martedì 28 febbraio 2017

Il castello di martedì 28 febbraio







MONTALTO UFFUGO (CS) - Torre campanaria (resto castello Ruffo) e torre normanna

Se la storia antica è poco documenta e incerta, quella del periodo normanno testimoniata dalla torre in via Foscarini e quella del periodo Aragonese, con il convento di San Domenico e altre importanti costruzioni, attestano inequivocabilmente un passato molto importante che almeno per un periodo indicano Montalto come il luogo centrale del potere politico degli Aragona in tutta la regione. La prima università della Calabria nacque proprio a Montalto sul finire del 1400, ad opera dell'illustre concittadino carmelitano P.Antonio Foscarini, già rettore dell'università di Napoli, fondatore di importanti conventi tra cui quello di Tropea e grande astronomo scienziato e filosofo. L'università di Montalto fu importante, tanto che richiamava studiosi da diversi stati europei, qui si studiavano materia come la Filosofia, la teologia e naturalmente l'astronomia, del resto il suo fondatore è passato alla storia proprio a causa delle sue convinzioni scientifico astronomiche. Montalto raggiunse grande importanza sotto gli Aragona i quali vi stabilirono parte del loro potere esecutivo, crearono infatti il titolo Duchi di Montalto, che divenne presto tra i più ambiti d'Europa e tale restò per tutto il periodo che abbraccia il loro regno. Di fatto l'importanza politica del ducato si deve a San Francesco di Paola, l'odierna città della costa cosentina era compresa nel territorio di Montalto, quindi il Santo all'epoca era di fatto un montaltese che tra l'altro si recava di sovente nel centro per conferire con il Ferrante ovvero, il figlio di Federico d'Aragona le cui spoglie sono custodite presso la chiesa di san Francesco situata nella piazza (che non ha mai portato il suo nome) principale del centro storico (a tal proposito i religiosi hanno di fatto occultato le spoglie del duca dichiarando che sono andate perse durante un terremoto che in realtà non ha causato danni), a testimonianza esiste soltanto un'antica iscrizione situata dietro l'altare della chiesa di San Francesco da Paola. Il santo percorreva una via di montagna che ancora oggi viene praticata dai pellegrini ogni anno durante i primi giorni di maggio, migliaia di persone partono di notte a piedi attraversando l'Appennino per seguire le orme di quello che fu l'illuminato più potente della religione Cristiana. Sembra inoltre che Francesco si servisse di uno dei numerosi passaggi sotterranei che caratterizzavano il centro del Ducato, alcuni dei quali ancora parzialmente esistenti, di sicuro usati durante tutto il dominio Borbonico per sfuggire agli improvvisi controlli. Il Duca Ferdinando di Montalto, figlio del Re Ferdinando I (avuto con la concubina Diana Guardato) e padre di Giovanna duchessa di Paliano, diede grande impulso alla crescita architettonica dell'odierno comune, lo testimonia la piazza centrale, gli antichi caseggiati, l'imponente chiesa e convento di San Francesco da Paola ed altri palazzi illustri, alcuni dei quali mostrano ancora chiaramente l'architettura spagnola (Montalto può vantare molte chiese alcune delle quali imponenti). Da ricordare la sala dedicata ai duchi di Montalto situata all'interno del palazzo reale di Palermo, che testimonia appunto l'importanza del titolo e dello stesso ducato. L'inquisizione e gli Aragona si macchiarono di fatti gravi, Ferrante infatti mise in atto delle vere e proprie persecuzioni religiose, tra queste vi fu quella che portò ad una delle più drammatiche esecuzioni di tutti i tempi, quella a danno dei valdesi i quali furono rastrellati in tutto il sud Italia per essere deportati nelle carceri del ducato(sede dell'odierno municipio) quindi furono decapitati(uomini donne e bambini) in un sol giorno(più di 1400), così come riportano alcuni documenti custoditi presso l'archivio di Napoli, La chiesa voleva lanciare un messaggio ben chiaro alle minoranze religiose e di fatto questa strage rimase allungo nella coscienza collettiva di tutto il territorio della Calabria Citra, la leggenda vuole che quel giorno il sangue delle uccisioni arrivò fino all'antica via Popilia situata a diversi chilometri di distanza (durante i lavori di ristrutturazione della scalinata della chiesa di San Francesco da Paola avvenuti negli anni 80 del secolo trascorso, vennero alla luce diversi scheletri di ogni grandezza). Oltre a quella a danno dei Valdesi, vi fu inoltre il duro censimento inflitto agli ebrei che furono costretti a subire restrizioni gravose e ad indossare il drappo rosso, Montalto all'epoca era abitato da molti valdesi e da molti ebrei che si stanziarono qui proprio per l'importanza che rivestiva il ducato. I Fasti di Montalto andarono scemando con il passare dei secoli, tanto che ad oggi la sua importante storia è stata soppressa da un oblio artificioso. L'imponente Torre Campanaria conserva ancora intatta la vecchia campana. Era proprio quest'ultima che chiamava a raccolta gli abitanti di Montalto in caso di pericolo o li avvertiva del verificarsi di eventi straordinari. Risalente al XIV-XV secolo, la torre, utilizzata come prigione dal feudatario, era un tempo parte di un possente edificio, detto "castello novo", fatto costruire dal conte Giordano Ruffo; la dimora, già gravemente danneggiata nella prima metà del XIX secolo, venne infine addirittura demolita.La torre normanna di Montalto Uffugo faceva parte dell'antico circuito murario che in epoca medioevale circondava l'intero paese. Lungo la cinta si aprivano ben sei porte, difese da torri a pianta circolare. Quella ancora visibile in via Petralta Foscarini, conosciuta come Torre Normanna perché edificata nell'XI o XII secolo, è oggi in parte circondata da abitazioni. Probabilmente un tempo le torri erano presidiate da sentinelle e, secondo uno storico locale, venivano annualmente benedette in quanto determinanti per la difesa della cittadina.




Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Montalto_Uffugo, http://www.unplicalabria.it/Montalto_Uffugo-221.html, http://www.calabriaturistica.it/torri_e_castelli.php

Foto: le prime due, relative alla torre campanaria, sono foto realizzate dal sottoscritto in loco; la terza, relativa alla torre normanna, è presa da https://www.mondimedievali.net/Castelli/Calabria/cosenza/montalttorr01.jpg

lunedì 27 febbraio 2017

Il castello di lunedì 27 febbraio




LICCIANA NARDI (MS) - Castello Malaspina di Bastia

E' una fortificazione con caratteristiche architettoniche rinascimentali che si trova a Licciana Nardi, nella zona della Lunigiana. La fortezza, che per la possente struttura ebbe la fama di "castello inespugnabile", si erge su di una collina, a circa 500 metri di altezza, nella valle del fiume Teverone e risale al XIII secolo. Il toponimo, dal francese Batir (costruire), è adoperato per indicare un'opera fortificata che veniva costruita rapidamente per rimediare a qualche cedimento nel sistema difensivo di un castello, di una cinta muraria, nella difesa di un borgo o di una città. La Bastia fu compresa negli impegni che Francesco d'Olivola prese nei riguardi dei marchesi Malaspina di Villafranca nel 1294 e nel 1307. Nel 1416 venne occupata dai genovesi per vendicare l'omicidio del provicario genovese della Spezia Oderico Biassa per mano dei marchesi di Villafranca per poi ritornare in possesso di questi ultimi nel 1423. Durante la guerra dal 1424 al 1428 fra il comune di Firenze e il duca di Milano Filippo Maria Visconti fu presidiata dai fiorentini con l'intento di bloccare probabili infiltrazioni in Lunigiana delle truppe milanesi attraverso gli appennini. Nel Cinquecento Bastia rientrò nella formazione del marchesato di Monti sotto Giovanni Spinetta. È probabile che questo avvenimento e soprattutto la diffusione delle armi da fuoco siano stati la causa di quei rinnovamenti strutturali che poco dopo diedero a Bastia la fama di "castello inespugnabile". Alla morte di Spinetta nel 1535 la Bastia fu divisa tra i suoi figli e divenne feudo indipendente con Fioramonte II, la cui dinastia continuò fino al 1783. Questi secoli di governo furono caratterizzati da brutte vicende dovute a lotte di successione, soprusi dei marchesi e ribellioni. In particolare nella prima metà del XVII secolo il fratello del marchese Carlo, Nestore, compì numerosi crimini causando una sollevazione popolare tanto che intervenne il Granduca di Toscana per ristabilire l'ordine. Le sommosse e gli omicidi però continuarono fino all'uccisione di Nestore da parte dei ribelli. Oltre alle tormentate vicende interne, che hanno accompagnato il succedersi della dinastia di Bastia, occorre ricordare un aneddoto dell'ultima marchesa Annetta Malaspina sposata al marchese di Mulazzo Giovanni Malaspina. Questa donna era dotata di una invidiabile bellezza tanto da essere celebrata da poeti come Vincenzo Monti ed Innocenzo Frugoni e al centro delle attenzioni della corte di Parma. Dietro la spinta del gesuita parmense Bettinelli tentò un'azione diplomatica a favore dei gesuiti francesi e fu mandata alla corte di Francia per conquistare l'amore di Luigi XV e soppiantare la marchesa di Pompadour. Considerato il fascino ma anche la fama di donna di talento la "conquista" doveva essere cosa facile ma per motivi non del tutto chiari il tentativo fallì e la marchesa tornò in patria solo con un modesta pensione della corte francese. Oggi il castello è posseduto da privati ed è ancora perfettamente conservato. Ha pianta trapezoidale con quattro torri angolari cilindriche unite da una cortina muraria con cammino di ronda ricollegabili a una costruzione postmedievale. E' dotato di una leggera scarpa del muro al di sotto del cordolo continuo in pietra. Risulta difficile invece riconoscere con esattezza l'epoca del mastio centrale all'interno delle mura che, in seguito a una ristrutturazione, ha perso i tratti probabilmente medievali. Le due torri più vicine a a quest'ultima hanno una circonferenza maggiore delle altre. La forma attuale risale chiaramente del XV secolo, ma la presenza della suddetta torre di centro fa pensare che questa sia frutto dell'aggiornamento di un fortilizio medievale precedente alle nuove esigenze militari dell'epoca. Del resto, vista la posizione altamente strategica, sarebbe strano il contrario. Il castello è visitabile solo dall'esterno, ma possiamo comunque notare la solidità straordinaria della costruzione e i resti dei beccatelli che sostenevano l'apparato difensivo a sporgere lungo tutta la cortina muraria. Non esistono più le tracce della merlatura che, come in tutti gli altri castelli Malaspiniani, doveva essere a coda di rondine. Interessanti sono anche le molte feritoie che ancora si aprono sopra il redondone, per la loro forma adatte al tiro delle armi da fuoco e quindi aggiunte probabilmente nel XVI secolo. L'ingresso primitivo, unica via di accesso al cortile interno e al mastio che si apre ad ad una certa altezza dal suolo, è stato sostituito da una scalinata in pietra, sotto il cui arco si possono ancora notare gli scalini  di quello originario. Altri link suggeriti: http://www.fototoscana.it/mostra-gallery.asp?nomegallery=bastia, http://www.comunelicciananardi.ms.it/bastia, http://www.provinciamassacarrara.com/VirtualTour/Licciana-Nardi-Castello-di-Bastia/Licciana-Nardi-Castello-di-Bastia_PC.asp (visita virtuale), https://www.youtube.com/watch?v=NDLxbrKqHR8 (video di ursea1952)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Bastia, http://www.castellitoscani.com/italian/bastia.htm, http://www.terredilunigiana.com/castelli/castellobastia.php

Foto: entrambe di amalaspezia.eu, prese da http://www.amalaspezia.eu/fotografie/DEF_0689.jpg e da http://www.amalaspezia.eu/fotografie/DEF_0700.jpg


