgio-verezzi-un-luogo-del-cuore.html

mercoledì 21 luglio 2021

Il castello di mercoledì 21 luglio

 

                                                            

GRAGNANO TREBBIENSE (PC) - Castello di Castelmantova in frazione Campremoldo Sotto

Nel medioevo il feudo di Gragnano fu governato dai Malaspina, dai Piccinini e poi dagli Scotti.La zona fu teatro di aspri scontri tra guelfi e ghibellini; nell'ambito di queste contese, nel 1220 il castello di Campremoldo Sotto fu dato alle fiamme da esponenti della fazione guelfa. Nel Trecento la zona fu fedele alla famiglia Visconti nell'ambito delle guerre con il papato, costringendo nel 1373 le truppe pontificie ad un assedio per espugnare Castelvecchio. Nel 1624 il pieno possesso della zona di Campremoldo Sopra e Sotto e dei castelli fu concesso al conte Annibale Scotti ad opera della camera ducale farnesiana presieduta da Odoardo I Farnese. Nel 1636 Castelvecchio fu saccheggiato dalle truppe spagnole nell'ambito del conflitto tra questi ultimi e i francesi appoggiati da Odoardo Farnese. Nel 1799 la zona di Gragnano e di Rottofreno fu teatro di una battaglia tra le truppe francesi comandate dal generale MacDonald e quelle austro-russe guidate dal generale Suvorov che costrinsero i francesi alla ritirata verso La Spezia. Il castello di Castelmantova è situato in aperta pianura Padana sulla sponda destra del torrente Luretta. Sul sito in cui sorge il castello, si trovava una precedente fortificazione, risalente forse al Duecento, che fu coinvolta nei combattimenti tra le fazioni guelfa e ghibellina. Fra il XII ed il XIII secolo questo feudo apparteneva a due importanti famiglie, i da Pecorara e i da Campremoldo. I primi erano una nobile famiglia originaria dell’alta Val Tidone che diede i natali al cardinale Jacopo da Pecorara, legato pontificio noto per l’aspra ostilità che lo contrappose a Federico II. I secondi erano invece una potente famiglia locale distintasi fra le societates piacentine e lombarde grazie all’attività mercantile e finanziaria esercitata sui mercati di mezza Europa. Nella seconda metà del XII secolo queste due antiche famiglie furono scalzate dall’ascesa degli Scotti, i quali acquisirono la proprietà di buona parte di questi territori proprio all’apice della loro potenza politica ed economica, dovuta in gran parte ad Alberto Scoto, signore di Piacenza. Negli anni '20 del Duecento, la primitiva fortificazione venne espugnata e saccheggiata dai guelfi, in un'azione culminata con l'incendio del castello. Di questo edificio non rimangono tracce visibili. All'inizio del XV secolo Francesco Borla, medico del duca di Milano, ottenne da questi la concessione a ricostruire il fortilizio. Il castello, che nel 1636 era stato incendiato a seguito di operazioni militari nelle quali era stato coinvolto, rimase di proprietà della famiglia Borla fino alla morte di Giovanni Batista Borla, che avvenne in quello stesso anno. Entrato a far parte delle proprietà della Camera Ducale farnesiana, nel 1658 venne autorizzata la sua cessione a Giovanni Pietro Savini, che comprava l'edificio per sè e per Giulia Del Sole, la quale rivestiva la carica di tutrice dei figli del Savini. Due anni più tardi il castello venne venduto dai Del Sole a Gian Giacomo Civardi, che avviò lavori di ricostruzione. L'edificio rimase di proprietà dei conti Civardi sino al 1854 quando venne venduto da parte del conte Giacomo Civardi a Carlo Besini, nobile originario di Modena e residente a Mantova, che lo ribattezzò Castelmantova a ricordo della città lombarda. Agli inizi del XX secolo l'edificio passò nelle proprietà dei signori Sutti-Guasconi ai quali rimase fino al 1925, quando fu ceduto a Carlo Prati.Il complesso, pesantemente rimaneggiato nei secoli, presenta una struttura a forma quadrata, caratterizzata dalla presenza di due torri poste sugli angoli, diagonalmente tra loro. Dell'originaria struttura castrense sono visibili i resti della pusterla, dotata di ponte levatoio e posta nella torre meridionale, alcune bocche da fuoco e una porzione della cordonatura a toro posta lungo il fossato, la cui presenza, lungo i lati sud e est della costruzione, era ancora documentata negli ultimi anni del XVIII secolo. I resti del ponte levatoio sono uno dei pochi elementi presenti nella costruzione originale ancora visibili. Il castello presenta un cortile interno, dotato di portico e loggiato su tre lati posto sia al piano terra che al primo piano. Gli spazi tra le colonne sono scanditi da lesene toscane che hanno la funzione di sorreggere gli architravi, il primo dei quali svolge la funzione di parapetto del piano superiore, mentre il secondo svolge la funzione di supporto al cornicione di gronda. Il castello è circondato da un parco, all'interno del quale si trova una cappella, caratterizzata dalla facciata in stile barocco a doppio ordine di lesene, che conserva al suo interno alcuni dipinti, opera del pittore Giovan Battista Ferrari, realizzati nel 1885 e raffiguranti alcuni membri della famiglia Besini, nonché alcuni contadini. Castel Mantova è sede estiva permanente di eventi musicali promossi dalla Fondazione Val Tidone Festival. Il castello, il giardino e l’oratorio sono disponibili per matrimoni, cerimonie, convegni, mostre, concerti, riprese fotografiche e cinematografiche. Altri link proposti: https://www.preboggion.it/Castello_di_Castelmantova.htm, http://www.altavaltrebbia.net/castelli/val-luretta/2091-castelmantova.html, https://www.mondimedievali.net/Castelli/Emilia/piacenza/castelmantova.htm

