venerdì 31 gennaio 2020

Il castello di venerdì 31 gennaio






SALERANO SUL LAMBRO (LO) – Castello Vistarini

La località fu attestata per la prima volta nel 1122, con il nome di Salarianum vicus. Riguardo all'origine del nome, la versione più accreditata, lo vuole derivante da "sale", perché in questo luogo le barche che risalivano il Lambro trovavano approdo per lo scarico e per il pagamento del dazio. Nel Medioevo fu dapprima feudo dei Capitanei di Salerano, poi, dal 1307 al 1685 dei Vistarini, nobile famiglia lodigiana. Successori dei Vistarini nel possesso di Salerano furono i Sommariva, che, fino al primo decennio del Novecento mantennero il titolo di Marchesi di Salerano. Il castello, la cui costruzione si fa risalire al XVI secolo e chiamato “Castello Vistarini” perché appartenuto fino a metà del secolo XVIII alla nobile famiglia lodigiana, è impostato secondo un impianto planimetrico a forma di "C" asimmetrica. Ai tre angoli sono posizionate le torrette. Le strutture verticali sono realizzate in muratura continua rivestita da uno strato di intonaco; lo spessore murario dei muri esterni è mediamente superiore agli 80 cm. Le coperture dei corpi principali sono costituite da tetti a due falde simmetriche, mentre quelle delle torrette sono a padiglione a pianta quadrata. Il manto di copertura è in coppi. Oggi una parte dell’edificio ospita la Biblioteca Comunale (occupa la torre maggiore e si sviluppa su due piani).

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Salerano_sul_Lambro, http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/LO620-00042/?view=luoghi&offset=5&hid=5.220&sort=sort_int, https://www.comune.saleranosullambro.lo.it/uffici-comunali/biblioteca/

Foto: la prima è presa da https://www.ilcittadino.it/primopiano/2016/04/02/il-viaggio-tra-i-castelli-sbarca-a-salerano/ALO2fmsJWKfPqrJCbj7dx3/index.html, la seconda è di jimmylu su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/235819/view

giovedì 30 gennaio 2020

Il castello di giovedì 30 gennaio




ZUMPANO (CS) - Palazzo Ritacca-Valentini

Si trova nella piazza antistante la chiesa di San Giorgio Martire ed è attualmente la sede del Comune di Zumpano. La costruzione attuale differisce notevolmente da quella originaria essendo stato il palazzo rimaneggiato più volte ed avendo subito danneggiamenti in seguito ai numerosi terremoti che nei tempi hanno colpito la regione (molti edifici andarono in rovina nel terremoto del 1184, assai funesto per Cosenza ed in quello catastrofico del 27-28 marzo e dell'8 giugno 1638). Da alcuni elementi architettonici e strutturali si può far risalire l'epoca dell'edificio intorno all'anno 1000. Sorto su precedenti fondazioni conserva tracce della primitiva struttura nell'attuale sala polifunzionale e nel sottoportico che collegava il palazzo ad un vicoletto dell'odierna via Roma. Solo intorno al XV secolo venne eretto il primo piano con un ordine di finestre ad arco ancora visibile sulla muratura prospiciente via Roma, cominciando ad assumere la conformazione di "palazzo". Nel secolo XVII si aggiunse il secondo piano e nel XVIII secolo, secondo la tradizione popolare, un terzo piano attualmente non più esistente. L'edificio costruito in pietra locale mista a cemento segue l'andamento della strada principale. Ha un portale lapideo con arco a tutto sesto e decorazione alla chiave di volta. Nella sagoma delle finestre, costituita da una traversa orizzontale lignea(sovrastata da mattoncini rossi) sorretta da piedritti ad asse verticale in tufo calcareo delle cave di Mendicino, si è avvertita la necessità fondamentale di risolvere con intuizione artigianale, i problemi statici connessi ai frequenti terremoti. Emblema della storia e delle tradizioni locali, si suppone che originariamente non doveva essere una palazzo nobiliare bensì una sorta di deposito per la comunità di profughi cosentini scampati alle invasioni saracene. Non è noto chi siano stati i proprietari nel corso dei primi secoli. Nel XV secolo fu probabile dimora di una nobile famiglia denominata "Angiò". Nel corso del XVI secolo fu sede di corte giudiziaria, vi fu praticata giustizia sommaria a causa di briganti che infestavano il territorio. La tradizione popolare racconta che le teste mozzate dei malviventi venivano esposte alle finestre del palazzo. Nel 1830, uno dei più illustri personaggi di Zumpano, il patriota risorgimentale Angelo Ritacca, vi stabilì la sede di una delle prime Vendite Carbonare della provincia cosentina. Le fonti storiche più recenti indicano infatti come proprietari del palazzo dalla fine del 1700 a circa l'intero 1800, la famiglia Ritacca. Si ignora il motivo per cui gli eredi di Angelo Ritacca caddero in rovina; il cospicuo patrimonio familiare fu in parte espropriato e messo all'asta, in parte venduto per necessità. I figli all'epoca minori di Pietro Ritacca (a sua volta figlio di Angelo): Carolina, Pasquale, Maria Candida e Rosa furono costretti a vendere per la somma di £10.000,00 il suddetto palazzo e altri immobili, che furono acquistati il 17 settembre 1889 da Pasquale Valentini. Della famiglia Ritacca si persero le tracce. A quell'epoca, palazzo Ritacca, aveva le caratteristiche di una ridente costruzione signorile, ampia, accogliente e luminosa che si affacciava sulla piazza e disponeva all'interno di una corte comune; gli spazi comuni erano infatti abbastanza numerosi e diffusi mentre i vani a cui spesso si aggiungeva un "orticello" erano di solito pochi, l'edificio infatti era suddiviso in più parti, comunemente detti "quartini". Venne affittato a più famiglie, la maggior parte delle quali "allargate", nel senso che i nuovi nuclei familiari che venivano a costituirsi col matrimonio spesso restavano sotto il tetto di una delle famiglie di provenienza. Molte delle famiglie di cui si ha notizia vivevano delle proprie risorse in quanto l'attività prevalente di quel periodo era quella agricola. Al di fuori dell'abitato, in uno o più spazi comuni, venivano riversati rifiuti di ogni genere. Disponeva inoltre di numerosi annessi: casalini, legnaia, pagliaio, stalla, frantoio, cisterna e forno, contigui oppure distribuiti nelle vicinanze, spesso luoghi di aggregazione comune. Il palazzo appartenne alla famiglia Valentini fino al 1986, anno in cui fu acquistato dal Comune di Zumpano ed in seguito completamente ristrutturato. Nel tempo lo stabile venne adibito ad altre funzioni, oltre che ad abitazione. Altro link suggerito: https://www.calabriaportal.com/zumpano/4034-zumpano-palazzo-ritacca-valentini.html,

Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Zumpano#Monumenti_e_luoghi_d'interesse

Foto: la prima è di Mauriziogiraldi su https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Palazzo_ritacca_a_Zumpano.jpg, la seconda è presa da https://wesud.it/inaugurata-a-zumpano-la-biblioteca-dei-ragazzi/

mercoledì 29 gennaio 2020

Il castello di mercoledì 29 gennaio





GENGA (AN) – Castello

Le origini del Comune di Genga, e in particolare del castello di Genga, si perdono nell’oscurità dei tempi. Poetiche leggende ne riporterebbero la nascita ai tempi di re Pirro, allorché il militare Lucio Sentinate, che aveva combattuto a fianco di tale re e poi con i romani, acquistò il monte Giunguno e vi edificò il castello di Genga. Un’altra leggenda vede le origini di tale insediamento dall’unione della giovane Genga con il militare tedesco Gallo, dal cui matrimonio ebbe inizio la dinastia dei Conti della Genga. Più attendibili le ipotesi di popolazioni provenienti dalla Valle del Sentino, forse gente picena, che insieme agli umbri occuparono tutto il Piceno Annonario; a riguardo soccorrono anche scoperte come le stazioni eneolitiche di Pianello e di Colleponi che inducono alla convinzione e alla credenza che un’antica stirpe giunta dalla Valle dell’Esino, risalì il fiume Sentino per stabilirsi nell’attuale territorio del Comune di Genga. Nel 386 a.C. il territorio fu invaso dai galli senoni cacciati poi dai romani che inglobarono Genga all’interno del territorio del Municipium di Sentinum, poiché aperto su quest’ampia vallata. Nel secolo decimo, quando Sentinum fu abbandonata a seguito delle incursioni barbariche, gli abitanti si rifugiarono nelle zone più remote e meno accessibili della circoscrizione municipale; in quei luoghi i più abbienti costruirono poi i loro castelli dando origine agli attuali agglomerati. Ammissibile è quindi l’ipotesi che il castello di Genga, capoluogo comunale, abbia avuto origine da questa contingenza storica. I documenti non soccorrono compiutamente, ma sembra che una cittadella preesistesse alla illustre famiglia dei Conti i quali l’acquistarono in seguito dai monaci dell’abbazia di San Vittore delle Chiuse, che ne avevano la proprietà, nel 1090 per mezzo di un contratto d’enfiteusi che poi fu rinnovato nel 1215 a favore di Gandolfino, figlio di Simone. Di certo è da questa data che la storia del Comune di Genga divenne inseparabile da quella dei Conti della Genga che governarono tale luogo fino ai tempi napoleonici e alla cui famiglia appartenne papa Leone XII; anche lo stemma del comune è quello antichissimo dei suoi Conti: l’aquila nera incoronata d’oro in campo azzurro. Le vicende di Genga, da questo momento, si compendiano in una lotta secolare tra i suoi signori e la comunità di Fabriano per il possesso del castello. Nel 1216 i fabrianesi misero per la prima volta i piedi nel territorio di Genga; nel 1218 il feudo di Genga fu concesso alla repubblica di Fabriano per il compenso di centoventi libre ravennati a cui seguì una lunga serie di contrasti che diedero seguito alla stipula di patti pubblici dove sì stabili che il castello doveva essere soggetto a pagare dazi, pedaggi e altri balzelli alla città di Fabriano. Nel 1348 la città di Fabriano si pone sotto la giurisdizione di Ludovico d’Ungheria e con essa anche Genga; solo nel 1356 gli abitanti di Genga promisero onestà e obbedienza al podestà di Fabriano. Nel 1435, a seguito della strage dei Chiavelli, signori di Fabriano, il dominio di Genga tornò nelle mani degli antichi feudatari, i Conti della Genga. Questa nobile famiglia riuscì a conservare il suo potere fino al 1816, anno in cui Pio VII invitò i feudatari del suo stato a rinunciare alle giurisdizioni baronali. Sotto il Regno italico Genga, unita a Pierosara, diviene per la prima volta comune, dipendente da Sassoferrato, per poi assumere la pienezza dell’autonomia comunale nel 1860. L’antico nucleo fortificato di Genga, che si snoda con andamento ellittico su tutta la cima della collina, è piccolo ma molto interessante. Si entra da una porta ad arco a tutto sesto, un tempo fortificata dalla presenza di un vicino torrione e grazie al dislivello del terreno su cui è arroccato il fortilizio. Gli edifici sono costruiti in pietra calcarea bianca e rosata, che conferiscono al castello un aspetto austero ma aggraziato. Sulla piazza principale si trova l’antico Palazzo dei conti Della Genga, che con la sua mole compatta costituisce l'elemento più significativo del castello, svolgendo quasi la funzione di cassero. Oggi nel palazzo si trova la sede del Comune e del Consorzio Frasassi, l’ente che amministra le famose Grotte. Altri link suggeriti: http://www.fabrianostorica.it/fortificazioni/dintorni/genga.htm, https://www.youtube.com/watch?v=EgvF4keHiw8 (video di The most beautiful places in Italy), https://www.youtube.com/watch?v=8buwotJN4lc e https://www.youtube.com/watch?v=zpvMi6zwhsY (entrambi video di Gabriele1979)

Fonti: http://www.luoghidelsilenzio.it/marche/07_castelli/01_ancona/00025/index.htm, http://www.parcogolarossa.it/museopiazza/index.php?option=com_content&view=article&id=184%3Ail-castello-di-genga&catid=77%3Acosa-visitare-a-genga&Itemid=100&lang=it,

Foto: la prima è presa da http://www.luoghidelsilenzio.it/marche/07_castelli/01_ancona/00025/index.htm, la seconda è presa da https://www.iluoghidelsilenzio.it/wp-content/gallery/castello-di-genga-an/genga_14.jpg

