martedì 31 ottobre 2023

Il castello di martedì 31 ottobre



RAVARINO (MO) - Palazzo Rangoni (o Castello Rangoni)

Il Comune vanta una storia millenaria: dai periodi preistorici, documentati da manufatti, all’epoca romana di cui restano reperti fittili, una stele funeraria ed il quadrilatero di Castel Crescente, castro romano edificato assai probabilmente durante l’ assedio e la battaglia di Modena ( 43 a.C.) Già nel secolo XIII Ravarino appare costituito in Comune insieme a Castel Crescente in diversi atti dell’ Antico Memoriale Notarile di Modena. Nel 1333 il territorio comunale fu elevato al rango di Feudo Nobile. Già dal 1321 la potente famiglia dei Rangoni di Modena, imparentata con gli Estensi, aveva messo piede nel territorio di Ravarino e nel 1445 Gherardo Rangoni edificava un importante Palazzo-fortilizio di fianco alla chiesa di Ravarino. Alcuni anni dopo, e precisamente il 9 settembre del 1453, il Duca Borso d’ Este investiva della Contea di Ravarino e di Castel Crescente i Rangoni che ressero il feudo, nella forma di governo mediato (cioè quasi Stato autonomo nel Ducato Estense), sino alla soppressione dei feudi (settembre del 1796). Nel 1485 il Duca Ercole l d’ Este concedeva al Conte Antonio Rangoni di tenere annualmente la grandiosa fiera di San Martino, della durata di otto giorni, fiera che per oltre quattro secoli ha avuto luogo nel territorio di Ravarino. Dal secolo XVI in poi i Rangoni costellarono di palazzi e chiese il territorio ravarinese: il cosiddetto Palazzo di Donna Clarina, il Palazzo vecchio di Stuffione alla Villa, il Palazzo Pretorio e la chiesa di Stuffione nel 1506 e, dagli inizi del ‘600, comincia l’enorme ampliamento dell’antico Palazzo di Lovoleto, opera imponente mai terminata. Nel 1630 la peste eliminò ben un quarto della popolazione. In periodo napoleonico il Comune di Ravarino fu aggregato, quale sezione, dapprima a quello di Crevalcore nel 1804, poi dal 1810 a quello di Nonantola sotto il quale rimase fino all’ unità d’ Italia (autunno 1859) allorquando riacquistò la propria autonomia. Di particolare interesse Palazzo Rangoni, posseduto dai Rangoni già nel 1370. E' un complesso costituito da due palazzi contigui che formavano un tempo una corte chiusa articolata in tre corpi (una parte centrale più due ali laterali). Il nuovo palazzo (costituito da parte centrale e ala settentrionale) fu iniziato dai Rangoni nel 1611 e mai portato a termine. Di particolare interesse lo scalone d’onore e i soffitti a volta con fasce su stucchi che riportano con grande frequenza la conchiglia, simbolo dei Rangoni. Altro link suggerito: https://www.tourer.it/scheda?palazzo-rangoni-nuovo-ravarino (foto)

Fonti: https://modenadintorni.altervista.org/ravarino/, https://www.comune.ravarino.mo.it/servizi/notizie/notizie_fase02.aspx?ID=8216,

Foto: la prima è presa da https://fondoambiente.it/luoghi/palazzo-rangoni-bomporto?ldc, la seconda è di Fiore Galli su https://www.comune.ravarino.mo.it/servizi/notizie/notizie_fase02.aspx?ID=8216

lunedì 30 ottobre 2023

Il castello di lunedì 30 ottobre



BORGO SAN GIACOMO (BS) - Castello di Padernello

La struttura si erge isolata nella pianura bresciana. Il castello, che domina il piccolo paese, è composto da 130 stanze su una superficie di 4000 m². La sua costruzione avvenne per opera dei Martinengo, famiglia di provenienza bergamasca, fedeli alla Repubblica di Venezia, in origine chiamata dei “Giselbertini”, che dal X e l'XI secolo si cominciò a nominare con l'appellativo “da Martinengo” poiché residente nel castello di Martinengo, nella pianura bergamasca. La presenza della nobile casata a Gabiano (antico nome dell'attuale Borgo San Giacomo) è attestata a partire dall'XI secolo. La nobile casata dei Martinengo rimase a Padernello fino al 1834; dal 1861 i possedimenti passarono alla famiglia Salvadego Molin Ugoni. Il castello, edificato alla fine del XIV secolo da Bernardino Martinengo, planimetricamente ha forma quadrangolare ed è circondato da un fossato colmo di acqua, l' accesso è a nord, dal ponte levatoio. Si presenta basso e largo, con una torre a nord (sull'ingresso), due a sud sporgenti dal perimetro ed una grossa torre di vedetta sopra l'incrocio dei lati nord ed ovest. Le murature, che si innalzano dal fossato, sono in laterizio, parzialmente intonacate, al culmine delle quali sono presenti beccatelli e regolari aperture. Dall'ingresso si accede, tramite un androne, ad una corte quadrata, porticata su due lati; ad est dell'androne è posizionato lo scalone per l'accesso al piano superiore. La prima testimonianza sulla presenza di una fortificazione a Padernello risale al 1391: una casa-torre circondata da un doppio fossato, che sovrasta un territorio di vitigni, boschi e pascoli. La costruzione del castello vero e proprio iniziò nella prima metà del XV secolo ad opera di due rami della famiglia Martinengo: i Martinengo di Padernello o “della Fabbrica” e i Martinengo “delle Palle”. Verso il 1470 il maniero era già provvisto di mastio dotato di mensoloni e caditoie con funzioni di controllo e avvistamento del territorio limitrofo, munito di feritoie e merlature guelfe. Dello stesso periodo risale l'elegante porticato sul lato Nord, caratterizzato da colonne in pietra con capitelli recanti scudi con l'aquila imperiale, simbolo araldico della casata. Nel cortile interno sorge un loggiato sul lato Ovest a pilastri tipicamente cinquecentesco sui quali campeggiano gli stemmi delle famiglie Martinengo e Colleoni, famiglia quest'ultima imparentata coi Martinengo. Del Cinquecento sono il grande salone del lato Est e il porticato del lato Sud e, dell'interno, i soffitti a vela o a botte e i soffitti lignei a cassettoni riccamente decorati. La struttura ha subito notevoli rimaneggiamenti nel tempo, i primi dei quali intercorsi già nella prima metà del XVI secolo. Nel Settecento l'edificio subì un importante rinnovamento architettonico e di funzione. L'allora conte Gerolamo Silvio lo convertì in un'elegante villa signorile secondo lo stile dell'epoca. A questo periodo si deve la realizzazione dello scalone settecentesco, opera del celebre architetto Giovanni Battista Marchetti (1686-1758), dal 1758 direttore della costruzione del duomo nuovo di Brescia. Si realizzarono inoltre una splendida sala da ballo, la cappella dedicata a San Faustino e Giovita. Il prospetto esterno sui lati Nord e Est venne ingentilito con balconcini in pietra e ringhiere in ferro battuto, mentre sul lato Sud venne aperto un ampio portale centrale da cui si accede l'accesso al giardino sul fossato. Nel 1834, dopo più di quattro secoli la casata dei Martinengo di Padernello, con la morte di Girolamo Silvio II Martinengo, si estinse per l'assenza di eredi maschi. Alla morte dell'ultimo Martinengo le proprietà venete vennero affidate alla moglie contessa Elisabetta Michiel, mentre quelle della provincia di Brescia passarono al cugino Alessandro Molin. Alla morte di quest’ultimo le proprietà vennero ereditate dalle sorelle Maria e Alba, sposate rispettivamente al conte Panciera di Zoppola e al nobile Pietro Salvadego. Padernello, il castello e altre proprietà vennero assegnate, in seguito alla suddivisione delle proprietà del 1861, ai nobili Salvadego. Ultimo conte a risiedere al castello fu Filippo Molin Ugoni Salvedego, il quale, per motivi di salute, preferì trasferirsi nel 1961 nel suo palazzo di Brescia, dove morì nel 1965. Da allora il castello di Padernello venne abbandonato, lasciandolo esposto alle intemperie, all'incuria e allo sciacallaggio, nonostante nel 1912 fosse stato definito di alto pregio architettonico e di interesse nazionale da parte del Ministero della Pubblica Istruzione. Negli anni Ottanta l'unica realtà impegnata nella difesa del castello e del suo borgo era l'"Associazione Amici del Castello", la quale restaurò l'antica posteria l'Aquila Rossa, simbolo imperiale dei Martinengo, con l'intento di salvare il maniero e valorizzare il borgo di Padernello. Grande ispiratore dell'associazione fu Monsignore Don Antonio Fappani, autore dell'Enciclopedia Bresciana. Nel 2016 venne conferita la targa di segnalazione dell'Istituto Italiano dei Castelli per l'ottimo restauro strutturale, architettonico, ambientale e l'ottima manutenzione e la consentita l'accessibilità. Nel 2002 crollò gran parte della cinta muraria alla destra del rivellino, del tetto sul salone da ballo, della soletta della cucina storica. Nel 2005 il maniero venne acquistato dal Comune di Borgo San Giacomo e da un gruppo di imprenditori che iniziarono i lavori di restauro. Entrambe le proprietà – pubblica e privata – concessero in comodato d’uso gratuito ventennale l’immobile alla Fondazione di Partecipazione denominata Fondazione Castello di Padernello (https://www.castellodipadernello.it/) costituitasi nello stesso anno, impegnata nel recupero, nella gestione e nella promozione del maniero. Una misteriosa leggenda è legata a Padernello: un fantasma aleggia per le stanze del Castello. È la storia della Dama Bianca, una figura eterea che ogni dieci anni, il 20 luglio, torna nel suo maniero con in mano un segreto scritto su un libro d’oro, alla ricerca di chi la possa ascoltare. Nel XV secolo visse Biancamaria, figlia di Caterina Colleoni e del conte e condottiero Gaspare Martinengo, uno degli eredi di Antonio I Martinengo infeudato nel 1443 delle terre di Gabiano (antico nome di Borgo San Giacomo) dalla Repubblica Veneta. La piccola nacque a Brescia in un Castello, ormai scomparso, sito in via Palazzo Vecchio. Biancamaria era una ragazzina malinconica, pallida e cagionevole di salute sia nel corpo che nello spirito. Era innamorata della natura, del silenzio e mal sopportava un mondo fatto di violenze, soprusi e angherie, un mondo di uomini d’arme come suo padre. Fu così che si trasferì nell’autunno del 1479 dalla città alla residenza di campagna della famiglia, nel borgo di Padernello. Qui trovò vigne, rogge, campagna e boschi. Il 20 luglio del 1480 Biancamaria era a cavalcioni sui merli del maniero. Era sera e vide una piccola magia luminosa, poi un’altra e un’altra ancora; la ragazzina, piena di gioia, credette di potersi librare in aria e unirsi a quelle magiche luci. Così, all’apice della gioia, Biancamaria immolò la sua vita per le piccole lucciole. Aveva tredici anni. Biancamaria Martinengo, secondo la leggenda, si è trasfigurata nella Dama Bianca e ancora ritorna, la notte della sua morte, ogni dieci anni, sullo scalone d’onore del suo Castello, vestita di bianco e con in mano un libro dorato aperto contenente il suo segreto. Un segreto che la fa vagare di continuo. Altri link proposti per approfondimento: https://www.youtube.com/watch?v=gBr_ja3wcc8 (video di Drone Production), https://www.youtube.com/watch?v=o64HuJfaLQo (video di Duepassinelmistero), https://www.youtube.com/watch?v=BpJ2qMmPkF4 (video di Fondazione Cattolica Assicurazioni), https://www.youtube.com/watch?v=2DCYBe-vgZM (video di AbeFranci71), https://www.preboggion.it/CastelloIT_di_BorgoSanGiacomo-Padernello.htm

