giovedì 31 maggio 2018

Il castello di giovedì 31 maggio




SANTO STEFANO AL MARE (IM) - Torre Aregai e torre dei Marmi

Lungo l'Aurelia, prima di Santo Stefano al Mare, si trovano la torre detta dei Marmi, a pianta quadrata, e la torre degli Aregai, anch'essa quadrangolare. Della torre dei Marmi rimangono alcuni resti: si trattava di un edificio per la difesa e l'avvistamento dei nemici, costruito nel XVI-XVII secolo.

La torre in località Aregai è stata costruita all'inizio del XVII secolo. Presenta una pianta romboidale, le tipiche guardiole laterali e un ampio cornicione in cima. Per gli studiosi, queste torri servivano proprio di vedetta contro le scorrerie dei pirati barbareschi. Infatti sembra che anche Santo Stefano al Mare, come la maggior parte dei borghi costieri della Liguria, sia stato devastato dalle incursioni dei barbareschi, in particolare da Aly Amat nel 1544. Secondo la tradizione, questa torre rappresentava per la comunità locale una sorta di talismano miracoloso. Gli abitanti confidavano infatti che tenesse lontane le forze del male. In questo senso vanno interpretate le cinque grandi pietre murate in forma di croce presenti al centro della parete di sud-est. Altri link: https://www.iha.it/casa-in-affitto-santo-stefano-al-mare_24378 (con varie foto, esterne e interne, della torre), https://www.rivieratime.news/torri-santo-stefano-mare-aregai-storia/ (con video)

Fonti: http://www.culturainliguria.it/cultura/it/Temi/Luoghivisita/architetture.do;jsessionid=0A045C7218B69CFC4AA461CCDC1865A0.node2?contentId=27944&localita=2316&area=214, https://www.rivieratime.news/torri-santo-stefano-mare-aregai-storia/#

Foto: entrambe riguardano la Torre Aregai. La prima è presa da https://www.mondimedievali.net/castelli/Liguria/imperia/areg01.jpg, la seconda è presa da https://www.booking.com

mercoledì 30 maggio 2018

Il castello di mercoledì 30 maggio



CARTIGNANO (CN) - Castello Berardi

Il Castello dei Berardi sorge sulla riva destra del Maira, in posizione strategica per gli avvistamenti sulla valle. Così nel 1593 Don Calandra descriveva il Castello di Cartignano:
"...contra dei quali (gli eretici) mosso a sdegno il principe (Savoia) mandò il duca Don Ottavio di Terranova, napoletano, con esercito copioso di spagnoli et napolitani et piemontesi con l'artiglieria a prendere il castello di Cartignano del quale era governatore il capitano Veneti di San Damiano il quale fugendo di notte coi suoi soldati restò detto castello nelle mani di detto Duca il 28 gennaio de l'anno 1593 avendo tre giorni innanzi datto il fuoco all'interno abrugiando il detto loco. Il che fatto si partì detto Duca alla volta di San Damiano il 29 di detto mese et entrati nel forte avendo morti li infrascritti et altri di cui taccio per non esser cattolici et saccheggiando a danno de innocenti fideli a S.A. ser.na". Il castello, detto anche dei Farina, dal nome degli ultimi proprietari, fu fatto edificare nel 1440, come riporta un'incisione sul portale, dalla famiglia dei Berardi di San Damiano sull'altura a destra del torrente Maira, in prossimità del paese. Michele Olivero nel 1928 lo definì così:
"Vedetta sicura, inespugnabile nido d'aquila, ottimo strumento di difesa". Alla fine del XVI sec. il duca Carlo Emanuele I ne prese possesso, in seguito alle persecuzioni che egli inflisse agli eretici-protestanti. Infatti, i primi proprietari furono accusati di appoggiare i movimenti eretici, in realtà non si sa se i Berardi appoggiarono o furono essi stessi eretici, come gran parte dei nobili di questa valle, tra i quali anche la famiglia dei Marchesi di Saluzzo. A tal proposito è documentato un processo tra il 1530-32 nel quale Francesco di Saluzzo accusò il fratello Giovanni Ludovico d'eresia. Grazie al trattato di Lione, la famiglia Berardi, nella persona di Imberto, rientrò in possesso del castello nel 1601. Nel 1609 egli vendette castello e feudo a Claudio Cambiano, signore di Ruffia e di Digrasso, che restaurò ledificio. Nel 1820 il castello fu venduto dal conte di San Marzano, erede dei Ruffia, a Emanuele Massimo, notaio di San Damiano. Nel 1900 gli ultimi eredi del castello furono i Farina, che lo ampliarono, costruendo una torre merlata in mattoni e lo abbellirono con stucchi barocchi. Nel 1928 Michele Olivero lo descriveva così:
"Caratteristico con le sue torri, l'una circolare e l'altra quadrata, il maniero sorride fra il verde negli occhi delle sue poche finestre, mentre più in su, in cima ai torrioni, le arcate regolari, complete, uniformi creano quasi due massicce corone". Durante la seconda Guerra Mondiale il castello fu in parte distrutto dagli incendi del 1944. Attualmente si presenta come un possente parallelepipedo con murature, in conci irregolari di pietra e mattoni, intonacate e caratterizzate da una fascia a dente di sega.. Il complesso è dominato da torri angolari a pianta quadrata e circolare con evidenti segni degli interventi del XX secolo. Sono tutt'oggi rimasti in buone condizioni i muri esterni, mentre gli ambienti interni sono in rovina. Interessanti sono gli affreschi ottocenteschi che si trovano nell'antica cappella, rappresentanti la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso, la Natività di Cristo e le Nozze di Cana. Degne di nota sono anche le scale interne, abbellite da colonne di marmo che riportano sui capitelli scolpiti, gli stemmi e i blasoni delle famiglie che si sono succedute.
Interessanti sono i sotterranei dove si possono ancora vedere alcune stanze adibite a prigioni, una piccola cella e il pozzo con un pregevole parapetto, detto vera, in pietra lavorata. Il castello è di proprietà privata. Altro link per approfondimenti: http://www.invalmaira.it/luoghi_cartignano_castello_berardi.html

Fonti: testo di Espaci Occitan su http://www.comune.cartignano.cn.it/Home/Guida-al-paese?IDPagina=14787, testo su pubblicazione "Castelli in Piemonte" di Rosella Seren Rosso (1999)

Foto: la prima è di giug su https://it.wikipedia.org/wiki/Cartignano#/media/File:Cartignano_castello.JPG, la seconda è presa da http://www.braccoimmobiliare.com/it/immobile/255

martedì 29 maggio 2018

Il castello di martedì 29 maggio





GIURDIGNANO (LE) - Palazzo baronale

Con i Normanni, Tancredi d'Altavilla concesse il feudo a Niccolò De Noha. Nel 1269 fu acquistato da Carlo I d'Angiò che lo cedette ad Erardo Fremi; nel 1272 passò a Filippo De Tuzziaco a cui successe il figlio Ezelino che morì senza lasciare eredi. Il feudo passò quindi alla Regia Corte fin quando Filippo I d'Angiò lo consegnò a Giacomo Pipino, suo medico personale, al quale succedette Guidone Sambiasi. In seguito furono feudatarie le famiglie Santacroce e Venturi. Nel 1439 Giovanni Antonio Orsini Del Balzo cedette il feudo, sottratto ai Venturi, a Margherita Dell'Acaya che lo comprò in qualità di tutrice del figlio Buzio De Noha. Fra il XVI secolo e il XVII secolo passò ai Rondachi, ai Matino, ai Santabarbara, ai Vignes (Baroni di Pisignano) e ai Prototico. Maddalena Prototico sposò il barone Carlo Alfarano Capece al quale portò in dote il feudo. Benedetto Alfarano Capece, che successe nel 1793 al padre Francesco, fu l'ultimo feudatario di Gurdignano che lo mantenne fino all'eversione della feudalità nel 1806. Il Palazzo baronale, situato in piazza Municipio, risale agli inizi del XVI secolo e fu edificato come luogo fortificato contro le incursioni dei Saraceni. Della struttura si ha notizia sin dal medioevo, ma il suo aspetto odierno porta i segni di un percorso edilizio durato due secoli. Del nucleo originale cinquecentesco restano un toro marcapiano ed una leggera scarpatura, osservabili dal retrospetto. Nel 1600 fu addossato un nuovo corpo di fabbrica e fu dotato di fossato. Abitato dalle varie famiglie che si succedettero nel corso dei secoli, dal XIX secolo fu dimora dei feudatari Alfarano Capece. Attualmente è di proprietà del Comune. Il palazzo si presenta con un portale bugnato ad arco a tutto sesto, sormontato da uno stemma reso illeggibile dagli agenti atmosferici. Superato l'ingresso, si accede nel cortile interno caratterizzato da due arcate che reggono una lunga balconata barocca. Mediante una ripida scala si accede ai piani nobili, le cui stanze sono finemente decorate con stucchi e affreschi. Una descrizione di questo maniero, quando ormai era divenuto un elegante palazzo baronale, la si può ottenere dall'inventario del feudo del 1795. In quest'atto lo si descrive come composto "... di pian terreno e piano mobile... nell'angolo rivolto a ponente vi è una torretta ed altra torre trovasi nell'angolo dei lati rivolti ad Oriente ed Ostro. Il suddetto pian terreno contiene l'atrio coperto e dopo di esso segue l'atrio scoperto". In questo ambiente vi erano stalle, magazzini, cucine e prigioni, mentre al piano superiore la grande "galleria" e, tutto intorno al palazzo il giardino: "diviso in sei quadri mediante li stradoni... con cordoni in pietra leccese... piantato ed alborato di più e diversi piedi di frutta ed agrumi". Si trattava, dunque, di un palazzo ottenuto attraverso la colmatura dei fossati poi trasformati in giardino e l'inserimento di diversi elementi architettonici adatti ad ingentilirlo. Altro link suggerito: https://clementeleo.wordpress.com/2015/09/07/il-palazzo-baronale-di-giurdignano/.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Giurdignano, http://www.comune.giurdignano.le.it/territorio/da-visitare/item/palazzo-baronale, http://www.lecceprima.it/eventi/inaugurazione-palazzo-baronale-giurdignano-30-dicembre-2012.html