domenica 26 febbraio 2017

Il castello di domenica 26 febbraio






MENFI (AG) – Torre in frazione Porto Palo

Il borgo è sormontato da una torre di avvistamento costiera, una delle numerose torri di guardia costiero costruite nel 1583 per difendere le città siciliane da eventuali attacchi dei corsari. Ha pianta quadrata a forma di piramide cubica e si sviluppa su due piani. Era sottoposta al controllo del duca di Terranova che aveva l'obbligo di pagare lo stipendio all'artigliere e nominare gli altri due soldati pagati dalla Deputazione. Oggi la torre sovrasta il borgo di Porto Polo che si affaccia sul mare africano. Il borgo è dotato di un piccolo porticciolo per imbarcazioni da diporto e da pescherecci. È in progetto la costruzione di un nuovo porto turistico. Fu realizzata su proposta e progetto dell’architetto fiorentino Camillo Camilliani probabilmente a cavallo del secolo XVII. Classica tipologia camillanea con base tronco piramidale di mt 10,90 e fusto a base quadrata di mt 11,50 x 11,75. A piano terra sono quattro ambienti, uno dei quali adibito a cisterna. Il muro di base esterno è largo 240 cm, quello interno 80 cm. Accesso al solito dal lato opposto al mare ed al primo piano. Recentemente restaurata in modo incompleto in quanto non si è più realizzato il parapetto della terrazza del quale residuavano evidenti brani, per come si evince dalle foto d'epoca. Bisognava comunque ricostituire il basamento, in conci isodomi, che proteggeva la muratura. Si ipotizza il loro asporto per riuso nelle vicine abitazioni balneari. Ne residuano alcuni utili al restauro, che andrebbe esteso al solaio della seconda elevazione per evitare l'azione nefasta dell'acqua. Anche il paramento murario esterno andrebbe ripreso e consolidato pur mantenendo le porzioni di intonaco antico esistenti. Occorrerebbe la chiusura dello squarcio a livello di terreno con una grata per impedire che i visitatori possano usare degli spazi in modo improprio e collocare un cartello esplicativo impermeabile.