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Padernello, https://www.castellodipadernello.it/visita-il-castello/conosci-il-castello/, https://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/1A060-00204/

Foto: la prima è presa da https://www.castellodipadernello.it/eventi/bresciacult/, la seconda è presa da https://www.giornaledibrescia.it/rubriche/cartoline-bresciane/un-viaggio-nel-tempo-al-castello-di-padernello-1.3738982

venerdì 27 ottobre 2023

Il castello di venerdì 27 ottobre



MANDELLO VITTA (NO) - Torre

L'edificio, emblema del paese, doveva essere parte di una più grande fortificazione a difesa del borgofranco. La costruzione militare, posta a sorveglianza dell'antica Strada Biandrina, è databile intorno alle metà del XII secolo e rappresenta, per l'area novarese, uno degli edifici meglio conservati nel suo genere. Attualmente, del castello (“castrum”) non è più evidente alcuna traccia; si suppone che si sviluppasse attorno all’alta torre ancora ben conservata, situata all’ingresso del paese e originariamente destinata sia al controllo che al pagamento dei pedaggi. Sul lato settentrionale della torre è apposto uno stemma in pietra della famiglia Caccia circondato da armi affrescate. La torre è alta circa trenta metri, a pianta quadrata, in mattoni, e presenta momenti successivi di edificazione: un primo momento fra i secoli XII e XIII, corrispondente al periodo di fondazione del borgo, il secondo in epoca gotica e tardogotica e poi ristrutturato nel 1594. Osservando la torre sul fronte di levante, si nota, alla base, la presenza di un grande arco di scarico che sovrasta, a circa tre metri dal suolo, la porta di accesso. La muratura irregolare in mattoni e i fori dei ponteggi di costruzione disposti in modo ordinato, nonché la successione delle aperture lungo i vari piani, evidenziano la struttura da riferirsi, probabilmente, alla seconda metà del secolo XIII. In seguito, la torre sarebbe stata inglobata all’interno del “castrum”. La sommità sarebbe stata ristrutturata in periodo tardogotico e coperta con il tetto in coppi. Altri link di approfondimento: https://www.preboggion.it/CastelloIT_di_NO_Mandello_Vitta-Torre.htm, https://siusa.archivi.beniculturali.it/cgi-bin/siusa/pagina.pl?TipoPag=prodente&Chiave=37762&RicLin=en&RicProgetto=reg%2Dpie%2Dvda

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Mandello_Vitta, https://www.comune.mandellovitta.no.it/it-it/vivere-il-comune/cosa-vedere/torre-medievale-sec-xii-1415-1-0ec2be5cf48990d1b2270576c344fb0a,

Foto: la prima è di Solaxart 2021 su https://www.preboggion.it/CastelloIT_di_NO_Mandello_Vitta-Torre.htm, la seconda è di Zaffiroeacciaio su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/335494/view

giovedì 26 ottobre 2023

Il castello di giovedì 26 ottobre



CAMPOCHIARO (CB) - Torre Angioina

L’abitato, le cui origini risalgono al VII secolo d.C., è sovrastato da una torre angioina che testimonia un passato medievale, insieme a resti di mura e torri, oggi inglobate in parte in successive abitazioni. La torre, che si presume appartenente al X secolo, in origine era l'elemento più alto di una roccaforte medievale, con cinta muraria. La rocca di Campochiaro è tra le più importanti postazioni strategiche e difensive presenti nella zona di incrocio del tratturo del Matese con il tratturo Pescasseroli-Candela; tali postazioni nascevano proprio per provvedere alla difesa dell'importante centro amministrativo di Bojano. È ben riconoscibile intorno alla rocca una cinta muraria, che originariamente prevedeva nove torri; sul lato meridionale se ne possono scorgere alcune, mentre sul lato orientale non si riescono bene a distinguere, circondate, come sono, da abitazioni costruite successivamente. La torre, che si è meglio preservata dal logorio del tempo, è situata nella parte più alta del paese e nella dicitura comune rappresenta "la Rocca"; l'entrata è posta sul lato opposto alla scarpata, mentre due finestre, di cui una a oblò, sono presenti sul lato rivolto al paese. È una struttura cilindrica a pianta circolare (tipica del periodo longobardo), costruita con conci di pietra di piccole dimensioni; esternamente sono visibili dei travicelli, che con ogni probabilità servivano a sostenere delle travi in legno. Non aveva funzioni abitative, come i castelli, per le famiglie signorili. Oggi la torre, restaurata, è visitabile. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=ouJ_ULiRHuw (video di Telemolise), https://catalogo.beniculturali.it/detail/ArchitecturalOrLandscapeHeritage/1400074864

Fonti: https://matese.guideslow.it/localita/campochiaro/, https://it.wikipedia.org/wiki/Campochiaro, https://www.visitmolise.eu/scheda-localita/-/d/dms/1507637/campochiaro, https://www.mondimedievali.net/Castelli/Molise/campobasso/provincia000.htm#campochiar

Foto: la prima è di Mike1 su http://rete.comuni-italiani.it/wiki/File:Campochiaro_-_Torre.jpg, la seconda è presa da https://matese.guideslow.it/localita/campochiaro/

martedì 24 ottobre 2023

Il castello di martedì 24 ottobre



GUALDO TADINO (PG) - Torre Categge o di Ribecco

Il castello di Categge che dominava il piano di Gualdo, costituiva un baluardo dei Perugini nell’estremo oriente dei loro possedimenti e costituiva un punto fortificato a ridosso della Flaminia. Fu possesso dei Conti di Categge e successivamente passò alla famiglia dei Ribacco. La torre era appunto chiamata “di Ribecco” (che alcuni asseriscono aver dato il nome agli attuali Ribacchi - http://www.ribacchi.it/ribacchi/storia.htm). Ora non ne restano in piedi che due brandelli di mura contrapposte di una torre quadrata, uno più basso sul lato est e uno più alto su quello ovest, persiste anche una parte dell’angolo sud ma molto più piccolo rispetto agli altri due in avanzatissimo stato di degrado. La visuale che si gode da quella posizione è magnifica e si controlla la Flaminia per un lungo tratto oltre che tutta la vallata circostante.

Fonte: https://www.iluoghidelsilenzio.it/torre-di-categge-o-di-ribecco-gualdo-tadino-pg/

Foto: entrambe prese da https://www.iluoghidelsilenzio.it/torre-di-categge-o-di-ribecco-gualdo-tadino-pg/