Foto: la prima è presa da http://trekkingbiking.com/escursionismo-trekking-mtb/percorsi/giurdignano-dolmen-e-menhir/, la seconda è di Michele Bonfrate su https://clementeleo.wordpress.com/2015/09/07/il-palazzo-baronale-di-giurdignano/

lunedì 28 maggio 2018

Il castello di lunedì 28 maggio




POCAPAGLIA (CN) - Castello

Nei tempi antichi era feudo della chiesa d’Asti e ne fu investita una famiglia che prese nome dal borgo. Appresso venne in potere dei conti di Cocconato, signori di Passerano, che lo vendettero nel 1336 ai Falletti d’Alba, i quali ne alienarono porzione a Giorgio Riccio di Borgo San Donnino, i cui discendenti lo tennero con titolo comitale e si chiamarono anch’essi Falletto. La suddetta vetusta rocca fu atterrata da Ludovico Bolero, capitano di ventura al servizio della Francia, ad istanza di un marchese di Saluzzo in guerra contro Andrea Falletto.L'origine del castello è molto antica, è infatti citato la prima volta in un documento dell’imperatore Ottone III risalente al 998. La prima costruzione era costituita da un recinto con torre, ma fu ampliata e ristrutturata più volte nel corso dei secoli. Appartenne al Vescovo d’Asti, che ne investì come signori del feudo i De Paucalea, poi passò via via a tutti i signori che a Pocapaglia regnarono. Tra questi i Falletti che ne fecero potenziare la struttura. Nel 1534, nel corso delle cosiddette “guerre italiane” che contrapposero i re di Francia agli Asburgo, fu devastato da un’incursione delle truppe francesi. Ricostruito e ampliato dai Cravetta nel Cinquecento. Tra il XVI e il XVII secolo venneno eseguiti grandi interventi e realizzato il portale in pietra chiara scolpita, raffigurante due armature, orientate l’una verso destra l’altra verso sinistra, alcune armi e spade, frecce, feretre, tamburi, uno scudo ed il basso rilievo di un mascherone. La tradizione attribuisce tale portale al Sansovino, ma non è documentato; certo è che Filippo Juvarra, chiamato a ristrutturare il castello dopo l’incendio provocato dall’armata francese, ne fu altamente impressionato tanto da ispirarsi per gli stipiti interni di Palazzo Madama di Torino. Nel 1784 si estinse la dinastia dei Falletti e il castello passò ai Savoia e poi ad altri proprietari. Tra il 1939 e il 1940 l’erede al trono Umberto II di Savoia si ritirò a Pocapaglia per riflettere, con i tedeschi di Hitler ormai alle porte di Parigi, prima di intraprendere la guerra contro la Francia. Il castello è ora di proprietà privata. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=_b6l2zDovaw (video di Claudio Giatti), http://www.francotiba.it/Pocapaglia.htm, https://www.youtube.com/watch?v=DDxjEkSzW-E (video di Secondo Cortese)

Fonti: http://langhe.net/town/pocapaglia-piemonte/, http://www.comune.pocapaglia.cn.it/Home/Guida-al-paese?IDPagina=11544&IDCat=1738, http://www.visitterredeisavoia.it/it/guida/?IDR=747

Foto: la prima è di aghi su http://mapio.net/pic/p-43917330/, la seconda è presa da http://www.francotiba.it/Cartoline-Pocapaglia.htm

domenica 27 maggio 2018

Il castello di domenica 27 maggio




PALOMONTE (SA) – Castello longobardo normanno

Palo (antico nome del paese che è stato mantenuto fino al 1862, quando un Regio Decreto del primo re dell'Italia unita, Vittorio Emanuele Savoia, ne cambiò il nome in quello attuale, Palomonte) è documentato per la prima volta nel 1043 (non è ritenuta infatti attendibile la notizia secondo cui nel 1022 era castellano del Castello di Palo un certo Gismondo Parisi, normanno). Il castello entrò a far parte del Principato di Venosa e fu concesso in feudo dagli Angioini alla famiglia De Poncellis (o De Porcellis o Porcelletta), poi passò ai Gesualdo per vincoli matrimoniali, successivamente ai Caracciolo, di nuovo ai Gesualdo fino a che fu venduto nel 1674 al Marchese Prospero Parisani, che ne fu proprietario fino all'eversione della feudalità nel 1806. Annessa all'Italia con tutto il Regno delle due Sicilie, Palomonte risentì della politica antimeridionalista del governo e fu scossa dal brigantaggio e soprattutto dall'emigrazione verso le Americhe, assai intensa a causa della profonda miseria. Completamente distrutta dal terremoto del 1980, non è stata ancora del tutto ricostruita. Solo le campagne hanno cambiato volto grazie allo sviluppo edilizio concentratosi nelle frazioni di Bivio e di Perrazze. Le notizie riguardanti il castello di Palomonte, situato nelle immediate vicinanze del Convento dei Cappuccini, alla sommità del monte da cui si gode un tranquillo e sterminato panorama, sono scarse e frammentarie. Oltre alla datazione della sua costruzione in epoca longobarda, infatti, è solamente possibile inferire che esso fosse il luogo di difesa degli abitanti dell'antica Palo. In conseguenza del sisma del 23 novembre 1980, che semidistrusse anche buona parte del centro abitato, il castello ha subito gravissimi danni. Allo stato, è osservabile poco più di qualche avanzo di muratura nella parte sud-occidentale della struttura originaria. Altro link consigliato: http://88.53.116.135/bibliotecanew_por/wp-content/uploads/2015/02/Palomonte1.pdf.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Palomonte, http://www.palomonteturismo.it/palomonte.html.

Foto: la prima è presa da https://www.viveresalerno.it/item/castello-di-palomonte/, la seconda è di gianluigi cruoglio su https://mapio.net/o/3032358/, la terza è presa da https://www.mondimedievali.net/castelli/Campania/salerno/palomont01.jpg