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Gragnano_Trebbiense, https://it.wikipedia.org/wiki/Castelmantova, http://www.visitvaltidone.it/castel-mantova.html?interessi[]=3, https://www.turismopiacenza.it/2020/12/29/castel-mantova-campremoldo-sopra/

Foto: la prima è presa da https://www.locandadeimelograni.it/dintorni/5-castel-mantova, la seconda è di Solaxart 2013 su https://www.preboggion.it/Castello_di_Castelmantova.htm

martedì 20 luglio 2021

Il castello di martedì 20 luglio



GOITO (MN) - Castello Gonzaga

Sul finire del V secolo, dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente, divenne una fortezza dei Goti (Ostrogoti, Visigoti o entrambi), dai quali appunto deriverebbe il nome Goito, per essere successivamente conquistata prima dai Longobardi e poi dai Franchi. La sua cruciale ubicazione geografica lungo il Mincio e la via Postumia ne determinò l'importanza anche in epoca medievale, prima sotto il dominio imperiale (rappresentato dalla potente famiglia Canossa) e poi come libero comune. Nel XV secolo Goito fu contesa da Visconti e Gonzaga finché, dopo la battaglia del 14 giugno 1453, entrò a far parte stabile dei possedimenti del marchese di Mantova Ludovico III Gonzaga, che diede notevole impulso al rilancio dell'economia locale (la costruzione del cosiddetto Naviglio di Goito, il ponte in mattoni sul Mincio e il restauro delle fortificazioni) e vi eresse una propria residenza (cui lavorò anche il Mantegna nel 1463-64) dove morì di peste nel 1478. Nella seconda metà del Cinquecento la città conobbe nuova prosperità con i duchi Guglielmo e Vincenzo I Gonzaga. Seguirono il declino della dinastia e la decadenza dei possedimenti gonzagheschi, che nel 1708 furono annessi al ducato di Milano in mani austriache, non prima di aver subito gli ingenti danni del terremoto del 5 luglio 1693 (crollo della borgata del Merlesco, delle mura della rocca e di parte della chiesa parrocchiale). Alla fine del Settecento la città fu conquistata dai francesi e più tardi riconquistata dagli austriaci. Si fa cenno del castello, edificato sulle rive del Mincio, già ai tempi di Matilde di Canossa e del vescovo di Mantova Manfredo dal 1109 al 1147, che donò alcuni beni del castello al monastero di Polirone. Durante il corso dei secoli, la struttura subì attacchi e devastazioni. Tra questi è noto l'attacco posto da Federico II di Svevia nel 1236 e da Ezzelino III da Romano nel 1251. Al tempo del marchese di Mantova Ludovico III Gonzaga (1460), l'antica rocca venne collegata ad un palazzo dotato di vasto parco, divenendo così una sontuosa dimora signorile immersa nella campagna mantovana. Già prima di diventare Signori di Mantova i Gonzaga vivevano tra gli svaghi e gli ozi campestri nella loro "Contea di Marmirolo", nel cuore della quale si erano fatti costruire un massiccio palazzo, irto di torri ma allietato da leggiadre bellezze interne. Tale palazzo antico era circondato dalle acque del «RE DEI FOSSI» oggi denominato semplicemente « RE » che avevano funzione di rafforzarne la difesa secondo l'uso del tempo. Quando, però, la potente famiglia poté giungere alla Signoria di Mantova, il vecchio edificio non parve più adeguato alla nuova dignità principesca. Fu allora che si pensò alla costruzione di dimore che potessero meglio appagare la smodata ambizione gonzaghesca, non mai smentita nell'interrotto dominio di quasi quattro secoli. Sorsero così ville e palazzi in tutti i punti del loro vastissimo territorio. Con Francesco II (1500) l'edificio venne abbellito e dotato di importanti opere d'arte e decorazioni, popolando il parco di numerosissimi e svariatissimi animali selvatici. Divenne poi questa la residenza preferita del Duca