Il castello di martedì 28 gennaio





ALASSIO (SV) - Torre Saracena e Torre di Vegliasco

La fondazione di Alassio risalirebbe tra il X e l'XI secolo quando in prossimità della chiesetta di Sant'Anna ai Monti sorse il primo nucleo - il Burgum Alaxii - ed altri nuclei familiari si stabilirono sulla collina retrostante presso l'attuale borgata Madonna delle Grazie, nel luogo conosciuto da allora come Castè. Qui si può ancora vedere uno dei più antichi stemmi di Alassio. Il feudo nell'XI secolo fu in possesso dei monaci benedettini - provenienti dall'isola Gallinara - e quindi sotto il controllo del Comune di Albenga, che lo acquistarono dai religiosi nel 1303, e con un'amministrazione ingauna che perdurò sino al XVI secolo. Nel 1521 a seguito delle continue incursioni piratesche furono costruite le prime mura di cinta da porre come difesa del nucleo abitativo. Entrato quindi a far parte dei territori della Repubblica di Genova partecipò nel 1528, con diciotto galeoni, alla guerra contro la Francia ottenendo da Genova ampie autonomie specie nel settore economico. Nel 1540 divenne sede della locale podesteria e la repubblica genovese incentivò gli scambi commerciali con la Francia, Spagna, Portogallo, Sicilia, Sardegna e Paesi Bassi facendo così del borgo marinaro alassino un importante centro commerciale; come altri paesi costieri della Liguria fu particolarmente attiva la raccolta e il commercio del corallo rosso. Partecipò alla battaglia di Lepanto del 1571 con un'intera flotta navale. Nel 1625, durante il periodo di ostilità tra lo Stato genovese e il Ducato di Savoia, fu temporaneamente occupato dalle truppe sabaude che vennero poi sconfitte dai soldati genovesi. Al 1659 risalgono i Capitoli politici di Alassio. Con la successiva dominazione napoleonica venne creata la municipalità di Alassio che rientrò dal 2 dicembre 1797 nel Dipartimento del Letimbro, con capoluogo Savona, all'interno della Repubblica Ligure. Dal 28 aprile del 1798 fece parte del I cantone, come capoluogo, della Giurisdizione di Capo delle Mele e dal 1803 centro principale del V cantone del Capo Mele nella Giurisdizione degli Ulivi. Annesso al Primo Impero francese dal 13 giugno 1805 al 1814 venne inserito nel Dipartimento di Montenotte. Nel 1815 Alassio fu inglobato nel Regno di Sardegna, così come stabilì il Congresso di Vienna del 1814, e successivamente nel Regno d'Italia dal 1861. Nel territorio alassino sono presenti due torri d'avvistamento, tra cui il più celebre è il "Torrione Saraceno" o "Torrione della Coscia". Si tratta di una struttura difensiva costruita a picco sul mare, in posizione strategica, per difendere la cittadina ligure dalle incursioni marittime. Nel 1521 la Repubblica di Genova iniziò la costruzione della cinta muraria, che aveva andamento irregolare ed era rinforzata da piccoli bastioni sul versante a monte e verso le città adiacenti. Sul lato di mare il borgo era protetto da diversi bastioni, tra cui il torrione a difesa del rione della Coscia, simile alle torri di Laigueglia, di Andora e di Ceriale. Il Torrione è a pianta circolare, in muratura mista di pietra e mattone, con alta scarpa e terrazzo soprastante, protetto da parapetto soprelevato verso monte, in origine munito di feritoie. La base comprende un piano terreno e un primo piano con soffitto voltato molto spesso. Con il restauro degli scorsi anni Quaranta è stato realizzato un avancorpo con portale, che sostituisce l’antica scala originale e consente l’accesso al piano terra. Indubbiamente oggi il Torrione Saraceno è a diritto uno dei simboli cittadini. L’edificio è oggi una residenza privata.
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Di origine molto più antica è la Torre di Vegliasco dove il primo proprietario fu Aleramo del Monferrato. Raffigurata nello stemma cittadino, si erge a mezza costa, in posizione dominante sul golfo di Alassio. Si presenta a forma conica, la cui sommità è abbellita da una corona caditoie. Rivestita dello spesso intonaco bianco originale di quando era stata costruita, oggi ovviamente mostra i segni del tempo. Nella base si trova un vano con volta ad ombrello. La parte superiore del corpo cilindrico con base a scarpa, poco accentuata e bassa, è tipica delle fortificazioni cinquecentesche. La torre, nota come “Torre di Adelasia” è molto simile a quella esistente sull’isola Gallinara. A circa tre metri da terra si trova una porta rettangolare protetta da una robusta inferriata, azionata con movimento levatoio. Sull’architrave c’è un bassorilievo di pietra che rappresenta una donna. E’ Adelasia, la figlia dell’imperatore Ottone I, che aveva sposato Aleramo, figlio del Duca di Sassonia e coppiere di corte. La leggenda racconta che le nozze tra i due non avevano incontrato il favore dell’Imperatore e la coppia, per sottrarsi alle ritorsioni, fuggì dalla Germania e alla fine trovò rifugio proprio in questa zona, ai piedi del monte Tirasso. All’interno del corpo cilindrico, nello spessore del muro, un’angusta scaletta a chiocciola di pietra conduce ai due piani soprastanti, con volta a cupola, e al terrazzo di copertura costituito da un parapetto piatto, con caditoie e beccatelli. Alcuni di questi sono decisamente vetusti e avrebbero bisono di un urgente intervento di manutenzione. Altri link suggeriti: https://www.ilturista.info/ugc/info/da_visitare/1873-Il_Torrione_Saraceno_o_della_Coscia_ad_Alassio/ , http://www.savonanews.it/2006/09/12/leggi-notizia/argomenti/attualit/articolo/alassio-il-rilancio-della-torre-di-adelasia.html, https://www.facebook.com/alassioriviera/videos/2371137439806036/ (video di Alassio Italian Riviera)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Alassio, http://www.alassio.net/559/hotel-case-sul-mare-pietra-ligure/le-grotte-di-valdemino/, testo di Giò Barbera su https://www.ivg.it/2015/12/la-torre-di-vegliasco-vista-da-un-drone-alla-scoperta-della-storia-di-alassio/, http://xoomer.virgilio.it/navigatori/navigatori_and/modulo04/TORRE%20DI%20VEGLIASCO.htm