lunedì 23 ottobre 2023

Il castello di lunedì 23 ottobre



POMARANCE (PI) - Rocca Sillana in località San Dalmazio

Visibile a grande distanza, domina maestosa sul vertice di un rilievo collinare a 530 metri sul livello del mare, in una posizione privilegiata da un punto di vista militare. La Rocca permette infatti di controllare strategicamente la val di Cecina e le valli collegate, un territorio molto vasto che comprende ampie porzioni delle province di Pisa, Siena e Grosseto. La leggenda, anche in virtù del nome, vorrebbe far risalire l'origine del fortilizio alla guerra civile fra Mario e Silla. Secondo questa ipotesi leggendaria il nome della rocca sillana deriverebbe infatti dal cognomen del generale romano Lucio Cornelio Silla. Le testimonianze storiche giunte fino a noi fanno pensare che la Rocca sia stata costruita in una epoca molto meno antica: la torre, della quale ancora oggi possiamo notare l'originario ingresso, successivamente tamponato, posto all'altezza del primo piano, viene datata 1067 ca. (sulla base di un documento menzionante Sillano come sito fortificato) e la parte interna del recinto 1200 ca. mentre il perimetro esterno bastionato, eseguito a rinforzo delle preesistenti cortine murarie, può essere datato con certezza alla metà del 1400. Gli storici attribuiscono senza dubbi la paternità del progetto al famoso architetto Giuliano da Sangallo, quando Pomarance passò sotto la giurisdizione dei Fiorentini, e la rocca viene ritenuta addirittura il più antico, oltre che fra i più belli, esempi della nuova concezione architettonica militare del tempo, ovvero il periodo storico che segnò il passaggio "dalla balestra alla bombarda" con il conseguente sviluppo di sistemi di difesa adeguati. Prima di giungere alla rocca vera e propria, si incontrano le prime difese poste circa una trentina di metri più in basso. Sono i resti della cinta muraria del borgo che si era sviluppato intorno al fortilizio, costruite in mattoni e pietrame sfuso, dotate di due porte urbiche, la Porta Volterrana a nord-est e la Porta San Rocco a ovest. Attraverso quest'ultima si giunge, passando fra i resti del borgo (appena tornati alla luce grazie a recenti scavi archeologici), alla sommità del colle sotto le mura bastionate della Rocca (il moderno percorso di accesso costeggia le mura e i resti di una torre senza passare dalla porta) caratterizzate dalle torrette aggettanti poste ai quattro angoli e la fortissima scarpatura in pietra. L'unico ingresso alla Rocca è costituito da una postierla aperta nell'angolo di nord-est e originariamente difesa da una specie di barbacane totalmente scomparso. Questo ingresso "dimesso" fa capire che le funzioni del fortilizio erano essenzialmente militari, privo pertanto di sfarzosi alloggi per un conestabile o un signore. Appartenuta ai vescovi, e successivamente al comune di Volterra che si sono a lungo contesi questi territori, la Rocca, come detto, nel XV secolo passò sotto la giurisdizione dei fiorentini che l'avevano sottratta ai pisani. Nel 1734 con l’alienazione dei castelli del Granducato di Toscana la Rocca di Sillano fu messa all’asta e fu acquistata dalla famiglia Acciai che invece di ristrutturarla la utilizzò come cava di materiale lapidei smontandola pezzo per pezzo. Nel tempo la Rocca ha subìto varie vicissitudini, diventando perfino un rifugio di briganti e conoscendo un periodo di decadenza. Una legge nazionale del 1904 fece cessare l’asportazione dei materiali dalla rocca, dichiarandola “Monumento di interesse nazionale”. Nel 1979 fu donata dalla famiglia Paladini di San Dalmazio al Comune di Pomarance che dal 1984 al 2009 ha ristrutturato e restaurato, in collaborazione con la Soprintendenza archeologica di Fiorenze. Tornando a parlare delle origini della costruzione, non si esclude tuttavia un suo precedente utilizzo in epoca romana del rilievo roccioso. Nella zona infatti sono ormai molti i ritrovamenti archeologici che confermerebbero che questo territorio sia stato abitato sin da epoche più remote: il ritrovamento di monete romane dell'epoca di Silla, il ritrovamento di numerose tombe di epoca villanoviana ed etrusca (di cui una a tholos del V secolo a.C.), la scoperta di una tomba di età ellenistica risalente al IV secolo a.C., e il ritrovamento di un'epigrafe funeraria latina rinvenuta a poche centinaia di metri dalla Rocca Sillana. Secondo il Repetti al fortilizio sarebbe stata annessa una chiesa plebana, la pieve di S. Bartolommeo della Rocca Sillana, che all'epoca del sinodo volterrano del 1356 contava ben nove chiese suffraganee. Dal luglio 2001 la Rocca è dotata di illuminazione notturna. Nel 2004 sono stati stanziati ulteriori fondi (dalla Comunità Europea e dal Comune di Pomarance) per il completamento del suo restauro. Dal 18 Aprile 2009, alla fine dei suddetti lunghi lavori, la Rocca Sillana "Monumento Ritrovato" è stata riaperta, gratuitamente, al pubblico tutti i Sabati e le Domeniche dalle ore 15,30 alle ore 18,30 (o su prenotazione al n. tel. 0588/62306, per gruppi). I restauri hanno reso totalmente fruibili, in sicurezza, tutti i locali della Rocca Sillana. Una volta saliti sui bastioni, possiamo facilmente capire l’importanza strategica della posizione e goderci uno splendido panorama: dalla Rocca la vista spazia a 360° con vista mozzafiato su buona parte del territorio toscano. Altri link: http://www.museivaldicecina.it/it/rocca_sillana.php, https://www.youtube.com/watch?v=3PiYT0kIbmc (video con drone de Il Tirreno), https://www.youtube.com/watch?v=muGWNLteAWo (video con drone di Alessandro Franceschi), https://www.youtube.com/watch?v=O_QAXKsN1hg (video di Giacomo Ghidoni), https://volterratur.it/poi/rocca-sillana/, https://www.youtube.com/watch?v=wbJ4SSHzbCU (video di Marco Birigazzi)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Rocca_Sillana, https://castellitoscani.com/sillano/, https://www.terredipisa.it/attrazione/pomarance-rocca-sillana/, https://www.comunepomarance.it/modulistica/sveprom/cultura/rocca-sillana/4137

Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, la seconda è presa da https://www.terredipisa.it/attrazione/pomarance-rocca-sillana/

venerdì 20 ottobre 2023

Il castello di venerdì 20 ottobre



CASTELLO DEL MATESE (CE) - Castello normanno

Il castello medievale venne realizzato con l'uso di pietra locale ai tempi della dominazione normanna. Si possono ancora ammirare alcune torri circolari con base a scarpa e dei tratti di mura della fortezza. Con le sue cinque torri, delle quali oggi ne sopravvivono due, Castello del Matese ha rappresentato una vera e propria roccaforte, insormontabile per qualsiasi nemico; per questo è stato più volte, in passato, l’ultimo baluardo e rifugio degli abitanti delle pianure vicine. Risalenti all’XI secolo circa, di epoca normanna, la più piccola delle due torri presenta una merlatura aggiunta posteriormente, mentre la Torre Grande rivela nelle sue fondazioni resti delle mura megalitiche preromane. Essa, oltre che per scopi difensivi, un tempo è stata utilizzata anche come cisterna d’acqua, viste le sue notevoli dimensioni. Durante i percorsi storici, la città subì diversi assedi ma la sua difesa granitica e fiera riuscì a preservare il paese. Ad esempio nel 1229 il feudo, ceduto da Federico II di Svevia a Tommaso d’Aquino, fu assediato dalle truppe pontificie comandate dal cardinale Giovanni Vitelleschi di Tarquinia. Nel 1460 Castello Matese, quando ne erano feudatari i Gaetani d’Aragona, subì un nuovo assedio ad opera dei Baroni che si erano ribellati a Ferrante I d’Aragona. Conquistò l’indipendenza nel 1862, ricevendo la denominazione di Castello d’Alife. Altri link per approfondimento: https://aut-online.it/la-torre-maggiore-della-fortificazione-normanna-di-castello-del-matese-ce-indagini-archeologiche/, https://www.youtube.com/watch?v=tUqfW9gpmZ4&t=3s (video di Cristiano Cusma), https://www.youtube.com/shorts/GFcIoNY7qOg (video di sete di conoscenza), https://www.youtube.com/watch?app=desktop&v=fNBMtp1QPnw (video di raffy85blu)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_del_Matese, https://matese.guideslow.it/localita/castello-del-matese/, https://www.parcoregionaledelmatese.it/project/castello-del-matese/, https://caserta.italiani.it/castello-del-matese/

Foto: la prima è presa da https://borghicampani.com/castello-del-matese-il-borgo-terrazza-con-vista-mozzafiato/, la seconda è una cartolina della mia collezione

