lunedì 31 ottobre 2011

Il castello di domenica 30 ottobre



ROMA – Torre Boacciana a Ostia

Posta sulla sinistra del Tevere verso l'Ostiense, fu edificata su un nucleo di edifici antichi (fine II-inizi III sec. d.C), probabilmente nel luogo occupato in epoca romana dal faro di Traiano posto all’imbocco del fiume. Di essa abbiamo notizie intorno alla prima metà del 1200, secondo le quali sappiamo che dopo essere stata costruita da Cencius Bobazanus venne usata dalla famiglia dei Bobaciani, da cui deriva il nome Boacciana, come punto di avvistamento del mare all'ingresso del fiume. Era, però, sicuramente visibile anche nei secoli precedenti se è vero che la torre è da identificarsi con la «bellissima torre ma abbandonata» che nel 1190 venne descritta nella cronaca dello sbarco di Riccardo Cuor di Leone in partenza per la terza crociata. All’inizio del Quattrocento fu restaurata per volontà di Innocenzo VII. Altri restauri furono eseguiti da Martino V. Tor Boacciana fu sede della dogana pontificia dopo l'alluvione che, nel 1557, comportò l'allontanamento del corso del Tevere dalla Rocca di Ostia, luogo dove originariamente avveniva il pagamento delle gabelle. Dieci anni dopo, però, seguendo lo spostamento della linea di costa, la dogana fu trasferita più a valle, in una nuova torre chiamata Tor San Michele. Caratteristica è la struttura formata da laterizio e scaglie di marmo. La pianta è quadrangolare.

sabato 29 ottobre 2011

Il castello di sabato 29 ottobre



ROMA – Castello della Cecchignola

Nell’insieme il complesso è caratterizzato da diverse epoche costruttive. Il periodo romano rintracciabile nella base della torre principale e soprattutto nelle mura, in cui sono inglobate, attraverso il riuso dei materiali, parti di molte strutture romane, come ad esempio basoli di antiche strade, probabilmente reperiti proprio nella vicina via Ardeatina antica. Ci sono ampi riferimenti al periodo medioevale, al periodo barocco ed a fasi relative al XIX secolo. Il complesso si articola attorno a due ampie corti costituite dal casale, dalla torre e dalle aggiunte ottocentesche. Nella corte più esterna vi è una chiesetta con la facciata caratterizzata da elementi decorativi in stile barocco e all’interno da decorazioni neoclassiche. Osservare la torre è come sfogliare un testo di storia delle costruzioni. Essa risale al XII secolo, è costruita in scaglie di tufo e selce. Presentava un recinto merlato, ancora parzialmente conservato nella parte posteriore del complesso. Nella torre, alta ben 45 metri, sono chiaramente visibili periodi e tecniche costruttive diverse. La prima parte, la base, è di epoca romana, rinforzata con speroni medievali ad opera mista ed è composta da tufi e da basoli in selce. La seconda parte, medioevale, è in tufelli orizzontali tipici del XIII secolo. La terza, costruita probabilmente tra il XVIII e il XIX secolo, è un'ulteriore sopraelevazione in tufi ben squadrati. Si allarga con mensole in peperino che ricordano la torre del Mangia a Siena. L'ultima parte della torre (che conteneva una cisterna d'acqua) è fabbricata in mattoni giallastri e risale al 1891, come leggibile sulle ceramiche raffiguranti lo stemma Torlonia. Il casale e la torre si presentavano fortificati da mura che sono ancora parzialmente visibili. I merli sulle mura sono guelfi. Le immagini ritrovate su disegni antichi li rappresentano invece con elementi ghibellini. La struttura fortificata, composta da casale e torre, costituiva un complesso sistema difensivo rafforzato da una serie di torrette. Il primo documento che contiene notizie del castello è una bolla del 1217 di Onorio III Savelli, in cui è registrato il nome “Piliocti vel Cicomola” e ne attribuisce la proprietà al monastero di Sant’Alessio sull’Aventino. Il termine Cicomola diventò nel secolo successivo Cicognola e dal XVI sec. si trasformò nell’attuale toponimo di Cecchignola. Nel 1377 parte dell’originaria tenuta era ancora in possesso dei monaci di Sant’Alessio. La proprietà, nel 1458, fu venduta dalla famiglia Capizucchi al cardinale Bessarione; nel 1463, la stessa venne affittata dal maggiordomo del cardinale al figlio di Pietro Casali e a Giovanni de Foschi. Intanto, qualche anno dopo, nel 1467, il cardinale sottoscrisse il suo testamento lasciando in eredità l’intera tenuta alla cappella di Sant’Eugenio nella basilica dei Dodici Apostoli di Roma. Ma, quest’ultima poco dopo la morte del cardinale, nel 1477 circa, se ne privò vendendola a Pietro Margani. La tenuta restò, dopo varie vicissitudini, per oltre cento anni alla famiglia Margani, il cui stemma si può notare sull’architrave in marmo bianco esistente nel cortile del castello, che la cedette nel 1584 a Tiberio Ceuli. Dopo soli 26 anni il Ceuli, in regime fallimentare, vendette la tenuta ai Barberini. Nel 1617 la proprietà passò al cardinale Scipione Caffarelli Borghese, nipote del papa regnante Paolo V, che l’aveva acquistata da Maffeo Barberini, futuro papa Urbano VIII. Proprio in questo periodo, grazie alla famiglia Borghese, vennero realizzati considerevoli lavori di risistemazione del complesso. Essi si devono a più maestranze, che operarono tra il 1618 e il 1619, quando Paolo V decise di bonificare la zona trasformandola in un luogo di delizie estive. Così si diede inizio ai lavori per la realizzazione del grande parco nel fosso della Cecchignola, le cui acque alimentavano la peschiera di forma ovale. Allo stesso periodo si riferisce la costruzione delle mura di cinta che servivano, probabilmente, a separare la parte del complesso destinata alla residenza da quella destinata allo sfruttamento agricolo. Altri lavori fatti eseguire dai Borghese furono le pitture parietali ad opera di Annibale Durante realizzate negli ambienti riservati alla residenza del papa nel piano nobile.
Il maestoso portale bugnato in travertino con lo stemma dei Borghese costituì l’ingresso alla proprietà dal 1618, data in cui ebbero inizio i lavori di restauro ad opera del maestro Giuseppe di Jacomo, come scritto nei registri dei pagamenti del Cardinal Scipione. Nell’ultimo decennio del ‘600 la Cecchignola appartenne alla famiglia Pamphjli, come tra l’altro conferma la notizia, del 1695, secondo cui il cardinale Pamphjli avrebbe qui offerto un pranzo a diversi cardinali.
Nel 1770 la tenuta passò di proprieta al Priorato di Roma. Il cardinale Ruffo, Gran Priore dell’ordine Gerosolimitano, concesse la tenuta in enfiteusi ai Sacri Palazzi Apostolici. Nel 1831 la Camera Apostolica si vide costretta ad allienare la tenuta che veniva acquistata da Alessandro Torlonia nel 1832. Le sue iniziali AT si leggono oggi sul cancello principale posto fra due corpi di fabbrica che costituirono, da allora, il nuovo monumentale ingresso. Oggi, dopo anni di intensi e complessi restauri, il castello della Cecchignola è tornato ai fasti del passato mantenendo inalterate le molteplici caratteristiche architettoniche che ha assunto nei secoli. Esso è stato scelto per accoglierere la nuova la sede dell’Università dei Marmorari Romani e una Biblioteca di uso anche pubblico, specializzata in arte lapidea, scultura e marmi antichi. Il castello ha un suo sito internet: http://www.castellodellacecchignola.it

venerdì 28 ottobre 2011

Il castello di venerdì 28 ottobre



CASTEL VISCARDO (TR) – Castello Monaldeschi di Monterubiaglio

Fu eretto tra il 1278 e il 1292 (anno del suo accatastamento) e conobbe diversi proprietari e molteplici vicende: la prima signoria che vi si stabilì, nel 1280, fu quella orvietana di Ranieri della Greca, poi nel 1385 subentrarono i Monaldeschi della Cervara. Nel XV sec. fu assunto nel patrimonio dello Stato Pontificio; nel 1503, il paese venne saccheggiato dalle bande di ventura di Cesare Borgia; nel 1611, Giacomo I° Monaldeschi della Cervara promulgò lo Statuto del Castello di Monterubiaglio, importante strumento legislativo che regolava tutta 1'attività religiosa e socio-economica del contado. Nel 1689 divenne proprietà del Conte Gian Battista Negroni che lo fece restaurare in seguito al disastroso terremoto del giugno del 1695 e la cui famiglia rimase proprietaria del castello fino al XIX sec. Singolare è la figura di questo conte, definito “l’uomo in nero”, le cui iniziali G. B. N. si trovano traforate sulla banderuola metallica che svetta sulla torretta delle due campane del castello. Si racconta che nei sotterranei del maniero si sarebbe dedicato a strane attività quali l’alchimia, la magia nera, l’occultismo e lo spiritismo, pratiche severamente condannate dalla Chiesa. Avrebbe, inoltre, tentato, per la prima volta la pietrificazione dei tessuti umani. Per successive eredità il castello andò ai Giberti-Maciati, ai Pompili, ai Perali, ai Lattanzi. Nel 1943 vi trovarono alloggio le truppe tedesche in ritirata. L’edificio, che si affaccia su Piazza del Castello o dello Statuto, a poca distanza dalla Chiesa parrocchiale, attualmente è in buono stato di conservazione. Presenta una struttura quadrangolare, con quattro torri merlate e una sola porta d’ingresso che sbocca sul cortile interno. Una campana del castello è dedicata a Santa Barbara e, fino a poco tempo fa, veniva suonata all’avvicinarsi del temporale a protezione dalla grandine sui vigneti della zona. Una leggenda racconta che all'interno del castello si aggiri tuttora il fantasma di Gian Rinaldo Monaldeschi, uno degli amanti della regina Cristina di Svezia e da lei fatto uccidere nel 1654 per gelosia. Sulla storia del Castello sono stati pubblicati i volumi: "Storia e Cronaca di un paese intorno al suo castello" di Osvaldo Priolo (1980) e "Un fiume, un ponte, un Castello" di Sandro Bassetti (1994).