Foto: la prima, relativa al torrione saraceno, è presa da http://www.visititaly.it/info/969576-torrione-saraceno-o-torrione-della-coscia-alassio.aspx, mentre la seconda (relativa alla torre di Vegliasco) è di alfiere nero su https://it.wikiloc.com/percorsi-escursionismo/torre-pisana-santuario-della-guardia-e-torre-di-vegliasco-anello-da-alassio-25736527

domenica 26 gennaio 2020

Il castello di lunedì 27 gennaio



SASSUOLO (MO) - Castello in frazione Montegibbio

Il fortilizio si innalza su un poggio nelle prime colline dell'Appennino Modenese a sei chilometri da Sassuolo nel borgo medioevale di Montegibbio. Cinto da un romantico parco all’inglese, che si estende per circa 30 ettari ed è a sua volta immerso nel morbido paesaggio agricolo circostante, è un complesso castellano di origini medievali tra i più suggestivi della provincia di Modena. Le prime fortificazioni del Mons Gibus o Gibulus (monte gibboso, gobbo), risalgono probabilmente all’inizio del X secolo, quando i canonici della cattedrale di Parma si adoperarono per difendere i propri territori, sulla riva orientale del fiume Secchia, dalle scorrerie degli Ungari. Con ogni probabilità, stando anche allo stato attuale, queste strutture difensive si adattarono alla conformazione del rilievo collinare, conferendo al complesso una forma ellittica, sviluppatasi attorno allo spazio della corte. Ai canonici parmensi si riferiscono anche l’atto del 980 con cui l’imperatore Ottone II conferma loro tali possedimenti, prima testimonianza scritta relativa all’esistenza del Castellum de Monte Gibuli, e quello analogo del 996 stilato dalla cancelleria dell’imperatore Ottone III. Entrato all’interno dei vasti possedimenti di Bonifacio di Toscana e di sua figlia Matilde di Canossa, il castello di Montegibbio divenne parte di una triplice cerchia di castelli ubicati sulle colline modenesi e reggiane a difesa dei territori canossiani e dei relativi collegamenti viari. All’inizio del Trecento, Montegibbio fu occupato dai nobili guelfi Della Rosa, signori di Sassuolo, che utilizzarono il castello per difendere il proprio feudo, minacciato dalle mire espansionistiche del ghibellino Passerino Bonaccolsi, governatore di Modena. A tal scopo, nel 1321, furono costruite nuove mura e scavate profonde fosse, ma nel 1325 Francesco Bonaccolsi, figlio di Passerino e alleato dei Visconti, prese Montegibbio e ne ordinò la distruzione. L’anno seguente, conquistato nuovamente il territorio dal guelfo Versuzio Lando, Montegibbio fu restituito ai Della Rosa, che ricostruirono il castello e ripresero a governare sul territorio fino al 1375, quando gli abitanti si assoggettarono spontaneamente agli Este. Solo dall’inizio del XV secolo, però, gli Este consolidarono definitivamente il loro dominio anche su Montegibbio che, come comune autonomo, fu compreso nella podesteria di Sassuolo. Assieme a Sassuolo, Montegibbio fu dunque ceduto a Giberto Pio di Savoia nel 1499, ma già nel 1501, a seguito di un terremoto, il castello fu gravemente danneggiato e quasi completamente abbandonato. Ancora in rovina, come testimoniato dalla rappresentazione tardo cinquecentesca nella Sala delle Vedute del Castello di Spezzano, a seguito della morte di Marco III Pio di Savoia nel 1599, nel 1609 ritornò possedimento della Camera ducale estense che, nel 1636, lo cedette ai Boschetti, nobili di Modena, dopo aver elevato il territorio al titolo di marchesato. Fu il marchese Girolamo Boschetti, alcuni anni dopo, a ricostruire il castello sui ruderi delle precedenti fortificazioni, erigendo il palazzo marchionale “sopra un colle delizioso e praticabile anche in carrozza, con circa venti camere”, come indicato in un documento dell’epoca. In questa occasione fu aperto un nuovo e più ampio portale di accesso alla corte, tamponando quello medievale, in arenaria, sul cui stipite sinistro si trova ancora una medievale figura apotropaica. Nel 1676, il castello tornò alla Camera Ducale estense che, nel 1696, lo cedette al marchese Ottavio Spolverini di Verona. In quest’epoca il complesso è descritto come “un Palazzo grande posto e situato entro il recinto delle muraglie del Castello di Montezibio coi suoi uscii e finestre con l’invetriate adesso circondate da un Giardino, che continua intorno a detto castello”. Venuta a mancare la discendenza diretta, nel 1762 tornò alla Camera Ducale e, dal 1767 al 1797, anno in cui furono aboliti i feudi, appartenne a Luigi Canonici, nobile ferrarese, a cui fu conferito il titolo di marchese di Montegibbio. Divenuto proprietà della famiglia Nanni nel corso della prima metà dell’Ottocento, sotto ai quali fu abbassata di quota l’antica torre, passò nel 1851 alla ricca famiglia Borsari di Finale Emilia, che lo destinò a residenza di villeggiatura. Proprio ai Borsari, tra il 1851 e il 1872, si deve l’ultimo cospicuo intervento edilizio che tuttora caratterizza il complesso: l’ampliamento e la sopraelevazione del palazzo marchionale, la riqualificazione degli interni, arredati e decorati in un sontuoso stile eclettico, e l’edificazione di nuovi edifici di servizio. Passato ai Giovanardi di Montegibbio nel 1971, fu acquisito dal Comune di Sassuolo e, in quote minori dal Comune di Modena e dalla Provincia di Modena, nel 1972. Tramite un suggestivo portale seicentesco, si accede alla corte ellittica dove sorgono il mastio medievale, il palazzo marchionale e la chiesa barocca di S. Pietro. Il portale d'accesso si trova al termine della salita che collega il parcheggio al castello. E' una struttura in stile barocco, aperta e realizzata nel corso del '600. In alto, al centro, era collocato uno stemma. Il portale più antico si trova ancora, tamponato, sulla sinistra dell'attuale. Realizzato in pietra arenaria, conserva una piccola immagine scolpita di un santo: una figura con funzione di protezione del luogo dai nemici e dalla cattiva sorte. Da qui si ha una visione completa del mastio, la torre principale del castello. Quest'ultima, che prende il nome di "Mastio", è la struttura più alta di tutto il castello. Conserva ancora le cicatrici medievali come, ad esempio, il portale sopraelevato in pietra. Abbassata nel corso delle ristrutturazioni da parte delle famiglie nobili proprietarie del castello, conserva all'ultimo piano (non visitabile) una piccola sala completamente affrescata di azzurro. I piani sottostanti, compresa la volta della sala da pranzo, sono andati perduti dopo il crollo dei piani interni alla torre causati da un problema statico dell'edificio stesso. Per questo motivo l'intera torre è stata "imbrigliata" e consolidata tramite tiranti. Il palazzo marchionale è il cuore della parte nobile del castello. Conserva al suo interno molti arredi, a differenza della maggior parte di palazzi e castelli che sono stati predati dei propri averi nel corso della storia. Ricostruito dopo il terremoto del 1501 dai conti Boschetti di Modena, dopo vari passaggi di proprietà, è stato acquistato nel corso dell' ottocento dalla famiglia Borsari di Finale Emilia che hanno compiuto le ultime grandi ristrutturazioni del complesso. La chiesa del castello di Montegibbio, costruita come cappella privata del complesso e proprietà delle famiglie nobili è diventata successivamente Parrocchiale di Montegibbio intitolata a San Pietro Apostolo. E' una piccola chiesa con una struttura a 3 navate. La prima parrocchiale del paese, ora oratorio, si trova in una borgata nei dintorni ed è intitolata a San Marino. Il nucleo d’arredi comunali di maggiore fascino è forse proprio quello conservato nel Castello di Montegibbio. Questo antico maniero, infatti, mantiene pressoché intatto l’arredo, improntato dal décor sontuoso e confortevole proprio delle dimore aristocratiche e altoborghesi fra Otto e Novecento. Commissionato dai nobili Borsari, cospicui possidenti di Finale Emilia che curarono il restauro del castello nei modi del revival neomedievale, secondo la moda dell’epoca il mobilio aderisce all’eclettismo stilistico, privilegiando la riproposizione di stili diversi, pur nella predominanza di un opulento e ridondante gusto “umbertino”. Il sito è rimasto temporaneamente chiuso a seguito del sisma del maggio 2012. Il 4 settembre 2016 vi si è tenuto il primo "Montegibbio Memorial Festival", capofila di altre numerose iniziative svolte nel corso degli anni successivi come i Mercatini di Natale nella corte del Castello, cene e pranzi di beneficienza, aperture del castello con visite guidate, appuntamenti enogastronomici e tanto altro. Nell' aprile 2018 il ministero dei Beni Culturali ha stanziato per il recupero e la messa in sicurezza delle strutture del 4 milioni di euro, concessi e suddivisi nel corso degli anni successivi. Dal novembre 2019 il castello di Montegibbio è divenuto interamente di proprietà del comune di Sassuolo. Attualmente è possibile visitare il parco, la corte - utilizzata come detto per eventi culturali e concessa in uso ai privati da Sassuolo Gestioni Patrimoniali srl per lo svolgimento di feste, banchetti e cerimonie – e l’Acetaia Comunale, previa prenotazione, mentre il palazzo marchionale - salvo eventi straordinari - è chiuso al pubblico, in attesa di restauro e di una nuova destinazione culturale. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=RhBfhM4jbwg (video aereo di Drone4Passion), https://www.youtube.com/watch?v=sZubGjqRWnI (video aereo di matteo popper 22), https://www.youtube.com/watch?v=Qv_WtsFaliw (video di Antonio Miglioli)