sabato 26 maggio 2018

Il castello di sabato 26 maggio



SARTIRANA LOMELLINA (PV) – Castello Visconti-Sforza

Il toponimo appare già nel X secolo, quando la località faceva parte del Comitato di Lomello, che venne poco dopo assegnato ai conti palatini. Essi nel 1140-1146 furono costretti dalla città di Pavia alla sottomissione; Federico I attribuì la zona a Pavia, e nel relativo documento (1164) è citata anche Sartirana, ricordata poi anche nell'elenco delle terre pavesi (1250). Sotto i Visconti venne infeudato al condottiero Angelo della Pergola (1424), e sotto gli Sforza al ministro Cicco Simonetta, che fu poi fatto uccidere da Ludovico il Moro. Egli nel 1494 lo concesse ai Guasco di Alessandria, e nel 1499 il re Luigi XII di Francia, che occupava il ducato, lo diede al cardinale d'Amboise. Si può notare che il feudo di Sartirana veniva via via concesso a personaggi di grande rilievo politico nei continui rivolgimenti dell'epoca. Finalmente, nel 1521, Sartirana fu infeudata a Mercurino Arborio di Gattinara, cancelliere imperiale, e rimase poi ai suoi discendenti, con un feudo comprendente anche alcuni centri vicini, fino all'abolizione del feudalesimo (1797). Nel 1707 Sartirana, con tutta la Lomellina, fu annessa agli Stati dei Savoia; nel 1859 entrò a far parte della provincia di Pavia. Il Castello Visconteo venne fatto costruire alla fine del ‘300 per volere di Gian Galeazzo Visconti e su progetto del capitano Jacopo dal Verme. Nel 1462-1463 sotto gli Sforza, il maniero venne rialzato di un piano e subì delle trasformazioni di carattere militare di ampliamento e di consolidamento della Torre rotonda, delle quali si occupa il famosissimo architetto Bartolomeo Fioravanti, lo stesso che Ivan II, Zar di Russia, chiamò alla sua corte per la realizzazione delle difese del Cremlino (per lo zar costruì la Cattedrale della Novostni e il Palazzo del Cremlino, ultimato da suo figlio e da altri architetti lombardi). Nel XVI secolo, il Castello fu trasformato in una comoda residenza dalla famiglia dei Gattinara e prese le sembianze odierne. Sartirana e il suo castello passarono quindi agli Spagnoli con Mercurino Arborio sino alla sua morte avvenuta nel 1530. Il maniero è appartenuto alla dinastia degli Arborio sino al 1934, quando l’ultima Duchessa di Sartirana, Margherita, lasciò come erede di tutti i possedimenti famigliari il Duca Amedeo d’Aosta. Dopo alcuni decenni dalla seconda guerra mondiale passò a proprietà privata. L'impianto è quadrilatero, con fossato perimetrale, un cortile interno e quattro torri angolari. I prospetti del castello, attualmente rimaneggiati, presentano numerose aperture balconate e finestre, invalidando l’originaria destinazione militare della struttura e rivelando la sua metodica trasformazione in un’elegante dimora cittadina. Il maniero è la maggior attrazione del borgo e attualmente ospita il “Centro Studi e Documentazione della Lomellina“, la “Fondazione Sartirana Arte“, con i Musei delle collezioni di argenti, gioielli, oggetti di cultura contadina, grafica d’arte. Sia il Centro studi che la Fondazione organizzano numerose manifestazioni espositive e culturali a livello internazionale. Il Castello ospita, nelle sale del piano terreno e del piano nobile, collezioni di pittura, scultura, grafica, fotografia, ceramica, moda (femminile e maschile), argenti domestici, gioielli d’artista e vetri di Murano, tutte offerte al Ministero degli Affari Esteri per una serie di mostre in musei in tutto il mondo. Gli edifici adiacenti al Castello di Sartirana sono un complesso di corte rurale tipica a ferro di cavallo. La parte iniziale è della fine del XVII secolo, quando la coltivazione del riso divenne importante risorsa economica per tutto il territorio della Lomellina. Le grandi sale, con volta a botte e a crociera, in tipici mattoni pieni, cotti nelle fornaci circostanti, numerose all’epoca e fino al XIX secolo per la buona qualità della terracreta, erano per la custodia delle granaglie dopo la mietitura, infatti, le pareti, sia al piano terreno sia al primo portano ancora, dipinti a tempera, i livelli e i pesi relativi del riso accumulato. Una tramoggia esterna trasportava il riso grezzo al primo piano per l’essiccatura naturale che durava anche due mesi ed era distribuito nelle varie aree da una canalina a vite senza fine dai cui bocchettoni cadeva sul piano, mosso a mano con le pale dai contadini. La parte mediana, ottocentesca, ha anche al suo interno un mulino ad acqua, con rotore orizzontale, azionato dalle acque deviate per l’occasione dal quattrocentesco Roggione di Sartirana, da cui proveniva l’energia per l’impianto di pilatura, realizzato con macchinari fabbricati a Vercelli. Qui si realizzava la scortecciatura del chicco, che veniva separato dalla pula, poi era aspirato al primo piano da un marchingegno paragonabile a una scultura di Tinguely, pronto per essere passato per la lucidatura in un rotore a spazzole rigide. Con i sistemi sopracitati il riso veniva in seguito trasferito nell’ultima ala dell’edificio, databile agli inizi del XX secolo ed era insaccato in teli di iuta cuciti in azienda, dove veniva stampigliata con grandi caratteri tipografici la qualità del riso pronto per la vendita e l’annata di raccolta. Con uno scivolo in legno i sacchi erano caricati su carri in attesa nel cortile sottostante, pronti a ogni ordinazione che fosse pervenuta. Il ciclo della pilatura fu attivo fino alla fine degli anni sessanta e oggi, conservato nelle sue strutture principali, costituisce il nucleo più importante del Museo Etnografico della Lomellina. Gli edifici, acquistati nel 1990, sono stati ristrutturati dalla Fondazione Sartirana Arte grazie ad un finanziamento FRISL concesso dalla Regione Lombardia. Inoltre il Castello ospita ogni settembre la mostra dedicata all’Antiquariato e al Tessile, mentre nel resto dell’anno sono previsti incontri musicali e teatrali o per mostre temporanee, in collaborazione con la Provincia di Pavia, il Comune, la Biblioteca di Sartirana e le Associazioni Culturali. Altri link consigliati: http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/PV110-00018/, https://www.youtube.com/watch?v=-4H1hrhMp-s (video di paoloslavazza), http://www.infolomellina.net/html/sar_mus.htm, http://www.preboggion.it/CastelloIT_di_SartiranaLomellina.htm (con varie magnifiche foto).

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Sartirana_Lomellina, http://www.comune.sartiranalomellina.pv.it/zf/index.php/musei-monumenti/index/dettaglio-museo/museo/1, https://www.icastelli.it/it/lombardia/pavia/sartirana-lomellina/castello-visconteo-di-sartirana, https://www.paviafree.it/201707122373/itinerari/il-castello-di-sartirana-lomellina.html

Foto: la prima è di Stefano Gusmeroli su http://www.gusme.it/, la seconda è di maria maddalena su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/147173/view

venerdì 25 maggio 2018

Il castello di venerdì 25 maggio



URBANIA (PU) – Palazzo Ducale

Il nucleo originario, di epoca altomedioevale, risalente presumibilmente al VI secolo d.C., era chiamato Castel delle Ripe e fu libero Comune di parte guelfa, motivo per cui, nel 1277, fu distrutto dai ghibellini della vicina Urbino. La popolazione superstite trovò rifugio poco più a valle, intorno alle mura della potente abbazia benedettina di San Cristoforo del Ponte (sec. VIII), situata nel luogo esatto dove si trova oggi la Concattedrale. Attorno all'abbazia, intorno al 1284, fu fatta costruire la nuova città, la cui fondazione fu affidata, da papa Martino IV, al prelato provenzale Guglielmo Durand, all'epoca governatore della Romagna e della città e distretto di Urbino. Durand affidò l'incarico di costruire la città a tecnici bolognesi ai quali fu forse dovuta la soluzione con due strade porticate che fa di Urbania una sorta di Bologna in miniatura. In onore di Guillaume Durand la città prese il nome di Casteldurante. Affidata in signoria alla potente famiglia dei Brancaleoni, la città fu dapprima di Brancaleone, cui succedettero, congiuntamente, i figli Nicola Filippo, Pierfancesco e Gentile. A Pierfrancesco, rimasto unico "signore" dopo la morte dei fratelli, succedettero i nipoti Galeotto e Alberico (figli di Nicola Filippo) e Bartolomeo (figlio di Gentile), essendogli premorto l'unico figlio Lamberto. I tre cugini non vollero governare insieme e divisero pacificamente la signoria: ai fratelli Galeotto e Alberico, che rimasero insieme, andò la parte maggiore, compreso Casteldurante, mentre Bartolomeo ottenne Mercatello sul Metauro e la Massa Trabaria. Il dominio dei due fratelli, divenuti tiranni, fu però breve, perché la popolazione vessata invocò l'intervento del signore di Urbino Guidantonio da Montefeltro il quale, dopo un breve assedio alla città, li costrinse alla fuga. Era il 1427 e da quel momento il destino di Casteldurante seguì quello del Ducato di Urbino, tant'è che i signori di quest'ultimo si fregiarono del titolo di duchi di Urbino e conti di Casteldurante. Il ramo di Mercatello sul Metauro, invece, si estinse con Gentile, prima moglie di Federico da Montefeltro, duca di Urbino, cui portò in dote le terre della sua famiglia, che rimasero ai Montefeltro anche se da questo matrimonio non nacquero figli. Sotto i Della Rovere, successori dei Montefeltro nel Ducato di Urbino, l'antico signorile "palazzo dei Brancaleoni" fu restaurato e ristrutturato da un gruppo di architetti, comprendente Francesco di Giorgio Martini, Annibale della Genga e Paolo Scirri che era stato il primo maestro di architettura del Bramante. I duchi di Urbino usarono il palazzo come soggiorno estivo e il Parco ducale come residenza di caccia. Solo l'ultimo duca di Urbino, Francesco Maria II Della Rovere, visse in permanenza a Casteldurante trasferendovi la corte ducale, vi morì e fu sepolto nella chiesa del Santissimo Crocefisso. Alla sua morte, nel 1631, l'intero Ducato di Urbino tornò sotto il dominio diretto dello Stato Pontificio. Il 18 febbraio 1635, papa Urbano VIII elevò Casteldurante al rango di città e di diocesi e, in suo onore, essa cambiò per la terza volta il suo nome, divenendo Urbania. Il palazzo Ducale è costruito a monte del fiume Metauro sul sito di una cittadella preesistente, di proprietà della famiglia Brancaleoni, ex feudatari di Casteldurante (l’edificio primitivo fu eretto nel 1296-97 da Monaldo di Ottone Brancaleoni). Sponsorizzato dai duchi di Urbino Montefeltro e Della Rovere, la sua costruzione fu affidata all'architetto Francesco di Giorgio Martini nel 1470; il lungo fronte scarpato a strapiombo sul fiume Metauro dona alla struttura un aspetto fortificato e difensivo; inoltre, questo lato si presenta stretto fra due caratteristici torrioni, uno semicilindrico e l'altro cilindrico, uno dei quali racchiude al suo interno una scala elicoidale, caratteristiche tipiche dello stile del Martini. L'accesso al palazzo è attraverso lo splendido Cortile d'Onore rinascimentale della seconda metà del Cinquecento, dotato di una galleria di portici pedonali con ventidue colonne di travertino (i cui capitelli compositi sono attribuiti a Giorgio Orsini di Sebenico) che ricorda l'architettura di Palazzo Ducale di Urbino. L'edificio subì degli interventi successivi a opera dell'architetto Girolamo Genga, per l'ultimo duca di Urbino, Francesco Maria II della Rovere, che la scelse come residenza fino alla sua morte nel 1631. L'architetto realizzò le sale del piano nobile e il camminamento sul fiume Metauro che svela un incantevole scenario sulle caratteristiche anse del fiume, sulle colline e sulla parte trecentesca di Casteldurante, con le case fondate sulle rocce di arenaria, che si ergono sul Metauro. Salita la scalinata, dal cortile si giunge al piano nobile e qui si entra immediatamente nella Sala Maggiore con uno splendido soffitto dalle volte a vela. Questa era la sala destinata alle festività e alle solennità di corte. Alla metà del 1700 il palazzo fu venduto alla Camera Apostolica, che alla fine del secolo lo dette in enfiteusi alla nobile famiglia Albani. Nel 1820, ad opera del cardinale Giuseppe Albani, all'interno del palazzo fu allestita una fabbrica per la lavorazione della maiolica e della porcellana; nel 1834, alla morte del cardinale, la fabbrica entrò in crisi ma la produzione continuò fino al 1892, anno della chiusura definitiva. Il palazzo, con una superficie di 6000 m², risulta comunque di dimensioni molto ridotte rispetto al passato; infatti nell'ultimo cinquantennio il giardino è stato trasformato in parcheggio e la biblioteca demolita. Dagli inizi del 1980 è di proprietà del Comune di Urbania; attualmente vi hanno sede: la Biblioteca Comunale, gli Archivi Storici del Comune, del Governo Pontificio, dei Notai e degli Istituti di beneficenza, il Museo Civico e il Museo della Civiltà Contadina. Il Museo Civico ha sede nei in diversi ambienti del piano nobile strutturati in una libreria, in una galleria d'arte ed a archivi storici con preziose collezioni di disegni, manoscritti, incisioni. Particolarmente importante è la stanza dei Cavalieri con opere del tardo XVI secolo, i due globi di Mercatore: la sfera terrena del 1541 e la sfera celeste del 1551. Di grande interesse inoltre è un'incisione monumentale 11,80 × 0,36 m che rappresenta "La trionfale processione di Carlo V", eseguita da Nicola Hogenberg per commemorare l'incoronazione a Bologna, di Carlo V da parte di Papa Clemente VII nel 1530. La collezione di disegni, oltre ad essere il più importante nucleo delle collezioni è costituita da 750 disegni d'epoca manierista, probabilmente raccolti dal Conte Federico Ubaldini nelle sue residenze tra Siena, Roma e Marche. Uno spazio è dedicato alla ceramica di Casteldurante dove viene esposta cronologicamente dal XIV al XVIII secolo, produzione di officine locali di Urbania, con disegni e colori tipici della ceramica durantina. Inoltre vi ha sede il Museo di Storia dell'Agricoltura che è ospitato nelle cantine quattrocentesche del palazzo. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=QlMT94OQir0, (video con drone di Giancarlo Fosci), https://www.youtube.com/watch?v=nSbko_gR1Hg (video di Factory snc), http://www.iluoghidelsilenzio.it/palazzo-ducale-urbania-pu/