mercoledì 18 ottobre 2023

Il castello di mercoledì 18 ottobre



GROTTAGLIE (TA) - Castello Episcopio

Il Castello Episcopio è situato in prossimità del Quartiere delle Ceramiche, cioè la parte più antica della città, e fu per secoli il simbolo del potere dei vescovi tarantini feudali. Nella sua configurazione attuale il castello si presenta composto da due blocchi; quello principale, disposto a sudest, è articolato intorno ad un atrio ed è circondato da mura sul lati nord ed est, mentre sui lati sud e ovest i bastioni coincidono con il fabbricato principale. Il settore a nordovest, di più recente edificazione, è edificato solo sul lato ovest ed è occupato per la maggior parte della sua estensione da un vasto cortile/giardino interno, delimitato da mura in età contemporanea. Il complesso così definito ha la pianta grosso modo di un trapezio, orientato in senso NW/SE, con la base rivolta ad ovest e ingresso sullo stesso lato. Tra i due cortili attorno a cui si articolano i due blocchi del complesso si erge la torre maestra, che fa parte del nucleo originario del castello. All’angolo sud-est, nel punto di giunzione tra il fabbricato e la cinta, si trova una torre di cortina pentagonale, prospiciente il "Quartiere delle Ceramiche". Adiacente al lato ovest del castello, e ad esso collegato tramite scalinate, è il giardino fatto realizzare nel XVII secolo dal cardinale Bonifacio Caetani. Il fabbricato principale, nel quale aveva sede l'episcopio, si sviluppa su due piani con un parziale terzo livello nell'ala di sud-est; la torre interna, alta oltre 28 metri, invece presenta quattro piani oltre il lastrico tutti indipendenti tra loro e collegati con l'esterno mediante un sistema di scale esterne attualmente diruto. Il nucleo principale del castello fu fatto costruire nel 1388 dall’arcivescovo Giacomo D’Atri, il quale promosse anche la realizzazione della Collegiata di Grottaglie e l’edificazione delle mura cittadine; è possibile però che quella promossa dall’arcivescovo fosse, più che una costruzione ex – novo, la riedificazione di una struttura preesistente. Dall’analisi della planimetria del complesso si può dedurre che una prima cinta fortificata, identificabile con quella che chiude l’atrio meridionale (provvista forse di una seconda torre di cortina, successivamente distrutta) esistesse già prima del 1388. Un indizio in tal senso è costituito dalle tracce di una porta in stile gotico, poi occlusa, visibili nel muro che divide i due cortili (e che corrisponde al muro settentrionale del nucleo originario del castello). La esistenza di tale porta potrebbe anche giustificare la localizzazione della torre maestra e tutto il sistema degli accessi ai livelli superiori della stessa: sistema che doveva servire anche per la coeva parte di primo piano del fabbricato principale, corrispondente alla zona della sala episcopale. In ogni caso la prima configurazione conclusa del castello (quella dovuta a Giacomo D’Atri) doveva essere costituita dalle mura, dalla torre maestra interna, dalle sale di primo piano destinate a dimora dell'arcivescovo, e da due torri di cortina rispettivamente a sud-est e sud-ovest. Nella seconda metà del XV secolo il primitivo impianto venne ampliato comprendendovi il cortile nordoccidentale ed una ulteriore torre di cortina posta a difesa della porta per l'abitato, attualmente trasformata in fornice aperto. È possibile che questo settore settentrionale sia stato edificato nel 1483 quando, secondo un documento della Curia di Taranto (citato dal Blandamura, vedi bibliografia), il cardinale arcivescovo Giovanni d’Aragona procedette alla ricostruzione di parte delle fortificazioni cittadine, vietando che una parte di materiali costruttivi fosse dirottata verso Taranto per analoghi lavori. Un ulteriore importante intervento fu effettuato tra il 1613 ed il 1617, quando, per volere del cardinale Bonifacio Caetani, il castello fu trasformato in una dimora aristocratica, con l’edificazione di ulteriori stanze al piano nobile; nello stesso periodo fu realizzato il vasto giardino esterno, che venne dotato di recinzione e ingresso monumentale. Nel 1649 l’edificio fu oggetto d’interventi promossi dal mons. Tommaso Caracciolo, consistenti nella costruzione di una cappella e nella realizzazione sia dei disimpegni per le sale esistenti che del loggiato interno, che fu collegato all’atrio da uno scalone oggi non più esistente. Nel XX secolo il castello subisce le ultime modifiche strutturali, con l’innalzamento del piano di calpestio nel cortile nordoccidentale e la conseguente costruzione della intercapedine per mantenere illuminati i locali interni (che prima di tale modifica erano aperti sul piano di calpestio); la costruzione di corpi aggiunti al piano terra ed al primo piano, ove hanno trovato posto gli impianti igienico-sanitari connessi all'attuale destinazione del castello (che è quella di convitto) ed, in genere, i lavori di riattamento delle sale interne. Fino a tempi recenti il castello è stato proprietà dell’Arcivescovato di Taranto, che lo ha poi ceduto al Comune di Grottaglie. grazie al restauro dei primi Anni Ottanta del Novecento e ad altri interventi più recenti di risistemazione l'antica struttura è un luogo ancora vivo, che ospita numerose manifestazioni artistiche e culturali. Gli spazi del castello anticamente adibiti a stalle, localizzati nel settore SE, ospitano oggi le sale del Museo della Ceramica, che in estate utilizza il giardino come sede espositiva dell’annuale Mostra della Ceramica mediterranea; solo in questo periodo (agosto-settembre) il giardino Giacomo D’Atri è aperto al pubblico. Il museo si articola nelle sezioni dedicate all'archeologia, alle ceramiche tradizionali, alla ceramica contemporanea, alle maioliche e infine ai presepi. Altri link suggeriti: https://www.pugliaplanet.com/2023/09/15/fortezze-di-puglia-il-castello-episcopio-di-grottaglie/, https://www.youtube.com/watch?v=DhmmhkxiWQI (video del Dott. Marcello Bellacicco), https://www.youtube.com/watch?v=I1WzKx3jW2U&t=2s (video di oraziolacorte), https://www.youtube.com/watch?v=oSvpWNL4ZKU (video di La bella Italia)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_Episcopio, https://it.wikipedia.org/wiki/Grottaglie, https://cartapulia.it/dettaglio?id=133681

Foto: entrambe sono cartoline appartenenti alla mia collezione

martedì 17 ottobre 2023

Il castello di martedì 17 ottobre



PRIOLO GARGALLO (SR) - Torre del Fico e Torre Magnisi

La Torre del Fico risale al 1584 e faceva parte del sistema di torri costiere della Sicilia usate per avvistare navi corsare o per evitare la cattura di schiavi. Poche sono le notizie riportate dagli storici locali sull‘epoca di costruzione della torre, che si presume possa essere ascrivibile al XVII secolo. L‘edificio anticamente era chiuso da un muro di cinta, da caseggiati e da una cappella. Fino agli anni sessanta si accedeva al complesso tramite un ampio portale sul quale era scolpito un emblema religioso appartenente all‘ordine dei Gesuiti e una data "1688" (o 1682?). Lo studioso Giuseppe Agnello dubita che tale data, oggi non più esistente, possa riferirsi all‘anno di erezione della torre; ma probabilmente a quella di costruzione del muro e dei caseggiati attorno ad essa. Pertanto egli ritiene che l‘edificio possa essere di epoca antecedente alla costruzione dei caseggiati rurali circostanti. Nell'ultimo conflitto mondiale fu utilizzata dagli alleati che eliminarono parte delle merlature poste in cima. Ad oggi la torre e le strutture annesse sono rinchiuse all'interno dell'area del polo industriale e pertanto sono impossibili da visitare. La torre risulta quindi in completo stato di abbandono nonostante le fabbriche esterne siano ancora in buone condizioni.
-----------------------------------
La torre Magnisi fu costruita nel primo decennio del XIX secolo, durante il periodo in cui la Sicilia era sotto il protettorato britannico a causa delle minacce di Napoleone. Gli inglesi adottarono il modello delle "Torri Martello", che erano state costruite nel XIX secolo in varie parti dell'impero britannico e prendevano ispirazione dalle fortificazioni circolari che facevano parte del sistema difensivo genovese a Capo delle Mortelle in Corsica sin dal XV secolo. Delle sette torri costruite in Sicilia secondo questo modello, oltre alla torre Magnisi, sopravvivono ancora la Torre Bianca (o Mazzone) a Messina e la Torre Cariddi a Ganzirri. La torre ha una forma tronco-conica, con un diametro esterno di 13,70 metri e uno interno di 8,50 metri. Il piano terra era destinato ad un serbatoio d'acqua e deposito, mentre il piano superiore ospitava gli alloggi per i soldati britannici. Dal primo piano si accedeva alla sommità della torre tramite una scala interna di 25 gradini, dove era collocato un cannone mobile. L'ingresso alla torre si trovava al primo piano e probabilmente utilizzava un ponte levatoio. L'elemento architettonico più originale è la volta ad ombrello, che non si riscontra in altre costruzioni militari contemporanee in Sicilia. Al centro della torre, una maestosa colonna di circa 5 metri di circonferenza sosteneva uno dei punti della volta, mentre l'altro si appoggiava al muro di cinta. Durante la Seconda Guerra Mondiale, la torre Magnisi fu considerata uno dei punti salienti del sistema difensivo tra Augusta e Siracusa e fu utilizzata dalla Regia Marina come osservatorio d'artiglieria. Altri link suggeriti per approfondimento: https://www.siracusapost.com/la-torre-del-fico-a-priolo/, https://www.antoniorandazzo.it/monumentimedievali/torre-del-fico.html, https://www.antoniorandazzo.it/castellietorrimedievali/torre-magnisi.html, https://priolo.altervista.org/thapsos/torre_magnisi/torre_di_magnisi.htm, https://www.facebook.com/walkingnature/videos/thapsos-penisola-di-magnisi-la-necropoli-e-la-torre-priolo-gargallo-sr/1707668426274192/ (video su Torre Magnisi), https://www.flickr.com/photos/ibamcnr/9127620114 (foto aerea Torre del Fico)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Priolo_Gargallo, https://catalogo.beniculturali.it/detail/ArchitecturalOrLandscapeHeritage/1900261123, https://www.siciliafotografica.it/gallery/index.php?/category/1478

Foto: la prima (relativa alla Torre del Fico) è presa da https://catalogo.beniculturali.it/detail/ArchitecturalOrLandscapeHeritage/1900261123, la seconda (relativa alla Torre Magnisi) è del prof. Rosario Lancilla su https://priolo.altervista.org/thapsos/torre_magnisi/torre_di_magnisi.htm