Guglielmo ch'egli rese magnifica secondo i suoi gusti personali. Benché compiuta negli ultimi anni della sua vita (1584-85-86-87), l'opera riuscì un gioiello d'arte, che nulla ebbe da invidiare alle più rinomate ville dei Gonzaga sparse in quasi tutti i punti del loro vasto territorio. Economico par suo, per non dire avaro, Guglielmo volle usare una magnificenza attalica, profondendovi l'ingente somma di trecentomila scudi d'oro. Tale cifra è accettabile perchè la floridezza economica del Casato toccò l'apice sotto il suo governo. Nonostante le numerose spese per una corte che contava un migliaio di persone, e pur con le grandiose costruzioni, Guglielmo aveva nei suoi bilanci annuali un avanzo medio di circa cinquantamila ducati e, alla sua morte, pare vi fossero nel "Camerino ferrato di Cortevecchia" due milioni d'oro in contanti ! Non fa meraviglia, quindi, che egli ne spendesse a profusione per il Castello di Goito, cioè per un'opera che doveva rappresentare l'apoteosi di Mantova e dei Gonzaga. Guglielmo vi morì il 14 agosto 1587. Nel castello fu rinchiuso e trovò la morte il 24 maggio 1571 Flaminio Paleologo, figlio naturale di Giovanni Giorgio del Monferrato, ultimo marchese del Monferrato della dinastia dei Paleologi, reo di aver tramato contro il duca Guglielmo Gonzaga. La durata della fase di splendore del castello fu breve e di poco superiore a quella della dinastia gonzaghesca che lo possedette. Un primo alleato del tempo fu quello spaventoso del terremoto del 5 luglio 1693 "che tanti danni portò al Ducato Mantovano", e per il quale crollarono alcune stanze di questa residenza. Per poco, non ci rimase sepolto il Duca Ferdinando Carlo. Ma quando le cose dei Gonzaga volgevano a precipizio, la rovina politica traeva con sè anche la rovina di tutti quanti gli stupendi palazzi. Nella guerra per la successione spagnola che infuriò sul mantovano, e in particolar modo sul nostro territorio, dal 1701 al 1707, Goito patì orrendamente; il palazzo era ancora in uno stato tollerabile, e rimase tale fino al 1735, quando vi pose il suo Quartiere Generale il re di Sardegna, Carlo Emanuele III, che nella guerra di successione con la Polonia, comandava i Gallo Sardi sul Mantovano. In queste scorrerie di eserciti nemici, la Villa Ducale era esposta a tutti i malanni, erano rubati i quadri, gli arazzi, i rasi, i cimeli preziosi; erano devastati i giardini, il parco, uccisi gli animali, infrante le fontane; il palazzo, danneggiato dal tiro delle artiglierie e non mai restaurato, ora caserma dei soldati, ora in balia dei villici, che lo consideravano senza padrone, era diventato quasi irriconoscibile. Un giorno cadeva un soffitto, un altro cadeva un muro; andarono in pezzi gli usci, le imposte; era tutto una rovina, e nessuno pensava ad arrestarla. Nel 1734, per ordine dell'imperatore Carlo VI, furono intrapresi i lavori per il risarcimento dei baluardi della Fortezza. Quella superba mole, che in pochissimi anni si sfasciò totalmente, di cui non rimase altro che la memoria. Di fatti a rendere più eloquente la mutevolezza delle ultime pietre della storica Villa, esistono nell'archivio di Stato di Torino documenti comprovanti il Castello di Goito, come ad esempio un magnifico disegno del Prefetto delle Fabbriche Ducali "Domicilio Moscatelli", detto "Battaglia". Dell'antica roccaforte risalente al XII secolo situata nel centro di Goito, oggi, come detto, rimangono solo i ruderi.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Goito, https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Goito, https://www.comune.goito.mn.it/it-it/vivere-il-comune/cosa-vedere/castello-dei-gonzaga-e-cinta-murarie-resti-43837-1-5b62afc07752afc82cbee49f37f0ce86