giovedì 27 ottobre 2011

Il castello di giovedì 27 ottobre



ENEGO (VI) - Torre scaligera

L'origine del nome "Enego", deriva dal germanico Enika. La prima citazione storica della città la si trova in un documento datato 1031 mentre nel 1180 venne ceduta in feudo agli Ezzelini, ai quali rimase fino al 1260. Intorno al 1300 Enego fu di proprietà degli Scaligeri e l'eco di questo passaggio è ancora visibile nella Torre della Piazza, unica superstite delle quattro fatte costruire da Cansignorio della Scala nel 1335 come dimora estiva e a difesa del paese. Il torrione di pietra e terminante a caditoie, reca infatti lo stemma scaligero. In seguito alle lotte fra Scaligeri e Visconti nel 1387 la Reggenza passò sotto la Signoria dei Visconti di Milano, vincitori sui primi. Infine nel 1404, la Federazione dei Sette Comuni per salvaguardare la propria autonomia e difendere la liberta' entrò a far parte della Repubblica Veneta. Nel 1500 l'esercito dell'Imperatore di Germania tentò di espugnare le terre dei Sette Comuni ma l'opposizione valorosa degli altopianesi scongiurò il pericolo. I secoli 16^ e 17^ vedono Enego in lotta contro il confinante Grigno per il possesso delle terre di Marchesina e Monte Frizzon. La controversia trovò soluzione momentanea con la Sentenza Roveretana del 1623 e quella definitiva solo nel 1754 con una mappa confinaria ratificata dall'Imperatrice Maria Teresa d'Austria. L'eco della rivoluzione francese arrivò anche sulle nostre montagne: nel maggio del 1797 le truppe francesi entrarono trionfalmente in Veneto decretando la fine della gloriosa Repubblica Veneta.

mercoledì 26 ottobre 2011

Il castello di mercoledì 26 ottobre



FALCONARA MARITTIMA (AN) - Castello di Castelferretti

La sua edificazione è strettamente legata, così come la storia del paese, alle vicende della famiglia Ferretti, che ha posseduto questo territorio dai primi del Duecento fino a tutto il Settecento, esercitandovi i diritti feudali dal 1397. Nel 1384, Francesco Ferretti, discendente da uomini d'arme e condottieri originari della Germania venuti in Italia nel primo Duecento, chiese ed ottenne dal vicario generale della Marca anconitana Andrea Bontempi di poter trasformare un'antica torre di guardia, posseduta nella piana de' Ronchi, tra Falconara e Chiaravalle, in un luogo fortificato capace di contenere armati, vettovaglie e bestiame. Fu il primo atto con cui si diede l'avvio all'edificazione di un munito castello a custodia delle proprietà che i Ferretti possedevano tutt'intorno, creando insieme una buona piazzaforte a completamento del sistema difensivo del territorio anconetano. All'incirca negli stessi anni vennero ristrutturate quasi tutte le altre rocche dislocate lungo i confini anconetani da Bolignano, al Cassero, a Fiumesino, con lo scopo di difendere al meglio la città dalle scorrerie delle armate angioine impegnate nella guerra tra i fedeli del papa Urbano VI e i seguaci dell'antipapa avignonese Clemente VII. La costruzione del castello venne completata nel giro di pochi anni tanto che nel 1397 Francesco Ferretti fu nominato conte di Castel Francesco da Papa Bonifacio IX. La fedeltà dei Ferretti nei riguardi della Chiesa si confermò ulteriormente per tutto il secolo XIV, nonostante l’agitarsi nei territori limitrofi delle lotte tra i diversi signori locali per la conquista dei territori papali. L‘appoggio dei Ferretti alla Chiesa fu premiato, infatti, all’arrivo del cardinale Egidio Albornoz, incaricato da Papa Innocenzo VI di restaurare l’autorità pontificia nei territori della Chiesa in Italia, persi durante la cattività avignonese, i possedimenti dei Ferretti rimasero nelle mani della famiglia in segno di riconoscimento. La contea, su cui i Ferretti godevano delle stesse immunità e dei privilegi concessi ai nobili palatini, si estendeva dal fiume Esino ai confini con il territorio di Ancona a quelli con le proprietà dei benedettini cistercensi di S. Maria in Castagnola di Chiaravalle, in una pianura fertile e ricca di acque occupante in parte l'antico alveo dell'Esino ormai asciutto per la deviazione subita dal fiume dopo le ripetute frane delle rupi di Jesi. Il riconoscimento del feudo ai Ferretti, famiglia di spicco nel governo di Ancona, diede luogo ad una disputa tra Anconetani e Jesini per il possesso delle terre al di qua e al di là dell'Esino che nel Quattrocento sfociò in duri scontri tra gli eserciti delle due città. Della questione territoriale, chiusasi solo nei primi decenni del XVI secolo, restano parecchi documenti, anche cartografici, che ben introducono nell'ambiente in cui vivono ed operano gli abitanti di Castel Francesco nei primi anni di sviluppo del centro abitato. Il castello offriva una sicura abitazione agli agricoltori che lavoravano nei campi circostanti e agli artigiani dediti ad attività di sostegno all'economia agraria. Secondo la descrizione resa da uno storico appartenente alla stessa famiglia Ferretti il fortilizio era di forma quadrata con profonde mura a controscarpa. Lasciata in piedi l'antica torre di guardia, vennero elevate altre tre torri, separate l'una dall'altra da mura merlate. Un'altra torre dominava l'ingresso, a cui si accedeva per mezzo di un ponte levatoio, che si apriva sul cortile interno dove c'erano la chiesa, col forno e una gran quantità di fosse capaci di contenere e conservare il grano frutto delle annuali raccolte. L'intera tenuta dei Ferretti "paludosa e selvata" fin verso la metà del Quattrocento fu bonificata e messa a coltura dall'infaticabile opera di gruppi di albanesi stabilitisi in Castel Francesco, costretti a vivere nei primi tempi del loro soggiorno in "rozze capanne" e ammessi poi in avanzati anni ad alloggiare nel castello. Il feudo dei Ferretti ebbe una rapida crescita demografica cosicché a metà 500', secondo lo storico Francesco Ferretti autore nel 1685 della Pietra del Paragone, era abitato da 65 famiglie sistemate in 23 appartamenti all'interno del castello e in altre piccole abitazioni raccolte in un borgo ed in alcune ville nella campagna. In totale si contavano quasi 500 abitanti distribuiti in un territorio della superficie di circa 1300 ettari. A testimonianza del florido periodo si ricordano le opere promosse dal capitano Francesco Ferretti consistenti in ampliamenti dell'intera rocca, nella costruzione di un "casino" nel borgo con logge e giardino e di una chiesa dedicata a S. Stefano. È poi più o meno nello stesso periodo che i Ferretti completarono l'edificazione della villa di Monte Domini, un superbo esempio di edilizia signorile cinquecentesca ad uso di abitazione estiva. Nel 1582 il castello cambiò destinazione d’uso, venne ristrutturato su ordine di Francesco di Piergentile Ferretti, perse le sue caratteristiche di fortezza militare e assunse quelle di residenza, furono realizzati degli appartamenti, innalzati alcuni muri perimetrali, eliminate le merlature e sopraelevata di un piano la cinta muraria esterna. Nel 1629 si decise di ampliare la chiesa parrocchiale di S. Andrea, all’interno del castello, per meglio ospitare la crescente popolazione. Tra il ‘600 e il ‘700 il castello fu spesso oggetto di contesa tra il Comune di Ancona e la casata Ferretti; Ancona, infatti, cercava di sottomettere Castel Ferretti sotto la propria giurisdizione, obbligandolo al pagamento di gabelle e tributi. I Ferretti riuscirono più di una volta a ribadire i loro diritti feudali e nel 1760 ottennero il definitivo riconoscimento del loro potere sul castello e sul territorio. Furono i decreti del cardinale Ercole Consalvi, intento nell‘opera di riorganizzare lo Stato della Chiesa dopo l‘ondata rivoluzionaria francese, a privare, nel 1817, la Famiglia di ogni diritto giurisdizionale sulla propria contea. Terminò così la signoria dei Ferretti e si istituì il comune di Castelferretti. Nel 1930 a causa del terremoto il castello fu gravemente danneggiato, in particolare furono colpite le cime di alcune torri, ricostruite successivamente in maniera sommaria, con l’eliminazione delle merlature. Nonostante il susseguirsi dei numerosi eventi storici e naturali, che hanno pesantemente cambiato il suo aspetto, il castello rimane tutt’oggi un vero e proprio gioiello dell’architettura medievale. Per approfondire si può visitare il seguente link: http://nuke.castelferretti.it/LaStoria/IlCastello/tabid/55/Default.aspx

