sabato 31 ottobre 2015

Il castello di sabato 31 ottobre






FORMELLO (RM) – Palazzo Chigi



Tra i fondi agricoli in possesso della tenuta esisteva un fundus Formellum, dove si era sviluppato un abitato, che ereditò la funzione di centro del territorio da Capracorum. A partire dall' XI secolo fu in possesso del monastero della Basilica di San Paolo fuori le mura e in quest'epoca il borgo venne probabilmente fortificato. Formello si sviluppò tuttavia più lentamente di altri centri con simili origini, probabilmente a causa della distanza dalla via Cassia, oltre il fiume Cremera. Nel 1279 Formello fu concessa in feudo agli Orsini. Nel 1544 venne concesso alla comunità uno statuto che ne regolava i rapporti amministrativi con i feudatari. Nel 1661 gli Orsini vendettero il feudo alla famiglia Chigi. Il Palazzo è frutto di una serie di fasi di costruzione a partire dal XII secolo fino ai nostri giorni. L'elemento più antico del Palazzo, ma contemporaneamente il più moderno, è la grande torre-mastio duecentesca, posta a difesa del borgo, e ancora in parte conservata all’interno del Palazzo Chigi. Nella seconda metà del Quattrocento la stessa torre venne sfruttata dagli Orsini come nucleo centrale di un palazzo residenziale, con due piani, più un terzo solo sulla facciata, una corte interna, una loggia e stanze decorate con affreschi e grottesche. Il primitivo edificio di difesa venne dunque trasformato in una residenza signorile. Appena divenuti signori di Formello nel 1661, i Chigi ristrutturarono l’antico Palazzo Orsini. Il progetto fu affidato a Felice Della Greca, che sopraelevò di un piano l’edificio precedente, conservandone diversi ambienti, parti di una torre medievale e il bel cortile interno, con affreschi al livello superiore. Vennero realizzati l’Appartamento Novo del Cardinal Flavio Chigi, nipote di papa Alessandro VII e il Museo delle curiosità naturali, peregrine e antiche, nucleo originale della collezione Chigi del Palazzo. Questo piccolo museo privato conservava tra le altre cose anche antichità provenienti dal territorio intorno a Formello Salendo lungo la “scala emozionale” si raggiunge la parte più alta e recente della torre, opera dell’architetto Andrea Bruno e si ammira uno splendido panorama sul territorio circostante, fino a Roma. Dopo circa 18 anni di restauro, nel 2011 l’edificio è stato riaperto al pubblico. Al suo interno sono oggi ospitati il Museo dell’Agro Veientano, la Biblioteca Comunale Multimediale, l'Ostello della Gioventù Maripara e Mansio, sistema integrato di accoglienza per i pellegrini della Via Francigena. Fanno parte del Palazzo anche la Sala Orsini dedicata principalmente ad esposizioni temporanee e conferenze e la Sala Grande dove si svolge regolarmente il Consiglio Comunale, ma anche sede di conferenze, attività culturali, matrimoni civili e cerimonie private. Nelle sale si conservano affreschi commissionati dai Chigi ed eseguiti da un gruppo di pittori, tra il quali il fiammingo Giovanni Momper e Francesco Milizia.


Fonti: http://www.comune.formello.rm.it/pagina2907_palazzo-chigi.html, http://www.francigenalazio.it/it/resource/poi/formello-palazzo-chigi/ (a centro pagina trovate un breve video con inquadrature del palazzo), http://terrediveio.eu/terrediveio/generaDettaglio.do?idPagina=CID133&tipoScheda=LC, https://it.wikipedia.org/wiki/Formello

Foto: la prima è stata realizzata da me sul posto (quando i lavori di ristrutturazione erano ancora in corso...), la seconda è presa da http://terrediveio.eu/cid/allegati//CRBC/I/001/001/CID410_d%20Palazzo%20Chigi%20prospet.jpg

venerdì 30 ottobre 2015

Il castello di venerdì 30 ottobre






BITETTO (BA) - Palazzo Baronale

Nel 1011 il territorio bitettese fu teatro della battaglia tra Melo di Bari e i bizantini. Nel corso dell'XI secolo Bitetto fu elevata a sede vescovile, in quanto nel 1089 una bolla di papa Urbano II la cita come suffraganea di Bari. La città venne quindi donata nel 1176 da Guglielmo II alla chiesa di Monreale. In epoca normanna, parte del territorio comunale venne stornato da Federico II e devoluto alla nascente città di Altamura, dove si stabilirono molti bitettesi. Con l'ascesa degli angioini, Bitetto fu tra le città più ricche della Terra di Bari e il borgo fu ingentilito da diversi edifici civili, alcuni dei quali pervenuti ad oggi. Nel 1349 Bitetto fu assediata e saccheggiata dalle truppe ungheresi calate in Puglia per regolare la successione a Roberto d'Angiò. Successivamente la città venne ceduta dalla corona alla nobiltà feudale degli Arcamone e, dopo il 1419 a Lorenzo de Attendolis, talmente autoritario da allontanare il vescovo. Il XV secolo vide il progressivo peggioramento delle condizioni di vita della popolazione bitettese: la peste del 1489 e la carestia ridussero il numero degli abitanti, che abbandonarono gli alloggi fuori dalle mura cittadine. L'area all'esterno del centro storico non sarebbe stata ripopolata che nel primo Ottocento. Intanto nel 1731 il regio demanio sottrasse il feudo di Bitetto, comprendente anche Carbonara, Binetto, Erchie e Mesagne al marchese di Mesagne Donato Timperi, reo di insolvenza fiscale per oltre un trentennio. Successivamente se lo aggiudicò all'asta per 61.000 ducati il barone Francesco Noja di Mola di Bari, ma di ascendenza fiamminga. A ridosso della porta e della Porta Piscina, l'unica sopravvissuta delle quattro originali appartenenti all’antica cinta muraria, si erge il Palazzo Baronale, un complesso architettonico di notevole pregio, eretto intorno al 1773 dalla famiglia Noja, nobili facoltosi di Mola che nel 1743 acquistarono il feudo di Bitetto dal Principe Carmine de Angelis. Infatti, il Palazzo settecentesco sorgendo a cavallo delle mura, oltre a comprendere al suo interno un nucleo più antico di origine medievale, inglobò anche il palazzo cinquecentesco del Principe De Angelis. Il Palazzo passò in eredità a Vincenzo de Ruggiero, nipote del barone don Noja, per essere poi, negli anni’30, abbandonato. Negli anni’70 venne acquistato dall’Architetto Raffaele de Pinto che, dopo una lunga e meticolosa operazione di restauro, lo ha sottratto al degrado e ne ha fatto la propria residenza privata (motivo per il quale non è visitabile). Per approfondire potete andare a vedere la scheda di Luigi Bressan su http://www.mondimedievali.net/Castelli/Puglia/bari/bitetto.htm
Fonti: http://www.bitettoweb.it/itinerario.php, https://it.wikipedia.org/wiki/Bitetto