venerdì 13 ottobre 2023

Il castello di venerdì 13 ottobre



MARCIANO DELLA CHIANA (AR) - Rocca

Il castello di Marciano è posto nel cuore della Val di Chiana, si sviluppa su una altura che si trova al centro di quattro dorsali poco pronunciati e domina una vasta campagna pianeggiante tra Lucignano, Monte San Savino, Cortona, Foiano della Val di Chiana. È la particolare posizione strategica del colle su cui sorge, posto al confine tra i territori di Arezzo e Siena, uno dei principali motivi dell'importanza che Marciano ha rivestito nel passato a partire dal secolo XIII quando, prima Arezzo e Siena, poi Firenze, se ne contesero il dominio. Il castello fu munito, dalla Repubblica fiorentina, tra la fine del XIII secolo e l'inizio del XIV secolo della rocca e delle mura e della torre. La particolare conformazione rettangolo-trapezoidale, qualifica Marciano come un'architettura militare a differenza degli altri paesi limitrofi che avevano funzione abitativa. Questo è confermato dal fatto che nel 1554 vicino al castello di Marciano, fu combattuta la battaglia detta di Scannagallo o di Marciano in seguito alla quale i Medici conquistarono l'intera Toscana. Questa battaglia venne raffigurata da Giorgio Vasari in due dipinti che attualmente sono conservati a Firenze presso Palazzo Vecchio nel Salone dei Cinquecento. Il castello ha conservato i caratteri dell'insediamento medioevale: il perimetro murario, ad impianto geometrico rettangolare, è oggi inglobato nelle abitazioni che vi si sono addossate e racchiude il nucleo più antico dell'abitato cui si accede tramite una porta sovrastata da una torre con orologio recentemente restaurata. All'interno del castello, il piccolo agglomerato urbano è dominato dalla Torre e dalla Rocca insieme alla chiesa parrocchiale e al campanile. Il castello di Marciano è anonimo e frutto della collaborazione di maestri muratori. Oggi gran parte della cinta è andata distrutta o inglobata in abitazioni, ma alcuni elementi si impongono ancora all'attenzione: due torri cilindriche negli angoli nord-ovest e sud-ovest, in mattoni, sono elementi superstiti della difesa angolare; al centro della cortina rivolta a Lucignano si apre la bellissima porta principale con portale esterno a tutto sesto, decorata da tre stemmi sovrastati dal grande emblema mediceo in pietra serena. Un coronamento leggero, appoggiato ad arcatelle, fa da base al torrino dell'orologio, che si conclude con una larga vela in mattoni, sovrastata da pinnacoli. A levante si apre il Porticciolo, una postierla, piccola via di fuga sul lato opposto della piazzaforte. Una caratteristica del castello era che si poteva entrarne ed uscirne non solo dalla porta principale, ma anche attraverso un sistema di camminamenti sotterranei. Lo straordinario stato di conservazione della Rocca la differenzia da simili fortezze profondamente alterate presenti nella zona (Lucignano, Monte San Savino). Un vasto quadrilatero si inserisce sul mastio, eretto al centro della cortina nord; al lato opposto uno stretto barbacane, protetto da una seconda torre quadrata di minori dimensioni, si pone a guardia del Porticciolo. L'unico ingresso alla rocca avveniva attraverso una piccola postierla ricavata nello spessore della scarpatura del mastio. Una seconda porta, di più grandi dimensioni ma successivamente murata, si apriva nella cortina esterna. Realizzata in corsi di pietra serena, con spesse mura scarpate (oltre 4 metri di altezza), realizzate in filaretto cinquecentesco, la rocca presenta abbondanti resti di apparato difensivo a sporgere in laterizio, con arcatelle a sesto poggiate su beccatelli in pietra; sul lato esterno le mura sono realizzate in laterizio e coincidono con la cinta muraria del castello. La torre era sede della guarnigione: solai e scale in legno da ritirare, ne permettevano l'estrema difesa. Altri link suggeriti: http://www.latorredimarciano.it/storia/, https://artbonus.gov.it/1645-castello-di-marciano-della-chiana.html, https://m.facebook.com/Comune-di-Marciano-della-Chiana-375427066415223/videos/la-cultura-e-di-casa-puntata-03/284645272536313/ (video), https://www.youtube.com/watch?v=rf4spjB2CT0&t=47s (video di TSD Tv Arezzo), https://www.youtube.com/watch?v=QyqU9bFJs8k (video con drone di Stefano Biagini)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Marciano_della_Chiana, https://castellitoscani.com/marciano-della-chiana/

Foto: la prima è del mio amico (e inviato speciale del blog) Claudio Vagaggini, la seconda è una cartolina della mia collezione

giovedì 12 ottobre 2023

Il castello di giovedì 12 ottobre



BELGIOIOSO (PV) - Castello

Fu probabilmente fondato da Galeazzo II nella seconda metà del secolo XIV in un’estesa proprietà dei Visconti nel territorio ove in seguito sorse il paese di Belgioioso. Il nome “Zoioso” fu forse attribuito al castello per l’amenità del luogo e per la felicità che un tempo doveva recare il soggiorno in quella terra. Il duca Gian Galeazzo II vi soggiornò ripetutamente; tanto cara gli era la dimora a Belgioioso che, con una sua lettera del 22 dicembre 1393, proibì la caccia ai cervi e a qualsiasi altra selvaggina fino a Bereguardo-Vigevano e Abbiategrasso. Inoltre questo provvedimento è citato anche nel famoso testamento del 1397 in cui il Duca ordina che per rimedio e suffragio dell’anima sua si edifichi un monastero, casa e chiesa certosina, sul territorio pavese “in loco turris de Mangano”. Il duca però escludeva dalle donazioni ai certosini il grandissimo parco presso il Castello di Pavia e le possessioni di Bereguardo e Belgioioso. Non si sa quale fosse esattamente l’ampiezza del castello in quel momento. Si dice che il maniero fosse stato distrutto nel 1412 e poi ricostruito in seguito all’uccisione del duca Gian Maria Visconti, figlio di Gian Galeazzo e di Caterina Barnabò, ma questa notizia non trova conferma in documenti. Il successore Filippo Maria non amava soggiornare a Belgioioso come i suoi predecessori a causa dei frequenti straripamenti del Po, del suolo arido e delle scarse rendite. Per questi motivi lo cedette come feudo nel 1412 a Manfredo Beccaria (I infeudazione), ma tale casato si ribellò ed i beni furono confiscati ed affidati ad altri Visconti. Nel 1431 Filippo Maria, poco soddisfatto dell’andamento delle cose, concedeva il “castrum” ad Alberico da Barbiano (II infeudazione). Più tardi al nome di quel casato fu aggiunto il predicato di Belgioioso, allora sede di un Vicariato di notevole ampiezza che comprendeva le Pievi di Vaccarizza, Ospitaletto, Genzone, Pissarello, Spessa, Filigaria, Montesano, Torre de’ Negri, Gerenzago e San Zenone. Una conferma di questa investitura si ebbe da parte di Francesco Sforza. L’antichissimo ceppo dei conti di Cunio e di Barbiano, (ricordati da Dante nel c. XIV del Purgatorio) era noto e potente in Romagna fin dal sec. XI, ove possedette con titolo comitale i feudi imperiali di Cunio (1241), Barbiano, Lugo, Zagonara, Bagnacallo, Fusignano, Donigallia. Fra i vari conti di Barbiano il più celebre è certamente Alberico il Grande. Ricco, potente, signore di vasti feudi, d’animo battagliero, ardente, ambizioso, costituì una compagnia di ventura di 200 lance, partecipò, fra le altre imprese, all’assedio e distruzione di Cesena (sembra però che egli deplorasse questa guerra fratricida), in seguito passò in Lombardia ai servizi dei Visconti. Frattanto la compagnia si era accresciuta, ed era stata battezzata "Compagnia di S. Giorgio"; la costituivano 800 lance scelte. Nessuno straniero però ne faceva parte, poiché Alberico, condottiero di larghe vedute, esperto nell’arte militare, e che assai bene conosceva l’animo dei mercenari, non volle mai accettare che italiani a militare sotto le sue insegne. È noto anzi che il motto dei Belgioioso: “Italia ab esteris liberata” risale, come vedremo, alla sua fama di ricostruttore della Milizia italiana, in tempi in cui i Malatesta, i Farnese, gli Ubaldini, Luchino Dal Verme ed altri signori italiani avevano formato compagnie di ventura, accogliendovi sciaguratamente anche la parte peggiore delle lance inglesi e delle barbute germaniche. Nel Seicento la nobiltà, soggetta al dominio spagnolo, si dedica ad una vita di lusso, mollezze, violenze… Anche i duchi di Belgioioso non furono esenti dal triste andazzo dei tempi. La terribile peste del 1630 non risparmiò il territorio e la sua gente che visse inenarrabili sofferenze a causa del flagello devastatore e delle malversazioni di soldataglie prepotenti. Nel Settecento il castello risorse a vita festosa e brillante per opera di un altro principe, Alberico. Il Vidari, ricorda le superbe feste date in onore dell’Infante di Spagna nel 1783 e in onore di Eugenio Beauharnais, quando venne in Italia come Viceré. Sempre in questo secolo il castello fu ampliato e ricostruito. Don Antonio Barbiano fece costruire la bellissima cancellata ed abbellì quasi tutto il palazzo rinnovando i vasti giardini e le serre.Nel 1769 fu nominato Principe del Sacro Romano Impero e di Belgioioso, titolo trasmissibile ai maschi primogeniti con vari privilegi, fra cui quello di battere la cosiddetta “moneta di ostentazione” con la sua effigie. Il figlio Alberico XII fu uomo di talento, amante dell’arte. Fu generoso, ospitale, tra le sue amicizie si annoverano il Parini ed il Foscolo ospiti al Castello. Intraprese opere di bonifica, istituì scuole per i bambini dei coloni e si adoperò per migliorare la vita della popolazione. Fu devoto alla Corte senza esserne schiavo, deplorò che il Governo di Vienna non attribuisse incarichi di governo agli Italiani. Partecipò alla Guerra dei sette anni, dimorò alla corte francese. Fu avverso alla Rivoluzione francese ed al nuovo regime, trascorse gli ultimi anni della sua vita in solitudine. Dovette subire l’onta della distruzione dei suoi stemmi ed armi nobiliari per ordine del Governo Francese. Durante questo suo volontario esilio ebbe come ospiti il Parini ed il Foscolo e sotto gli occhi di quest’ultimo si spense il 17 agosto 1813. Al figlio primogenito toccarono il titolo di principe ed il castello di San Colombano; al ramo cadetto i possedimenti di Belgioioso ed il titolo di conte. Da splendida residenza di campagna del Principe di Belgioioso, a luogo d’incontro di scrittori, filosofi, musicisti e artisti, sede di esposizioni che fanno tendenza e raccontano la storia del costume del nostro paese. Il castello di Belgioioso è oggi un prezioso monumento di grande valore storico- artistico, da tramandare alle generazioni future, ma anche un efficace motore per lo sviluppo socio-economico e culturale del territorio. Grazie all’Ente Fiera dei Castelli di Belgioioso e Sartirana, che da anni ne ha fatto la sede di importanti manifestazioni culturali, mostre e fiere di livello nazionale. L’editoria, l’ambiente, l’antiquariato e l’abbigliamento d’epoca sono le vocazioni del castello di Belgioioso, che con un fitto calendario di appuntamenti ogni anno richiama almeno 600 aziende espositrici e oltre 80.000 persone. La trasformazione di una residenza aristocratica come il Castello di Belgioioso in un polo culturale, fruibile sia all’interno che all’esterno (gli splendidi giardini) a un vasto pubblico, è stato il primo obiettivo degli attuali proprietari del castello. E’ infatti un gruppo di privati che nel 1978 acquista ampia parte del castello e tutto il giardino neoclassico. L’edificio era decisamente trascurato, disabitato, chiuso, inaccessibile e aveva perso ogni caratteristica abitativa. Le prime risorse si concentrarono sul recupero delle aree che avrebbero permesso di valorizzare il monumento e di aprirlo al pubblico, riproponendo, in forme attuali e moderne, quei caratteri di benessere e di svago propri del luogo di feste concepito da Antonio I, Principe di Belgioioso, e dal figlio Alberico XII. Come molti altri castelli lombardi, anche quello di Belgioioso presenta un impianto quadrangolare, circondato da un largo fossato. Il complesso si articola su tre cortili interni, diversi (a causa delle ristrutturazioni e degli adeguamenti ai dettami stilistici che si sono susseguiti durante i secoli) per fisiognomia. Il fronte orientale, affacciato su piazza Vittorio Veneto, conserva l’alto prospetto originale trecentesco, impostato su un basamento a scarpa e completamente a mattoni a vista, provvisto di ponte levatoio e dotato di merlatura ghibellina (arricchita da una fascia decorativa a mattoni disposti a dentello), che si estende anche su buona parte della facciata del castello rivolta a nord. La facciata rivolta a ovest, aperta sul grande giardino all’italiana, fu invece rimodellata nella seconda metà del Settecento in stile neoclassico. Nella parte est del castello, che ha maggiormente mantenuto l’aspetto del fortilizio medievale, si conserva uno scalone in pietra risalente al XVIII secolo, mentre i restauri intrapresi dopo il 2008 hanno restituito una bifora trecentesca interamente dipinta con un motivo a losanghe bianche e azzurre e con lo stemma di Galeazzo II Visconti e tracce della medesima decorazione sono emerse anche in alcuni ambienti addossati alla facciata orientale del castello. Altre sale di quest’ala del castello sono invece decorate con telamoni e imprese araldiche dei Barbiano di Belgioioso risalenti alla fine del XVI secolo. Sempre nella parte orientale del castello, durante i restauri del 2014, sono stati identificati i resti di una torre a due piani, sempre risalente al XIV secolo, poi inglobata all’interno dell’edificio. L’ala ovest del castello, in stile neoclassico e dominata da un'ampia balconata, fu fatta ricostruire dal principe Antonio Barbiano di Belgioioso che ne affidò i lavori a Francesco Croce. In questo lato del castello si trovano gli ambienti nobili del maniero, collegati da un grande scalone in pietra, sulle pareti del quale sono appesi arazzi, bandiere e armi che riportano lo stemma dei principi. Al primo piano si trova anche il grande salone da ballo (che misura 13 x 13 metri), interamente affrescato secondo un programma decorativo ideato da Leopoldo Pollack, e la galleria degli antenati, arricchita da camini in marco bianco e da stucchi barocchetti realizzati tra il 1740 e il 1760 da Carlo Beretta nei quali sono raffigurati i busti di 19 membri della casata e le imprese da loro condotte descritte con iscrizioni in oro zecchino. A nord del castello si trovano le serre e le scuderie, la cui facciata riprende le forme di un tempio antico, realizzate su progetto di Leopoldo Pollack nel 1792. L’ala del castello si apre sul grande giardino all’italiana, fatto rimodellare negli stessi anni sempre dal principe Antonio, caratterizzato da sette filari di magnolie giganti, statue, piccoli obelischi in pietra e la fontana monumentale con Nettuno e Teti circondati da ninfe, opera settecentesca di Carlo Beretta. Il giardino termina a ovest con una grande cancellata, con sei alti pilastri sormontati da statue, ninfe, putti e vasi (tutti opera di Carlo Beretta), detta “teatro de’ rastelli”, progettata da Giovanni e Ruggeri e terminata da Francesco Croce nel 1737. Sulle facce dei pilastri principali della cancellata è ripetuta più volte la sigla del principe Antonio, sormontata dalla corona di principe. Altri link proposti per approfondimento: https://www.youtube.com/watch?v=xDSVsWCsI5A (video di Castello di Belgioioso), https://www.preboggion.it/CastelloIT_di_Belgioioso.htm, https://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/1A050-00123/, https://www.youtube.com/watch?v=MGvK0LM20ao (video di Milano Pavia on Demand), https://www.facebook.com/castellovisconteobelgioioso/videos/il-castello-di-belgioioso-la-storia/221279052487766/ (video)