martedì 25 ottobre 2011

Il castello di martedì 25 ottobre





PENNABILLI (RN) – Castello Carpegna di Scavolino

Scavolino è una frazione del comune di Pennabilli la cui prima menzione storica è fatta nel diploma di Ottone I datato 962, documento che i più ritengono essere però un falso. La successiva citazione della frazione è in un testamento del Conte Girardo di Bertinoro datato 1062 dove, fra i castelli lasciati in eredità al figlio, risulta esservi anche Scavolino. Prima del 1343 il castello rimase di proprietà dei Montefeltro: a quest'anno è infatti datato l'acquisto di metà della struttura da parte del Conte Nerio Carpegna. In un documento dell'anno 1371, che attribuisce la proprietà del castello a Rinalduccio Carpegna e Bandino Carpegna, è scritto che nell'area prossima al castello si contavano diciotto famiglie. Da questo periodo Scavolino fu per lungo tempo senza dubbio possesso dei Conti di Carpegna. Nel 1458, a seguito dell'alleanza fra i Carpegna ed i Malatesta, Federico Montefeltro, preoccupato dalla vicinanza dello storico nemico, cinse d'assedio i castelli dei Carpegna, forte dell'appoggio della Chiesa e di Alfonso d'Aragona, re di Napoli. Le guerre si conclusero nel 1462 con la disfatta dei Malatesta sul Cesano. Il castello di Scavolino, come la gran parte dei possedimenti carpentini, venne saccheggiato dalle truppe di Federico d'Urbino. A seguito dei trattati di pace e delle divergenze in seno agli stessi Carpegna sulla politica delle alleanze, il 4 dicembre 1463 il castello di Scavolino passò assieme a quelli di Gattara, Bascio e Miratoio nelle mani del Conte Francesco. Ben presto, nel 1465, a costui successe il figlio Ugo che portò avanti un valido lavoro diplomatico sfociato nel 1484 con la concessione alla Contea della protezione papale da parte di Innocenzo VIII e con il patto d'accomandigia con la Repubblica Fiorentina stipulato il 26 marzo 1490. Nel 1491, a seguito della rivendicazione di Giannicolò Carpegna, il duca d'Urbino invase la Contea, ma dovette recedere dai suoi propositi a seguito dell'intervento del Granduca di Toscana. Al Conte Francesco successe il figlio secondogenito Tommaso, signore di Scavolino, Bascio, Soanne e Miratoio, che costruì sul preesistente castello un palazzo-fortilizio e bonificò il lago che si trovava ai piedi della rocca trasformandolo in un'area tutt'oggi utilizzata per le coltivazioni. Così come lo descrive Mons. Lancisi nel 1705, data in cui fu ospite del palazzo, questo era di maestosa imponenza, aveva ponte levatoio, numerosi fanti di guardia, parapetti, sentinelle, cannoni, torri a difesa; costruito su due piani era diviso in piccole stanze ma fornite di ingegnose scalette segrete ed aveva al suo interno anche il teatro, la foresteria e la cappella. Di tanta magnificenza rimane oggi il perimetro delle possenti mura che vegliano sulla piazza di Scavolino, su cui si affaccia l’antica sede del palazzo Comunale. I ruderi del castello, in parte ricoperti dalla vegetazione, non sono visitabili.

lunedì 24 ottobre 2011

Il castello di lunedì 24 ottobre



FUSCALDO (CS) – Castello Spinelli

Fuscaldo, grazie alla sua posizione geografica, fu un territorio strategico nella guerra greco-gotica (535-553), così come durante la dominazione longobarda (VI sec - IX sec). Il vertice della collina, oltre che rifugio sicuro, era ideale per controllare a vista la valle del Vardaro (torrente che scorre a nord di Fuscaldo), una delle principali vie di comunicazione fra la costa e l'entroterra, in uso almeno dall'età romana, come testimonia un ritrovato ripostiglio monetale databile tra il 91 e il 79 a.C. Fu dominio bizantino e subì numerose incursioni saracene. Si susseguirono in seguito molti feudatari al governo di Fuscaldo, fino a che, nel 1496 con il conte di Cariati Giovan Battista, non ebbe inizio la dinastia degli Spinelli, che durò fino all'eversione del feudalesimo, agli inizi dell'800. Proprio ai Marchesi Spinelli, cattolici, legati alla Chiesa di Roma e sostenitori della Santa Inquisizione è da attribuirsi la condanna e la totale estirpazione di quei contadini valdesi, dichiarati eretici, che nel sec. XIV scesero dalla Provenza per coltivare le terre del feudo Spinelli. Costoro, infatti, prima di essere condannati definitivamente dal Clero di Cosenza, subirono un primo processo presso il castello di Fuscaldo. Poco rimane del vasto castello, ridotto nell’800 a cava d’estrazione del famoso tufo di Fuscaldo cui attinsero generazioni intere di rinomati maestri scalpellini. Si conservano ancora tratti delle spesse muraglie di cinta, una torre cilindrica ed una grossa cisterna ipogeica che doveva servire alla raccolta delle acque piovane e quindi per l'approvvigionamento idrico. Del castello si hanno poche notizie storiche. Non subì assalti, né lotte armate ma, come già scritto, fu testimone della sorte dei valdesi in Calabria.

domenica 23 ottobre 2011

Il castello di domenica 23 ottobre



CERRETO LAZIALE (RM) – Castello

Intorno all’anno 1000 venne eretto dai monaci sublacensi di Santa Scolastica un piccolo luogo fortificato, il cui possesso è confermato in una bolla di Bonifacio III (1294-1303). Nel 1.300 i Cerretani vi costruirono una vera e propria fortezza - con un maschio centrale e quattro torri d’angolo ed ampie mura perimetrali inglobate nelle abitazioni ma ancora facilmente individuabili - di cui restano numerose testimonianze (piombatoio, porte, ecc.). La costruzione del castello fu dettata in primo luogo dall’esigenza difensiva, più tardi da quella di fortificarsi. Fu proprio in questo castello che gli abitanti si rifugiarono nel 1592 per resistere all'assedio dei briganti di Marco Sciarra. Il sistema si racchiude intorno ad una torre cilindrica intorno alla quale le case si snodano secondo una direttrice curvilinea fino all’ingresso del paese. Le case hanno la caratteristica di avere poche aperture verso la campagna. Gli accessi sono rivolti infatti tutti verso le strade interne e sollevati rispetto al piano stradale in modo da permettere l’immagazzinaggio dei prodotti agricoli dal piano terra. Cerreto è quindi da annoverare tra i borghi fortificati con la specifica funzione di ricetto. Interessanti le notizie storiche su Cerreto che potete trovare al seguente link: http://www.tibursuperbum.it/ita/escursioni/cerreto/PalioGatta.htm

venerdì 21 ottobre 2011

Il castello di sabato 22 ottobre



ARPINO (FR) – Torre di “di Cicerone”

Sull’acropoli di Arpino, la "Civitas Vetus", si sviluppano le mura poligonali megalitiche del VI e V secolo a.C. Oltrepassando la porta principale, costituita da un imponente arco a sesto acuto, si incontrano altre testimonianze dell’Arpino arcaica: la Torre di Cicerone, ruderi di un antico castello medievale ed una cisterna che assicurava il rifornimento idrico. Non abbiamo testimonianze storico-architettoniche del periodo romano ad Arpino e, benché la torre sia stata nominata Torre di Cicerone, perché alcuni ruderi romani nel borgo sono considerati come resti della casa del grande oratore, essa risale ad epoca medievale. Un documento del 1400 conservato nell'Archivio di Stato di Napoli, riporta una vertenza tra Giacomo Etendard, maresciallo del Regno di Sicilia e Signore di Arpino, e Matteo di Celano, ciambellano regio e Signore di Isola, che se ne contendevano il possesso. Il re di Napoli Ladislao, che per molto tempo abitò il castello sul poggio della Civita d'Arpino, commise la questione al giudizio di Donato di Arezzo, dottore di leggi e consigliere regio, perché stabilisse se la torre in questione appartenesse al territorio di Isola o di Arpino. Alla fine la contesa fu vinta da Matteo di Celano. E’ una costruzione davvero imponente, della quale però non sono riuscito a trovare altre informazioni sulla rete. Se qualcun altro volesse integrare le notizie che ho riportato farà cosa molto gradita !!

Il castello di venerdì 21 ottobre





JOVENCAN (AO) – Castello

Nel Medioevo troviamo le tracce di due famiglie di signori locali: i Pompiod e i Jovençan. Dei primi non si hanno notizie sicure. Dei secondi, stando allo storico De Tillier, si hanno dati certi a partire dal XIV secolo, anche se la loro origine è sicuramente precedente. I Jovençan furono coinvolti nella politica di spoliazione dei feudi iniziata sin dal 1191 da Casa Savoia che, con il pretesto di esercitare la giustizia, si appropriò di molte signorie locali. Anche i Jovençan vennero privati con queste motivazioni di qualsiasi si diritto sul territorio di Charvensod; Amedeo VI rase addirittura al suolo il loro castello e nel 1354 lo cedette ad Aimone di Challant, signore di Fénis, insieme alla Signoria di Aymavilles. Nel 1550 il grosso feudo, eretto a baronia, comprendeva Chevrot, Gressan, La Madeleine in Gressan, jovençan, Saint-Léger e Saint-Martin d'Aymavilles. Ben quindici fra conti e baroni di Challant si susseguirono alla guida di questa giurisdizione sino al 1789. In questo anno infatti, il 28 gennaio, i comuni di Gressan, Jovençan e Aymavilles firmarono il contratto col quale si liberavano da tutti gli obblighi verso gli Challant in cambio di 71.500 lire da pagare in venti anni. Oggi del Castello di Jovençan, situato su un picco a strapiombo sulla Dora Baltea, rimangono pochi resti del mastio del XIII secolo. Sono ancora visibili le fondazioni del bastione a base cilindrica ed alcune mura che consentono di individuare il perimetro dell'originaria struttura.