Foto: da http://www.mondimedievali.net/Castelli/Puglia/bari/bitet01.jpg e da http://www.mondimedievali.net/Castelli/Puglia/bari/bitet10.jpg

giovedì 29 ottobre 2015

Il castello di giovedì 29 ottobre






BERTIOLO (UD) – Villa Colloredo-Venier in frazione Sterpo

La villa sorge dove un tempo vi era un antico castello, testimoniato ancora oggi da due torri superstiti. Le origini di questo castello non sono note e le prime notizie risalgono al dicembre 1335 quando il maniero fu acquistato da Martino della Torre. Prima doveva essere infeudato ai conti di Gorizia e poi a Detalmo ed Asquino di Varmo. Nel febbraio 1337 ne fu infeudato, dal Patriarca Bertrando, Fedegrino della Torre, che ne tenne la giurisdizione sino al XVI secolo, quando Febo e Giovanni della Torre lo cedettero a Albertino di Colloredo. Il Castello subì il saccheggio e la devastazione dei contadini del luogo il 30 luglio 1509, sobillati da Antonio Savorgnano. Fu questo fatto uno dei prodromi della famosa “Rivolta del Giovedì Grasso”, la grande rivolta contadina che nel febbraio del 1511 sconvolse il Friuli. Il maniero, probabilmente danneggiato nuovamente, rimase in stato di abbandono. Col tempo, perdendo la sua funzione militare non venne ripristinato e come molti altri, tra il XVII e il XVIII secolo venne trasformato in residenza di campagna dai Colloredo. Verso la fine del Settecento la villa era esistente nella sua struttura attuale, anche se subì variazioni anche nel secolo successivo. Nella villa furono inglobate due torri del castello, una quadrata e una circolare. Nell’Ottocento fu radicalmente ristrutturata in stile neoclassico la chiesa dedicata a San Gerolamo, già esistente tra il 1480 e 1489, che incorporò parte di una torre del vecchio castello. I Colloredo ne ebbero la proprietà sino al 1959, quando fu acquistato dal dott. Giovanni Venier. Il Parco della Villa Colloredo-Venier si estende presso la villa sino alle sponde del fiume Stella. Qui, tra varie specie arboree, è presente una magnifica quercia. La farnia di Sterpo (Quercus robur L.) misura 20 m di altezza e 7,7 m di circonferenza del tronco ed è tra le più grandi d’Italia, con un’età stimata tra i cinquecento e i seicento anni. Un autentico monumento vegetale.


Foto: di benve su http://www.vivinfvg.it/immagini_sentieri/sentieri_famiglia/Una_passeggiata_naturalistica_nel_BIOTOPO_di_FLAMBRO/32%20Sterpo%20scorcio%20Villa%20Colloredo.jpg e da http://www.mountainblog.it/wp-content/uploads/301px-villa-colloredo-venier-fonte-locandina-Cristina-Dona-in-concerto.jpg

mercoledì 28 ottobre 2015

Il castello di mercoledì 28 ottobre






GAMBOLO' (PV) - Castello Litta

La prima volta che il nome del paese compare nella storia è nel 999, in un documento in cui si dice che un certo Ademarus de Gambolate doveva risarcire il vescovo di Vercelli Leone dei danni arrecatigli. Il castello viene citato per la prima volta cento anni dopo, nel 1099: la fortezza accoglieva al sicuro gli abitanti del villaggio e della campagna circostante. Ma il documento più importante è una bolla del papa Innocenzo II del 1133 che conferma all'allora vescovo di Novara l'appartenenza di questo territorio alla sua diocesi: il paese viene chiamato Campus Latus. Nel Medioevo è testimoniata la compresenza di due diverse diocesi, quella di Novara e quella di Pavia: ci troviamo in un territorio di confine fra le due giurisdizioni, cui si legano anche mosse politiche e strategiche dei due vescovadi e dei poteri laici ad essi collegati. Dalla diocesi di Novara dipendeva la pieve di S. Pietro di Masovico, collocata all'incirca due km fuori dell'abitato attuale, oltre il Terdoppio. Da San Pietro dipendeva la chiesa di S. Gaudenzio; questa, situata nel villaggio, destituì nei secoli successivi la pieve rurale e divenne la parrocchia del paese. La diocesi di Pavia trovò invece la propria dipendenza nella pieve di Sant'Eusebio, documentata fra XIII e XIV secolo. In questi secoli il paese gravitava politicamente nell'orbita di Pavia, che era continuamente in guerra con Milano; nel corso degli anni Gambolò venne ripetutamente assediata e danneggiata. Alla fine Milano prevalse definitivamente e si sancì il predominio della signoria dei Visconti. Il castello pervenne ai Beccaria e venne poi dato da Galeazzo Maria Visconti a Francesco Pietrasanta. Fra basso Medioevo e Rinascimento la zona rifiorì, grazie a bonifiche e canalizzazioni che valorizzarono la campagna. Con l'avvento degli Sforza e la successiva perdita del ducato a favore dei francesi passò, nel 1499, nelle mani di Gian Giacomo Trivulzio, maresciallo di Luigi XII, marchese di Vigevano. Dopo alterne vicende militari e politiche il territorio, con il Ducato di Milano, finì definitivamente nelle mani della corona spagnola. Nel 1573 i nobili Litta Visconti Arese acquistarono dagli spagnoli il feudo di Gambolò. È del 10 ottobre 1639 il documento nel quale si avvisa che le terre di Gambolò, Gravellona, Cilavegna, Cassolnovo, Villanova, Nicorvo, Robbio, Confienza e Palestro cessarono di far parte del territorio Novarese o Pavese ed entrarono in quello Vigevanasco, diventando terre appartenenti al contado di Vigevano. Nel 1743 il Vigevanasco passò dallo Stato di Milano (allora austriaco) ai Savoia, e nel 1818 fu unito alla Lomellina. Intorno all'anno 1000, nel periodo dei Comuni, sorse il “Castrum“, nucleo fortificato del castello, luogo di protezione per gli abitanti del villaggio e dei territori. In origine il castello era una rocca realizzata a scopi prettamente difensivi, e nel corso dei secoli subì numerosi saccheggiamenti e venne semidistrutto nelle campagne militari dei secoli XII e XIII. Tra il 1412 e il 1475 il feudo di Gambolò venne concesso ad Antonio Beccaria, esponente della famiglia della nobiltà pavese che già dagli inizi del Trecento era titolare del possedimento. Esauritasi la dinastia dei Beccaria nel 1475, Gambolò conobbe il periodo di massimo splendore negli anni Ottanta del Quattrocento per iniziativa di Ludovico il Moro, che dispose lavori di restauro e vi soggiornò con frequenza. Il castello presenta i caratteri essenziali delle rocche visconteo - sforzesche con pianta quadrilatero/trapezoidale e torri sia nei “cantoni“ che al centro. Da ogni lato i muri di cinta, lungo cui si snodavano i cammini di ronda, erano completati da merli ghibellini. Il 30 gennaio 1573, come precedentemente scritto, il Marchese Litta Agostino acquistò, dal fisco spagnolo, per 60.400 lire il fuedo di Gambolò. La Casa del Signore di cui entrò in possesso misurava circa 350 m² e occupava il lato nord - ovest del castello. L'idea del Conte era quella di trasformare il castello in villa di campagna con un ampio giardino e un ingresso rappresentativo. Pertanto l'11 aprile 1573 il conte, successivamente elevato al titolo di marchese, incominciò ad acquistare le proprietà private poste all'interno del castello iniziando da quelle prossime al palazzo. Tra il 1614 e il 1680 venne realizzato, a est della rocca, il nuovo viale di ingresso previo rifacimento dei due fronti della via allora esistente con svasamento poligonale della contrada di Mangrate, l'attuale Corso Vittorio Emanuele. Il nuovo viale sfociava di fronte al torrione principale sul cui arco è ancora in parte leggibile la centinatura della facciata con le feritoie dei bolzoni del ponte levatoio, trasformato, nel 1680 in portale d'ingresso con arco a sesto ribassato e dentellato, sopra al quale sono visibili le insegne della casata e un oculo circolare sorretto da quattro lesene. Il palazzo si elevava circa 50 metri ad ovest con ingresso ad arco ribassato a tutto sesto, con fronte bugnato ed estradosso a dentelli. Oltre si trovava il cortile con due colonnati affacciati e una muraglia cieca. Prima della fine del secolo i Litta eliminarono dalla cinta muraria del castello i merli e i cammini di ronda, iniziando a costruire a ridosso del muro una galleria, oggi chiamata “Manica Lunga“. Purtroppo a seguito di controversie i lavori si interruppero con la costruzione della torre quadrata posta al centro del lato che congiungeva il palazzo con la torre Mirabella e, solo nei primi anni del Settecento, con l'acquisto degli ultimi sedimi si portarono a termine i lavori arricchendo la torre Mirabella di un belvedere con ringhiera. Il corpo della “Manica Lunga“ si sviluppa su due piani per un'altezza complessiva di m 10.00 circa. Il piano terra è costituito da una galleria della lunghezza di circa m 50.00 costituita da 15 colonne binate poggianti su un parapetto interrotto da un'alternanza di vuoti e di pieni che trovano definizione nella continuità materica delle mensole poggianti su pilastrini centrali in pietra. Appoggiate sui capitelli delle colonne si trovano le travi in pietra, per la prima parte in ceppo e per la seconda in granito quasi a testimoniare le fasi successive di esecuzione dei lavori. In corrispondenza degli archivolti si aprono delle finestrature che si affacciato sulla porzione di fossato ora coperta. Le pareti sono intonacate a eccezione della parte delle vecchie mura che si presenta in mattoni a vista. Il soffitto della galleria è in cannicciato con volte a sesto ribassato con alternanza di vela e botte, mentre la soletta è in assito poggiante su un'orditura in legno. Nei decenni successivi furono apportate altre modifiche come ad esempio la fontana ottagonale, ora distrutta, fatta erigere nel 1776 al centro del giardino in prossimità della galleria. Successivamente il castello fu donato dalla famiglia Robecchi, avente causa dai Litta, al Comune di Gambolò e ospita attualmente diversi uffici pubblici, la biblioteca comunale e la sede del Museo Archeologico Lomellino (posto al piano primo del complesso della Manica Lunga). Il castello di Gambolò nel suo aspetto odierno riunisce un complesso di costruzioni di epoca diversa. Della struttura più antica è conservato solo l’ampio recinto di mura fortificate, un quadrilatero di forma trapezoidale che presenta quattro torri cilindriche agli estremi e i resti di tre delle quattro torri quadrate posizionate al centro di ogni lato delle mura. Sono invece da collocarsi fra il tardo Cinquecento e il Seicento quelle parti riconducibili alle trasformazioni realizzate per volontà della famiglia Litta. Qui trovate alcuni episodi di apparizioni di fantasmi legate al castello di Gambolò: http://oltrelanebbiablog.blogspot.it/2011/01/castello-di-gambolo-il-fantasma-della.html. Infine, ecco un video di EPAS in cui si parla sempre del suddetto castello: https://www.youtube.com/watch?v=QXmAgV40aP4
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Gambol%C3%B2, https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Gambol%C3%B2, http://www.castellidelducato.eu/struttura.php?id=32