venerdì 24 febbraio 2017

Il castello di sabato 25 febbraio







MENFI (AG) – Castello di Burgimilluso

Si presume che in questa zona sbarcarono i Saraceni alla conquista della Sicilia, dove cominciarono a fissare i loro insediamenti e che la costruzione del Casale di Burgiomilluso nel 1239 sia stata eseguita su un sito già occupato da un borgo saraceno. Dopo la scomparsa dei musulmani in Sicilia, la terra di Burgiomilluso era rimasta priva di abitanti. Nel 1528, sotto la dominazione spagnola, Giovanni Vincenzo Tagliavia ottenne da Carlo V il privilegio di costruire un casale sul territorio di Menfrici. Ma fu solo un secolo dopo, nel 1638, che Diego Tagliavia Aragona Cortes diede inizio alla costruzione del primo nucleo urbano di Menfi concedendo terreni a famiglie di contadini del circondario e costruendo le prime abitazioni. È dal 1638 in poi che il villaggio rurale viene chiamato Menfi, che sostituì il nome di Burgiomilluso, di Burgimelluso, di Burgio, di Borgetto, nomi che avevano caratterizzato il territorio ed il casale. Senza dubbio il monumento più antico è da identificarsi nel Castello Svevo fatto costruire nel 1238 da Federico II di Svevia, forse sui ruderi di un fortilizio arabo. Lo studioso G. Agnello, che visitò il castello intorno alla metà del XX secolo, attribuiva l’edificio all’iniziativa di Federico II attraverso l’analisi architettonica e i pochi dati documentari disponibili. Gli studi più recenti tendono a confermare l’attribuzione di Agnello. L’unico documento che lega Menfi / Burgimilluso ad epoca federiciana è un’epistola databile al novembre del 1239, nella quale Federico II ordina l’edificazione “…ut apud Burgimill ad opus nostrum tantum habitatio fieret supra fontem magnum…”. Non è chiaro a cosa voglia riferirsi il termine “habitatio”, tuttavia è probabile che l’imperatore volesse costruire una “domus solaciorum” con caratteristiche tali da apparire nel contempo una fortezza. Per tutto il XIII secolo si fatica a trovare menzione del castello nei dati documentari. Agnello ritiene che nel 1258 Manfredi proprio a Burgimillusso e, presumibilmente, nel castello, confermasse i privilegi dati alla città di Palermo dal fratello Corrado. Nel 1264 si ricorda la “terra Burgimillus”, ma il castello è assente dagli statuta castrorum del 1275 e 1281 d.C. Nel 1283/84 re Pietro concede a Stefano di Nicola e a Filippo Guarichi di Sciacca il “casale quod dicitur Burgimillusium positum prope dictam terram Sacce..” insieme al casale Turbali dietro pagamento di circa 72 onze. Nel 1287 l’intera località fu concessa alla famiglia Manuele o de Manuele, che tenne il feudo fino al 1392. Solo in un documento del 1316 si accenna al castello di Burgimillus e nello stesso anno la torre subì un assedio da parte di truppe angioine, impresa che non sortì alcun effetto, causando di lì a poco il ritiro del contingente francese, a testimonianza della bontà dell’architettura castrale. Nel 1335 si ricorda ancora il castello di Burgimillus. Alla fine  del XIV sec. feudo e castello passarono nelle mani di Guglielmo Peralta e, successivamente, Burgimilluso divenne possesso dei Ventimiglia e dei Tagliavia fino alla prima metà del XX sec. Nel 1519 e nel 1637 furono emanate due licentiae populandi, delle quali solo la seconda ebbe esito positivo e generò l’attuale comune di Menfi. Il castello, entro la metà del XX secolo, fu adibito a carcere. Oggi noi conosciamo solo una Torre Federiciana di forma irregolare a quattro piani con un'altezza di 18,58 