Fonti: https://www.comune.sassuolo.mo.it/aree-tematiche/cultura-sport-e-tempo-libero/cultura/luoghi-di-interesse/il-castello-di-montegibbio#null, http://www.castellidimodena.it/page.asp?IDCategoria=287&IDSezione=5847, https://www.castellodimontegibbio.com/corte

Foto: la prima è presa da https://www.tourer.it/webgis/scheda?castello-di-montegibbio-sassuolo&lang=en, la seconda è di Interista08 su https://it.wikipedia.org/wiki/File:Castello_Montegibbio.jpg

venerdì 24 gennaio 2020

Il castello di venerdì 24 gennaio



CETARA (SA) – Torre Vicereale

Ultimo possedimento e confine dell'antico Ducato e diocesi amalfitana della banda orientale della costiera, fu roccaforte dei Saraceni nell'842 e nell'879 al tempo dell'assedio di Salerno. Cetara è sempre stata un paese di pescatori, ed infatti il suo nome deriva da Cetaria. o tonnara o da "cetari", venditori di pesci grossi, i tonni appunto. Fin dal 1030 Cetara fu debitrice al vescovo di Amalfi, dal quale dipendeva, dello "ius piscariae," la decima della pesca. Nel 1120 il borgo passò sotto la dominazione politica di Amalfi e fu poi soggetta, con i normanni, all'abbazia benedettina di S. Maria di Erchie ed infine passò alle dipendenze dell'abbazia di Cava. L'abbazia aveva collegamenti marittimi con i monasteri benedettini e traffici di pellegrini e merci in Africa. Pietro Pappacarbone, terzo abate di Cava e nipote di S. Alferio, fondatore della badia cavense, ebbe in donazione da Ruggero il porto di Vietri nel 1086 da Guglielmo quelli di Fonti nel 1117 e di Cetara nel 1120. Più tardi, nel 1124, I'abate Simeone comprò il porto detto del Traverso presso Punta Licosa per 15 soldi di tari salernitani, e il cenobio acquistò altri cinque porti o cale sulle spiagge cilentane i porti davano un reddito di diritti marittimi al monastero, in virtù della tassa di ancoraggio, che era variabile a seconda dell'appartenenza della nave a gaetani, sorrentini, calabresi e siciliani, oppure genovesi, pisani o romani. Nel 1534 i turchi, forti di 22 galee e capeggiati dal tremendo rinnegato Sinan pascià, fecero schiava gran parte della popolazione "menò seco 300 abitanti in ischiavitù e tutti coloro che si mostrarono renitenti all'imbarco furono senza pietà sgozzati per mano di quei barbari", mentre gran parte dei superstiti trovò scampo a Napoli. Ed è appunto per difendersi da simili attacchi che venne costruita la Torre vicereale. Edificato in età angioina (XIV secolo) con funzioni di avvistamento e di prima difesa, nel corso dei secoli il bastione è stato più volte rimaneggiato: alla struttura originaria, di forma cilindrica, fu aggiunta la sopraelevazione a doppia altezza in epoca aragonese ed altri due piani a fine '800. Dopo lo sbarco dei Turchi nel 1534, l'edificio divenne parte di un sistema di fortificazioni articolato in circa 400 torri che copriva buona parte delle coste dell'Italia meridionale. Queste torri, al momento dell'avvistamento di imbarcazioni nemiche, si trasmettevano segnali, con il fuoco di notte e con il fumo di giorno, per avvertire la popolazione dell'imminente pericolo, e si preparavano a difendere la costa. La torre, infatti, era dotata di tre cannoni di bronzo e di tre "petrieri" (piccole catapulte) in grado di mirare verso il basso. Dopo l'acquisto a fine '800 da parte di privati, la torre è diventata di proprietà comunale negli anni '90 ed in seguito restaurata. Nel 2011 è stata riaperta al pubblico ed attualmente ospita un Museo Civico con le mostre permanenti dell'artista cetarese Manfredi Nicoletti e di numerosi pittori della costiera, i cosiddetti "costaioli", nonchè il "Museo vivo" di un altro grande artista cetarese, Ugo Marano, allestimento che concepì negli anni '70 e che ha potuto riproporre nella torre di Cetara poco prima della sua scomparsa. Attualmente la struttura, costituita dal complesso della originaria torre angioina e della successiva torre vicereale con i rifacimenti ottocenteschi, si articola su sei livelli. La parte basamentale ha all’interno un unico vano di forma ellittica. Sono presenti tre finestre strombate, disposte ad intervalli regolari, forse aperte in epoca successiva. Questo vano si collega alla torre vicereale attraverso un corridoio servito da una rampa di sei gradini da cui si accede in un ambiente di forma rettangolare che costituisce il livello più basso. Tale locale è collegato al vano sovrastante attraverso una botola provvista di scala di legno. Il locale posto al secondo livello si presenta ancora nelle vesti originarie, anche se manomesso nelle aperture e nelle scale. Esso a sud si apre sul terrazzo di copertura della torre angioina; ad ovest su un balcone che lo collega al corpo staccato della torre con ponte levatoio; a nord, sulla parte cieca di roccia vi è una scala di accesso ai piani superiori. Il terzo livello si presenta molto più articolato con ambienti