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Urbania#Storia, https://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_Ducale_(Urbania),
http://www.provincia.pu.it/elenco/musei/urbania-museo-civico-palazzo-ducale/,
http://www.lavalledelmetauro.it/contenuti/beni-storici-artistici/scheda/5438.html

Foto: la prima è presa da http://www.marchetravelling.com/properties/urbania/, la seconda è una cartolina della mia collezione

giovedì 24 maggio 2018

Il castello di giovedì 24 maggio



LEVERANO (LE) - Torre di Federico II di Svevia

La cittadina sorse come accampamento di profughi provenienti dai casali, Sant'Angelo e Torricella, distrutti da Totila, re dei Goti, nel 540 d.C. Il piccolo insediamento fu attaccato e cancellato nel IX secolo dai Saraceni ma venne in seguito ricostruito e potenziato dai Normanni che vi impiantarono una modesta torre in legno. Nel 1220, Federico II la riedificò in pietra. Nel XIII secolo, Leverano entrò a far parte della Contea di Copertino, assieme ai territori di Galatone e Veglie. Nel XIV secolo divenne feudo dei Bilotta e dei De Bugiaco. Nel XV secolo il casale fu dotato di mura fatte costruire dal feudatario Tristano di Chiaromonte, conte di Copertino, che aveva trasformato la dirutta torre in masseria. Passò successivamente agli Orsini del Balzo, a Federico d'Aragona, ai Castriota Granai, ai Francina Villant, ai del Tufo, ai Pinelli ed infine ai Pignatelli di Belmonte i quali rimasero feudatari fino al 1806, anno in cui Giuseppe Bonaparte pose fine alla feudalità. La Torre Federiciana, che si eleva per circa 28 metri nel centro abitato, fu voluta, secondo la tradizione, da Federico II di Svevia nel 1220 per monitorare la vicina costa ionica minacciata dalle incursioni piratesche. Fu posizionata secondo una rete di piazzeforti che proteggeva l’entroterra jonico, assieme alle fortificazioni di Mesagne, Oria e Uggiano Montefusco e collegata visivamente con il primordiale impianto svevo del futuro castello di Copertino (secondo parecchie fonti orali i due fortilizi erano collegati da improbabili gallerie ipogee). La torre presenta una forma parallelepipeda a base quadrata con i prospetti orientati secondo i punti cardinali ed è provvista di merli. Originariamente era circondata da un fossato largo alcuni metri e di cui ora non vi è più traccia. L'interno era diviso in quattro piani da tre solai lignei, successivamente crollati o demoliti - come si desume dagli incassi delle travi nella muratura e dagli elaborati caminetti disposti quasi a mezz’aria. Varcato l’uscio d’ingresso, posto nel poderoso basamento lievemente scarpato, si raggiunge un ambiente voltato a botte ogivale, dove lateralmente è posta una particolarissima scala a chiocciola a doppia spira (forse unica in tutto il Salento) che si sviluppa nell’anima della muratura per tutta l’altezza della torre. Raggiunto il primo livello, non si può far altro che alzare gli occhi per ammirare le pareti interne dal colore ambrato, sino alla splendida volta a crociera dai costoloni bicromi. Questa particolarità, realizzata con l’alternarsi di conci in tufo e pietra leccese molto simile al coevo portico dei Cavalieri Templari di Brindisi, denota una chiara influenza orientale, tipica delle strutture duecentesche del Meridione d’Italia. Il piano terra, ricoperto successivamente con una volta a botte, ospita un camino con coppia di capitelli decorati che utilizzava la stessa canna fumaria dei camini presenti al secondo e al quarto piano. L’eleganza della torre risiede nelle raffinate decorazioni e nella perfetta fattura degli apparecchi murari, opere peculiari dell’architettura normanna. Come per esempio i caminetti con le deliziose foglie d’acanto, gli architravi dai precisi incastri e soprattutto le cornici delle finestre con il particolare motivo a zigzag (ornamento a “denti di sega” o a Baton-Rompus secondo Viollet Le Duc). Quest’ultima decorazione, riscontrabile anche nel santuario di Santa Maria della Lizza e nel campanile del Duomo di Nardò, è stata inspiegabilmente privata delle originarie proporzioni nel recente restauro a causa dell’inspessimento delle cornici con fasce in pietra leccese. Dall’ampio terrazzo, un tempo protetto da strutture in legno, la torre partecipò alla difesa dell’abitato, come ci ricorda il Marciano nel capitolo dedicato alla sua città natìa:
“Verso il 1220 Federico II vi edificò la torre, (…) acciò dalle scorrerie de’ nemici si difendesse il luogo, il quale per I’arme che si usavano in quelli tempi era fortissimo. E nell’anno 1373, o secondo il Coniger 1378, Francesco del Balzo Duca di Andria, rottosi colla Regina Giovanna I, condusse nel regno di Napoli Giovanni Montacuto capitano Bretone con seimila Brettoni ed Inglesi; ed avendo nella Puglia occupato Canosa, Minervino, Gravina ed Altamura, passò nell’assedio della città di Lecce, e nel passaggio distruggendo quanti luoghi incontrava della Regina distrusse con repentino assalto il Casale Albaro, i cui abitatori si ridussero ad abitare in questa terra.”
Ed ancora, nel 1484 resistette all’assalto dei Veneziani, che in quel periodo avevano occupato Gallipoli e i territori circostanti, mentre nel 1528 riuscì a resistere ai francesi comandati dal visconte di Lautrec. Con il repentino passaggio delle tecniche difensive da piombante a radente iniziò il triste declino della nostra torre. Il dongione divenuto oramai un facile obiettivo delle artiglierie, fu trascurato dai vari feudatari e trasformato in magazzino per suppellettili e granaglie. Subì ulteriori sfregi quando in seguito, l’ampio locale interno fu trasformato in una vera e propria colombaia mediante l’asportazione, con un disegno a scacchiera, di alcuni conci dalla muratura. Pericolante a metà ‘800, la torre fu “riscoperta” dai galantuomini più illustri di Terra d’Otranto, tra cui il De Simone, il De Giorgi e l’Arditi. Costoro si attivarono energicamente affinché si intraprendessero i primi lavori di consolidamento statico della volta a crociera e il riconoscimento della torre come monumento nazionale (1870). Altri link suggeriti: http://www.salogentis.it/2015/09/27/la-torre-federiciana-di-leverano/, scheda di Giuseppe Resta su http://www.mondimedievali.net/castelli/puglia/lecce/leverano.htm, https://www.youtube.com/watch?v=bUFdGf35HrQ (video di salentowebtv), https://www.youtube.com/watch?v=dt0fsoHQ9cQ e https://www.youtube.com/watch?v=nYkIu3Z4VxE (entrambi i video di Antonio Albano con visita interna)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Leverano, http://www.comune.leverano.le.it/storia.html, http://www.fondazioneterradotranto.it/2012/10/14/la-torre-di-leverano/