Foto: entrambe di Solaxart 2012 su http://www.preboggion.it/CastelloIT_di_Gambolo.htm (da visitare per vedere altre stupende foto...)

martedì 27 ottobre 2015

Il castello di martedì 27 ottobre






CARPINO (FG) – Castello normanno-svevo

Le origini di questo paese risalgono all'anno Mille quando gli ultimi abitanti dell'antica Uria, importante città che in passato sorgeva sulle rive dell'attuale laguna, si rifugiarono tra i boschi di carpino a pochi chilometri dal Lago di Varano, in cerca di luoghi meno insalubri. Il primo documento in cui si menziona Carpino è la bolla del 1 gennaio 1158, con la quale il Papa Adriano IV, il solo pontefice di nazionalità inglese, confermava alla badia di Monte Sacro i privilegi sulle chiese di San Pietro e di Santa Maria presso il "Castellum Caprelis" , già concessi dai suoi predecessori Onorio II, Innocenzo II ed Eugenio III. Per quanto riguarda il nome, sembra correlato alla presenza di caprioli nei dintorni o ai carpini, alberi dal fusto alto diffusi in questa parte del territorio. Con il passare dei secoli mutò prima in Crapino e poi successivamente in Caprino, fino all'attuale Carpino, così come riportato in un documento locale del 1628. Il paese fu meta di diversi popoli dai nomi altisonanti come i Normanni, gli Angioini e gli Aragonesi. Ed è proprio ai Normanni che si deve la costruzione del castello, che con la sua imponente mole domina tutto il centro storico. Essi, infatti, tra il 1150 ed il 1160 estesero la loro dominazione su tutto il versante settentrionale del Gargano, per questo eressero dapprima il torrione come segno di possesso del territorio, a cui seguì la costruzione del castello e del sistema murario a protezione del borgo. Successivamente con gli Svevi, fu restaurato ed ampliato, accentuando la sua funzione difensiva. Dopo gli Svevi e gli avvenimenti svevo-angioini, a detenere il feudo di Carpino per oltre un secolo e mezzo furono i Della Marra, i quali regnando i D'Aragona furono spodestati per la disobbedienza del loro erede Giovanpaolo. Assegnato ai Di Sangro di Torremaggiore, questi lo possedettero per circa un decennio, fino a quando re Federico, succeduto al padre lo assegnò a Troiano Mormille. Era un'epoca non felice per il centro abitato tanto che la popolazione di Carpino nel 1532 contava appena 46 fuochi ed era assiepata tra le mura di cinta ancora visibili intorno al rione ora denominato " Terra Vecchia". Nel 1526 il Sacro Consiglio ordinò la vendita di Cagnano e Carpino per soddisfare i creditori del feudatario Fabrizio Mormille ed il feudo fu acquistato da Antonio Loffredo. Ai Loffredo succedettero i Nava; nel 1616 signori di Carpino erano Alonso de Vargas e la moglie Zenobia Nava. Nel 1680 erano ancora i Vargas a detenere il feudo con il titolo di principato, mentre nel catalogo pubblicato da Francesco Ricciardo risultavano baroni di Carpino i Vargas-Cussavagallo. Ultimi feudatari furono i Brancaccio, come risulta da un lapide murata nell'ex chiesa del Purgatorio. I due feudi di Carpino e di Cagnano pervennero a tale famiglia quando una Vargas sposò un Brancaccio. Del castello di Carpino, posto nella parte più alta del paese, che una volta doveva apparire come una solida e imponente costruzione, non resta che una torre, formata da una base piramidale quadrangolare, sovrastata da una costruzione cilindrica. Tra la torre ed il resto del castello si nota una differenza di epoca di costruzione. La prima, infatti, è anteriore e venne edificata in epoca normanna. Successivamente il castello venne ampliato ad opera degli Svevi.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Carpino_%28Italia%29#Castello, http://www.comunecarpino.it/la_storia.html

Foto: di Emanuele Ubaldi su https://www.facebook.com/308856780344/photos/a.10152093023455345.1073741971.308856780344/10150957084930345/?type=3&theater e di Carlo Giancri su http://www.lepietredelgargano.it/gallery/castello1.jpg