vari e numerosi; una parte di recente costruzione è posta a livello della statale. L’accesso alla strada è garantito da una grande apertura chiusa da un portone. Il quarto livello è attualmente servito da una scala, con l’accesso anche dall’esterno mediante un portoncino di legno; esso è suddiviso secondo gli schemi e gli aspetti di una civile abitazione. Il quinto livello presenta anch’esso la classica tipologia di un’unità abitativa, di dimensioni sensibilmente più modeste, mentre il sesto ed ultimo livello, si presenta, come sempre come ambienti destinati a civile abitazione, ma copre solo il 40% della superficie complessiva ed è costituito da due vani a nord-est con copertura piana e da altri accessori coperti a tetto. Su tutto il 60% residuo è stata realizzata un’ampia terrazza. Nel 2002 sono iniziati i lavori di restauro e consolidamento e finalmente dal marzo del 2011, la torre è tornata ad essere il faro e il cuore pulsante della comunità locale. Altri link: https://www.youtube.com/watch?v=BClJkdtbJzo (video di AlfioFly Vicinanza), https://www.youtube.com/watch?v=DgE251kDgrU (video di Torre di Cetara)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Cetara, https://www.cetaraturistica.it/da-visitare/monumenti/torre-vicereale, https://www.torredicetara.it/torrecetara.html

Foto: la prima è di Giuseppe Liguori su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/63271/view, la seconda è presa da https://club4business.it/cetara-costiera-amalfitana/

giovedì 23 gennaio 2020

Il castello di giovedì 23 gennaio






CEFALU’ (PA) – Castello Bordonaro

Il Castello fu eretto in campo di vite a poca distanza da Mazzaforno di proprietà dei Ventimiglia, una delle più ricche famiglie siciliane legate a doppio filo con la storia di Cefalù e dei dintorni. La costruzione venne affidata ad Antonio Lo Duca, originario di Cefalù, che immaginò una fortezza possente con torri di difesa simile a quella del vicino castello di Castelbuono. Un’effigie ancora presente all’interno del castello ricorda la paternità del Lo Duca. Il castello appartenne alla famiglia fino al 1600 circa, per poi passare prima in mano ai Signorino e poi agli Ortolani e al comune di Cefalù. Non è ancora chiaro, però, come sia avvenuta questa successione. Il nome dei Bordonaro si lega al castello proprio grazie all’ultimo erede degli Ortolani, Gabriele. Alla sua morte, avvenuta nel 1992, lasciò in testamento il castello al comune della città, specificando che il nome ufficiale doveva essere riconosciuto in “Castello Ortolani di Bordonaro”, – del paese di Bordonaro era infatti Barone. Altra condizione testamentaria riguardava l’uso del castello. Il Barone di Bordonaro specificò, infatti, che il castello doveva diventare un centro culturale e storico per ospitare mostre, manifestazioni, eventi di interesse letterario o religioso. Un punto di riferimento per la cultura locale ed estera: questo è diventato il Castello di Bordonaro grazie al suo ultimo erede, Gabriele, sotto il controllo sempre presente del professor Emanuele di Fiore, suo figlioccio. La struttura iniziale del castello includeva una torre antica, cui mano a mano sono state aggiunte altre parti. Nel corso del tempo sono stati realizzati un baglio con un pozzo e piccoli magazzini, un piano nobile con cantina sottostante, un trappeto e un magazzino di dimensioni maggiori.Il perimetro del baglio è chiuso da una torre merlata, munita di gittalore con trabucchi e trabocchetti. All’interno della struttura architettonica si trovano percorsi segreti che permettevano di raggiungere velocemente e in tutta sicurezza la torre in caso di necessità, come ad esempio attacchi esterni. Le stanze della torre sono inoltre decorate da bellissimi affreschi di cui, purtroppo, è ignota la paternità; uno dei cicli di affreschi presenti raffigura le vicende garibaldine che portano alla conquista della Sicilia. Un altro ciclo di affreschi è di natura orientale, con un gusto più esotico. Il castello di Bordonaro è connesso alla chiesa di Santa Felicita e dei suoi figli martiri, la cui costruzione è da far risalire al periodo dei Signorino. Fu commissionata proprio da Don Paolo Signorino, arcidiacono della cattedrale di Cefalù. L’interno è costituito da una loggia in legno che permetteva ai proprietari di assistere privatamente alle messe. Spicca lo stemma della famiglia Signorino, azzurro con una banda d’oro e un leone, raffigurato su una mattonella di maiolica. Il Castello ospitava inoltre un mausoleo che, negli anni, è stato via via smembrato. Alcuni resti sono stati ritrovati all’interno di un magazzino, compresa la lapide di Andrea Ortolano. Sulla lapide è inciso lo stemma stesso della famiglia. Oggi il Castello di Bordonaro è la sede di rappresentanza del comune di Cefalù. Altro link per approfondire: https://www.comune.cefalu.pa.it/castello-bordonaro/.