Foto: la prima è di Info Leverano su Twitter (https://twitter.com/infoleverano), la seconda è di brizios su http://mapio.net/pic/p-8162021/

mercoledì 23 maggio 2018

Il castello di mercoledì 23 maggio




CASTELFIORENTINO (FI) - Castello di Oliveto in località Monte Olivo / Piangrande

Fin dal 1149 il nome di Castelfiorentino fu dato al Castelvecchio edificato sulla via Francigena nel luogo di un insediamento di origine romana: Timignano. Il castello fortificato racchiudeva, sul colle, la pieve di S.Ippolito (l'antica S.Biagio) e con una seconda cerchia di mura, Borgo d'Elsa e Borgo Nuovo. Cinque erano le porte (Porta Fiorentina, Porta Pisana, Porta al Vento, Porta Senese e Porta di Borgo), e due sole strade si incrociavano sull'unica piazza (oggi piazza del Popolo). Feudo dei Cadolingi e poi dei Conti Alberti, acquisito progressivamente dal Vescovo di Firenze nel XII secolo, subì le vicende dei conflitti fra Chiesa ed Impero, Guelfi e Ghibellini e tra Siena e la stessa Firenze (di cui era un avamposto importante, e quindi ottenne la sede del podestà, il privilegio del giglio rosso sul gonfalone bianco e l'integrazione ufficiale del nome Castelfiorentino). Qui nel 1260, dopo la battaglia di Montaperti, si firmò la pace tra le due città rivali. Ma fu ancora teatro, nei secoli, di battaglie e scorrerie militari, fin quando, nel 1521, subì un duro assedio e fu devastato dalle truppe imperiali. Venne poi riconquistato da Francesco Ferrucci. Con la peste e la morte del Ferrucci, Firenze dovette arrendersi alle truppe di Carlo V ed accettare il ritorno dei Medici e con essa anche Castelfiorentino. La Valdelsa rimase in uno stato di profonda desolazione per via degli eventi bellici, tanto è che il governo di Firenze sollevò da ogni spesa quelle popolazioni. Per risparmiare furono anche fuse le due podesterie di Castelfiorentino e Barbialla (oggi parte di Montaione). Venuta meno la sua importanza strategica, anche quella amministrativa risultava limitata, per la dipendenza dal vicariato di Certaldo. Ma nel Settecento, con il Granducato di Lorena, progredì nuovamente e fu Cancelleria e Podesteria, con guardia civica e ampia giurisdizione anche su Certaldo e Montaione. Il Castello di Oliveto, oggi in realtà più una villa fortificata, fu costruito nel 1424 (su progetto attribuito al Brunelleschi) sulla cima di un colle a dominio della valletta interna del torrente Pescaiola, affluente di destra del fiume Elsa, da Puccio Pucci, della nobile famiglia fiorentina dei Pucci, a guardia dei propri vasti possedimenti della zona, nonché come rifugio per i tempi di instabilità politica e residenza di campagna. Ben oltre le reali esigenze dell’epoca è protetto da fossati, mura e torri, tanto da farlo sembrare un refuso di architettura fortificata del secolo precedente. Il nome deriva dalle coltivazioni di olivo che circondano il colle, mentre il Castello è in realtà circondato da filari di cipressi e boscaglia di lecci e di allori. L'aspetto della costruzione, interamente realizzata in mattoni rossi, è quello del classico castello-recinto medievale dalla forma di rettangolo irregolare. Molti elementi architettonici contribuiscono a renderlo tale agli occhi del visitatore: la merlatura guelfa della cinta muraria dotata di camminamento di ronda (dal quale si domina la valle), i quattro torrioni angolari anch'essi merlati, fra i quali spicca la torre dell’orologio, il primo recinto dal quale ci si immette, attraverso un bel portale con arco a tutto sesto sormontato da uno stemma araldico in marmo, al cortile interno della Villa, il loggiato con quattro arcate e la cappella per le funzioni religiose. All’interno del loggiato si trova un pozzo di raccolta di acqua piovana che originariamente era un punto di rifugio e di uscita sotterranea dal Castello: esso infatti coincide con una via murata a volta che si apre a valle del Castello, dalla parte orientale. Non era stato ancora finito di costruire, quando Oliveto si trovò a dover fronteggiare l’assalto di svariate compagnie di banditi che scorazzavano per la Valdelsa. Fu più volte occupato e poi restituito alla alla famiglia Pucci nella guerra fra Senesi e Fiorentini (fino al 1480). Durante la lotta in difesa dell’ultima Repubblica Fiorentina, negli anni 1529-1530, Oliveto fu caposaldo degli imperiali, avendo i Pucci preso posizione in favore del papa Clemente VII, che intendeva recuperare Firenze al dominio della sua casa, i Medici. Una nota storica interessante di questo periodo è che durante una sanguinosa battaglia furono uccisi tutti gli adulti della famiglia Pucci che rischiò così di estinguersi ma fortunatamente una serva di colore ne salvò il primogenito fuggendo attraverso il passaggio sotterraneo del castello. Grazie a questo evento la discendenza dei Pucci fu garantita tant'è che si reso omaggio all'eroina dell'impresa raffigurandola in tutti gli stemmi del Casato. La storia del Castello è ricca non solo di battaglie, ma anche di famosi ed eccellenti ospiti che da qua hanno apprezzato il meraviglioso paesaggio e l’offerta dei prodotti tipici di queste colline: l’olio e il vino. Intorno al 1850 avvenne il passaggio di proprietà dalla famiglia Pucci a quella Guicciardini, altrettanto nobile e famosa famiglia fiorentina, grazie al matrimonio di Paolina Pucci con il Conte Luigi Guicciardini. Nel 1828 il Castello riceve la visita del Granduca di Toscana Ferdinando III con la figlia, l'Arciduchessa Maria Luisa e circa un secolo più tardi quella del Re Vittorio Emanuele III. Oliveto acquistò nuovamente veste militare nel luglio 1944, come sede delle forze armate tedesche, le quali scoprirono nei sotterranei del castello la presenza di molti quadri provenienti dalla Galleria degli Uffizi che posero in salvo e riportarono a Firenze. Sempre nel 1944, il Castello passò alle truppe americane guidate dal Generale Mark Clark e divenne il loro quartier generale. Nel corso della combattutissima ritirata della Wehrmacht verso l’Arno, il castello si trovò nel mezzo del settore operativo della 29. Panzer Grenadier Division e fu sede del comando del 71° reggimento granatieri corrazzati. Oggi il Castello è al centro di un efficiente e moderna azienda agricola che ne ha rilanciato la caratteristica ospitalità, meta di vacanze agrituristiche, e della tipica produzione dei vini e dell’olio. All'interno conserva mobili quattrocenteschi, armi, trofei ed una collezione di ritratti eseguiti dal XVI al XVIII secolo. Nel salone del Castello è ancora visibile un'epigrafe che ricorda il soggiorno del Papa Paolo III Farnese nel 1541. Altri personaggi importanti che hanno soggiornato al Castello sono: Lorenzo il Magnifico, i Papi Leone X Medici e Clemente VII Medici. Ecco il sito web ufficiale dell'edificio: http://www.castellooliveto.it/it/. Altri link suggeriti: http://www.gonews.it/2018/05/23/vendita-castello-fiorentino-attribuito-al-brunelleschi/, https://www.youtube.com/watch?v=2s0rL2VA-qE (video di Valdelsa.net), https://www.lanazione.it/empoli/cronaca/video/il-castello-di-oliveto-firmato-da-brunelleschi-1.1508079, https://www.youtube.com/watch?v=CQLnUAfOZuk (video di riomorione), https://www.youtube.com/watch?v=rP_uUc7OwWE (video con drone di MrAlePac).

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castelfiorentino, https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Oliveto, http://www.castellitoscani.com/italian/oliveto.htm, http://www.castellooliveto.it/it/castello_note_storiche.html

Foto: la prima è presa da http://www.wedding-angels.it/dove-sposarsi/sposarsi-in-toscana/una-location-da-sogno-nel-cuore-dei-colli-fiorentini-castello-di-oliveto/1732.html, la seconda è presa da http://iltirreno.gelocal.it/empoli/cronaca/2015/11/13/news/brunelleschi-architetto-del-castello-di-oliveto-1.12437909

martedì 22 maggio 2018

Il castello di martedì 22 maggio




COSTABISSARA (VI) - Castello Bissari Sforza Colleoni

Detto anche villa De Buzzacarini, è una fortificazione medioevale presente nel comune di Costabissara in provincia di Vicenza. Esso faceva parte, insieme a quello di Donna Berta e di Pizamerlo, dei tre castelli presenti nel feudo di Costa Fabrica, molto prima che questa diventasse dei conti Bissari e prendesse il nome di Costabissara. L'edificio, per via dei numerosi proprietari ha cambiato più volte nome e tuttora è conosciuto con più denominazioni. Nel Dalla-Cà viene nominato come "antico Castello dei Della Costa" e Villa De Buzzacarini: secondo l'autore, infatti, il primo è uno dei tre castelli citati dal Maccà, non più presente perché distrutto da Ezzelino e al quale ha preso posto la villa. Nel Mantese si ritrovano invece le denominazioni di "Villa De Buzzacarini" e "il Castello". Il nome oggi ufficiale è "castello Bissari Sforza Colleoni", probabilmente in ricordo dei tre principali proprietari storici e maggiori contributori di ciò che la struttura è adesso, secondo le targhe appese fuori dalle due entrate. Nonostante questo, la denominazione "villa De Buzzacarini" permane nell'uso comune, dal momento che la vendita è avvenuta solo nel 1973. Il castello sembra esistere dal X secolo e già nei secoli XI e XII era provvisto di una cinta muraria che si estendeva per tutto il contorno del declivio del colle. La parte più antica, che corrisponde al blocco principale con quattro finestre gotiche originali, ha visto passare tutti i feudatari precedenti ai Bissari: i Maltraverso, i Della Costa, i Baretta e i Conti da Lozzo. Il castello, quindi, era già esistente all'arrivo dei Bissari nel 1285, anno in cui l'edificio venne ricostruito dopo la distruzione portata da Ezzelino III nel 1241, inglobando e mantenendo le strutture residue. Questo è confermato dal notevole spessore dei muri portanti soprattutto nell'angolo a nord est dove si presume fosse presente una torre. Non sono da dimenticare alcune aggiunte successive come quelle in epoca cinquecentesca con la costruzione di due finestre nel lato sud-ovest, la porta d'ingresso dal porticato e quella interna di fronte e in epoca settecentesca che portarono alla costruzione del balconcino sempre a sud-ovest. Con la morte nel 1859 dell'ultimo erede Girolamo Enrico Sforza, il castello passò nelle mani del nobile Guardino Colleoni, che lo ristrutturò donandogli una forma medievale, un boschetto di pini, un vigneto, il frutteto e un'iscrizione lapidaria che ne riassume la storia. Alla vendita del castello a Pia Zabeo, moglie del Nobile Marchese Aleduse De Buzzaccarini De Vetulis, nel 1894 seguì anche un abbellimento e un arricchimento da parte dei nuovi proprietari. Il castello divenne quindi una residenza signorile che venne comprata nel 1973 dalla famiglia Putin che lo restaurò nel 1979. L'oratorio di Sant'Antonio è una piccola chiesetta presente all'interno del parco del castello restaurata a inizio Novecento dai nobili De Buzzacarini aggiungendo anche un campanile. In occasione di ciò è stata eseguita nuovamente la consacrazione in un rito compiuto dal vescovo di Vicenza Antonio Feruglio il 26 novembre 1900, come riporta l'iscrizione sull'altare. Il cancello di ingresso si apre sulla strada e continua in una lunga gradinata fino alla chiesa. Su tale cancello sono presenti i due stemmi del marchese De Buzzacarini e della moglie Pia dei Conti Zabeo. All'interno le pareti sono affrescate da opere di Gino Raselli di Asolo raffiguranti alcuni miracoli del patrono. È presente un altare in marmo di Carrara dietro il quale è posta una statua di Sant'Antonio nell'atto di rivolgere la parola ai fedeli. Nel pavimento al centro della chiesa è presente la tomba di famiglia. Altri link suggeriti: https://www.comune.costabissara.vi.it/territorio/cenni-storici/, http://www.vicenza.com/news/castello-sforza-colleoni