giovedì 20 ottobre 2011

Il castello di giovedì 20 ottobre




RONCO SCRIVIA (GE) - Castello Spinola di Borgo Fornari

Posto su di un'altura dominante la sottostante importante via di comunicazione tra la valle Scrivia e l'allora feudo genovese di Voltaggio, a 340 metri sul livello del mare, esso rappresenta una delle più alte espressioni della vita feudale nel territorio della Valle Scrivia. Costruito probabilmente tra il 1121 e il 1182, dopo essere passato dalla famiglia genovese dei Fornari a quella degli Spinola, che vi prese dimora, il castello conobbe un lungo periodo di intensa attività militare e bellica. Pochi anni dopo dal passaggio di proprietà il maniero fu al centro di contrasti tra le due famiglie Spinola e Doria. Nel XV secolo la fortezza fu nuovamente teatro di scontro tra gli Spinola e la Repubblica di Genova. Nel 1394 fu tra i castelli messi a disposizione del Duca d'Orleans in seguito al trattato di alleanza tra i francesi e parte dei feudi imperiali liguri. Filippo Maria Visconti, alleato dei primi, riuscì ad ottenere il possesso della fortezza che consegnò, come stabilito negli accordi di pace del maggio 1419, a papa Martino V. Nel 1489 ospitò parte del seguito di Isabella d'Aragona, diretta a Tortona per le nozze con Gian Galeazzo Sforza. Luigi XII di Francia vi si accampò nel 1506. Francesco I vi sostò dapprima nel suo viaggio da prigioniero verso Madrid, dopo essere stato sconfitto da Carlo V a Pavia; in seguito, quattro anni dopo, mentre si apprestava a muovere contro Genova. Lo stesso Carlo V si recò più volte al castello di Borgo Fornari, utilizzandolo come residenza di riposo. Altri ospiti illustri furono Filippo II, nel 1551, e Massimiliano di Boemia. Nonostante i danni causati dal trascorrere dei secoli e le numerose trasformazioni, la fortezza di Borgo Fornari mostra alcune particolarità che la rendono estremamente interessante e certamente unica tra i castelli della zona. Tra queste vi è l'utilizzo di materiali da costruzione differenti: il mattone e, per il basamento, la torre e pochi elementi elevati, la pietra. La discreta conservazione degli elementi principali, come la torre semicircolare (forse l'elemento più antico del castello. E' particolarmente curiosa la sua forma, dovuta forse al ridimensionamento di una prima costruzione originaria, forse modificata per concedere spazio all'edificio attuale) e gran parte delle mura esterne, fanno di questo castello un monumento di pregio sia dal punto di vista architettonico. Altra sezione ancora integra è la parte posta verso a valle destinata, secondo alcune supposizioni, alla guarnigione del castello. Per l'edificio, acquistato recentemente dal comune di Ronco Scrivia, nel 2005 sono stati finanziati fondi per opere di restauro conservativo. Per approfondire si può visitare il sito www.castelloborgofornari.it, inoltre vi è anche un gruppo su Facebook !

La seconda foto è presa da https://viviappennino.com/blog/events/viewevent/1524-visita-al-castello-di-borgo-fornari-a-ronco-scrivia

Il castello di mercoledì 19 ottobre



BELLUSCO (MB) - Castello Da Corte

Costruito nel 1467 da Martino da Corte probabilmente sul luogo di una precedente rocca del X secolo, è a pianta quadrata con una torre angolare e quattro corpi di fabbrica, coronati in parte da merli ghibellini. Situato nel centro storico del paese, nell’insieme ripropone i caratteri del fortilizio tardomedioevale, a metà strada tra il castello e il palazzo fortificato. All'ingresso, insieme allo stemma gentilizio dei Da Corte, in memoria del committente recita la scritta: Laude a Dio Martin Dà Corte m'ha facto, non a offension de persona alcuna, solo a riparo de ogni suo disfacto. Da secoli, dagli abitanti del paese, è conosciuta la leggenda del passaggio sotterraneo, che collegherebbe il castello di Bellusco a quello del vicino paese di Sulbiate. Non si sono mai rinvenute tracce del tunnel, ma non si sono neanche mai fatte ricerche approfondite in proposito; le uniche fonti che lo chiamano in causa ritengono situato il suo ingresso nell'ala Nord-Est del castello stesso, al di sotto di un terrazzo sorretto da muro a scarpa. La struttura era circondata da un fossato, ora colmato. Ancora visibili, all'esterno, sono il portale con arco a tutto sesto sopra cui si notano gli alloggiamenti dell'antico ponte levatoio. La famiglia Da Corte mantenne la proprietà del Castello fino ai primi decenni del XVIII secolo, quando la proprietà passò ai Calchi ed in seguito ai Carcano, che furono proprietari del castello fino agli inizi dell’800 e ne fecero un uso saltuario trasformandolo in villa di delizia. Nel 1817 le quote di proprietà dei singoli eredi Carcano furono vendute al nobile Giuseppe de Capitani Vimercati, dopo la sua morte nel 1836 per decreto di aggiudicazione della sua eredità passarono al Marchese Gaetano Perego. Da questo punto in poi cominciarono i frazionamenti che determinarono la frammentazione della proprietà in diverse unità immobiliari. L'edificio, dotato di un'ampia corte interna, è di elevato valore storico-monumentale ed è tutelato dalla Sopraintendenza per i Beni e le Attività Artistiche di Milano dal 1928. Parte delle antiche sale di rappresentanza al piano terra dell’ala nord sono state restaurate tra cui l`interessante sala della Fama interamente affrescata con gli stemmi araldici dei da Corte e motivi decorativi a grottesca, insieme a parte del corpo scala nord ovest e del passaggi attiguo. Il Castello ospita ancora abitazioni private che il Comune sta progressivamente acquistando per poter avere la completa disponibilità e gestione del bene. Di recente sono stati avviati interventi conservativi sul complesso, in parte finanziati dalla Regione, che ha l'ambizione di restituire alla cittadinanza un prezioso patrimonio storico e di fare dell'antico edificio un nuovo polo culturale per la cittadina.

martedì 18 ottobre 2011

il castello di martedì 18 ottobre



MORI (TN) - Castel Albano

Senza la presenza di documenti storici risulterebbe difficoltoso interpretare come castello i ruderi delle sue mura che si confondono con quelli di contenimento sparsi nella campagna. Di epoca assai antica (forse recinto - rifugio usufruibile dal sottostante Borgo di Mori), Castel Albano rappresenta forse l’esempio più noto della fitta rete d’insediamenti fortificati risalenti all’epoca medioevale, presenti nel territorio del Comune di Mori. Esso appartenne ai Montalbano (XII secolo), ai Castelbarco, cui passò intorno al 1230 e rimase fino al 1439 circa, quando Guglielmo di Castelbarco, appartenente alla linea di Lizzana e successore di Ottone di Castelbarco - morto nel 1413 senza lasciare eredi diretti - si ribellò alla Serenissima, con cui invece Ottone aveva stretto in precedenza un patto di alleanza e di amicizia. Il castello di conseguenza fu preso, espugnato, saccheggiato e dato alle fiamme dai veneziani. Al momento non è possibile ricostruire l’aspetto originale del castello, visto che ancora non sono mai state condotte accurate ricerche archeologiche. Quello che è giunto fino ai nostri tempi sono alcuni inventari riguardanti il castello. Gli inventari avevano validità giuridica e pertanto la loro attendibilità è alta. Dal documento datato 16 agosto 1413 si evince che il castello, edificato in muratura con solai in legno e copertura in coppi, fosse composto da un edificio a due piani addossato alla torre principale. Al piano terreno si trovavano più stanze, tra cui una affrescata per i forestieri, una con caminetto, un magazzino,una dispensa, un forno, una cucina e una loggia che probabilmente si apriva sul cortile interno. Al di sopra vi erano le camere per il feudatario. Vi erano poi la cantina, la cantina inferiore, il torchio e una piccola mola a mano, ospitati in un unico locale. Il granaio, la fucina, il fienile e le stalle con il relativo letamaio sembrano collocati nel cortile interno. Per quanto riguarda le pertinenze del castello si sa che vi erano tre orti, un frutteto e alcune arnie per le api (nel medioevo l’unico dolcificante diffuso era il miele). Economicamente il castello di Albano appariva in discrete condizioni e abbastanza fornito, molto probabilmente era autosufficienza grazie anche alle attività piuttosto diversificate svolte al suo interno. La presenza di numerosi strumenti per muratore fanno supporre che vi fosse una discreta attività di manutenzione dell’edificio. Ulteriore danno all'edificio, una volta distrutto dalle truppe veneziane, si ebbe nel secolo successivo poichè parte dei suoi materiali venne impiegata sia per la costruzione delle case sottostanti sia per quella nel 1556 del Santuario adiacente.

lunedì 17 ottobre 2011

Il castello di lunedì 17 ottobre



ARDORE (RC) – Castello Baronale Gambacorta

Posto nel centro storico del paese, su un rilievo di natura tufacea, sorse intorno al 1400 e venne ricostruito dai baroni di Ardore agli inizi del XVII secolo. E’ un edificio quadrato con quattro torri ai quattro angoli, due rotonde e due a base quadrata. Nel fondo di queste si aprivano dei trabocchetti che, per vie sotterranee andavano a mettere capo, secondo la tradizione, in diversi e lontani punti del territorio, e uno di essi, quello a sud, al vicino Castello Feudale di Bovalino. Il castello era ben fortificato, nelle torri e nelle mura si vedono, ancora, molte feritoie e, sino al 1847 si conservavano due colubrine. Alcuni documenti notarili dell’epoca testimoniano che il Castello era riccamente arredato, ma purtroppo oggi dello splendore e del fasto di un tempo rimane ben poco. Un avverso destino accomunò la famiglia Gambacorta al Castello. La prima si estinse completamente, il secondo, pur non ancora terminato in alcune sue parti, iniziò una lenta ed inesorabile decadenza, causa dell’incuria dei proprietari successivi. Passato per successione femminile a Domenico Spina (1690), questi fu costretto a mettere il ducato all'asta per debiti. Così alla fine del '600 Ardore ricadde nello stabile possesso di una famiglia: i Milano Franco d'Aragona, marchesi di San Giorgio e Polistena, che l'acquistarono per 50.000 ducati. Giovan Domenico Milano, intimo amico dell'imperatore Carlo VI, fu anche dal 1702 il primo ad avere il titolo di principe su Ardore, che entrò a far parte di uno dei complessi feudali più ampi della Calabria. Il principe stabilì la sua residenza tra Napoli e Polistena e così il castello di Ardore fu abbandonato all'incuria. Tra il ponte levatoio e la facciata principale esisteva un bel giardino, che nel 1882 fu espropriato per ingrandire la Piazza Umberto I. Il Castello di Ardore era considerato tra i migliori del circondario. Oggi del possente maniero restano le mura perimetrali, all' interno delle quali si trovano i ruderi di due edificazioni ed un torrione cilindrico.