Fonti: https://cefalu.it/magazine/il-castello-di-bordonaro-centro-culturale-e-storico-di-cefalu/, http://www.parks.it/news/dettaglio.php?id=56325

Foto: la prima è presa da https://cefalu.it/magazine/il-castello-di-bordonaro-centro-culturale-e-storico-di-cefalu/, la seconda è presa da https://murialdosicilia.org/notizie-cefalu-madonie-palermo-sicilia/608-istituto-mandralisca-cefalu-i-tesori-del-castello-bordonaro.html

mercoledì 22 gennaio 2020

Il castello di mercoledì 22 gennaio



ROSIGNANO MONFERRATO (AL) - Castello di Uviglie

L’origine del toponimo, secondo alcuni, può essere ricollegata alla voce latina ovilia, plurale di ovile, a conferma della primitiva organizzazione pastorale della zona. Altri invece sostengono che Uviglie derivi dal patronimico romano Avilius che ha lasciato più di una traccia nella zona. Il nome fa la sua prima comparsa in un documento conservato nell’archivio capitolare di Casale Monferrato datato novembre 1271. Le prime notizie certe sulla nascita del Castello si possono trovare in un documento datato 14 giugno 1322 con cui il Marchese di Monferrato Teodoro I concedeva alla famiglia Pocaparte la licenza “Hedificandi Castrum Ivilie” come propria dimora fortificata. Risale a questo periodo la costruzione della torre rotonda e del muraglione che sorregge il giardino pensile antistante l’attuale parco. In seguito all’imposizione di nuove tasse da parte di Giovanni II Paleologo per riscattare i luoghi e i castelli pignorati dal padre Teodoro, iniziò nel XIV secolo un contenzioso nel quale i Pocaparte risultarono essere i più colpiti. Lo scontro giuridico, che si trascinò per più di un secolo, si concluse con verdetto sfavorevole alle tesi dei Pocaparte addirittura nel 1493. In seguito a ciò Antonio di Giovanni fu il primo dei Pocaparte a rinunciare ai suoi possessi su Uviglie: nel novembre del 1493 egli donò infatti tutti i suoi beni feudali a Maria di Serbia - madre e tutrice di Gian Giacomo Paleologo e di Guglielmo IX Marchese del Monferrato - in cambio della promessa di una dote di almeno mille fiorini a vantaggio dei figli, maschi e femmine, che gli fossero eventualmente nati. Nel Febbraio del 1495 Giovanni Antonio Pico - di antica famiglia patrizia casalese e Commissario Marchionale delle Entrate di Casale - ottenne i beni relativi al feudo di Uviglie, a titolo di vendita, dagli stessi Guglielmo IX e da Gian Giacomo divenendo così l’unico titolare del castello di Uviglie e ricevendone investitura dal Marchese del Monferrato. A partire dal 1497 il nuovo Signore di Uviglie si potè fregiare, accanto al proprio, del cognome illustre di Gonzaga: una simile prerogativa, assieme a quella di poter adottare lo stemma dei potenti signori di Mantova, venne concessa a lui, al fratello Bonifacio e ai loro discendenti maschi, per i meriti acquisiti da Bonifacio stesso presso la nobile casata mentre era al servizio di Lodovico Gonzaga. Il Castello e la cura con cui veniva all’epoca conservato strapparono un accenno ammirato anche a Evandro Baronino, compilatore di un elenco statistico delle città e terre del Monferrato, che lo definì “di assai comoda abitazione, con belle stanze”. E’di questa epoca la costruzione della torre quadrangolare e l’attuale edificio sul lato nord-ovest del castello. Le mura esterne vennero invece abbattute con tutta probabilità durante il passaggio del Ducato ai Savoia, ad inizio Settecento, creando lo spazio necessario per lo sviluppo dell’attuale parco. Il 23 ottobre del 1680 Giovanni Antonio Pico Gonzaga ottenne da Ferdinando Carlo Gonzaga Duca di Mantova e di Monferrato l’elevazione del feudo in contea, con successione solamente dei primogeniti. Oltre al consueto incremento dei poteri giurisdizionali, quasi sempre connesso a riconoscimenti di questo tipo, si concedeva che gli “agenti, massari, servienti, famiglia et altri operari”, cioè tutte le persone addette all’amministrazione e alla conduzione della tenuta agricola e al servizio del castellano, non fossero soggetti, per le prestazioni dovute nella milizia monferrina, che al Governatore generale del Monferrato. Al Conte di Uviglie si accordava inoltre: facoltà di dare licenza a sei uomini di portare armi da fuoco per tutto il territorio dello Stato; Cappellania locale a totale dipendenza dei Signori di Uviglie; licenza di soddisfare al precetto festivo nella Cappella nobiliare; diritto d’asilo per qualsiasi delitto eccetto quello di lesa maestà nei confronti dei Marchesi del Monferrato; indipendenza totale dal Comune di Rosignano. Con la morte di Giovanni Antonio - ultimo discendente maschio della famiglia Pico Gonzaga - Uviglie passò alla figlia Felicita, sposa del Conte Ignazio Callori di Vignale, che insieme al figlio Armodio Callori Pico Gonzaga diede inizio ai lavori di restauro del Castello affidandoli all'architetto vercellese Arborio Mella. Ad Armodio, deceduto senza prole nel 1879 - il cui sarcofago è custodito nel parco - succede la Contessa Luigia Callori in Massel di Caresana. Castello e beni di Uviglie passarono poi, per sua precisa volontà testamentaria, al nipote Conte Emanuele Cacherano di Bricherasio ideatore e fondatore della FIAT nonché erede di una nobile famiglia di banchieri molto vicina ai Savoia che vide tra i suoi antenati anche un Viceré di Sardegna. Quest’ultimo, morto celibe nel 1904, lasciò tutti i beni di Uviglie in eredità alla sorella Contessina Sofia Cacherano di Bricherasio che, in quanto nubile, concesse nel 1928 ai Missionari della Consolata di Torino la possibilità di insediarsi nel Castello facendone la sede di un noviziato. Durante la seconda guerra mondiale nel castello venne traslata la salma di Don Giuseppe Allamano per proteggerla dai bombardamenti che colpivano la città di Torino. Il Castello, inoltre, nei secoli ha ospitato San Luigi Gonzaga - durante la permanenza di suo padre Ferdinando in Monferrato in qualità di governatore del Ducato - San Giovanni Bosco e infine i nipoti del Negus, Imperatore d’Etiopia, durante il periodo di permanenza al Castello dei Missionari della Consolata, molto attivi nell’Africa Orientale Italiana. La proprietà dell’immobile che, con il parco secolare, è sottoposto per la sua l’importanza architettonica a vincolo dei beni artistici, in base a Regio Decreto Legge del giugno 1939, fa oggi capo alla Società Semplice Castello d’Uviglie. Il castello, trasformato nel tempo in nobile dimora di villeggiatura, offre ampi saloni affrescati che si affacciano sulla porzione pensile di «giardino all’italiana». Degne di nota sono le grandiose cantine situate al di sotto dei saloni dell'ala nobile del castello, che perpetuano una tradizione vitivinicola ininterrotta risalente al 1491 e conservano una apprezzabile collezione privata di bottiglie, insieme ad antiche botti e a una serie di strumenti da mastro bottaio. Il parco del castello è prevalentemente un parco di impostazione romantica ed è stato designato dalla Regione Piemonte Giardino storico di interesse botanico. Esso contiene essenze tipiche del nostro clima e provenienti anche da Asia e America, ospita la cappella di Sant'Eusebio con la cripta dei conti Pico Gonzaga e offre ampie vedute panoramiche sul territorio circostante. Altri link suggeriti: https://www.preboggion.it/CastelloIT_di_AL_Castello_Uviglie.htm, https://www.youtube.com/watch?time_continue=5&v=NVq_F1TH1xg&feature=emb_logo (video di Luigi Bavagnoli), https://www.youtube.com/watch?v=fFp8GgR1img (video di ClubPapillonAL)