lunedì 26 ottobre 2015

Il castello di lunedì 26 ottobre






PIEDIMULERA (VB) - Torre Ferrerio

La torre, che domina i tetti del borgo antico, si alza per complessivi trenta metri ed ha pianta rettangolare di 10,5 x 8 metri. Sotto di essa passa l'antica strada che portava in valle Anzasca, la cosiddetta "Mulera": per percorrerla i viaggiatori dovevano pagare un dazio ai padroni della torre. Costoro appartenevano alla famiglia dei Ferrari o Ferreri, il cui nome derivava dall'"ars ferraria", cioè dalla lavorazione del ferro, di cui erano abili e ricchi imprenditori. Un'iscrizione ancora visibile all'ultimo piano della torre ci segnala le date di inizio e di fine dei lavori di costruzione: HUIS TURRIS 1594 DIE X APRILIS PRINCIPIUM 1597 DIE XIX NOVEMBRIS TECTUM (L'inizio di questa torre fu il 10 aprile 1594 e il tetto fu posto il 19 novembre 1597). Appena terminata, essa venne fatta oggetto di visita, come testimoniato dal manoscritto cinquecentesco del parroco di Pieve Vergonte, Gian Antonio Giavinelli, dal conte Renato Borromeo il 25 novembre 1598, feudatario di tutta la valle Anzasca. E' assai probabile che in quella data non fosse stato ancora realizzato il ciclo pittorico all'ultimo piano, descritto più avanti. La tradizione popolare vuole che, ai muratori e manovali che lavorarono alla costruzione della torre, venisse dato quale compenso, una misura di miglio al giorno; non vi sono invece notizie realitive al nome dell'architetto che dovette progettarla. Il committente è invece conosciuto: si tratta del signor Desiderio, causidico e notaio, figlio di Federico e fratello di Giacomo e Francesco. Costruita assieme al palazzo adiacente, che costituiva la vera residenza dei Ferreri, la torre mantenne la sua funzione almeno fino alla metà del XVIII secolo, quando, dopo l'emissione del Regio Biglietto 12 aprile 1768 da parte del nuovo governo sabaudo (subentrato nel 1733 a quello milanese), venne adibita a deposito delle granaglie in assegnazione alle popolazioni della valle Anzasca. E' probabile che a questo uso fossero adibiti i piani inferiori, e forse a quest'epoca si può far risalire l'asportazione del camino nella sala a pianterreno di cui si fa menzione in seguito. La visione d'insieme della torre mostra la funzione che essa doveva avere, cioè quella di vigilare e insieme quella di offrire un prestigioso soggiorno vista l'eleganza delle forme rinascimentali. Si può ritenere che sul luogo esistesse già dal medioevo, o forse dalla più remota antichità, una torre o una casa forte a controllo di una via assai importante che conduceva verso il passo del monte Moro e da lì in Svizzera. Quando fu innalzata l'attuale torre, cioè alla fine del XVI secolo, la necessità di vigilare non aveva più una grande importanza. La torre è costituita da cinque piani raggiungibili mediante una scala interna abbastanza ripida ed eseguita con notevole accuratezza oltre che ben illuminata. Nulla è rimasto dell'arredamento interno. Ben conservati rimangono gli stipiti delle porte che sono in pietra scolpiti a mano con segmenti retti, che ottengono un buon effetto pittorico. Persino le alzate degli scalini sono lavorate a mano con disegni simili a quegli degli stipiti, mentre le pedate sono arrotondate sulla parte a vista. Identico trattamento hanno gli stipiti e gli architravi delle finestre. Ogni piano è costituito da un unico salone, a pianta quadrata, coperto da una volta a padiglione lunettata lungo tutto il perimetro; le lunette sono talvolta sostenute da un capitello pensile o peduccio di disegno semplice ed armonioso, oppure poggiano su una fascia continua a rilievo. Al piano terreno il cui ingresso, rivolto a ovest, si apre su un piccolo cortiletto, era caratterizzato dalla presenza di un vasto camino, ora asportato, che doveva presentare i caratteri tradizionali della cappa posata su mensole e vasto architrave. Al primo piano la volta poggia su eleganti peducci in serizzo, e si trova invece un camino ornato con sagome eleganti in puro stile cinquecentesco, realizzato in serizzo. Al secondo piano il riquadro centrale del soffitto voltato è decorato a stucco in forte rilievo. Gli stilemi barocchi della decorazione, costituita da un cartiglio a svolazzi ornato di maschere e puttini e contenente lo stemma della famiglia Ferreri, denuncia di
appartenere ad un epoca posteriore a quella della prima erezione della casa. Qui le velette del soffitto non insistono più su peducci, ma su fascia continua priva di modanature e ornamenti. Il terzo piano è definibile come "il piano delle feritoie" per il gran numero di feritoie che lo contraddistingue: prima ancora di raggiungere il pianerottolo si apre a sinistra una prima feritoia, mentre sul ripiano, sempre a sinistra, un'ampia finestra a sedili ha sotto il parapetto una piccola feritoia. Pure nella parete di fronte vi sono tre feritoie, tutte disposte asimmetricamente, con scopo probabilmente decorativo. Anche le finestre della scala adiacente sono munite di feritoie.
Da notare al secondo e al terzo piano un armadio a muro ricavato nella parete in cui si apre la porta d'entrata: esso conserva l'anta in legno originale cinquecentesca; anche le porte di accesso ai saloni appaiono risalire al cinquecento, e quella del terzo piano venne successivamente foderata da uno spesso foglio di lamiera di ferro per ragioni di sicurezza. Il piano sicuramente più interessante risulta comunque il quarto, dove si trova il locale più ampio e meno alto, coperto da un semplice soffitto in legno a travi ed assito e illuminato da ben dieci finestre che, sotto al davanzale, hanno la feritoia, anche se murata, probabilmente per ripararsi dal vento. Il locale risulta essere più vasto di quelli sottostanti in quanto viene a mancare la parete divisoria con la scala. L'elemento di straordinario interesse di questa sala è quella di avere tutte le pareti decorate da un ciclo di affreschi di notevole qualità, eseguiti probabilmente un anno dopo la fine dei lavori di costruzione della torre e cioè nel 1598, data che s'intravede in una scritta inserita dall'autore in una parte dell'affresco. Purtroppo le pitture sono in pessimo stato in parte a causa dell'umidità e in parte per la tecnica usata, che è un compromesso tra l'affresco e la tempera. In molti punti il colore è caduto, ma fortunatamente ne è rimasta ben visibile la sinopia, eseguita con pennellate agili ed estemporanee. La parete è alta circa tre metri; sopra le finestre corre un fregio che si svolge su quasi tutto lo spazio perimetrale: in esso sono contenute scene di caccia ed altre di tema mitologico, che si concludono con un banchetto dove appare una tavola imbandita di selvaggina e di pani. Sotto a questo friso continuo la parete, suddivisa in settori dalle finestre, lungo i cui piedritti sono dipinti mensoloni o tripodi o sostegni di varia foggia sui quali si appoggiano busti umani o di animali in funzione di cariatide. La porzione di parete compresa tra questi elementi recava composizioni con scene mitologiche ora quasi illeggibili, mentre in posizione centrale nei lati ovest, nord e sud era dipinto una sorta di drappo steso verticalmente, a imitazione di una modalità decorativo di origine medioevale e sopravvissuta almeno fino al XV-XVI secolo. Questo ciclo pittorico rimane ad oggi anonimo; il pittore non rivela un livello culturale molto elevato, l'opera è sicuramente interessante come documento di costumi, armi e usanze di caccia della fine del '500. Rilevante anche il fatto che tutte le finestre conservano ancora il sistema originale a scuri interni, che supplivano anche alla funzione di serramento vero e proprio. Il tetto della torre è a cuspide coperta di lastre di beola; è sorretto da un sistema ad albero formato da grosse travi in legno. Mensoloni ben sagomati sostengono la gronda assai sporgente. Nei quattro spigoli si ergono eleganti pinnacoli ed uno più slanciato sul vertice: tutti reggono delle piccole croci. Interessante e curiosa appare poi la forma data ai comignoli. Per renderli funzionali, anche malgrado i venti insistenti e prepotenti che soffiavano dalla Valle Anzasca, furono pittorescamente incappucciati cosicché lo sfogo risulta diretto quasi verso il basso. Altri link consigliati: http://www.ossolanews.info/ultime/index.php/tutte/2532-la-torre-di-piedimulera-aula-straordinaria-del-corso-di-aggiornamento-delle-guide-escursionistiche, http://www.piemontedalvivo.it/home/wp-content/uploads/2013/07/PIEDIMULERA-storia-arte-tradizioni.pdf