domenica 16 ottobre 2011

Il castello di domenica 16 ottobre





ACATE (RG) – Castello dei Principi di Biscari

Venne costruito nel 1494 sul bordo del lato sud della valle del fiume Dirillo, per volontà del Barone Guglielmo Raimondo Castello che contribuì anche allo sviluppo del centro abitato. E’ situato al centro del paese e si affaccia su di una grande piazza alberata: a esso è inoltre adiacente l'interessante chiesa di San Vincenzo edificata nel 1643. A Guglielmo Raimondo Castello subentrò il figlio Giovanni e attraverso altre dirette successioni, nel 1566 ne divenne proprietario Fernando Castello, signore di Biscari, che fu l'ultimo dei Castello. Da questi, morto senza figli, per linea femminile, pervenne a Orazio Paterno, con la clausola di dovere egli assumere anche il cognome e lo stemma dei Castello (1578). In seguito divenne proprietà di un ramo collaterale della famiglia e nel 1623 Agatino Paternò Castello ottenne da rè Filippo III di Sicilia, il titolo di principe ed ebbe, per un certo periodo, le funzioni di viceré nella Valle di Noto. Dopo successivi passaggi ereditari, (va ricordata la figura di Ignazio II, illustre studioso che donò alla sua Catania un ricco museo di rarità antiche) il castello fu proprietà del principe di Biscari Roberto Paterno Castello Valery. La sua veste attuale è sorta dalle modifiche fatte dal principe Vincenzo Paternò, il quarto della dinastia. L’androne di ingresso presenta uno stemma composto di due draghi che sostengono un castello con tre torri. La bella e aristocratica dimora consta di due torri laterali di cui una mozzata da tremenda tempesta non molti anni or sono. All'interno nulla più di notevole. Sul grande cortile quadrato due loggette ed una piccola «angoliera» quattrocentesca. Nella cappella gentilizia, in un sarcofago dietro l'altare, è visibile un corpo che la leggenda vuole sia quello di S. Vincenzo martire il quale, partecipando ad una crociata, sarebbe stato ucciso nel sonno da un saraceno. Una principessa Biscari avrebbe, in seguito, fatto costruire il santuario per custodirvi il suo corpo, trasportato in Sicilia. Altra versione, meno romanzata, narra invece di un Biscari morto santamente ed onorato con particolare devozione. Nell'ala sud est vi sono le carceri dotate di doppie grate, mentre nel lato nord vi sono le strutture del portale antico che è stato murato. Nella parte centrale il portale è affiancato da dodici finestre su entrambe le ali laterali. Nella seconda metà del ventesimo secolo subì l'abbandono quasi totale, ma è stato successivamente acquistato dal Comune e restaurato, per cui oggi si presenta in tutto il suo splendore originario. Per approfondire si può visitare il seguente link:
http://www.comune.acate.rg.it/home/index.php?option=com_content&view=article&id=180&Itemid=76&limitstart=3

venerdì 14 ottobre 2011

Il castello di sabato 15 ottobre



COMANO (MS) – Castello Malaspina

La prima citazione di Comano risale all'anno 884, quando fu donato da Adalberto, marchese di Toscana, al monastero Benedettino di Aulla, anche se da ritrovamenti archeologici il luogo sembra essere stato abitato fin dall’epoca romana. Nel Medioevo il territorio, strategicamente importante vista la sua posizone a cavallo fra Toscana ed Emilia, fu sottoposto all'egemonia degli Estensi e successivamente, nel 1164, a quella dei Malaspina, dapprima indirettamente tramite la famiglia vassalla dei Dallo, signori dell’alta val di Serchio, e in seguito direttamente quando Spinetta Malaspina intervenne contro i parenti dell’assassinato Manuele Dallo, Bonacorso e Bacarino Dallo: li sconfisse e li fece decapitare, annettendo il castello al feudo della Verrucola. Nei primi del XIV secolo, in seguito alla lotta tra il comune di Lucca e i Malaspina, Comano fu nelle mani del condottiero lucchese Castruccio Castracani ma dopo un breve periodo ripassò a Spinetta Malaspina la quale, prima di morire, lasciò il feudo per testamento alla Repubblica Fiorentina che vi consolidò il suo dominio. Dell’antico castello – che è situato sopra un colle a circa 600 metri di altitudine nella profonda valle del Teverone - rimangono solo gli imponenti ruderi, ma la torre e la porta di accesso sono state recentemente restaurate. Il fortilizio, sorto con funzioni essenzialmente militari, è dominato, così come l'intera vallata, da una svettante torre circolare (che ha forti somiglianze strutturali con quelle di Treschietto, Malgrate e Bagnone a conferma che anche Comano faceva parte del coordinato progetto difensivo Malaspiniano) posta nel punto più elevato del rilievo, circondata da un’ampia cinta muraria di forma trapezoidale (seppur fortemente irregolare), dotata di torri di fiancheggiamento e un'unica porta di accesso rivolta a monte. La torre sembra risalire al XII secolo, mentre la cinta muraria è, nella forma odierna, successiva, frutto di ampliamenti in fasi diverse, l'ultima, quella che l'ha dotata di cinque torri rotonde agli angoli, risale al XV secolo. All'interno del recinto fortificato sono presenti le rovine di un palazzo ed altri manufatti di epoca ed utilizzo incerto e un pozzo. La sommità della torre è priva di merlatura ma si possono ancora notare i beccatelli in pietra che sostenevano l'apparato difensivo a sporgere (probabilmente in legno). L'ingresso all'interno della torre avveniva originariamente attraverso un piano rialzato costituito da strutture lignee retrattili (dopo i restauri sostituite da una struttura in ferro). Il castello è stato acquistato dal Comune ed è liberamente visitabile, mentre per entrare nella torre, recentemente restaurata, occorre un appuntamento prenotato.

il castello di venerdì 14 ottobre





BAGNONE (MS) - Castello Malaspina di Treschietto

I suoi ruderi si trovano alla fine del borgo omonimo, in posizione dominante, sopra uno strapiombo del monte Orsaro e all'incrocio del Bagnone con il rio Acquetta. Treschietto, importante roccaforte per la sua condizione di punto obbligato di passaggio tra i corsi d’acqua e le valli circostanti, si costituì come feudo autonomo nel 1351 all'atto della divisione dei territori appartenuti a Niccolò Malaspina di Filattiera ai suoi tre figli. A Giovanni, detto il Berretta, fu assegnato il territorio di Treschietto, Iera, Vico Corlaga e Fenale. Fu proprio Giovanni Malaspina, a fare edificare il castello e ad utilizzarlo come sua residenza principale. Treschietto rimase in mano alla nobile casata fino al XVII secolo quando Ferdinando Malaspina, ultimo possessore del castello, cedette tutti i suoi diritti al granduca di Toscana Cosimo III, causando una disputa tra i marchesi Malaspina di Filattiera che lo pretendevano, ed il fisco imperiale. Il feudo in seguito passò al principe Corsini di Firenze. Attualmente i ruderi sono visitabili solo dal lato nord-est, ai quali si accede agevolmente in automobile e quindi facendo un brevissimo tratto a piedi. Della struttura castellana che tra il XIII e il XV avvolgeva tutto il puntone roccioso, sono ancora visibili tratti della cinta muraria di forma quadrilatera, dai quali emerge l'imponente torre circolare, un tempo coronata da beccatelli a sporgere del sistema piombante e danneggiata seriamente da un fulmine. Il complesso è invaso dalla vegetazione e a perenne rischio di ulteriori collassi strutturali. I ruderi, nel complesso, ricordano sia la torre del castello di Malgrate sia il castello di Comano, mentre la ripetitività di alcuni elementi architettonici e costruttivi in diverse località sotto il diretto dominio dei Malaspina, confermerebbe l'intervento ripetitivo delle stesse maestranze al servizio della famiglia. Degli edifici interni restano poche tracce. Anche la cappella castrense, della quale è identificabile l'abside, è stata ricoperta dai crolli delle strutture difensive. Come per tutti i castelli anche in questo non mancano le leggende tramandate di generazione in generazione tra cui quella del marchese Giovan Gasparo Malaspina che dal 1616 vessò i suoi sudditi con ogni sorta di male azioni e si coprì di turpitudini sino al 1678, quando all’età di 62 anni, con grande sollievo del popolo, morì, non certo in odore di santità; veniva infatti chiamato dalla gente il mostro. Giochi perversi e giovani vergini era il binomio lussurioso preferito da Giovan Gasparo Malaspina, signore di Treschietto e dai suoi compari. Le vittime erano obbligate da questi signorotti a crudeli orge che spesso terminavano con sacrifici umani. Il Giovan Gasparo godeva nel costringere le fanciulle del suo borgo ai festini dove le giovani perdevano la verginità. Un’altra leggenda tramandata narra che nei sotterranei del Castello vi sia stato nascosto un vitellino d’oro; in molti vi hanno nei secoli creduto al punto arrivare a distruggerne le parti migliori, ma come accade in tutte le leggende, il tesoro non è mai stato trovato.

giovedì 13 ottobre 2011

il castello di giovedì 13 ottobre



POSADA (NU) - Castello della Fava

Venne fatto erigere nel XII secolo dal Giudicato di Gallura su di un'altura che sovrasta il centro di Posada, a pochi passi dal mare. Da qui si gode un bel panorama della piana sottostante, percorsa dal rio Posada. Secondo una leggenda, un Giudice di Gallura mentre si aggirava per le strade di Posada incontrò un vecchio, vagabondo e bisognoso di aiuto. Il giudice lo caricò sul suo cavallo e fatta poca strada il vecchio si trasformò in un bel giovane aitante che gli disse di tornare indietro dove lo aveva caricato, disse anche che lo avrebbe premiato per la sua bontà facendogli trovare proprio lì un tesoro. Con quel denaro il Giudice di Gallura fece costruire un piccolo castello per difendersi dai Saraceni. Dal 1294 fu sotto il dominio pisano, nel 1324 fu ceduto da questi ultimi agli Aragonesi e in seguito passò ai Giudici di Arborea ai quali restò sino al 1409. Durante quest'ultima fase nel castello risiedette sporadicamente anche Eleonora d'Arborea. Con la caduta del Giudicato, Posada fu infeudata ai Carroz, conti di Mandas e Terranova, ed elevata al rango di baronia. Il castello, realizzato con conci poco lavorati di pietrame misto, si articola in una cinta muraria di forma quadrangolare non regolare all'interno della quale si trovano una torre a pianta quadrata con coronamento merlato, che ancora supera i 20 m. d'altezza, e una serie di cisterne. Non essendo un presidio militarmente ben difendibile (a paragone di altri castelli del tempo) e quindi "sicuro", molti studiosi convengono che potesse realmente trattarsi di una sorta di residenza turistica ante litteram. Il castello deve il suo strano nome ad un episodio, accaduto durante un' assedio dei Saraceni. L'assedio durò molto tempo, e gli assediati erano sul punto di arrendersi per fame, quando qualcuno ebbe l'idea di mandare un falso messaggio con un piccione viaggiatore (nel quale si diceva che stavano bene e potevano resistere senza bisogno di rinforzi), certi che il piccione sarebbe stato individuato e abbattuto, per rendere più verosimile il messaggio, diedero al piccione le ultime fave rimaste. I Saraceni abbatterono il piccione, trovarono le fave nel gozzo del piccione, e dedussero allora che, se la popolazione aveva così tanto cibo da poterne dare una enorme quantità a un animale, non c'era alcuna possibilità di concludere l'assedio. Essi decisero di andaresene e a Posada fu festa per giorni e giorni...