Fonti: https://www.belgioioso.it/storia/, https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Belgioioso, https://www.comune.belgioioso.pv.it/c018013/zf/index.php/servizi-aggiuntivi/index/index/idtesto/70

Foto: la prima è un fermo immagine del video di Milano Pavia in Demand di cui ho accennato prima, la seconda è di Fabio Romanoni su https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Belgioioso#/media/File:Belgioioso5_castello.jpg

mercoledì 11 ottobre 2023

Il castello di mercoledì 11 ottobre



SPELLO (PG) - Torre Quadrano e Torre Acquatino

Negli Statuti Comunali un intero capitolo riguarda questa struttura difensiva, la cui custodia fu affidata agli abitanti della torre posta “fra le carbonare“. Due uomini di giorno e quattro di notte, che avessero compiuto i 18 anni di età, armati e provvisti di elmi d’acciaio, dovevano presidiarla per assicurare la vigilanza continua del territorio. Fu concessa la possibilità di abitarvi ed intorno ad essa fu costruito un casalino, dato in concessione per un periodo massimo di venticinque anni, all’interno del quale era consentita la realizzazione di una casa con pareti di terra e tetto in lastre o coppi, il cui possesso sarebbe passato al Comune, una volta terminato il periodo di locazione. Al contrario non era permessa la costruzione altri edifici fra la torre e le carbonare; anzi, l’eventuale realizzazione era punita con la sanzione di dieci libbre di denari. Il capitolo si chiude con una serie di pene per la mancata custodia e inosservanza delle disposizioni statutarie. L’inizio della costruzione della torre risale verosimilmente al XIII sec. e rientra nel sistema difensivo costituito dal fossato delle carbonare smantellato nel XVI secolo. Secondo il Donnola invece, la torre “fu fatta avanti l’anno 1376 e fu compiuta l’anno 1457“. Un secolo dopo la torre doveva già essere in rovina, dal momento che parte delle sue pietre furono riutilizzate per il restauro di una cappella presso la chiesa di Santa Maria Maggiore, come attesta un documento dell’Archivio Comunale datato 3 giugno 1555. La torre, a pianta quadrata con base a scarpata, è realizzata in pietra rosa e bianca locale, conserva parte della merlatura e una caditoia a circa metà altezza. Essa faceva parte del sistema difensivo della città di Spello. Attualmente è inserita in una struttura agrituristica ed è stata completamente ristrutturata e gode di buona salute a differenza della sua sorella (Torre Acquatino) che necessiterebbe di una manutenzione. Quest'ultima, per la quale gli Statuti Comunali non contemplano alcuna disposizione, secondo il Donnola fu costruita nello stesso periodo della torre di Quadrano, dalla quale dista “circa un miglio” ed è “simile a quella de muri, con fossi a torno e porta de ferro”. La famiglia Lamparelli, la cui residenza urbana era in via Giulia, ne fu custode perpetua. La torre, a pianta quadrata con un’apertura sormontata da un arco a tutto sesto, presenta una muratura a filari in pietra rosa e bianca del Subasio, riproponendo la caratteristica bicromia delle architetture civili e religiose del territorio spellano. In cattivo stato di conservazione, manca completamente della merlatura sommitale. La tecnica costruttiva fa ipotizzare che inglobi un edificio d’età romana, da collegare alla centuriazione del territorio, ancora rintracciabile nell’attuale suddivisione dei terreni agricoli. Nella campagna spellana esisteva una terza torre posizionata verso ovest e pressoché allineata alle prime due e si chiamava Torre Mastinelle, ma già nel 1600 non ve ne era più traccia.

Fonti: https://www.iluoghidelsilenzio.it/torre-quadrano-spello/, https://www.iluoghidelsilenzio.it/torre-acquatino-spello/

Foto: la prima (Torre Quadrano) è del mio amico Claudio Vagaggini, la seconda (Torre Acquatino) è presa da https://www.iluoghidelsilenzio.it/torre-acquatino-spello/

martedì 10 ottobre 2023

Il castello di martedì 10 ottobre



TESSENNANO (VT) - Palazzo Baronale

Il nome del paese deriverebbe da quello di un personaggio etrusco, Tesenna, con l'aggiunta del suffisso -anus, per indicare che questi ne era il proprietario. Nel 1270 era sottoposto all'autorità di Tuscania. Successivamente fu concesso a Nicola Orsini, despota d'Epiro, ma successivamente Ranuccio Farnese il Vecchio, condottiero e principale artefice della fortuna dei Farnese, nel 1422 ottenne la metà del contado. In seguito fece parte del Ducato di Castro, fino al 1649 quando rientrò a far parte della provincia ponteficia. Papa Pio VI nel 1788 concesse l'enfiteusi, ossia il godimento dei terreni agricoli dietro il corrispettivo del pagamento di un canone, al marchese Giovan Battista Casali Patriarca e ai suoi discendenti. Il Palazzo Baronale, costruito dagli Orsini a fine '400, ora ammodernato specie nella parte alta; fu abitato dai Farnese quando il paese apparteneva al Ducato di Castro. Della medioevale cinta fortificata restano, invece, mura inglobate nelle abitazioni perimetrali, resti della Torre del Tamburino, Porta Nord (con l’orologio) e Porta Sud, con arco gotico. Il palazzo baronale oggi è la sede del Municipio. Altri link suggeriti: https://www.viterbox.it/rubriche/borghi_7/la-riscoperta-di-un-borgo-tessennano_7848.htm, https://www.youtube.com/watch?v=H7-k8igSZ4Q&t=60s (video con drone di TestPilot)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Tessennano, http://www.lazioturismo.it/asp/scheda.asp?comune=tessennano