Fonti: http://www.comune.piedimulera.vb.it/ComSchedaTem.asp?Id=24103

Foto: da http://lavalledelrosa.forumfree.it/?t=53687915 e di Marco Carnelli su http://www.panoramio.com/photo/58844611

domenica 25 ottobre 2015

Il castello di domenica 25 ottobre






AGAZZANO (PC) – Castello in frazione Castano

Castano è una frazione del comune di Agazzano dal quale dista circa 3 km. Sulla strada provinciale per Pianello dopo poco si incontra l'abitato di Castano. Il piccolo castello di Castano presenta in buono stato le torri circolari con ampie feritoie e parti di mura. L'insieme risulta alterato da costruzioni successive. Costruito nel XIII secolo, si presenta come un intreccio tra l' imponenza dello stile medioevale e la raffinatezza del Rinascimento. Al suo interno, conserva ancora i mobili d'epoca e gli eleganti affreschi. Oggi è usato come location per celebrazioni e conferenze. La prima notizia della località di Castano si trova nell'investitura concessa nel 1412 da Filippo Maria Visconti alla famiglia degli Arcelli. Infatti il Visconti creò conti della val Tidone Filippo e Bartolomeo Arcelli sopra "castelli e terre" tra cui anche Castano. Nella metà del XV secolo il castello apparteneva a Michele Guazzardi. Nel 1467 il duca di Milano investì del feudo di Castano il conte Daniele Rossi. Nel 1595 il castello venne ceduto da Giulia Rossi alla figlia Flavia che lo portò successivamente in dote alla famiglia Barattieri.


sabato 24 ottobre 2015

Il castello di sabato 24 ottobre






CASTELNUOVO BERARDENGA (SI) – Castello di Selvole

Per tutto il Medioevo e parte del Rinascimento la principale occupazione di Firenze e Siena fu di farsi la guerra. Una guerra costante, spietata, che si concluse solo nel 1599, quando la Repubblica senese, definitivamente sconfitta, cessò di esistere come stato indipendente. Le guerre, come tutti sanno, iniziano sempre dal confine tra i due stati belligeranti, che nell’alto Chianti era rappresentato dal fiume Arbia, quello stesso che Dante Alighieri affermò essersi “tinto di rosso” per il sangue versato durante la battaglia di Montaperti, avvenuta appunto nei suoi pressi nel 1260. Nulla di strano quindi che Selvole, roccaforte senese lungo il fiume Arbia, di fronte a Cacchiano e Brolio, due dei più agguerriti castelli fiorentini costruiti sul versante opposto della stessa valle (vedi mappa da una stampa del 1500 il cui originale è custodito a Selvole), sia stata ricostruita e distrutta diverse volte nel corso della sua storia. La prima menzione della località di Selvole è del 1070, e di quei tempi, attorno al 1000, sembrano essere le prime fondazioni del castello e la piccola chiesa in esso compresa. Pochi anni più tardi, nel 1203, al castello facevano capo circa 90 famiglie. Di certo tale fortilizio fu assalito nel 1230 dai fiorentini e distrutto. Furono le prime schermaglie della battaglia di Montaperti, che videro i senesi vittoriosi e che si combatté a una decina di chilometri da Selvole. In quegli anni, in parte anche per compiacere Firenze, l’intera zona divenne proprietà dei Malevolti, nobile famiglia senese, favorevole tuttavia ad un rapporto d’amicizia con Firenze, che nel catasto del 1318 risultavano proprietari dell’intera area tra Selvole e Pieveasciata. Selvole è identificata sia come “castrum” che come “villa” segno evidente che doveva esser già iniziata l’opera di ricostruzione. Nel 1413 il comune di Siena deliberò che Giovanni di Antonio d’Angelo Malevolti ricostruisse il castello a proprie spese. Già allora i Malevolti vi risiedevano, e si può immaginare che per la ricostruzione ed il restauro abbiano impiegato diversi decenni. Nel 1470 un altro esponente della stessa famiglia ottenne dal Comune una generosa sovvenzione per ricostruire la fortezza e dotarla di una torre, ancora oggi visibile. Da allora il fortilizio fu assalito altre due volte, nel 1479 e nel 1555, durante l’assedio di Siena che si concluse con la fine della Repubblica. In questo periodo Selvole riscoprì la sua vocazione di azienda agricola. Gli interventi edilizi di rilievo furono almeno due: un primo restauro, documentato da una veduta del Romagnoli dei primi dell’Ottocento, che già indica un insediamento di dimensioni notevoli, ed un secondo, alla fine del secolo scorso, migliorativo del primo. L’aspetto attuale della villa risente dei restauri di questo secondo periodo. Le ricostruzioni sembrano tuttavia esser state eseguite su un impianto precedente. Pressoché immutato l’aspetto della torre, che sembra solo leggermente più bassa rispetto al disegno ottocentesco, mentre alla chiesa di San Martino mancano i due pinnacoli della facciata e all’abside è stata aggiunta la sacrestia. Dello stesso periodo, 1700 circa,  l’affresco dietro l’altare. Attualmente la chiesa, che rimane consacrata e dipende dalla parrocchia di Vagliagli, è utilizzata per cerimonie private. Attualmente il castello, oltre ad essere la sede di un’azienda vitivinicola, ospita un agriturismo. Ecco la sua pagina su Facebook: https://www.facebook.com/Castello-di-Selvole-181254231904808/


venerdì 23 ottobre 2015

Il castello di venerdì 23 ottobre






TIONE DEGLI ABRUZZI (AQ) - Torre

Posto all’interno del parco del Velino-Sirente, Tione Degli Abruzzi è stato, soprattutto nel Medioevo, un importante luogo strategico. Su una collina, vicino alla media valle dell’Aterno è inserito nel Parco Regionale Sirente Velino, caratteristico per l’integrazione tra territorio e attività dell’uomo, in armonico compromesso tra il genius loci e lo spirito di sopravvivenza umano. Il patrimonio architettonico storico è qui strettamente connesso agli elementi naturali del terreno, quasi mimetizzato, come le tipiche Pagliare, singolari costruzioni legate alla transumanza orizzontale, ricovero estivo dei pastori agli alpeggi, che oggi ospitano i turisti. Nel nucleo abitato, costituito da cinque piccoli rioni, disposti quasi a cuore, con al centro la piazza del Municipio, si segnalano i resti del castello e una torre medievale. Nel 1209 è citata la chiesa di Santa Maria del Ponte, ma nella tassazione disposta da Carlo D’Angiò (1269) compare solo l’abitato di Tione cui apparteneva nel 1294 il villaggio di Santa Maria del Ponte. Nel 1349 Tione, che fino ad allora ricadeva nella diocesi di Valva, venne aggregata a quella dell’Aquila per volontà di Papa Clemente VII; con atto notarile del 16 Marzo 1393 fu disposta la costruzione del Castello “con mura, fossati, torri guardie e fortilizi” in località San Nicola. Nel 1498 l’abitato fu in disputa con Rocca di Mezzo e nell’infeudazione voluta da Filippo di Chalon, principe d’Orange, venne concessa a Luigi da Benagalzer (1529). Tione, possesso di Giovan Giuseppe Cantelmo Duca di Popoli (1560), fu venduto dalla Regia Corte (1563) a Muzio Rivera di L’Aquila che nel 1572 divenne barone del castello di Tione; a questi successe, nel 1578, il figlio maggiore Luca Antonio. Nel 1587 Tione venne ceduta a Ortenzio del Pezzo, nel 1669 apparteneva a Clemente Sannerio, duca di San Demetrio ed infine ai Quinzi e ai Cocco. La torre di Tione degli Abruzzi, fatta erigere nel XIV secolo con funzione di avvistamento e difesa, è collocata nella parte alta del paese. Probabilmente faceva parte di un recinto fortificato del quale oggi non rimangono tracce. E' a pianta quadrata con ingresso rialzato, nella parte esposta ad est, ed è dotata di beccatelli sulla cima. Vi si accedeva per mezzo di una scala retrattile. Dopo il 1951, in seguito ad un intervento di restauro è stato aperto un ingresso alla base. E' alta circa 20m, suddivisa in 4 piani comunicanti tra di loro per mezzo di una scala in legno. Sempre in legno sono i solai. La copertura superiore è in cemento armato. Attualmente la torre ha funzione civica in quanto ha inglobato in sé un orologio funzionante.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Tione_degli_Abruzzi, http://www.regione.abruzzo.it/xcultura/index.asp?modello=torreaq&servizio=xList&stileDiv=monoLeft&template=intIndex&b=menuTorr2781&tom=781, http://www.comune.tionedegliabruzzi.aq.it/Storia.aspx