Foto: la prima è di Massimo Telò su https://it.wikipedia.org/wiki/Goito#/media/File:Goito-Ruderi_del_castello.jpg, la seconda è presa da https://www.mypacer.com/it/routes/10648/percorso-di-salva-nr-17-mincio-camminata-pista-goito-provincia-di-mantova-italia

lunedì 19 luglio 2021

Il castello di lunedì 19 luglio

 

                                      

SASSOFERRATO (AN) - Palazzo Montanari

E' un antico edificio situato su uno sperone di roccia circondato dal verde, sulla collina che divide in due il centro urbano della città. Il nucleo dell’attuale costruzione ha origine, secondo le poche notizie tramandate dagli storici locali, intorno all’anno mille come fortilizio. Successivamente, nel XIII secolo (intorno al 1245), fu ampliato ed adibito a monastero per le suore Benedettine con la denominazione di Santa Margherita in Paravento. Gli ampliamenti si susseguirono nei secoli fino a determinare l’attuale configurazione dell’intero complesso. Don Angelo Montanari, servendosi di una grossa somma di denaro elargitagli da una suora, vi istituì nel 1838 un orfanotrofio femminile, essendo vuoto il monastero per la soppressione napoleonica del 1810. L’edificio si sviluppa su tre livelli che si affacciano su una corte interna porticata, restaurata nel 1980, nella quale è presente un pozzo circolare da cui le monache benedettine attingevano l’acqua proveniente dal colle di San Pietro. Sul fronte di ingresso è localizzata l’antica chiesa (parte della cui struttura originaria è visibile al piano superiore), ad una sola navata, con ingresso indipendente dotato di un pregevole portale in pietra arenaria con iscrizione. L’idea del progetto e l’inizio della raccolta dei materiali (oggetti, strumenti da lavoro, arredi ecc.) dell'attuale Museo delle Arti e Tradizioni Popolari (ospitato nel Palazzo Montanari) risalgono al 1954 per opera di Padre Stefano Troiani, allorché prese vita l’Istituto Internazionale di Studi Piceni a cui si deve la quasi totalità della raccolta stessa. Il Museo è sorto nel 1979 come progetto di ricognizione, conservazione e promozione della testimonianze delle arti e tradizioni del territorio di Sassoferrato. Nel 1997, in seguito al terremoto, il Museo è stato chiuso ed è stato riaperto nel mese di maggio del 2006, completamente “ridisegnato” su progetto dell’architetto Francesco Palmini. Al Museo, situato in via Montanari, si accede dal centro storico del Castello, partendo da piazza Matteotti, proseguendo lungo viale degli Eroi ed il Parco della Rimembranza: un breve, ma suggestivo itinerario naturalistico. Il Museo, come archivio, raccoglie e conserva le testimonianze di un tempo e di una civiltà, al fine di favorire la ricerca storica della cultura agricola e artigianale della gente e del territorio sassoferratese e oltre. Dunque, una raccolta che permette al visitatore di recuperare la cultura locale attraverso le diverse manifestazioni creative dell’uomo, quali le tradizioni popolari, gli antichi mestieri, gli oggetti del vivere quotidiano di ieri. Questa raccolta, ispirandosi alle indicazioni della moderna museologia, si costituisce anche come laboratorio e spazio aperto all’incontro, alla partecipazione, ed al dibattito dell’attualità culturale e dei valori della tradizione. Articolato in sei sezioni, il Museo si sviluppa sui piani terra e seminterrato. Al piano terra si trovano quattro sezioni: Lavorazione della terra (aratura, semina) – Lavorazione dei prodotti (mietitura, trebbiatura) – Lavorazioni domestiche (filatura, tessitura) – Mezzi di trasporto (birocci, carri). Ciascuna di queste sezioni cerca di “raccontare”, tramite gli attrezzi e gli oggetti più rappresentativi, i modi di lavorare e di vivere in un preciso periodo storico, di una larga parte della popolazione del territorio sentinate. Al piano seminterrato sono ubicate le due restanti sezioni: Ambienti domestici (forno, cantina, dispensa, camera da letto, cucina) – Lavorazioni artigiane (tornitore, falegname, arrotino, boscaiolo, ciabattino, bottaio, fabbro, maniscalco, muratore, cocciaro, cordaro, apicoltore). Queste sezioni ricostruiscono, attraverso gli arredi e gli oggetti dell’epoca, l’atmosfera che si respirava sia nella casa contadina, sia nelle botteghe degli artigiani. La ricca raccolta (le 15 sale della sede espositiva ospitano circa 1.500 “pezzi”) è molto interessante dal punto di vista etnografico ed antropologico e riflette i lineamenti ed i tratti antropici e socio-culturali della gente sassoferratese, seppure con aperture agli orizzonti regionali. Altri link suggeriti: https://www.sassoferratoturismo.it/it/museo-delle-arti-e-tradizioni-popolari/, https://www.youtube.com/watch?v=3oFT9FufwkY (video di Happennines soc. coop.)