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_Bissari_Sforza_Colleoni

Foto: la prima è di dan1gia2 su https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_Bissari_Sforza_Colleoni#/media/File:Costabissara_Castello_Portineria.jpg, la seconda è presa da http://www.mondimedievali.net/castelli/veneto/vicenza/costabiss01.jpg

lunedì 21 maggio 2018

Il castello di lunedì 21 maggio



LUBRIANO (VT) - Palazzo Monaldeschi e Torre Monaldeschi

Durante il periodo feudale il territorio di Lubriano, insieme ad altre terre limitrofe, fu caratterizzato dalla dominazione della famiglia dei Conti, probabile antenata, di origine longobarda, dei Monaldeschi, che si impegnò nella costruzione di castelli e isolate torri di avvistamento e di difesa e che, nel 1074, diede inizio alla costruzione del Castello di Seppie. Collocato a circa 3 Km a Est della cittadina, deve il suo nome al longobardo Saepis, termine usato per indicare una barriera muraria, oppure una recinzione. Intorno al 1100, si diede avvio anche alla edificazione di un palazzo residenziale, che venne affiancato a una torre già esistente. L'edificio fu totalmente diroccato nel 1695 a causa del violento terremoto e venne riedificato, tra il 1695 e il 1704, per opera del Conte Paolo Antonio Monaldeschi, su progetto di Giovanni Battista Gazzale di Vignanello. Nel 1120 si ritiene abbia avuto inizio la costruzione della Chiesa Parrocchiale di San Giovanni Battista. Intorno al 1140 iniziò per Lubriano, e per tutte le terre limitrofe soggette al Feudalesimo, una lunga guerra di liberazione, durata oltre 20 anni a cui seguì una breve occupazione di Federico Barbarossa, il quale per un accordo con il Papa Alessandro III, cedette queste terre alla Santa Sede. A seguito di una forte scossa di terremoto, avvertita il giorno 12 marzo 1306, essendo le mura di difesa del paese risultate compromesse, il Comune di Orvieto ne ordinò la riparazione, mediante ispessimento delle stesse e la costruzione di cinque torri aperte in punti strategici. Siamo all'epoca dei cruenti conflitti tra le due fazioni opposte dei Guelfi, guidati dalla famiglia Monaldeschi, schierata dalla parte ecclesiastica e i Ghibellini, appoggiati dalla famiglia dei Filippeschi, schierati a favore della fazione imperiale. I conflitti si protrassero anche a seguito della sconfitta della famiglia dei Filippeschi nel 1313, quando insorsero anche altri rami della famiglia Monaldeschi, ( del Cervo, della Vipera, del Cane e dell'Aquila). Il ceppo dei Monaldeschi, cacciato da Orvieto, occupò di sorpresa i Castelli di Lubriano e Seppie, che poi furono costretti a restituire al Rettore del Patrimonio nel 1339, per conquistarli poi nuovamente nel 1341. A questo momento fece seguito un periodo di pace con il Patrimonio di San Pietro, fino all'ottenimento del Viscontato di Lubriano, concesso da Papa Bonifacio IX a Corrado di Berardo Monaldeschi nel 1399. Solo alcuni anni dopo, nel 1413, Lubriano venne messa a sacco da Ladislao Re di Napoli, il quale, venendo meno ai patti conclusi con Giovanni XXIII, decise di occupare Roma e tutte le terre del Patrimonio di San Pietro. In seguito venne stipulato un accordo di pace. Già nel 1414, Lubriano fu di nuovo oggetto di conquista da parte delle due compagnie di ventura, capitanate da Braccio di Montone e Tartaglia, allora in conflitto con la Santa Sede, ma nel 1419, la città venne liberata da Muzio Attendolo Sforza, inviato dalla regina di Napoli. Nel 1430 si registra la traslazione dei resti di San Procolo da Bagnoregio alla Chiesa Collegiata di San Giovanni Battista a Lubriano. Procolo, umile pastorello vissuto a Lubriano intorno al 1300 e morto all'età di soli 20 anni, sepolto dapprima a Bagnoregio e poi traslato a Lubriano e proclamato Patrono, presente sullo stemma comunale, che ne ripropone la figura appoggiata a un albero di quercia con una verga nella mano destra e un castello composto da tre torri con la mano sinistra. Oltre ai coinvolgimenti di Lubriano nelle vicende politiche di importanza nazionale, il paese era alle prese con l'annosa questione dei conflitti per i confini con la vicina Bagnoregio che nel 1458 distrusse il Castello della Cervara con l'alleanza di Pietro di Somma di Montefiascone e di Francesco Vitozzi di Bolsena. Seguì l'occupazione di Lubriano da parte delle truppe francesi di Carlo VIII re di Francia. Nel 1467 Lubriano, come gran parte dello Stato pontificio, fu colpito da una grave pestilenza, che si diffuse nuovamente nel 1476. Nel 1494 Lubriano fu occupata dai Francesi provenienti da Orvieto con Carlo VIII al comando e l'anno successivo, Alessandro VI, per sfuggire alle eventuali vendette di Carlo VIII, di ritorno da Napoli, si rifugiò prima ad Orvieto e poi a Perugia, per poi far ritorno a Orvieto e trasferirsi a Roma, transitando da Lubriano e ricevendo l'omaggio da tutta la popolazione. In occasione del Sacco di Roma, per opera dei Lanzichenecchi nel 1527, anche Lubriano fu messa a sacco da gruppi guidati da Fabrizio Maramoldo. Da questa data, fino ad oggi, i documenti non restituiscono episodi di particolare rilievo nella vita politica ed economica a livello del paese. I documenti informano di interventi edilizi che hanno portato alla costruzione della “Torre del Sole”, detta comunemente di Santa Caterina, nell'intervallo di tempo che va dal 1576 al 1590, e di ampliamenti della Chiesa della Madonna del Poggio negli anni che vanno dal 1732 al 1737, per volontà del Marchese Pompeo Bourbon del Monte e di sua moglie Anna Rosa Monaldeschi, in collaborazione con l'allora parroco Don Paolo Proculo e grazie anche al generoso contributo dei cittadini lubrianesi. Palazzo Monaldeschi è una costruzione settecentesca, che nasce dalle rovine di un edificio medievale eretto nel 1100 e completamente distrutto da un violentissimo terremoto l'11 giugno del 1695. Fu fatto costruire, tra il 1696 e il 1704, dal marchese Paolo Antonio Monaldeschi su progetto di Giovanni Battista Gazzale di Vignanello. L'architetto impostò la riedificazione sull'organismo preesistente, cercando di conservare e utilizzare le strutture rimaste in piedi e trasformandolo in stile barocco. Alcune irregolarità in pianta sono dovute proprio all'adattamento effettuato su strutture preesistenti. Il palazzo si caratterizza per la facciata a tre livelli, tipica di una impostazione architettonica già radicata nel Quattrocento, che colloca al livello intermedio l'abitazione dei signori proprietari dell'edificio. La facciata presenta un alto bugnato difensivo che sorregge il piano nobile dell'edificio centrale e il piano delle soffitte, caratterizzato da finestre di più piccole dimensioni, rispetto alle ampie aperture del piano nobile. Il prospetto imponente dell'edificio articolato da due ali laterali leggermente arretrate. Proprio la soluzione angolare dell'ala occidentale, costituisce uno degli esempi di barocco locale. Per approfondire, suggerisco di leggere qui: http://www.monaldeschi.it/la-storia.html. La torre sorge nel punto più alto del centro storico, nel quartiere dell'Ortale, e rappresenta ciò che rimane dell'antico castello medievale. Fu costruita con funzione di avvistamento probabilmente intorno al XII secolo, e tradizione vuole che prima del disastroso terremoto del 1695, che distrusse il paese ed il castello, la sua altezza fosse il doppio di quella attuale, dunque, un importante punto di segnalazione alla pari delle torri dei castelli circostanti come quello di Seppie, Castelluzzo, Castel Pizzo, S. Michele e Civitella d'Agliano, tutti territori posseduti dai Monaldeschi della Cervara. Attualmente l'edificio presenta un'altezza di circa 18 metri. Sul lato occidentale sono presenti due finestre alte e strette, una in basso che ne permette l'accesso all'interno e una a mezza altezza, mentre sul lato meridionale si apre invece una piccola feritoia. E' possibile accedere alla sommità mediante una piccola scala di acciaio e vetro. Il panorama che si può vedere dall'alto è mozzafiato. Lo sguardo spazia sulla valle dei Calanchi, la valle del Tevere e, via via più lontano, i Monti Umbri e Sabini e le cime dell'Appennino Centrale. Altri link consigliati: https://www.youtube.com/watch?v=2EuJcP8RyI0 (video di Renato Burla), https://www.youtube.com/watch?v=AnPlsEZzg2g (video di GAL in Teverina)