mercoledì 12 ottobre 2011

il castello di mercoledì 12 ottobre



SCARNAFIGI (CN) - Castello

Sul primo castello che venne eretto a Scarnafigi le notizie non sono molte, ma comunque sufficienti da trarne alcuni interessanti ragguagli. Ad esempio si sa con certezza che esisteva fin dal 1184, la notizia è ben descritta da E. Dao in "Storia di Scarnafigi dal 989 al 1508. Il castello costituì, nei secoli successivi, un punto di riferimento costante per la vita interna ed esterna del paese. I marchesi di Busca ebbero la signoria su Scarnafigi fin dal 1214; allorché, il 22 luglio 1214, Giacomo e Aicardo delle Frecce e Giuliano di Scarnafigi vendettero all'abbazia di Staffarda sei giornate di terreno sul territorio di Scarnafigi, vi comparve per il passaggio di proprietà e relativa investitura, assieme ad Amedeo Vercio e Guglielmo e ai suoi feudatari Pietro Viglione e Giacomo Bianco, il marchese di Busca Guglielmo. Gli anni che seguirono furono un susseguirsi di passaggi di proprietà e quindi di guerre tra il marchese di Saluzzo e il marchese di Busca. Il castello venne più volte gravemente danneggiato, fino a cadere in completa rovina. L'attuale castello fu costruito nel 1641 sulle rovine del precedente, da Alessandro Ponte, appartenente ad un'antica e nobile famiglia di Scarnafigi. Nella nuova costruzione vennero riciclati molti mattoni provenienti da diverse case del paese, ormai prive di padroni per la peste del 1630. Il Ponte, finita la costruzione, volle che il castello fosse completamente intonacato, ma la sua morte, avvenuta nel 1656, gli precluse tale intento, infatti il castello presenta solamente la facciata sud così rifinita. La facciata nord e quella a ponente appaiono invece ancora grezze. Subì qualche rovina nel 1793, quando venne occupato e saccheggiato dalle truppe napoleoniche. Il castello è da considerarsi come una delle più interessanti opere architettoniche del 1600; imponente la facciata, sobrio l'interno con il loggiato e il porticato costruito a colonne binate ad ampia struttura. Attualmente di proprietà privata, è adibito ad abitazione.

martedì 11 ottobre 2011

I castelli di martedì 11 ottobre





Vezzano Ligure (SP) - Castello e Torre Pentagonale

Citato per la prima volta nel 963 in un diploma di Ottone I, in cui l'imperatore ne concedeva il possesso al vescovo di Luni, Vezzano nel secolo successivo passò sotto il dominio di un'importante famiglia feudale, i Signori di Vezzano, grandi proprietari terrieri e signori di castello, che governarono abilmente fino al XIII secolo quando, col declino di tutte le piccole signorie lunigianesi, anch'essi iniziarono a perdere gradualmente potere e prestigio. Da un lato vi era la Repubblica di Genova che accresceva la propria influenza e dall’altro il Vescovo di Luni che rivendicava i diritti perduti. E così nella prima metà del Duecento i signori di Vezzano rinunciarono a molti loro diritti e il vescovo, a sua volta, cedette i suoi al genovese Nicolò Fieschi, nipote del Papa Innocenzo IV. Nel 1253 i Vezzano cedettero alla Repubblica di Genova ogni loro diritto residuo e le giurarono “fedeltà” e, quindi, quando nel 1276 il nobile fliscano vendette la sua parte alla Serenissima tutto il territorio vezzanese si ritrovò sotto il dominio genovese. Il paese è costituito da due insediamenti di origine medievale che, accentrati attorno alle loro strutture difensive o "castra", sono posti sulle sommità di due colline. Già in epoca basso medievale i due paesi erano distinti in "burgo castri superioris" ed "inferioris", da cui hanno preso l'attuale denominazione di Vezzano Alto e Basso. Anche se le fasi formative sono differenti, i due borghi si presentano simili, con forma allungata ed abbarbicata ai colli, dovuta sia alla necessità di adattarsi al pendio, sia alle prioritarie esigenze di difesa. Vezzano Basso ha mantenuto uno schema avvolgente, tipico del Medioevo, ed è percorso da numerose stradine interne, che mostrano antiche case, terrazze-aia, volte ed archivolti. Nel borgo inferiore spiccano il profilo della Torre Pentagonale del XIII secolo, alta circa quindici metri, e vistosi resti dell'antico castello con tratti di mura e torri rotonde, inglobati nel signorile Palazzo Giustiniani. I due edifici erano un tempo collegati tra loro tramite un ponte di legno di circa sette metri di altezza. La torre pentagonale di Vezzano Inferiore, che ha il vertice orientato verso la zona da sorvegliare e difendere, venne progettata con rigorosa simmetria geometrica. Divisa in più piani, raggiungibili con scale lignee retrattili, ha ingresso in quota, ed è munita di feritoie arciere a difesa. Per quanto oggi si levi isolata al margine di un piazzale, ancora nel XVIII secolo aveva strutture di difesa contigue. Come le coeve torri pentagonali di Lerici e Arcola, doveva essere la turris grossa del complesso fortificato medievale sul quale, nel settore orientale, è stato edificato il nobiliare palazzo Giustiniani, oggi in prevalenti forme sette-ottocentesche, con giardino. Vezzano Superiore conserva, invece, i resti dell'antico castello medioevale e la torre campanaria dell'antica chiesa di S. Siro e Prospero. Il torrione databile intorno al secolo XII, è stato trasformato in piezometro (struttura per misurare la compressibilità dei liquidi).

lunedì 10 ottobre 2011

il castello di lunedì 10 ottobre



CARSOLI (AQ) - Castello Savelli di Poggio Cinolfo

Venne costruito probabilmente attorno all'anno Mille come baluardo di confine della Contea dei Marsi e appartenne in seguito ai Mareri e nel 1297 agli Zambeccari, padroni di Collalto Sabino. Successivamente tra il 1500 e il 1600 fu acquistato dai Conti Savelli proprietari anch'essi di diversi castelli nei dintorni. In seguito l'intero edificio con tutti i possedimenti venne ceduto al dominio dei Marchesi Marcellini Marciani. Verso la fine della prima meta del XVIII secolo, il castello, divenuto un grande palazzo ormai molto simile a come si presenta oggi, venne donato da Carlo VI Imperatore III come Re d'Ungheria, VI di Napoli, al Marchese Ottieri, Patrizio romano. Gli ultimi "Signori" di Poggio Cinolfo furono i Baroni Coletti. L'edificio attuale, di forma quadrata, ha ormai perso il carattere difensivo e si presenta come residenza signorile dall' aspetto armonioso e possente, tanto da essere considerato dagli abitanti di Poggio Cinolfo il simbolo del loro paese, per la sua posizione dominante nel paese. La parte frontale è dominata dal grande portone contornato da grossi rilievi di pietra bugnata. Fino a pochi anni fa vi si accedeva su due lati: quello di sinistra riservato alle carrozze e quello di destra adibito a passaggio pedonale. All'interno vi è un piccolo cortile quadrato, ingentilito su due lati da alcuni pilastri in pietra, sorto verso il XVII secolo allorché il Palazzo fu ampliato in modo definitivo. Sotto il cortile vi sono degli ambienti una volta utilizzati per la raccolta di acqua e per il mantenimento di derrate alimentari. Sono ancora visibili delle feritoie e delle strutture murarie appartenenti alla primitiva costruzione. Il castello era completamente autonomo sotto assedio; oltre ai vari appartamenti, con qualche mobile del 1700, è dotato di: una farmacia dei baroni Coletti, un panificio, una scuderia, cisterne d'acqua. Il piano terra, rialzato notevolmente dal piano campagna, era adibito alle cucine e ai servizi. Il piano intermedio era invece il cosiddetto piano nobile. Degne di nota sono alcune parti del soffitto della sala di rappresentanza e di altre stanze, purtroppo in condizioni notevolmente deteriorate. L'ultimo piano veniva utilizzato in parte dalla servitù e in parte come soffitta.