Fonti: https://www.iluoghidelsilenzio.it/palazzo-montanari-sassoferrato-an/, http://www.sassoferratocultura.it/palazzi_palazzo_s_margherita_paravento.htm

Foto: la prima è presa da http://www.sassoferratocultura.it/palazzi_palazzo_s_margherita_paravento.htm, la seconda è presa da https://www.iluoghidelsilenzio.it/palazzo-montanari-sassoferrato-an/

domenica 18 luglio 2021

Il castello di domenica 18 luglio


OTRANTO (LE) - Masseria di Cippano

A pochi chilometri da Otranto, percorrendo la litoranea che porta verso sud, all' altezza della Torre di guardia denominata Torre Sant' Emiliano, è presente uno degli esempi più significativi ed interessanti di masseria fortificata, la Masseria Cippano. Risalente intorno al XV secolo, Cippano, luogo da cui prende il nome la masseria, risulta in buono stato di conservazione. Masseria Cippano divenne parte integrante di quel sistema difensivo voluto dall’allora imperatore del Sacro Romano Impero, Carlo V, in comunicazione diretta con Torre Sant'Emiliano, dalla quale ricevere e inoltrare il messaggio di pericolo nelle zone più interne dell’entroterra. Munita di torre (alta circa 15 metri) organizzata su due piani, arricchita da una scala esterna di accesso all'edificio e di un ponte levatoio. Una struttura fortificata dotata di caditoie, recintata da muri paralupi, con le false guardie situate sopra la terrazza, gli scarichi d'acqua a forma di cannone e i gettatoi. L'acqua piovana, raccolta in grandi cisterne, veniva distribuita agli abbeveratoi mediante il sistema di canalizzazione che sfruttava la pendenza dell'estradosso della copertura della cisterna stessa. Lo stemma dei nobili proprietari, i marchesi di Casamassella, sormonta gli accessi ai vani. La torre di avvistamento, dalla quale era possibile comunicare a vista con le torri costiere e ad altre masserie, testimonia la paura di possibili invasioni turche. La masseria era dunque un luogo di lavoro e di guerra, di vita e di morte, arricchito con il tempo da ulteriori edifici, magazzini, granai, stalle e da una chiesetta, dedicata a Sant’Isidoro (1784). Dopo la vittoria cristiana nella battaglia di Lepanto l’incubo del nemico turco all’orizzonte sembrava ormai un lontano ricordo. Gli elementi bellici non sarebbero stati più necessari, vennero quindi sostituiti o abbandonati. Lo sviluppo del complesso masserizio poteva ora procedere in “orizzontale”, lasciando gli ambienti alti a disposizione del signorotto o del massaro, che dall’alto avrebbe vigilato sull’operato dei suoi coloni. Il latifondo, in seguito alla riforma agraria, è stato assegnato in appezzamento ai contadini. Altri link per approfondimento: https://www.salentoacolory.it/masseria-cippano-estremo-oriente-del-salento/, https://www.fondazioneterradotranto.it/2015/03/24/le-masserie-tra-vita-agreste-e-vita-militare-lesempio-di-masseria-cippano/, http://www.japigia.com/le/uggiano/index.shtml?A=cippano, https://www.facebook.com/watch/?v=936582910519628 (video di Puglia.com), https://www.youtube.com/watch?v=UjCJw40g61g (video di Danilo Lupo)