Fonti: https://www.castellodiuviglie.com/il-castello.php, https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Uviglie

Foto: la prima è presa da https://www.golosaria.it/monf2019/articolo/programma/castello-di-uviglie-rosignano-monferrato, la seconda è presa da https://area.events/item/castello-di-uviglie/

martedì 21 gennaio 2020

Il castello di martedì 21 gennaio




GAIOLE IN CHIANTI (SI) - Castello di Tornano

Per più di 1000 anni le mura di questo castello hanno silenziosamente assistito ad intrighi, lotte, complotti. La prima citazione della “curtem” di Tornano risale al Luglio del 790, il 17° del Regno di Carlo Magno in Italia. Pare infatti che Tornano fosse stata donata da 3 fratelli Longobardi di nome Atroald, Adonald e Adopald al monastero di S. Bartolomeo a Ripoli (Firenze), fondato dal loro stesso bisavolo Adonald. Il 23 Gennaio 1167 l’imperatore Federico Barbarossa con un decreto custodito nell’archivio di Brolio, spossessò Warnellottus (Guarnellotto) da Tornano dei propri diritti sui Castelli di Tornano e Campi “pro gravibus malefici que contra nostram coronam commisit” (Guarnellotto si era reso reo di avere catturato un messo imperiale), concedendoli al suo generale Ranieri di Berelingero. Ma, per tanti motivi, la volontà del Barbarossa rimase lettera morta ed il riottoso (e ribelle) Guarnellotto continuò ad esercitare il suo potere su tutta la valle (dal Castello di Meleto) del torrente Massellone fino alla sua morte. Era rinomata la ferocia di Guarnellotto che, proprietario di due siti strategici quali Tornano e Campi sorvegliava una delle strade di maggior transito e taglieggiava con brutale regolarità chi ci passava. Essendo un castello "di frontiera", Tornano passò spesso di mano appartendo ora a Firenze ed ora a Siena. Nel 1229, dopo un lungo assedio, le armate senesi espugnarono il maniero ma solo sei anni dopo ne perdettero definitivamente la sovranità. Nel 1400 Tornano fu fortificato in modo eccellente dai Ricasoli Firidolfi. Dentro le mura del castello di Tornano c’era un’antica cappella che diventò parrocchia annessa alla Pieve di S. Marcellino. In un censimento dell’anno 1427, la Parrocchia di San Quirico a Tornano, contava 32 abitanti divisi in 5 “fuochi” o famiglie. Durante le due cruente invasioni Aragonesi del 1453 e del 1477, che causarono la distruzione o il danneggiamento dei maggiori castelli nella zona del Chianti (compreso il possente Brolio), Tornano, fedele alla sua tradizione di luogo inaccessibile, resse bene l’urto e non fu mai preso. Non ci fu invece niente da fare nel 1530 quando le truppe imperiali lo espugnarono. Oggi, scomparse gran parte delle mura e altri edifici, è il cassero, in pietra con la particolare forma trapezoidale, a dominare il poggio di Tornano. Il Castello di Tornano dagli anni '70 del XX secolo appartiene alla famiglia Selvolini di Firenze che ne ha sapientemente rilanciata l'immagine attraverso una bellissima struttura ricettiva, fiore all'occhiello di tutto il Chianti e non solo. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=6b3q-ZzvZfs (video di Leonardo Lovari), https://www.matrimonio.com/castelli-matrimoni/castello-di-tornano--e20329/videos/162977 (video aereo), https://www.youtube.com/watch?v=KWhOOiJrIK4 (video di Escapiohotels), https://www.youtube.com/watch?v=ZkMuhheSXog (video di Giovanni Raiola)

Fonti: https://castelloditornano.com, http://www.fortezze.it/castello_tornano_it.html, https://www.castellitoscani.com/italian/tornano.htm

Foto: la prima è presa da https://www.icastelli.net/it/castello-di-tornano, la seconda è presa da https://www.agriturismi.it/it/toscana/gaiole_in_chianti/agriturismo_castello_di_tornano.html