sabato 8 ottobre 2011

Il castello di domenica 9 ottobre



ARTENA (RM) – Palazzo Borghese

Un primo edificio venne costruito nel XIII secolo dai Conti di Segni, successivamente passò ai Colonna che furono per secoli in conflitto con il papato. Di conseguenza, Montefortino (come si chiamò il paese fino al XIX secolo) si trovò ad essere più volte assalita dalle truppe pontificie, che la distrussero completamente nel 1527, nel 1542 ed infine nel 1557, quando papa Paolo IV, nemico acerrimo dei Colonna, ordinò addirittura di spargere sale sulle rovine. Quando il papa morì due anni dopo, i Colonna tornarono in possesso del feudo. La città ed il palazzo furono interamente ricostruiti, con quest’ultimo che fu diviso in due abitazioni, una spettante ai Colonnesi e l'altra ai signori Massimo. Le due dimore raggruppavano 147 stanze, oltre i corridoi, portici e logge, con tre distinte scale che introducevano ai diversi appartamenti. Il palazzo ha conquistato la sua forma attuale nella seconda e terza decade del 1600. Esso venne acquistato nel 1615 dal Cardinal Scipione Borghese, nipote di papa Paolo V, che ne apprezzava la strategica posizione di controllo sull'antica via Latina. Ancora oggi al calare del sole si rimane meravigliati dall'intensa luce rossa che invade tutta la casa. Il Borghese riunì le dimore dei Colonna e dei Massimo, aggiungendo altre costruzioni, avvalendosi dell'esperienza dell'architetto olandese Jan Van Santen, detto Vasanzio. Di notevole rilevanza, dal punto di vista artistico, è la galleria monumentale, progettata proprio da quest’ultimo, che unisce i due antichi palazzi, il cui soffitto è affrescato con dei motivi a grottesche ispirati agli affreschi presenti nella Domus Aurea di Nerone e studiati e riprodotti nel '500 da artisti come Raffaello. L'ingresso del palazzo, costituito dal pregevole portale realizzato da Martino Longhi, conduce negli ambienti interni dove si possono ammirare un'interessante scala circolare a due bracci, sempre del Vasanzio, e il grande camino del salone su cui è scolpita una testa di Medusa, attribuita al Bernini. Diverse sale furono affrescate, come quella da pranzo dal pittore Paul Brill e in alcune di esse, sono stati conservati alcuni reperti archeologici, un sarcofago e una collezione di armi antiche. Nella cappella papale è custodita la copia di un quadro di Caravaggio raffigurante Paolo V, originale ora scomparso; inoltre desta meraviglia una vasca in rame ed ottone appartenuta a Paolina Borghese, sorella di Napoleone Bonaparte, a cui venne donata dal marito Camillo Borghese. Le ante lignee in noce delle porte sono state eseguite nel 1618 dall'architetto romano Giovan Battista Soria. Il palazzo appartiene tuttora ai Borghese, tranne la zona est che è di proprietà del Comune.

Il castello di sabato 8 ottobre



ROCCALVECCE (VT) – Castello Costaguti

Situato al centro del paese, nella parte più alta, ha un nucleo più antico che risale certamente al Medioevo, come testimoniato dall'analisi dei documenti storici e delle murature, le quali lasciano intravedere, nella parte posteriore della facciata rispetto alla piazza del borgo ed anche in alcuni tratti interni, antiche fondamenta databili con probabilità al XI-XII secolo. Prime notizie certe si datano al 1119, quando Rinaldo del Vecchio venne ucciso durante la battaglia tra viterbesi e romani. Tuttavia il nome Roccalvecce proviene forse dal legume veccio o veccia molto diffuso in queste campagne (Rinaldo del Veccio potrebbe quindi essere il castellano del Veccio o della Rocca del Veccio). Nel 1210 le Cronache viterbesi ricordano che l'Imperatore Ottone IV occupò il castello della Rocca del Veccio; i viterbesi sconfissero l'imperatore e presero la rocca. Numerosi signori si susseguirono nel possesso di Roccalvecce: Ildebrando da Paregnano, Corrado ed Ugolino di Uffreduccio che posero, nel 1254, il castello sotto il dominio del Comune di Viterbo, un certo Ponzio che aiutò i Filippeschi a cacciare i Monaldeschi da Bagnorea (Bagnoregio) nel 1303, Andreuccio di Fuccio. Nel 1455 Papa Callisto III donò Roccalvecce a Guglielmo Gatti di Viterbo (si vedono ancora sulla facciata dell'attuale palazzo due stemmi di questa famiglia); è di quest'epoca la trasformazione della fortezza in castello. Nel 1496 Giovanni Gatti, Signore di Roccalvecce, venne ucciso con i suoi figli maschi dai viterbesi; le sue tre figlie femmine sposarono esponenti delle famiglie Baglioni (di Bologna), Chigi e Colonna (di Roma); il castello ed i feudi annessi vennero ereditati dai Baglioni e dai Chigi, con i primi che possedevano una parte ben più estesa del feudo. Nel 1642, la famiglia Baglioni vendette, grazie all'importante mediazione di papa Urbano VIII Barberini, il feudo di Roccalvecce a Prospero Costaguti. Nel 1685 Lorenzo Chigi vendette a Giovanni Giorgio Costaguti l'ultima parte ancora nelle mani della famiglia senese, ossia un sesto del castello. Passato dunque interamente alla famiglia Costaguti, l’edificio venne radicalmente trasformato in una sorta di castello-palazzo dalle forme aggraziate, con l’aggiunta di un secondo piano nel 1809 al tempo del Marchese Luigi e l’aggiunta di un terzo piano nel 1883 ad opera di suo nipote Ascanio. La stessa chiesa, anticamente cappella del castello ed oggi chiesa parrocchiale, venne ingrandita e trasformata con una nuova facciata. La facciata del maniero, che si apre maestosa sulla caratteristica piazza del paese, ristrutturata e completata nel 1700, si presenta intonacata, a tre piani culminanti con merlature su beccatelli in peperino, con sontuoso portale centrale ad arco con bugne sormontato da un elegante balcone. Sulla destra si imposta perpendicolare al castello la bella facciata dela chiesa. L'intero complesso è stato recentemente restaurato ed oggi è una prestigiosa location per matrimoni, ricevimenti e convegni. Il piano nobile è costituito da una bella sala, decorata con un grazioso camino in marmo e soffitti a cassettoni lignei a lacunari. Un'altra sala reca nel fregio una serie di stemmi nobiliari e il baldacchino della famiglia Costaguti. Un'ulteriore sala è completamente affrescata e sulle sue pareti sono raffigurate scene di paesaggi mentre sulla volta è dipinto un gazebo con altri stemmi nobiliari. Il piano sotterraneo, composto da ampie sale medievali, una parte del quale era utilizzato quale deposito e cantina, conserva le più antiche strutture murarie, un'armeria, ed oggetti antichi, straordinariamente recuperati con un'attenta opera di restauro. In questi spazi possono essere ospitate, oltre duecentocinquanta persone. Le antiche cisterne romane, collocate nelle vecchie segrete della struttura, offrono l'occasione per degustare i prodotti della fornitissima cantina. Le suites ai piani superiori del palazzo, appartamenti abilmente decorati ed arredati nel rispetto dello stile dell'epoca, possono accomodare oltre cinquanta persone. Al piano nobile, le camere da letto affrescate e lussuosamente arredate, oggetto di un attento recupero, rendono omaggio alla tradizione permettendo di rivivere l'atmosfera degli antichi castelli. Per la celebrazione di matrimoni è disponibile la chiesa settecentesca attigua al castello che accoglie duecento persone. Per approfondire visitate il seguente sito: http://www.castellocostaguti.it

venerdì 7 ottobre 2011

il castello di venerdì 7 ottobre



ROCCAVERANO (AT) - Castello

Di questa costruzione del XIII secolo, voluta dal marchese Bonifacio del Vasto e situata sulla collina che separa le due valli Bormida, rimangono una torre cilindrica e un tratto di cortina con tre eleganti bifore archiacute con colonnina centrale. La struttura originaria doveva essere a pianta rettangolare lunga e stretta, con probabile corte interna, mentre la torre, alta 30 metri con una circonferenza di 26,50 metri, venne realizzata con blocchi regolari di pietra arenaria disposti orizzontalmente. La funzione difensiva è chiaramente evidenziata dallo spessore dei muri in cui si apriva un passaggio sotterraneo che dall´interno conduceva fuori dall´edificio, nonchè dalle quattro feritoie per archi e frecce ancora visibili sulla parete superstite. Sulla sommità della torre si possono vedere tre ordini di archetti pensili, ciascuno dei quali è sormontato da un motivo ornamentale a denti di sega. A sette metri di altezza la torre presenta un vano, un tempo collegato a una galleria posta al secondo piano dell’edificio. A ponente c'è un'altra porta, piccola, che immetteva al primo piano, di più difficile interpretazione per l'assenza di casi analoghi in Piemonte. Altri proprietari del castello furono i marchesi Del Carretto, i Saluzzo e gli Scarampi. In adiacenza alla torre, è stato realizzato un parco aperto al pubblico, mentre recenti restauri hanno consentito una fruizione turistica globale dell'edificio, con la possibilità di salire sulla torre e la creazione di una balconata in legno in corrispondenza del primo piano del castello, che permette di affacciarsi alle bifore per una veduta d'insieme e sopraelevata della chiesa e della piazza. La torre di Roccaverano - inserita nel circuito dei "Castelli Aperti" del Basso Piemonte - è aperta al pubblico e visitabile tutto l'anno.