Fonti: http://www.salogentis.it/2013/05/12/masseria-cippano-una-mina-vagante/, https://www.fondoambiente.it/luoghi/masseria-cippano?ldc

Foto: la prima è di carlom su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/82282/view, la seconda è di Lupiae su https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:Masseria_Cippano.jpg

sabato 17 luglio 2021

Il castello di sabato 17 luglio




SERRAVALLE PISTOIESE (PT) - Rocca di Castruccio Castracani (o Rocca Nuova)

La Rocca Nuova si contrappone all'altra rocca detta "Vecchia" nucleo originario del castello di Serravalle Pistoiese (https://castelliere.blogspot.com/2021/06/il-castello-di-sabato-26-giugno.html) di cui facevano parte la torre Longobarda e la torre del campanile (così oggi chiamata perché trasformata in campanile della chiesa di Santo Stefano nella parte più antica del paese). La storia della "Rocca Nuova" o "Rocca di Castruccio" nasce dai fatti di guerra tra i comuni di Lucca e Firenze alleati tra loro e la città di Pistoia. Dopo aver razziato e conquistato molti dei castelli della montagna e creato danni nella pianura vicino alla città pistoiese, vollero tentarne la sua conquista. Trovandola ben forte nelle sue possenti mura e decisa a resistere all'eventuale assedio, l'alleanza fiorentina - lucchese decise di rivolgere il suo esercito contro il castello di Serravalle Pistoiese. Questo era uno dei più importanti punti strategici per il comune pistoiese e spina nel fianco delle loro città. Il castello era stato recentemente rinforzato da Pistoia, in vista di questo bellicoso evento, da più di trecento dei migliori uomini di Pistoia oltre ad altri soldati mercenari provenienti da Bologna, si parla di circa 500 arcieri, inoltre era stato ben rifornito di vettovaglie ed armamenti per resistere ad un assedio o portar danno in territorio Lucchese. L'esercito nemico così si divise in tre tronconi: i lucchesi al comando del marchese Moroello Malaspina, allora signore di Lucca e gran capitano di tutte le forze alleate, si posizionarono presso il Poggio dello Spedaletto vicino al colle del paese, mentre un altro fu stanziato presso il castello della Castellina così che da lassù si potesse vedere cosa si faceva entro Serravalle. I fiorentini misero il loro campo proprio attorno al castello costruendovi una palizzata tutt'intorno per fare in modo che chi era dentro non potesse uscir fuori a compiere delle imboscate. Una volta posto il campo cominciarono a tirar con i trabucchi (catapulte) lanciando massi notte e giorno per sfiancare gli assediati. Questo durò circa tre mesi, fino a quando le vettovaglie all'interno del castello cominciarono a scarseggiare. La penuria di viveri ed il continuo "bombardamento" da parte dei nemici costrinse i serravallini a riunirsi in consiglio e fu deliberato di mandare nottetempo di nascosto, sembra attraverso passaggi segreti sotto il castello, un messo per chiedere rinforzi alla città di Pistoia. I pistoiesi, avvertiti di quando succedeva nel loro castello, accorsero in forze cercando di rompere l'assedio andando in parte incontro alle forze Fiorentine posizionate presso il paese ed in parte al campo Lucchese della Castellina. Avvistati gli aiuti che venivano da Pistoia i serravallini ripresero coraggio ed aprirono le porte uscendo in 400 armati per distruggere lo steccato che proteggeva il campo nemico ed aiutare le forze pistoiesi accorse in loro appoggio. Si ebbe un duro scontro e nonostante il tenace attacco dei Serravallini e pistoiesi contro il nemico non riuscirono a resistere alla forza della moltitudine Fiorentina e furono costretti a ritirarsi lasciando molti morti sul campo di battaglia. I pistoiesi che erano alla Castellina a combattere i lucchesi, quando videro che la loro gente a Serravalle era stata sconfitta e si dava alla fuga si ritirarono in fretta e tornarono alla loro città lasciando il castello alla mercé dei nemici. I fiorentini, forti della sconfitta inflitta a quelli di