Foto: la prima è presa da https://www.facebook.com/photo/?fbid=10227332107425958&set=g.120456542521, la seconda è presa da https://www.3bmeteo.com/community/fotogallery/tessennano-aereo/68150 (da questa veduta aerea si possono vedere i resti della cinta muraria)

lunedì 9 ottobre 2023

Il castello di lunedì 9 ottobre


VAPRIO D'AGOGNA (NO) - Castello

Essendo un piccolo insediamento abbastanza decentrato, Vaprio non conobbe mai una grande espansione, venendo posto quindi nella sua storia sotto vari feudi. Fu assegnato in epoca medioevale al Comitato di Pombia; passò poi nel 1152 sotto ai Conti di Biandrate, e da quel periodo seguì le sorti di un comune limitrofo di maggiori dimensioni, Momo. Nel 1402 il duca di Milano Gian Galeazzo Visconti consegnò il feudo al novarese nobile Barbavara che poi lo vendette a tale Cristoforo di Casate. Poi, nel 1534, Vaprio fu ceduto per 16.800 lire al signore di Fontaneto d'Agogna, Galeazzo Visconti, rimanendo sotto tale famiglia fino agli inizi dell'Ottocento. In epoca barocca Vaprio conobbe un leggero ampliamento, tanto che nel comune si stabilì una piccola confraternita religiosa che fondò un modesto monastero; oggigiorno però di esso non rimane nulla. Nel periodo del seicento, il paese divenne un possedimento minore della famiglia Caccia, sotto a cui avvennero alcune importanti modifiche nel castello locale. Essi furono inoltre i primi committenti della costruzione della nuova chiesa di Vaprio, che sostituì la precedente, più piccola e antica, che era situata entro le mura del castello. Nei primi dell'Ottocento, numerosi terreni agricoli di Vaprio vennero acquistati da due nuove famiglie benestanti, i Bono e gli Acerbi. L'edificazione del castello (che sarebbe più idoneo definire casa-forte, per la sua struttura) risale al 1220 circa, commissionato dai da Momo, i futuri De Capitaneo poi Cattaneo, allora feutdatari anche di Vaprio. Fu eretto, per quanto risulta, soprattutto per rafforzare la rappresentatività del loro potere sui beni locali, potere appena riconquistato dopo un difficile contendere con il vescovo di Novara e quindi per dimostrare, semmai in futuro fosse stato ancora necessario, la legittimità dei loro diritti feudali sul territorio. E' stato portato a termine, così come lo si vede adesso, in tempi diversi. Prima si costruì il corpo più a sud del complesso. Doveva dare sicura dimora al valvassore incaricato di seguire in loco gli interessi del feudo. Solo in seguito, probabilmente all'inizio del trecento, si aggiunse un secondo corpo e sul finire del quattrocento si portò alle dimensioni attuali. La casa-forte nel corso dei secoli subì tante e tali alterazioni, distruzioni, ricostruzioni, modifiche e riadattamenti che oggi anche con la più attenta lettura della superficie esterna risulta impossibile quantificarle e differenziarle tra loro. Nel 1311 il Novarese passò sotto il dominio dei Visconti, famiglia ducale di Milano, impegnata in una strategia di espansione in tutte le direzioni. Da ciò l'inevitabile scontro con gli interessi del Marchese del Monferrato: fu infatti guerra aperta. Quando duemila mercenari inglesi (le famose barbute della "Compagnia Bianca" agli ordini del tedesco Albert Sterz) al soldo del marchese invasero il Novarese saccheggiandolo a man bassa, Galeazzo Visconti per scoraggiare l'avanzata di questi devastatori, pensò bene di fare tabula rasa dei castelli che sarebbero potuti cadere nelle mani nemiche e diventare ostelli dove passare l'incombente inverno. Anche la fortificazione di Vaprio conobbe l'onta distruttrice del piccone: erano gli anni tra il 1358 ed il 1361. Intanto i Da Momo, ormai declinati economicamente per la frantumazione del loro casato in una ventina di piccoli gruppi familiari, non potendo più offrire alcun peso politico e militare alla signoria ducale di Milano, interessata a privilegiare le forze fidate emergenti, furono sollevati dall'investitura feudale e la fortezza, con Vaprio, viene infeudata al novarese Manfredi Barbavara con diploma del 24 luglio 1402. Anche il Barbavara sfruttò il feudo da lontano e nella storia della fortezza non lasciò segno alcuno; è logico supporre che su questa, non essendo un possedimento allodiale, si fosse guardato bene dall'investire soldi per trarla dalle rovine del 1361. A metà quattrocento nel castello è documentata la presenza dei Caccia. Gli storici, al proposito, scrivono che a partire dalla seconda metà del Quattrocento la fortezza era stata abbandonata dagli "homines" ed una famiglia di signori, i Caccia, l'avevano lentamente acquistata. Iniziò così la storia vapriese della famiglia Caccia e una nuova vita per la fortezza. Il 5 luglio 1450 il referendario di Novara, nella sua relazione inviata a Francesco Sforza, succeduto ai Visconti, scriveva: "Vaprio ha un castello e conta 50 fuochi" (circa 300 abitanti). Il castello era già stato ricostruito e risorto dalle picconate viscontee? Non si sa. Si sa, invece, che i Caccia, una volta preso possesso, si dedicarono al suo completo recupero, all'ampliamento e lo abbellirono con un bel porticato disteso per ben 38 metri su nove colonne ottagonali. L'immobile assunse così la forma e le dimensioni ancora oggi in essere. Non si può parlare di questo castello senza fare almeno un cenno al suo più famoso castellano. Sotto il segno del cancro, il 22 luglio 1571, qui nacque il famigerato Giovanni Battista Caccia detto il Caccetta (dai vapriesi spagnoleggiato in "Cacita"). Il Caccetta fu una figura prepotente che spadroneggiò nel novarese attraverso soprusi e malefatte. Sposato con Antonia Tornielli, erede del castello di Briona, vi si recò a vivere trasformando il maniero in un centro di attività politiche antispagnole, allestendo anche una zecca clandestina nei sotterranei. Per questo si narra che il castello di Vaprio d’Agogna fosse collegato con un tunnel a quello di Briona e a quello di Barengo. Ma il Caccetta non si fermò qui, invaghitosi della nobildonna novarese Margherita Casati, si liberò della moglie e del canonico di Novara Serafino Conti che si opponeva al suo progetto di nuove nozze. Le malefatte e i delitti lo portarono in prigione, ma in realtà fu soprattutto la sua fama filofrancese a fargli guadagnare la decapitazione, pena riservata ai nobili. Gli spagnoli infatti lo condannarono come cospiratore e lo giustiziarono il 19 settembre 1609, a Porta Tosa a Milano, dopo un lungo processo durato anni. Il Caccetta venne sepolto a Novara nella chiesa di San Giovanni Decollato. I suoi beni, compreso il castello di Vaprio, vennero confiscati dalla Camera Ducale Milanese, per passare poi ai Visconti, che lo tennero per tutto il Settecento. La struttura divenne poi proprietà della famiglia Tagliabue, che la conservò così come è ancora visibile oggi. L’attuale casa forte, a pianta rettangolare, si presenta su tre piani più sottotetto e porticato cinquecentesco disteso su otto arcate laterali, la muratura nella parte inferiore è a ciottoli, a tratti a spina di pesce, e nella parte superiore in mattoni. Dal 1740 la struttura è stata adibita ad abitazioni private. Sul lato rivolto al bellissimo parco dagli alberi secolari, si diparte invece la parte più recente del complesso fatta costruire, forse recuperando parti antiche, dalla famiglia milanese Tagliabue nel 1885, come riportato sotto l’arcata della porta centrale. Gli Stemmi di questa casata sono stati recuperati durante gli ultimi lavori di ristrutturazione. Inizialmente quindi ad uso di un unico proprietario, la dimora era costituita a pianterreno da diverse cucine e al piano superiore da una serie di camere da letto. Agli inizi del ‘900 la tenuta fu rilevata da Enrico Baroli, ex sindaco di Vaprio d’Agogna. Oggi invece la proprietà è passata alla Società "Il Borghetto" di Borgomanero, che ha fatto eseguire in particolare il restauro della costruzione del 1885, salvando le preziosità al suo interno, dando nuova vita e un nuovo nome a questo luogo incantevole.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Vaprio_d%27Agogna, testo di Pietro Marco Agazzone su https://www.comune.vapriodagogna.no.it/it-it/vivere-il-comune/cosa-vedere/castello-sec-xii-5717-1-7917a198f78b5a7cec03d3cc083d51da, https://www.castellovisconti.it/about/

Foto: la prima è presa da https://www.immobiliareellebi.com/abitazione/trilocale-in-storico-castello-perfette-condizioni-vaprio-dagogna/, la seconda è presa da http://la-dimora-del-caccetta-apartment.hotelspiedmont.com/it/

venerdì 6 ottobre 2023

Il castello di venerdì 6 ottobre



GIULIANOVA (TE) - Torrione "Il Bianco" o "la Rocca"