giovedì 6 ottobre 2011

il castello di giovedì 6 ottobre



CAVALLINO (LE) - Palazzo Ducale dei Castromediano-Limburg

Le prime notizie dell'edificio risalgono al 1200 quando Tancredi d’Altavilla assegnò il casale di Cavallino ad uno dei suoi cavalieri: un De Noha. Nel 1327 il palazzo passò ai Castromediano in seguito ad un matrimonio con una De Noha. Lo stato attuale del castello è il risultato di una serie di ampliamenti e rimaneggiamenti avvenuti nel tempo, principalmente durante il regno di Francesco Castromediano e Beatrice Acquaviva d’Aragona, tali da configurarlo inequivocabilmente come struttura fortificata. Il palazzo si trova in piazza Castromediano; ha una pianta quadrata ed è composto da un corpo centrale più antico e da due bracci laterali più recenti. Il lato a nord presenta delle arcate di rafforzamento statico. Solo la parte centrale, così come quella laterale destra, presenta la tipica decorazione merlata dei castelli medievali, tanto che il palazzo appare a metà tra un castello ed una residenza signorile. La parte posteriore è rimasta incompleta. All’interno del palazzo vi sono 18 sale tra cui una galleria riccamente decorata e con il pavimento realizzato con impasto cementizio smaltato ricco di mattonelle verdi, nere, bianche e gialle che disegnano un motivo di stelle, che si ripete negli affreschi che illustrano la volta a crociera, decorata con i simboli delle decorazioni dello Zodiaco. Vi è poi una stanza - chiamata sala degli arabi - con affreschi raffiguranti personaggi orientali e la cappella di Santo Stefano, fatta costruire da don Giovanni Antonio II Castromediano nel 1565, i cui dipinti sono opera del pittore Gianserio Strafella allievo di Raffaello (seconda metà XVI sec.). Nell’atrio esterno sono collocate la statua di Kiliano di Lymburg, capostipite dei Castromediano e due mezzi busti di Francesco e di Domenico Ascanio Castromediano. In questo palazzo il più illustre abitatore fu Sigismondo Castromediano, archeologo, scrittore e patriota del Risorgimento salentino ma nei secoli diversi altri illustri personaggi vi furono ospitati. Oggi, dopo l’intervento di recupero, realizzato negli anni 2004-2008, è sede di attività socio-culturali. Per approfondire si può visitare il seguente link: http://www.antoniogarrisiopere.it/24_c04_CavalLuoghMemor.html

mercoledì 5 ottobre 2011

il castello di mercoledì 5 ottobre



SALORNO (BZ) - Castello di Haderburg

Importante esempio di fortificazione militare risalente al XII secolo la cui costruzione fu ordinata dai Conti di Salorno. Edificato a scopo di difesa, è posizionato in un punto strategico sulla cima di uno sperone di roccia dove nella valle dell'Adige si incontra il Trentino con l'Alto Adige. Negli anni seguenti, il castello ebbe vari proprietari: prima appartenne ai Conti di Tirolo e verso il 1284 a Mainardo II di Tirolo-Gorizia. Nel XIV secolo la casata degli Asburgo prese possesso del castello. Nel 1514 l’Imperatore Massimiliano I lo fece ampliare e ristrutturare con l'aggiunta di un’opera fortificata sul lato della montagna, rinnovando inoltre alcuni aspetti strategici. Ma, purtroppo, intorno alla metà del sedicesimo secolo, la perdita di importanza strategica diede iniziò per il maniero ad un lungo periodo di degrado, peraltro dovuto all'abbandono di fatto. La sua bellezza e il suo fascino hanno conquistato anche i famosi fratelli Grimm, che nella loro saga “La vecchia cantina di vini vicino a Salorno”, contenuta nella raccolta “Deutsche Sagen” ambientarono la loro storia proprio tra queste rovine. Il castello ha avuto anche l’onore di ospitare illustri personaggi nell’arco della sua storia, come Melantone, uno dei più stretti collaboratori di Martin Lutero nel 1551 ed il pittore Albrecht Dürer. Nel 1648 una famiglia veneziana, quella dei conti Zenobio, acquisì la struttura e la mantenne per diverse generazioni. Negli ultimi anni l'attuale proprietario, il cosiddetto barone Ernesto Rubin De Cervin Albrizzi, che col sostegno della Provincia Autonoma di Bolzano e della Fondazione Cassa di Risparmio dell’Alto Adige, ha provveduto a restaurare e mettere in sicurezza l'intero ambito. Dal 2003 quindi il castello è di nuovo accessibile al pubblico. La proprietà desiderava che il restauro diventasse anche l’occasione per aprire al pubblico e rendere visitabili le suggestive rovine. L’intervento doveva quindi articolarsi in quattro fasi: il consolidamento dello spuntone roccioso sul quale si ergono le mura, la costruzione di una strada forestale che dal paese conducesse al castello, il consolidamento degli elementi architettonici superstiti e la realizzazione di percorsi interni, allestimenti, servizi generali (biglietteria, bar, servizi igienici). Il restauro ha messo in luce molte parti delle antiche murature del castello fino ad allora nascoste dalla vegetazione e dai detriti permettendo di coglierne la complessità e la potenza espressiva. Si è potuto apprezzare il profondo rapporto funzionale e formale della compenetrazione tra roccia e muratura, fuse in un artefatto dedicato alla difesa ed al controllo del territorio. Per approfondire si può visitare il sito www.castellodisalorno.it

martedì 4 ottobre 2011

il castello di martedì 4 ottobre




PIEVE DI CENTO (BO) - Rocca

Situata in prossimità di Porta Bologna, venne costruita a seguito degli impegni reciproci intercorsi fra il Comune di Bologna e i pievesi dopo le contese del 1380. E' esattamente in questo periodo che la rocca cambiò connotazione e, da generica struttura fortificata, divenne un complesso militare isolato con permanenza esclusiva di una guarnigione armata e non più legata a forma di isolamento di origine feudale. L'impianto fisico attribuito nel disegno complessivo ad Antonio di Vincenzo (divenuto poi l'architetto di San Petronio a Bologna) è planimetricamente riconducibile alla figura semplice ed elementare del quadrato, a sua volta suddiviso in nove quadrati dove trovano posto gli elementi principali della fortezza: il mastio e le porte. La stessa ubicazione isolata sulla linea dei terragli e dei fossati, in condizione di completa difendibilità sia dalle offese esterne che da quelle che potevano venire dal contiguo abitato, ne fanno un esempio di grande interesse tra gli apparati fortificati di pianura, e ne sottolinea la complementarietà e al contempo l'estraneità e indipendenza della struttura fortificata rispetto all'agglomerato urbano. All'inizio degli anni '80 sono stati avviati per conto del comune di Pieve di Cento interventi di restauro all'intera rocca. Condotti nel rispetto dei criteri generali che da sempre l'hanno caratterizzata, non cancellando quindi quegli aspetti consolidati del "rudere". Oggi l'edificio è sicuro e visitabile, sede del Museo Civico che raccoglie documenti e testimonianze sulla storia e sui personaggi che hanno onorato Pieve di Cento, oltre a un ricco archivio fotografico, che riunisce oltre 280 lastre fotografiche di Giovanni Melloni e circa 700 foto realizzate da Paolo Monti.

lunedì 3 ottobre 2011

il castello di lunedì 3 ottobre



SAVIGNANO IRPINO (AV) - Castello Guevara

Si erge sulla parte più alta di un costone roccioso, oggi chiamato "Tombola", in posizione di dominio sulla valle del Cervaro, consentendo il controllo sullo stretto passaggio obbligato verso la Puglia. Il Castello, denominato “Castrum Sabinarium” dando quindi nome al paese, nacque tra il VII e l'VIII secolo probabilmente come fortezza difensiva, per essere poi trasformato, agli inizi del 1700, in palazzo signorile dai nobili Guevara, il cui stemma è ancora conservato sull'antico edificio. Numerosi furono i signori che si successero nel dominio di Savignano, nell'ambito delle dominazioni normanna e angiona, prima degli spagnoli e tra essi ricordiamo: Manfredo Maletta, Novello Dolfi, Bernardino e Francesco Spinelli. Il governo di questi ultimi non fu dei migliori, risulta infatti un documento, contenuto nell'archivio Sanseverino", datato 2 gennaio 1445, dove i savignanesi fecero un ricorso contro i fratelli Spinelli, elencando una lista di soprusi subiti. Il 7 settembre 1540 Re Alfonso d'Aragona approvò la compravendita di Savignano che passò allo spagnolo Innico Guevara. Durante il dominio Guevara le sorti della popolazione savignanese non migliorarono, questa volta a causa di guerre e carestie ma soprattutto della grave pestilenza del 1656, che ridusse il numero degli abitanti contro da 199 a 38. I nuovi signori mutarono la destinazione d'uso al castello. Eliminando il fossato e le porte e trasformando le bocche da fuoco in finestre, lo adibirono a residenza personale ma anche a centro di amministrazione e deposito di granaglie. Tale rimase fino al XIX secolo e da alcuni atti del catasto risalenti al 1753 e al 1808 sappiamo che il castello era composto di sei vani superiori e sei vani inferiori per uso abitativo. Il terremoto del 1732 danneggiò il castello, che non subì ulteriori modifiche fino al 1880, essendo ancora abitato fino alla fine di tale secolo. Successivamente, l'asportazione di materiale vario e la demolizione di parti ritenute pericolanti, oltre che rimaneggiare fortemente la struttura, ne misero seriamente in pericolo la staticità, ulteriormente compromessa dal grave sisma del 1980. L'amministrazione comunale decise, perciò, di acquistare la struttura dalla famiglia Daniela Casale e di procedere al suo restauro, sulla base di un progetto che prevedeva, da un lato, il recupero delle parti rimaste del castello, dall'altro la creazione di un teatro all'aperto. I lavori iniziati nell'estate del 1990 portarono alla luce uno strato omogeneo di cenere, testimonianza dell'ultima eruzione del Vesuvio, e poi, portali, scalinate, una stalla, un salone, dei forni, un pozzo che sfocia in una grossa cisterna, un sistema di impianto idraulico, cocci di piatti e qualche utensile in ferro. La rilevanza dei ritrovamenti indusse la Sovrintendenza a modificare, integrandolo, l'originario progetto di restauro, eliminando, tra l'altro, la parte relativa alla creazione del teatro all' aperto. Gli interventi di restauro successivi si sono avuti nel 2004 e si sono basati sulla realizzazione di una struttura di copertura e calpestio, all’altezza dell’originario piano nobile, che consente la visita e l’affaccio alle originarie finestrature e copre, proteggendoli, gli ambienti sottostanti, consentendone l’utilizzo come spazi espositivi permanenti e per piccole manifestazioni occasionali. Di quello che era l’intero complesso architettonico, oggi sono visibili due lati soltanto, il fronte sud e il fronte est, costituenti parte della originaria chiusura perimetrale. La parete sud è stata quasi interamente ricostruita nel corso dei lavori di restauro che hanno interessato il castello agli inizi degli anni ’90. Tale parete presenta un alto basamento a scarpa terminante con una cornice torica in pietra che demarca in orizzontale due settori di prospetto, l’inferiore a scarpa ed il superiore caratterizzato dalla presenza di un doppio ordine di tre monofore archivoltate con cornici lapidee. Altre informazioni si possono trovare al seguente link:
http://regiotratturo.spacespa.it/terre-dirpina/comuni/savignano-irpino/da-vedere/il-castello-di-guevara