Pistoia, ancora con maggior forza dettero assalto con mangani e trabucchi notte e giorno fortemente combattendoli. Gli assediati nel castello, consapevoli di essere abbandonati e sconfitti, e mancando di che mangiare, pensarono di poter salvare almeno i loro abitanti e chiesero di poter parlare col marchese Moroello. Il marchese accettò e fu fatto consiglio. Dopo lunga trattativa s'accordarono a queste condizioni: tutti i soldati pistoiesi e di Serravalle dovevano esser presi prigionieri e condotti in catene a Lucca, il popolo dovette giurare sottomissione ai Lucchesi per ottenere salva la vita, i mercenari furono rilasciati con l'obbligo di tornare alle loro terre. Inoltre, dopo ulteriore accordo fra Fiorentini e Lucchesi fu stabilito che il castello di Serravalle fosse sottoposto a giurisdizione di Lucca. Fu allora che nacque la Rocca Nuova, all'incirca nell'anno 1302, costruita dai lucchesi per rinforzare il castello e controllare la popolazione di Serravalle, avendo il timore che una volta partito il grosso delle truppe, essi si sarebbero di nuovo risollevati per tornare sotto la giurisdizione di Pistoia. La Rocca fu munita di forti e spesse mura con camminamenti interni e torrette di osservazione (tuttora ben visibili) e di diverse alte torri di guardia. Uno spesso muro fu posto per dividere La nuova Rocca da quella Vecchia e l'unico punto di collegamento fra di esse era costituito da una sola porta. All'interno della nuova Rocca fu scavata una grande cisterna per l'acqua piovana, utile in caso d'assedio, che proseguiva fin sotto la torre più alta. Per ribadire il proprio dominio, le torri, furono costruite in pietra calcarea scolpita proveniente dai territori lucchesi. Quando a Lucca si ebbero lotte di potere vi furono varie successioni dei loro signori: ne prevalse uno particolarmente più agguerrito, ben appoggiato politicamente e potente, tale Castruccio Castracani, poi divenuto in seguito un grande e famoso condottiero dell'Italia di quel periodo. In seguito a nuovi episodi bellici contro Pistoia la Rocca Nuova di Serravalle assunse il nome di questo signore, il quale, riuscendo a capire l'importanza strategica di questo castello come base per le sue mire espansionistiche a danno di Pistoia e successivamente Firenze, lo rinforzò nella sua struttura rendendolo ancora più imponente e sempre ben munito di una grossa e addestrata guarnigione di suoi soldati. Scomparso Castruccio (1328) e fallito il tentativo di autonomia della Valdinievole, Serravalle e i castelli del Montalbano, acquisiti definitivamente da Firenze, entrarono a far parte di un sistema di insediamenti fortificati che si estendeva dal Valdarno (con Fucecchio, Cerreto Guidi, Vinci, Lamporecchio, Larciano, Montevettolini, Monsummano, Montecatini) per arrivare a Massa e Cozzile, Buggiano, Uzzano e Pescia. La rocca ha una pianta grossomodo triangolare con un andamento a cuneo che segue la morfologia del terreno. Nel lato maggiore del poligono, rivolto verso l’abitato, si apriva la porta di ingresso alla rocca, posta a 2,50 metri di altezza da terra e a cui si doveva giungere con scale mobili; a questa quota si trovava il pavimento del primo livello, posato su volta a botte con botola-caditoia centrale. Sugli angoli del recinto murario si si innalzavano due torrette rispettivamente pentagonale (a nord) e quadrangolare (a sud) che ne costituivano l’irrobustimento. Avevano un paramento murario (con paramento vogliamo indicare ciascuna delle facce parallele di un muro, o per estensione, lo stesso rivestimento murale) in pietra calcarea squadrata a conci regolari. La torre esagonale ( lato 6 m e altezza 30 m) presenta un paramento esterno con conci di pietra calcarea ben squadrati e di dimensioni regolari (altezza 20-28 m e larghezza 22-45 m). Alla base sono presenti tre riseghe (arretramento della faccia esterna o interna dei muri) che ampliano e irrobustiscono la struttura, utilizzata dalla metà del XV secolo per migliorare la