Foto: entrambe di Adriano Di Benedetto, su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/336824 e su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/336753/view

giovedì 22 ottobre 2015

Il castello di giovedì 22 ottobre






SERRAMONACESCA (PE) - Torre di Polegro

Distante un Km. in linea d'aria a Sud-Est dell'abbazia di S. Liberatore a Majella, sorge in alto, su uno sperone roccioso ben visibile, la torre di Polegro o meglio ciò che resta di un antico castello appartenuto ai monaci di Montecassino per mezzo della prepositura stessa di S. Liberatore. L'impianto originario si fa risalire al IX secolo, mentre la torre è stata fortificata nel XII secolo ed utilizzata come punto d'avvistamento contro le incursioni saracene che terrorizzavano e depredavano l'Abruzzo fino al XVI secolo; sul posto restano le tracce dell'antico castello, con i basamenti delle mura e delle costruzioni interne e i resti diroccati della torre a base circolare. Ecco un video (di GianniDiMuzio) in cui si parla anche della torre di Polegro: https://www.youtube.com/watch?v=UVFpmgZ7Zwk. Altre interessanti foto le trovate qui: https://plus.google.com/photos/+AgriturismoilQuadrifoglioChieti/albums/6107562663565396081

Fonti: http://www.giannidimuzio.it/tesoridellamajella.htm,

Foto: entrambe da http://vecchilupi.weebly.com/alento-torre-di-polegro-castel-menardo-7-novembre-2013.html

mercoledì 21 ottobre 2015

Il castello di mercoledì 21 ottobre






CALUSO (TO) - Castello

Caluso è una comunità molto antica, sorta su un insediamento pre romano. Il centro abitato, adagiato sulle falde di un sistema di colline che lo riparano dai venti, è soleggiato ed arioso, sicché il clima è mite e la terra fertile tanto che già nel XIV sec. Pietro Avario scriveva che a Caluso il raccolto di un anno bastava per dieci a venire. Proprio per questo, e per la sua posizione strategica per il controllo del territorio il borgo fu molto conteso, specie tra i Monferrato e i Savoia, e la sua storia è ricca e movimentata, come testimoniano le poche ma significative costruzioni sopravvissute alle complesse vicende storiche, tra cui il Castello di Caluso, noto anche come Castellazzo, risalente al XIII secolo e ridotto a ruderi dagli Spagnoli sin dalla metà del XVI secolo. Da segnalare, inoltre, i resti della Chiesa di San Calocero, coeva del castello, la Porta Crealis, una delle superstiti delle quattro che vigilavano gli accessi del borgo medievale, anch’essa risalente al XII sec. (anche se ristrutturata nei sec. XIII e XIV), nonché le poderose mura di cinta. L’importante posizione occupata dal castello ha fatto sì che con il passare del tempo esso rivestisse un ruolo importante, tanto che man mano che gli anni passavano è stato dotato di dispositivi difensivi sempre più efficaci. Il castello, anticamente dipendente dal vescovo di Ivrea, passò a Guido di Biandrate nel 1224. La struttura fortificata, menzionata come castellacium in un atto del 1257 fu poi trasformata in castrum secondo quanto indicato in un altro del 1297; non si tratta di un vero e proprio castello, come quello della vicina Mazzè, ma piuttosto di una costruzione militare edificata per controllare le strade che si sviluppavano ai piedi della collina e che portavano a Ivrea e a Vische verso il Vercellese. Nel 1316 Filippo d’Acaja subentrò al Biandrate nel possesso del feudo di Caluso e, nel 1324, ne fece un importante caposaldo del partito guelfo in Canavese. Anche il Castellazzo venne rafforzato, tanto da potervi alloggiare una guarnigione di 200 soldati, fatta venire appositamente da Ivrea. Nelle guerre tra guelfi e ghibellini Caluso giocò un ruolo di primo piano; con la sua poderosa roccaforte e le robuste mura, era una spina nel fianco di Giovanni II Paleologo marchese del Monferrato, ghibellino, impegnato in una lunga e sanguinosa guerra (detta del Canavese) contro Giacomo d’Acaja, figlio di Filippo. Giovanni II tentò più volte di espugnare Caluso, inviando i suoi mercenari guidati da Facino Cane e dal Malerba, ma vi fu sempre respinto. Nel giugno del 1349 (la data più accreditata), dopo vari tentativi, alla testa delle sue truppe e accompagnato da suo cugino Ottone di Brunswick, riuscì ad entrare nel borgo e a porre l’assedio alla rocca. Caluso diventò feudo di Ottone di Brunswick, a cui Giovanni II l’aveva assegnato. Nel 1376 passò ai Valperga di Rivara, che poi presero il nome di Valperga di Caluso, che lo mantennero fino al 1537, anno in cui si insediarono gli Spagnoli, comandati dal generale Cesare Maggi, che smantellò il castellazzo temendo che cadesse in mano ai francesi. Da allora la struttura non venne più riedificata. Nel 1951 il Comune di Caluso divenne proprietario dei resti del castello, avendolo acquistato dai Mattirolo, eredi degli Spurgazzi. Iniziò un periodo di totale abbandono e ben presto tutta l’area si ricoprì di una fitta vegetazione selvatica. Nel 1980 furono compiuti lavori di disboscamento e di consolidamento del muraglione di Ponente. Oggi rimangono il muro perimetrale in pietra e altri ruderi che lasciano ancora percepire le caratteristiche della grande opera di ristrutturazione voluta dai principi d'Acaja. Qui trovate notizie sul futuro dei ruderi castellani: http://lasentinella.gelocal.it/ivrea/cronaca/2015/07/20/news/il-castellazzo-dimenticato-nessun-progetto-solo-pulizia-1.11809536. Ecco, infine, un interessante video disponibile sul web (di Albyphoto): https://www.youtube.com/watch?v=LFRTl_7fyuc

Fonti: http://www.geoplan.it/luoghi-interesse-italia/monumenti-provincia-torino/cartina-monumenti-caluso/monumenti-caluso-castellazzo.htm, http://www.comune.caluso.to.it/storia-e-leggende/item/storia.html, http://archeocarta.org/caluso-to-porta-crealis-castlas/, testo della pubblicazione "Castelli in Piemonte" di Rosella Seren Rosso (1999)
 