Fonte: http://www.comune.lubriano.vt.it/web/

Foto: la prima - relativa al palazzo - è presa da http://www.monaldeschi.it/; la seconda - relativa alla torre - è presa da http://www.comune.lubriano.vt.it/public/comune/articles.php?lng=it&pg=20

sabato 19 maggio 2018

Il castello di domenica 20 maggio



VERNASCA (PC) – Castello di Vigoleno

Il borgo fortificato di Vigoleno, posto sul crinale tra la valle dell'Ongina e quella dello Stirone su un rilievo di non elevata altezza domina le colline circostanti, è sicuramente uno dei monumenti storici più importanti dell’intera Provincia di Piacenza sia per l’eleganza delle sue forme sia per l’eccezionale integrità dell’intero impianto castrense, che mostra non comuni influenze toscane, forse dovute all’impiego di maestranze provenienti dalla Lunigiana. L’intero borgo, di forma ellissoidale, è racchiuso da imponenti ed integre mura merlate, percorse da un camminamento di ronda dal quale si ha l’opportunità di ammirare un’eccezionale panoramica su tutta la Val Stirone. poste all’ingresso del borgo si accede alla piazza, sulla quale prospetta l’oratorio della Madonna delle Grazie. La fondazione del castello risale al X secolo ma la prima data documentata è il 1141 quando era avamposto, sulla strada per Parma, del Comune di Piacenza. Il possesso passò per molte mani, principalmente fu della famiglia Scotti, vide tra gli altri i Pallavicino, i Piccinino, i Farnese, e venne più volte distrutto e ricostruito. La storia di Vigoleno è intimamente legata a quella degli Scotti. Essi ne fecero il punto di forza della loro indiscussa autorità politica. In particolare Alberto Scotti, tra i maggiori esponenti del raggruppamento guelfo, lo fortificò nel 1306. Nel gennaio del 1373 il castello fu espugnato dalle truppe pontificie del cardinal legato di Bologna, ma in aprile tornò ai viscontei, grazie a una mossa ingannevole. Dopo aver preso possesso della fortezza, gli uomini di parte pontificia inviarono staffette al presidio di Castel San Giovanni per chiedere rinforzi. I messi caddero, però, nelle mani del ghibellino Giovanni Anguissola che, saputo lo scopo della missione, andò a Vigoleno con un drappello di soldati, fingendosi inviato per la difesa. Entrati con la “falsansa” nella fortezza, i ghibellini ne catturarono gli attoniti difensori. In seguito la rocca fu distrutta dalle fondamenta. Il 29 ottobre 1389 il duca di Milano Odoardo Visconti cedette a Francesco Scotti i diritti su Vigoleno e gli concesse la licenza necessaria per poter riedificare il fortilizio. Il quale – caso raro nella storia italiana – appartenne quasi ininterrottamente a quella sola famiglia per cinque secoli: dalla fine del Trecento agli inizi del Novecento. Nel 1404 un diploma di Gian Maria Visconti elevò il feudo al rango di contea; segui un breve periodo agitato, con sottrazioni ad opera dei fratelli Piccinino (1441-1449), alla fine del quale gli Scotti riconquistarono Vigoleno. Nel 1622 i Farnese conferirono a Cesare Maria Scotti la dignità di marchese di Vigoleno, dunque il gradino più alto dell’aristocrazia del ducato. Nel 1922 la principessa Ruspoli Gramont lo fece restaurare e ne fece sede di incontri mondani, passarono tra le sue mura Gabriele D'Annunzio, l'attore Douglas Fairbanks, Max Ernst, Alexandre lacovleff, Jean Cocteau, la diva del cinema Mary Pickford, la scrittrice Elsa Maxwell, il pianista Arthur Rubinstein. Nei primi anni'80 fu teatro di parte delle riprese del film Lady Hawke di Richard Donner con Rutger Hauer e Michelle Pfeiffer. Completamente circondato dalla cinta muraria merlata che è interamente percorribile sull'antico cammino di ronda. Ha un unico accesso attraverso un rivellino, dalla particolare forma tondeggiante e allungata, che proteggeva il vero portale d'ingresso. Il cuore del borgo è la piazza, con fontana centrale, su cui si affacciano: il mastio, la parte residenziale del castello, l'oratorio e la cisterna. Il paese prosegue con un piccolo gruppo di case strette intorno alla pieve di San Giorgio. Sul lato est, tra le abitazioni e le mura si trova un giardino. Ha un imponente torrione di pianta quadrangolare con feritoie, beccatelli e merli ghibellini. Del castello sono visitabili solo gli appartamenti del piano nobile, a richiesta e con visita guidata. Gli ambienti sono perfettamente conservati, decorati e affrescati, come la Sala Rossa, la Sala della Genesi, la Sala del Biliardo e la sala dove è visitabile il teatrino decorato dal pittore russo Alexandre Jacovleff (1887-1938), considerato uno dei più piccoli teatri al mondo. Si tratta di un minuscolo teatro pensato per pochi ospiti, attrezzato con palco e sedie, sulle cui pareti sono dipinti personaggi abbigliati con i costumi tipici di diversi paesi del mondo. La Sala Rossa situata al primo piano, si distingue per la presenza di un soffitto a cassettoni con motivi ornamentali policromi a cartouches e per un duplice fregio: con putti e figure allegoriche nella parte superiore delle pareti. La cappa, in caolino, è caratterizzata da un elaborato decoro: due statue di putti, poggiati su ampie volute, che reggono un’enorme conchiglia.Il tavolo di fronte al camino è del XVIII secolo; il divano e le poltrone dei primi del Novecento. I dipinti alle pareti sono riproduzioni di originali riposti in cassaforte. Al piano superiore si apre anche la Sala Blu, ricca di dipinti e arredi. Un grande lampadario in vetro di Murano illumina il soffitto stellato e incorniciato da un fregio istoriato con soggetti biblici riferiti alla Genesi (La Creazione, La cacciata dal paradiso, Il diluvio universale e gli episodi successivi). Entrando a sinistra si trova, invece, un dipinto rinascimentale: è un Paesaggio del bresciano Girolamo Romani detto il Romanino (1485/87-1562?). Il mastio, su quattro piani di visita, ospita sale dedicate alle armi antiche, agli strumenti di tortura, ai fossili locali e documenti e foto sul borgo di Vigoleno. Al primo piano è visitabile la sala delle armi. Oltre a pannelli informativi sull’architettura militare e ad alcuni reperti archeologici vi sono esposte armature e alabarde. Non è la dotazione originaria del castello, che è andata perduta nel corso dei secoli: l’equipaggiamento presente è frutto di donazioni. Dal primo piano del Mastio è possibile accedere al cammino di ronda e raggiungere la torre sud, collegata alla parte residenziale del castello-palazzo (tuttora di proprietà privata e adibita ad albergo) da una passerella di recente costruzione. Raggiunta la torre sud, è possibile ammirare una stanza adibita a salottino al tempo della principessa Ruspoli Gramont. Di rilievo è il soffitto con le sue decorazioni. Al secondo piano sono esposte riproduzioni fotografiche di mappe del XVI-XVII secolo di Vigoleno e della valle dell’Arda. Gli originali, opera dei cartografi Paolo e Alessandro Bolzoni, sono conservati nella Biblioteca comunale Passerini Landi di Piacenza. Fotografie storiche di Alessandro Cassarini documentano l’immagine di Vigoleno tra la fine dell’800 e gli inizi dell’900. Al terzo piano in due vetrine sono esposti fossili dal Parco dello Stirone. Salendo le diverse rampe di scale, alcune ricavate direttamente nel muro della struttura, si può notare un piccolo ponte levatoio che permetteva l’isolamento del mastio dal resto della fortificazione in caso di assedio. Raggiunta la terrazza del mastio, da qui è possibile godere della magnifica vista sulla Val Stirone. Una meridiana è posta sul lato sud di una torretta affacciata sulla piazza e porta la data del 1746. Il castello di Vigoleno fa parte del circuito Associazione dei Castelli del Ducato di Parma, Piacenza e Pontremoli e del club de I borghi più belli d'Italia ed è stato insignito della Bandiera arancione del Touring Club Italiano. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=7g9fNa5nQYw (video di Borghi Viaggio Italiano), http://www.castellidelducato.it/castellidelducato/castello.asp?el=mastio-e-borgo-di-vigoleno-nei-borghi-piu-belli-italia-e-bandiera-arancione-touring-club-italiano, http://www.castellodivigoleno.com/hotel/castello/, https://www.youtube.com/watch?v=d7mNMu7WdVQ (video di gi1mo1), https://www.youtube.com/watch?v=LjXucFXzkr0 (video di Museo Gli Orsanti), https://www.youtube.com/watch?v=aWDdCuutgI0 (video di Pino Meola).