resistenza nella parte bassa della cortina muraria. Le torrette pensili innalzate sul lato est sono impostate su archi angolari a tutto sesto e presentano un paramento in pietra macigno misto ad alberese; aperture a pieno centro con arco realizzato in laterizio sono presenti su due lati della torretta pentagonale in corrispondenza dei camminamenti alla sommità delle cortine. Torri e mura erano poi dotate di numerose bertesche in legno che miglioravano l’apparato difensivo sulla sommità; il cassero della rocca nuova era dotato di tre bertesche, una delle quali a guardia della porta. Le poche aperture rispecchiano la tipologia delle feritoie arciere realizzate mediante la combinazione di elementi lapidei standardizzati. Nel perimetro murario si aprivano due porte: la porta a Nievole (o della Gabella) , posta nella parte più bassa del castello, contigua alla rocca nuova, e l’altra detta di Sant’Andrea, nella parte più elevata del circuito murario. La Porta della Gabella è realizzata con arco a pieno centro impostato su mensole modanate in travertino; la protezione della porta era assicurata da una torre soprastante. La costruzione della rocca nuova ha generato una determinante mutazione dell’abitato, verso nord le mura procedevano in linea retta e saldavano la cortina della rocca nuova con quella della vecchia, mentre nel versante sud-est il circuito si collegava alla porta di S. Maria, questo ampliamento poteva consentire una crescita dell’abitato lungo il nuovo asse orientato verso est-ovest. La Rocca Nuova all’estremità ovest era separata dall’abitato da una vasta area non costruita che permetteva spazio a sufficienza nel caso ci fosse stata la necessità di alcuni interventi e azioni belliche. Alla funzione di mastio era abbinata quella di guardia, sottolineata dall’attenzione con cui venivano selezionate le sentinelle, cittadini pistoiesi con buona reputazione con reddito abbastanza elevato, e dai meticolosi provvedimenti di controllo dell’accesso, esercitati dal console pistoiese. All’interno del castello il tessuto si distribuiva in maniera molto diversificata. Per favorire l’edificazione e il popolamento coloro che intendevano risiedere nel comune di Serravalle vennero esentati per un anno da tasse e oneri. Dopo tale periodo i nuovi residenti erano iscritti alla custodia diurna e notturna e, per usufruire della razione di sale, dopo due anni erano tenuti a pagare le tasse come i serravallini. Le strade e le piazze del castello dovevano essere mantenute libere da materiali ingombranti e tutti gli uomini erano tenuti a eseguire le opere di manutenzione previste dagli Ufficiali del Comune per le strade all’interno e fuori dal castello. Anche in questo caso si applicava un’ammenda pari a 10 soldi di denari per gli inadempienti. Era inoltre vietato circolare per le strade del castello in orario notturno (dopo il terzo suono della campana) come pure di frequentare taverne e osterie che si aprivano lungo le principali arterie stradali. Una deroga era concessa in particolari occasioni festive come la festa di S. Croce del mese di settembre fino “alle calende di novembre”. Altri link proposti: https://www.youtube.com/watch?v=zQkZZm220Og (video con drone di Jacopo Marcovaldi), https://www.youtube.com/watch?v=-kUKox6eMC8 (video di Micky Technology).

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Rocca_Nuova, https://castellitoscani.com/serravalle/, https://www.visittuscany.com/it/attrazioni/la-rocca-di-castruccio-a-serravalle-pistoiese/, http://visitserravalle.it/luoghi-dinteresse/rocca-di-castruccio/, http://www.vivipistoia.it/visitare/rocca-castruccio-serravalle-pistoiese/

Foto: la prima è di Paolo Volpi su https://www.facebook.com/CastelliRoccheFortificazioniItalia/photos/a.10158143756130345/10152622822195345, la seconda è di Jacopo Marcovaldi su https://m.visittuscany.com/it/attrazioni/la-rocca-di-castruccio-a-serravalle-pistoiese/. Infine, la terza è una cartolina della mia collezione