Il Torrione "Il Bianco" costituisce uno dei pochi e pertanto importanti resti delle mura che cingevano l'antico borgo di Giulianova. Posto all'angolo nord-occidentale del borgo, l'edificio presenta una pianta circolare e si articola su due livelli. La straordinaria originalità delle soluzioni architettoniche adottate nella progettazione dell'intera città ha condotto numerosi storici ad attribuirne la paternità al geniale architetto senese Francesco di Giorgio Martini e l'edificazione al XV secolo, quindi all'epoca di fondazione della nuova città. il piano superiore era accessibile solo e direttamente dalla cinta difensiva, della quale rimangono solo scarse tracce nelle due ali di abitazioni che la racchiudono. Col tempo ha perso parte della sua monumentalità, a causa di alcuni restauri che l'hanno privato dell'imponente merlatura sommitale e del simbolo della casata Acquaviva. Costruito in tecnica mista di pietrame e laterizio, il torrione presentava in origine un coronamento a beccatelli in laterizio gradonati con caditoie e conclusione a merlatura. Il coronamento è stato sostituito con una balaustra in mattoni. Le aperture in laterizio, corrispondenti alle antiche feritoie, sono state realizzate quando la torre venne utilizzata come civile abitazione. All'interno, i due ambienti circolari presentano volte costruite con grande cura e laterizi di qualità; quella inferiore presenta una sequenza di unghiature angolari che si innestano nella crociera centrale, mentre quella superiore è cupoliforme. I vani interni hanno un diametro di poco più di 6 m e un'altezza di 4,5 -5 m. Alcune tracce rinvenute fanno pensare che in epoca recente il torrione fosse intonacato, da qui il nome "il Bianco" mentre l'appellativo "la Rocca" è dovuto al fatto che la torre era rifugio del duca Giuliantonio di Acquaviva in caso di invasione o rivolta popolare, essendo il più grande dei ruderi conservati e relativi alla cinta muraria di Giulianova. Appartiene alla tipologia dei bastioni d'angolo delle cinte difensive; la forma cilindrica e la scarpatura basamentale piuttosto accentuata lo fanno risalire al XV secolo, quindi all'epoca di fondazione della Giulianova rinascimentale. Contesa da più parti fino al 1460, Giulianova divenne possesso in questa data di Giulio Antonio d'Acquaviva d'Aragona, il quale provvide alla fondazione di un nuovo centro, chiamato Giulia, che sostituì il precedente Castel San Flaviano. L'abitato venne posto su una collina, impiantato secondo una conformazione quadrangolare e circondato da una massiccia cinta muraria con 8 torri rimaste in piedi fino al 1860; di queste, solo cinque sono giunte ai giorni nostri tra cui "Il Bianco", che, dopo essere stato sottoposto ad un apposito restauro, è divenuto sede museale. Ospita il Museo Civico Archeologico “Torrione La Rocca”, inaugurato nel 2001 all’interno del bastione angolare della città rinascimentale, a vent’anni dai primi rinvenimenti archeologici durante alcune campagne di scavo, raccoglie reperti provenienti dalla città romana di Castrum Novum Piceni, tra i primi avamposti ad essere fondato dai romani sul medio Adriatico. Le teche ospitano soprattutto reperti legati alla straordinaria produzione di manufatti in cotto, quali anfore e lucerne figurate, che caratterizzò il centro portuale romano.

Fonti: https://www.abruzzocitta.it/luogo/torrione-il-bianco/, https://catalogo.beniculturali.it/detail/ArchitecturalOrLandscapeHeritage/1300020262, https://it.wikipedia.org/wiki/Giulianova#Architetture_militari

Foto: la prima è presa da https://www.abruzzocitta.it/luogo/torrione-il-bianco/, la seconda è una cartolina della mia collezione

giovedì 5 ottobre 2023

Il castello di giovedì 5 ottobre



SEMPRONIANO (GR) - Rocca Aldobrandeschi

Il complesso della rocca iniziò a sorgere verso la metà del IX secolo, in posizione dominante sia a difesa dell'intero insediamento di Semproniano, che per gli avvistamenti verso i territori circostanti. Possesso indiscusso della famiglia Aldobrandeschi, entrò a far parte della Contea di Santa Fiora alla fine del Duecento, nell'atto di divisione dei possedimenti della famiglia. Tuttavia, prima gli Orvietani e poi i Senesi cercarono di imporre la loro influenza per il controllo dell'intera zona; soltanto nel 1410, però, le truppe senesi riuscirono a conquistare Semproniano, causando gravi danni alla rocca aldobrandesca. Dopo una temporanea riqualificazione della rocca decisa dal governo di Siena tra il tardo Quattrocento e i primi decenni del secolo successivo, il complesso venne espugnato dagli Spagnoli nel 1536 e, da allora, ebbe inizio il lunghissimo periodo di abbandono e di declino che ha compromesso per sempre l'originaria struttura fortificata. La Rocca iniziò a degradare, le mura si mantennero pressoché integre, ma, nel corso del periodo successivo, furono parzialmente inglobate in abitazioni. Della Rocca si conservano ormai solo alcuni ruderi, dove sono ravvisabili alcuni tratti delle mura perimetrali e la base quadrangolare dell'antica rocca. Tutte le strutture murarie sono circondate da una serie di alberi, molti dei quali cipressi, che permettono di individuare l'area dall'esterno del centro abitato. Altri link suggeriti: https://maremma.name/amiata/semproniano/la-rocca-aldobrandesca/, https://www.youtube.com/watch?v=7_MsuyL-WUA (video di Italy Walking Tours)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Rocca_aldobrandesca_%28Semproniano%29, https://www.tuscanysweetlife.com/item/rocca-aldobrandesca-di-semproniano/

Foto: la prima è di LigaDue su https://it.wikipedia.org/wiki/Rocca_aldobrandesca_%28Semproniano%29#/media/File:SempronianoCastelloAldobrandesca.JPG, la seconda è presa da https://www.maremmaguide.com/semproniano-tuscany-italy.html

mercoledì 4 ottobre 2023

Il castello di mercoledì 4 ottobre



POLLICA (SA) - Castello Vinciprova in frazione Pioppi

Risale al 994 il più antico documento scritto che riguarda la località: si tratta di un diploma, pubblicato da Ludovico Antonio Muratori nelle "Antiquitates Italicae Medii Aevi", con cui i principi di Salerno, i longobardi Giovanni II e Guaimario III, donavano all'egumeno Andrea, del cenobio italo-greco di San Magno (ora San Mango), tutti i terreni dissodati dai monaci basiliani e le chiese che insistevano su quelle stesse terre. Dal documento si apprende che, nel 994, vi sorgeva una chiesa intitolata a Sancta Maria de li Puppi. Il fiume di Pioppi (flubium de pluppi) viene citato in un documento del 1047 vertente sulla divisione patrimoniale tra Guaimario V e i fratelli Guido di Sorrento e Pandolfo di Capaccio. Nel 1113, il normanno Troisio II, figlio di Troisio (o Turgisio) di Sanseverino, con un diploma redatto a San Mauro (ora San Mauro Cilento) dona alla Badia di Cava alcune terre, tra cui è compresa Pioppi nel novembre dello stesso anno, l'abate cavense, san Pietro Pappacarbone, ottiene da Troisio un secondo diploma per dirimere alcune carenze contenute nel primo atto. Il villaggio venne completamente distrutto durante la guerra del Vespro (1282-1302) e fu più tardi ricostruito nell'attuale sede di Pioppi. Il castello (o palazzo) venne edificato nel XVIII secolo dalla famiglia Ripoli, famiglia di mercanti originaria della Catalogna, stabilitasi a Pollica in epoca di dominio degli Aragonesi su Napoli. Cresciuti in ricchezza, i Ripolo cozzarono negli interessi di predominio su Pollica con un'altra famiglia spagnola, i della Cortiglia, mentre erano state costrette nell'ombra le più ricche famiglie autoctone: Volpe, Farina e Cantarella. Di tali rivalità e vendette che flagellarono il paese per anni si tramanda anche attraverso una nota leggenda popolare.Secondo alcune notizie, il palazzo venne ceduto dai Ripoli per debiti di gioco, contratti in una sola notte. Nel 1888 apparteneva a Giuseppe Sodano, sindaco di Pollica, che poi lo cedette ai Vinciprova di Omignano. Di tale nobile famiglia è degno di nota Pier Leone, detto Leonino, ufficiale dei Mille”nella famosa spedizione di Garibaldi, del quale si conservano la camicia rossa, la spada e il berretto proprio al museo del castello. Si racconta che Alexandre Dumas (padre), il famoso romanziere francese, il 15 settembre del 1860 approdò con la goletta “Emma” davanti al Palazzo Vinciprova per consegnare circa 400 fucili ai Mille di Garibaldi per il tramite proprio di Leonino Vinciprova, uomo di fiducia dell’eroe dei due mondi. Il palazzo è stato donato dagli ultimi rappresentanti della famiglia Vinciprova al Comune di Pollica, che lo ha destinato a finalità museali e divulgative (il Museo Vivo del Mare, al livello terraneo, e Il Museo Vivente della Dieta Mediterranea Ancel Keys, al piano superiore). Il castello così come è, ancora oggi, chiamato dal popolo palazzo Vinciprova, si presenta come una struttura architettonica forte ed armoniosa, composta di tre corpi: due torri laterali terminanti in terrazzi dai merli arabeschi, mentre un corpo centrale li unisce; il fronte mare si abbellisce di un ampio portico che regge uno splendido terrazzo soprastante, affacciato quasi sopra alle acque. Esso si compone elegantemente in linee barocche e decori di influenza moresca con un voluto effetto visivo di castello, soprattutto per l'osservatore in navigazione dal prospiciente mare. L'aggraziatissimo Museo del Mare costituisce una suggestiva visita per le vasche che riproducono l'affascinante vita del mare, degli habitat, dei pesci, delle piante diverse. La lunga presenza di Ancel Keys, che qui ha elaborato i propri studi fino alla formulazione di un regime alimentare a tutti noto come dieta mediterranea ha determinato un'istituzione a lui dedicata che presenta al pubblico una panoramica esauriente di documenti cartacei e visivi sul tema dell'alimentazione mediterranea e cilentana e dei prodotti che la costituiscono.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Pioppi_(Pollica), https://fondoambiente.it/luoghi/castello-vinciprova-pioppi?ldc, https://www.museovivodelmare.it/palazzo/, testo di Paola Montonati su https://www.personalreporter.it/news/il-castello-di-pioppi/

Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, la seconda è presa da https://www.museovivodelmare.it/palazzo/