Foto: di maxaimone su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/383350 e di Lorenzo Pavetto su http://www.panoramio.com/user/6010583/tags/Castellazzo

martedì 20 ottobre 2015

Il castello di martedì 20 ottobre






TRUCCAZZANO (MI) - Castello Borromeo di Corneliano Bertario

Corneliano, conosciuto anche come Cornegliano Bertario o Corneliano Bertario, è un borgo medioevale in provincia di Milano ( a 25 Km dal capoluogo lombardo), appartenente al comune di Truccazzano, di cui è frazione posta a sud del centro abitato verso Comazzo. Corneliano Bertario, che è immerso nel Parco Adda Nord, risale probabilmente all'età romana. Un documento del gennaio 1023 ricorda un certo Oddone Bertario di origine longobarda abitante a Corneliano. La pieve di Corneliano risale, quindi, almeno al secolo VII d.c. e rivela l'influsso longobardo. Nell’anno 1158 Federico Barbarossa, volendo passare l’Adda col suo esercito per andare ad assediare Milano, trovò il ponte di Cassano presidiato dai Milanesi: cercò allora un guado più a sud e lo trovò a Corneliano. Nella traversata del fiume – raccontano i cronisti del tempo – perse più di duecento armati. A quel tempo l’Adda formava nella zona vaste paludi note con il nome di Lago Gerundo. Quattro anni più tardi il Barbarossa tornò a Corneliano e qui si accampò per un breve periodo. Nel 1385 Barnabò Visconti, Signore di Milano, regalò all’Ospedale Maggiore una vasta proprietà agricola e boschiva in Corneliano. Negli stessi anni il Vescovo di Lodi rivendicava il suo diritto di cavare oro dalle rive dell’Adda da Corneliano Bertario alla confluenza del Po. Di quel tempo è la parte più antica del Castello: la torre quadrata sull’angolo della piazza, con le sue massicce mura larghe quasi due metri, fatte con materiali tratti da costruzioni più antiche. Nel ‘400 e ‘500 si aggiunsero le altre parti: l’edificio che ospita il salone, il rivellino con le sue piccole mensole di pietra, il muro di sassi e il bastione, che proteggevano il Castello dalla parte dell’Adda. E infine le minuscole prigioni, con tre sole celle. La proprietà del Castello passò, negli ultimi secoli, dall’Ospedale Maggiore alla famiglia dei Bigli (intorno al 1700), poi ai Gallarati Scotti e infine ai Borromeo. Il castello è oggi un luogo ideale per eventi di vario tipo: matrimoni, meetings, conventions, ricevimenti e cerimonie, cene e incontri aziendali, mostre e attività di pubblicità. La location consente anche la realizzazione di film e spot pubblicitari, godendo di ampi spazi verdi e di scorci architettonici inediti e di notevole interesse. Il castello è dotato di un salone capace di 150 posti a sedere e di altre sale di varia misura, un parcheggio riservato e un ampio cortile fiorito di uso esclusivo, con portico coperto. Intorno al maniero si raccolgono gli antichi edifici rurali che la proprietà ha conservato nei secoli e restaurato con criteri e comfort moderni nel rispetto del valore storico e architettonico originario. Gli alloggi ricavati si affittano quali residenze fisse o stagionali. Nei dintorni del castello viene offerta la possibilità di una ospitalità di stampo agrituristico, con visite guidate su percorsi che portano ai boschi, alle zone umide create dai rami morti dell'Adda, popolati da numerosa fauna selvatica stanziale e di passo, e all'azienda agricola di famiglia.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Corneliano_Bertario, http://www.preboggion.it/CastelloIT_di_Corneliano_Bertario.htm, http://www.castellodicornelianobertario.it/template.php?pag=24435 (sito ufficiale da visitare per approdondire), http://www.corneliano.com/

Foto: da http://www.corneliano.com/ e di CDE su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/258188

lunedì 19 ottobre 2015

Il castello di lunedì 19 ottobre









COLLEGNO (TO) - Castello dei Provana

Il Castello di Collegno, situato sulla riva destra della Dora Riparia, era anticamente un feudo dell’Impero, sul quale avevano delle pretese i Vescovi di Torino. Esso costituisce il nucleo centrale del centro abitativo. Fonti storiche ne attestano l’edificazione intorno all’anno 1171, al tempo di Umberto III Conte di Savoia detto “il Beato”. L’originario impianto del complesso comprendeva cinque torri a pianta circolare con accesso attraverso un ponte levatoio, mentre sul versante verso la Dora, un profondo dirupo lo rendeva inaccessibile. L’Imperatore Federico II lo donò a Tomaso II di Savoia, Conte di Piemonte, (1248). Questa donazione fu confermata dall’Imperatore Guglielmo, successore di Federico (1252). Tomaso II fu fatto prigioniero dagli Astigiani e costretto a cedere Collegno (trattato di Torino 1257), ma l’Imperatore Riccardo respinse il trattato (Aix 1258) e Collegno tornò in piena sovranità dei Savoia Principi d’Acaja. Tomaso III con un nuovo trattato acquistò dal Marchese di Monferrato le pretese da lui vantate sul Castello e su Collegno (1280). Collegno rimase quindi ai Savoia Principi d’Acaja, che assunsero il titolo di Conti di Collegno e di Altessano (Antelmo), la cui discendenza sopravvisse fino alla fine delXVI sec. Il feudo di Collegno tornò allora alla Corona Ducale. Nel corso del secolo XIII, il castello venne in gran parte distrutto ad opera dei Torinesi, in lotta contro Tommaso di Savoia, fu ricostruito intorno alla fine del secolo per opera di Guglielmo VII di Monferrato. Carlo Emanuele I Duca di Savoia, concesse il titolo di Conte di Collegno (1599) al suo fedele Giovanni Francesco Provana di Carignano, divenuto poi Gran Cancelliere di Savoia (1602). Il Castello in cattivo stato, comprendeva la torre quadrata e il maschio circostante. I discendenti di Giovanni Francesco, Ottavio e poi Carlo e Antonio, iniziarono la costruzione del nuovo castello (con apporto progettuale di Guarino Guarini a cui è attribuita la facciata, completata intorno al 1700), e quindi, Giuseppe Ignazio affidò il progetto a Filippo Juvarra (1720 circa) e ne iniziò la costruzione, ben presto nuovamente interrotta. Questa fu ripreso solo dopo le vicende Napoleoniche e il periodo francese (restaurazione 1815), sul nuovo progetto affidato dal Conte Giuseppe Maria all’Arch. Talucchi che lo realizzò come oggi si presenta. La nipote Luisa Provana di Collegno, ultima rimasta del ramo primogenito, sposò Alessandro Guidobono Cavalchini Garofoli, Barone di San Marzanotto, Conte di Sciolze e Signore di Carbonara, di origine tortonese (1878). Tuttora il prestigioso edificio è abitato da discendenti della nobile famiglia. Dell'antica fortificazione restano pochi elementi: una torre quadrata e tratti di muratura inseriti nella successiva struttura residenziale. Da ricordare il caratteristico Rastel del Cunt ovvero l’entrata principale del castello aperta soltanto in circostanze speciali. Il castello è circondato da un ampio parco contraddistinto da piante secolari di maestose dimensioni. Altro link suggerito: http://www.vivant.it/pagine/attivita_1_5_7.htm

Fonti: http://www.comune.collegno.gov.it/amministrazione/dettaglio.aspx?a=2840,
http://www.geoplan.it/luoghi-interesse-italia/monumenti-provincia-torino/cartina-monumenti-collegno/monumenti-collegno-castello-provana.htm, http://salimei.eu/matr.html, testo sulla pubblicazione " Castelli in Piemonte" di Rosella Seren Rosso (1999)

Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, mentre la seconda è di Marco Gallo su http://www.panoramio.com/photo/1643397

sabato 17 ottobre 2015

Il castello di domenica 18 ottobre








AVIGLIANO (PZ) – Castello svevo di Lagopesole

Il castello di Lagopesole è un castello medievale di epoca federiciana situato su una collinetta alla quota di 820 m sul livello del mare posta sullo spartiacque tra i fiumi Ofanto e Bradano, in Basilicata. Con il rinvenimento degli Statuta Officiorum del Regno di Sicilia, si può asserire che nel 1242 l'Imperatore Federico II di Svevia dette inizio ai lavori di ampliamento del castello di Lagopesole, l'ultimo e il più grande delle sue costruzioni. Il castello, realizzato in conci di pietra arenaria, conserva ancora oggi la struttura originale. Tenendo presente il suo amore per la caccia e per la natura, Federico II, fece di questo luogo dimora prediletta. Il complesso fu dimora ideale di Manfredi, figlio di Federico II, che privilegiò Lagopesole alla capitale del suo regno, Palermo. Lo stato presente del castello, restaurato negli anni novanta, riflette le modifiche apportate al progetto normanno-svevo da Carlo I d’Angiò, che utilizzò la costruzione soprattutto come prigione di lusso (vi rinchiuse fino alla morte Elena Angelo Comneno di Epiro, moglie di Manfredi, e i suoi figli). La bellezza del castello di Lagopesole venne apprezzata anche da Carlo I d’Angiò, che oltre a completarne la costruzione lo frequentò per lunghi periodi, dotandolo di un acquedotto, di scuderie e di una sorta di «piscicoltura» medievale: il re angioino fece  trasportare in appositi barili, e gettare nel laghetto antistante alla reggia, qualcosa come diecimila anguille, pescate nei laghi di Versentino e Salpi. Successivamente, nel corso dei secoli il palazzo andò incontro all’abbandono e al degrado. Nell'Ottocento il castello fu rifugio dei briganti capeggiati da Carmine Crocco, che il 7 aprile 1861 lo occupò con 400 uomini. Il castello, a pianta rettangolare (grande 96 x 58 metri, più o meno quanto un campo da calcio) e racchiuso fra quattro torri angolari, all’esterno appare chiuso da un poderoso muro a bugnato. Il complesso è diviso a sud da una cortina muraria che collega internamente la parte residenziale attraverso un matroneo che si affaccia sulla cappella. Gli ambienti residenziali si raccolgono su due livelli e su tre lati intorno a quello maggiore, nella zona settentrionale dell’edificio. Vi sono due cortili: il minore, di epoca altonormanna, conserva al centro un mastio (donjon) quadrato che curiosamente è fuori asse rispetto al resto della struttura, che indica che molto probabilmente è anteriore alla costruzione del castello antistante. La torre è caratterizzata da una muratura bugnata nella parte superiore, fatto tipico per l'architettura sveva, in questo caso l'edificio è molto probabilmente risalente all'epoca di Enrico VI di Svevia. Anche le due teste (un uomo e una donna) scolpite lì fanno pensare ai castelli degli Svevi nell'Alsazia, costruiti nella fine del XII secolo. È da notare anche la compattezza dell'edificio, tipica dei castelli federiciani. Solo tre feritoie, infatti, si aprono sulle pareti sud, est ed ovest, mentre su quella nord c'è l'unico possibile accesso, a circa quattro metri dalla quota di calpestio, cui corrispondono due grandi mensole in pietra (probabili basi d'appoggio per un passaggio mobile) ed altre due mensole figurate nella parte superiore. Il cortile maggiore, risalente all'ampliamento iniziato da Federico II di Svevia nel 1242 sui resti di precedenti costruzioni normanno-sveve (a scopo militare) ed angioine (a scopo residenziale), include una vasta cisterna ed una grande cappella, che conserva il portale originale realizzato forse, da Mele di Stigliano il quale lavorava nei cantieri siciliani di Federico II. Proprio quest'ultima è una peculiarità che contraddistingue questo castello da tutti gli altri attribuiti a Federico II di Svevia; infatti la presenza al suo interno di questo luogo di culto è l'unico esempio tra tutti quelli risalenti a quell'epoca imperiale. La chiesa, in un austero stile romanico che i restauri effettuati negli ultimi anni del XX secolo hanno portato alla luce nel suo originario aspetto, ha un abside semicircolare e l'entrata decorata con il motivo dei denti di sega, tipico dell'età angioina. Gli ampi saloni del castello sono caratterizzati dalla presenza di mensole scultoree che reggevano gli archi a sesto acuto, abbelliti inoltre di bifore e monofore. Oggi, proprietà del Demanio dello Stato, inserito all'interno della Riserva Nazionale Antropologica "Coste Castello" gestita dal Corpo Forestale dello stato, è del tutto restaurato. Il castello ospita numerose attività culturali e dal 2000 accoglie l'Antiquarium realizzato con i materiali medievali rinvenuti durante le campagne di scavo effettuate nel cortile minore. Nel 2012 è stato scelto come set per la fiction “Il generale dei briganti” di Paolo Poeti. Aperto al pubblico tutto l'anno, sabato e domenica compresi, è meta di tantissimi visitatori dall'Italia e dall'estero. Le leggende della valle di Vitalba raccontano che Federico I Barbarossa, in vecchiaia, si ritirò nel castello di Lagopesole, afflitto da una deformità congenita che lo costringeva a nascondere delle orecchie allungate e puntute sotto una fluente capigliatura. Affinché nulla trapelasse di questa imbarazzante situazione, i barbieri chiamati nella sua dimora e incaricati di raderlo, al momento di lasciare il castello incappavano in un apposito e letale trabocchetto approntato in una torre alla fine di un lungo corridoio. La tradizione, pur senza riferirne il nome, racconta che un giovane barbiere, forse meno sprovveduto degli altri, riuscì a sfuggire all’agguato mortale, e ad aver salva la vita a patto che non avesse fatto parola di quanto a lui noto riguardo alla deformità dell’imperatore. La promessa venne mantenuta .... in parte: il barbiere ci teneva alla pelle, fors’anche a mantenere la parola data, ma cercava uno sfogo per quel segreto straordinario. Lo trovò in un luogo isolato delle campagne di Lagopesole, scavando una profonda buca nel terreno, e gridandovi a squarciagola la storia che nessuno doveva conoscere. Dopo qualche tempo, in quel luogo, crebbero delle canne che, agitate dal vento, rimandavano il segreto dell’imperatore ai quattro angoli della terra come una canzone: “Federico Barbarossa tène l’orecchie all’asinà a a a a ...”! Strano a dirsi, ma è un famoso ritornello ripreso in tanti canti popolari di questa zona..... Chi non crede alle storie soffiate nel vento, può sempre accontentarsi di osservare la mensola in forma di testa maschile scolpita sul donjon del castello sopra il suo ingresso: è una testa coronata, con due grandi orecchie a punta in bella vista, in cui la tradizione riconosce ancora una volta il nonno di Federico II, istituendo per quel poco lusinghiero attributo addirittura un parallelo con re Mida. Secondo un’altra leggenda, vi sarebbero notti, a Lagopesole, specie quando la luna è piena e con il suo chiarore diffuso sigilla rumori e colori rendendo immobile la campagna circostante, nelle quali una luce più intensa appare e scompare in corrispondenza del castello, accompagnata da lamenti, invocazioni e singhiozzi disperati. Si dice anche sia Elena degli Angeli, la principessa venuta dal mare, la sposa felice di Manfredi di Svevia, che torna nel luogo che vide la sua felicità, ma anche la sua resa, a cercare il suo amato e i suoi figli perduti per sempre. Si dice ancora che negli angoli della campagna meno illuminati da quella luna Manfredi, all'oscuro di tutto, vaghi anch’esso alla ricerca ormai inutile e vana della sua felicità perduta, su un magnifico cavallo bianco e avvolto da un lungo manto verde, e lo si possa incontrare aggirandosi intorno al castello. Diversi siti web parlano di questo importantissimo castello nel sud dell’Italia, tra questi segnaliamo i seguenti: http://www.icastelli.it/castle-1235856553-castello_di_lagopesole-it.php, http://www.allacortedifederico.com/. Infine, ecco un interessante video (di Canaletv di Basilicata) dedicato al maniero federiciano: https://www.youtube.com/watch?v=xu4F4Gh55o0


Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, la seconda è presa da http://www.basilicatashop.com/images/castello-lagopesole-2.jpg, infine la terza di Viagginanopress su http://www.matera31.it/la-basilicata-e-i-suoi-castelli-la-provincia-di-potenza/