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Vigoleno, http://www.comune.vernasca.pc.it/vigoleno/index.jspeldoc?IdC=2977&IdS=2979&tipo_cliccato=0&tipo_padre=0&nav=1&css=&menu=1, https://www.touringclub.it/destinazione/203297/castello-e-mastio-di-vigoleno, http://www.atlanteguide.com/blog/vigoleno-un-borgo-da-favola, http://www.turismopiacenza.it/site/castello-di-vigoleno/.

Foto: la prima è presa da https://www.icastelli.net/it/castello-di-vigoleno, la seconda è di Solaxart 2008 su http://www.preboggion.it/Castello_di_Vigoleno.htm

venerdì 18 maggio 2018

Il castello di sabato 19 maggio



BUCCHERI (SR) – Castello

Furono gli Arabi a colonizzare questo territorio, in precedenza e in gran parte ricoperto di vaste pinete e boschi di frassini e querce, procedendo ad un vasto programma di "appoderamento". Gli Arabi, con ogni probabilità, a difesa dei territori colonizzati fortificarono il colle Tereo, cingendolo di una muraglia e insediandosi attorno ad esso. Ma l'edificazione del castello, sullo stesso colle, si deve ai Normanni, i quali, cacciati gli Arabi, lo costruirono a partire da un fortilizio preesistente. Di forma quadrilatera, questo presentava due torrioni a difesa dell'ingresso principale rivolto a Sud-Est e una torre centrale, il mastio. Le fonti storiche ci dicono che il castello di Buccheri era “la più formidabile fortezza del Val di Noto”. La storia ha celebrato l'importanza di questo fortilizio. Del castello di Buccheri parla anche un documento conservato presso la biblioteca di Palermo: "Si va detegendo che quella rocca intorno la quale pria del terremoto dell'anno 1693 era situato il paese, nel modo che dicesi volgarmente castello, sia stato fabricato sino da allora che era in fiore la città di Leontini per difesa nelle guerre civili. Tuttora vi si vedono esistenti rimasugli di grosse mole di fabbriche crollate a terra senza il menomissimo scompaginamento, ammirandosi nel tempo stesso la forte lega della calce co' rena di fiumara. Si dice essere da quel tempo colonia di Leontini, difendendosi gli abitanti in questo ben munito castello e dall'arte e dalla natura...". Fu al centro di diverse vicende storiche, legate alla guerra fra siciliani e angioini, alle guerre civili scoppiate fra le potenti famiglie baronali del regno. Sicuramente attivo nei periodi della Contea e della Baronia, era già distrutto al tempo del Principato. Da quell'altezza lo sguardo si perde lontano sulla vasta pianura di Catania, il Mongibello, il mar Ionio e il promontorio calabrese. I primi signori di Buccheri, di cui si ha notizia, furono i Paternò, che si insediarono nel 1088. Nel 1282 il borgo, già sviluppatosi attorno al castello, passò ad Alaimo di Lentini, investito della contea da Pietro III di Aragona: il protagonista dei Vespri siciliani vi risiedette saltuariamente insieme alla moglie Macalda di Scaletta. Dagli Alaimo di Lentini il feudo passò alla famiglia Montalto. Primo barone di Buccheri fu Gerardo Montalto, investito nel 1313. Dopo due secoli la signoria del paese passò alla famiglia Morra, che iniziò ad adibire la fortezza in ricovero di bestiame e da ciò iniziò piano piano il degrado del bel castello. In seguito passò agli Alliata-Villafranca, che governarono fino al 1812. Il primo nucleo del paese è costituito dalle casette costruite attorno al castello e nell'area lungo il crinale del colle verso est, coincidente con l'attuale quartiere della Badia e del Casale. Qui fu fondata nel 1212 la Chiesa di S. Antonio; nel 1453 il monastero di S. Benedetto e intorno a questa data l'antica Chiesa di S. Maria Maddalena, presso l'ingresso est del paese. Nel corso del XVI e XVII secolo il paese crebbe lungo il pendio sud del castello. Tale tendenza fu accentuata dopo il terremoto del 1693, che distrusse il paese quasi totalmente. Le fatiscenti strutture del castello furono demolite dagli abitanti per ricavarne materiale utile alla ricostruzione delle loro case. Oggi dell’antico edificio rimangono alcuni importanti resti. Altro link per approfondire: http://www.virtualsicily.it/index.php?page=luoghi&tabella=luoghi&c=948.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Buccheri, http://www.siracusaweb.com/main/buccheri/monumenti/il-castello-di-buccheri.html, http://castelli.qviaggi.it/italia/sicilia/castello-di-buccheri/,

Foto: la prima è di azotoliquido su https://it.wikipedia.org/wiki/Buccheri#/media/File:Castello_Buccheri.JPG, la seconda è presa da https://www.vivasicilia.com/itinerari-viaggi-vacanze-sicilia/castelli-in-sicilia/castello-di-buccheri.html

I castelli di venerdì 18 maggio



MERCATELLO SUL METAURO (PU) - Palazzo Ducale e Palazzaccio

L'origine di questa cittadina, posta sul corso del fiume Metauro e alle soglie dell'Appennino, risale al XII secolo a.C. per opera degli umbri (si trovava al confine tra Umbria ed Etruria). In epoca romana Augusto la inserì nella Regio VI Umbria appunto - tra i due municipi di Tiphernum Metaurense e Tiphernum Tiberinum. Distrutta durante le invasioni barbariche, fu ricostruita dai Longobardi nel VI secolo e dedicata a San Pietro col nome di Pieve d'Ico. Nel 756 Pipino il Breve donò il terriotorio a S. Pietro. Posta dapprima sotto la giurisdizione di Città di Castello, entrò poi a far parte della Massa Trabaria, nel IX secolo. Il piccolo borgo fu dichiarato libero e indipendente dai pontefici Celestino II (1144) e Alessandro III (1180), sotto il diretto controllo del Papa. Nel 1235 papa Gregorio IX propone di radunare la popolazione dei sette castelli che circondavano Mercatello nel territorio della pieve, che diventa così un comune fortificato ed acquista il suo nome attuale (dai numerosi mercati che vi si svolgevano). Nel 1361 Mercatello fu acquistato da Branca Brancaleoni di Casteldurante per 5000 fiorini d'oro tramite il Legato Pontificio. Nel 1417, con il matrimonio di Federico da Montefeltro con Gentile Brancaleoni, Signora di Mercatello sul Metauro, la municipalità venne portata in dote al Duca di Urbino. Nel 1437 Mercatello venne incorporata nel ducato di Urbino (alla cui corte primeggeranno alcuni suoi nobili cittadini); dal 1636 entrò a far parte della Diocesi di Urbania come Vicariato, e quindi dello Stato Pontificio. Tra i numerosi monumenti, quelli di cui ci interessa parlare qui sono due: il Palazzo Ducale e il Palazzaccio.

Il Palazzo Ducale fu edificato a partire dal 1474, per volontà di federico da Montefeltro, da Ottaviano Ubaldini, su disegno di Francesco di Giorgio Martini. In quell'anno l'Ubaldini, che fu, insieme al duca Federico, artefice della fortuna dello stato urbinate, ottenne la contea di Mercatello. Il conte, raffinato committente di opere d'arte e d'architettura ad Urbino e dintorni, ne fece la propria residenza. Seppur rimasto incompiuto, il Palazzo Ducale conserva tratti distintivi della sua origine rinascimentale. L'edificio presenta, infatti, molti elementi di continuità con altre opere martiniane, come le grandi fasciature in arenaria, le ampie finestre edicolate e, in generale, l'impianto dell'edificio, a corte aperta. All'interno, degni di nota sono alcuni vasti ed imponenti ambienti al pianterreno e al primo piano, con pregevoli soffitti a volta. Il Palazzo ha subito diverse modifiche nel tempo, frutto dei cambiamenti e delle ristrutturazioni dei numerosi proprietari che si sono succeduti.

Il Palazzaccio si erge ai margini del centro storico, parte sulla sinistra del torrente San Martino (o Sant'Antonio) e parte sopra il torrente stesso, poggiato su un baluardo fortificato. Antica dimora dei signori Fabbri, poi di proprietà Storti, il palazzo è interessante non solo per la mole imponente della parte superiore, ma soprattutto per la massiccia base cilindrica fortificata che presenta tracce di cannoniere e alcune feritoie. La parte superiore è attribuibile all'architetto dei Duchi di Urbino Gerolamo Genga (1476 - 1551). Quella inferiore, inserita come bastione nella cinta muraria di Mercatello per volere di Federico da Montefeltro, è dovuta a Francesco di Giorgio Martini, rappresentando una delle sue prime sperimentazioni nel campo dell'architettura militare. Altri link suggeriti: http://eliorossicittaeborghi.altervista.org/gallery/mercatello-sul-metauro/mercatello-sul-metauro-palazzi/il-palazzaccio.jpg.html (foto di Elio Rossi), https://www.youtube.com/watch?v=QLtVGYteqv8 (video di Marche Tourism)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Mercatello_sul_Metauro, http://www.comune.mercatellosulmetauro.pu.it/index.php?id=7090, http://www.lavalledelmetauro.it/contenuti/beni-storici-artistici/scheda/5382.html, http://www.lavalledelmetauro.it/contenuti/beni-storici-artistici/scheda/5385.html

Foto: La prima è relativa al Palazzo Ducale, presa da http://www.comune.mercatellosulmetauro.pu.it/index.php?id=7090. La seconda e la terza, riguardanti il Palazzaccio, sono prese entrambe da http://www.iluoghidelsilenzio.it/borgo-di-mercatello-sul-metauro-pu/. Anche la quarta è riferita al Palazzo Ducale ed è presa da http://www.altometauro.it/Cultura/SeminarioJudi/