metri formata da due edifici quadrangolari tra loro riuniti ed addossati per metà di lato. Il sisma del gennaio 1968 ha completamente distrutto la torre. Al suo posto si costruì un edificio dalle fattezze simili, che inglobò i ruderi superstiti (lavori condotti dall'architetto Vittorio Gregotti, riproducendo la volumetria dell’antica struttura). Il  castello si caratterizzava per la presenza di tue torri affiancate, delle quali la seconda arretrata rispetto alla prima. Nell’angolo creatosi dall’innesto dei due dongioni si edificò, in un secondo momento, una scala a chiocciola coperta per l’accesso dal primo piano in poi. Erano tre le elevazioni della torre mastra: il piano terra era diviso in due ambienti, ciascuno dei quali coperto da volte a crociera;  al primo piano si osservava la presenza di altrettanti ambienti, il primo era coperto da una splendida e integra volta a crociera che trovava similitudini con le coperture di Castel Maniace e Augusta, la seconda sala era impreziosita da una volta ad ombrello con otto vele, simile alle coperture delle torri angolari di Castel Ursino e alle volte presso la Torre di Enna. Le coperture del secondo piano risultavano interamente rifatte e le antiche ogive apparivano decapitate in favore del terrazzamento di entrambe le torri. La terrazza era, inoltre, rinforzata grazie alla presenza di beccatelli e caditoie non coevi all’impianto originario dell’edificio e introdotti, presumibilmente, nel corso del XIV sec. d.C.. Le due torri, entrambi quadrate, non avevano le medesime dimensioni, la più grande, in pianta, misurava 9,40 metri per lato; la più piccola ne misurava solo 6,50. Agnello, che fu il primo e l’unico a poter studiare minuziosamente l’edificio, ritenne che il corpo di fabbrica fosse quanto rimaneva di un organismo ben più complesso, sebbene notasse una relativa integrità della costruzione. Proprio questo particolare ha spinto la ricerca più recente a considerare il castello di Burgimilluso come un raro esempio di dongione gemello o “donjons jumeaux”, la cui tipologia è presente soprattutto in Francia, come nel caso del castello di Excideuil (XII/XIII sec. d.C.). L’ipotesi del “dongione gemello” o doppio dongione spiegherebbe anche l’assenza di un’entrata al pian terreno, particolare evidenziato da Agnello. E’ possibile, infatti, che l’accesso al dongione avvenisse partendo dal piano “nobile” per mezzo di una scala esterna, oggi scomparsa. Gli studi più recenti ritengono che, in linea di massima, Agnello abbia correttamente attribuito la torre di Menfi ad epoca sveva. Purtroppo delle decorazioni architettoniche attentamente osservate dallo studioso siracusano nulla più rimane, così come del resto della struttura si conservano pochi monconi quasi del tutto illegibili. Ciò che ne resta oggi è una possente torre difensiva a pianta ottagonale di cui rimangono oggi i muri d'ambito del piano terra e gli innesti della volta soprastante. Vi si accede tramite un grande portale che incorpora l’unico frammento superstite dell’edificio federiciano e conduce ai servizi comunali ospitati nella nuova costruzione. E’ stata inoltre realizzata una nuova scalinata a spirale che fa da cerniera spaziale tra la torre e l’adiacente Palazzo Pignatelli. Le murature esterne sono state costruite utilizzando una pietra locale, il tufo.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Menfi#Architetture_militari, http://www.medioevosicilia.eu/markIII/castello-di-menfi-o-di-burgimilluso/, https://www.distrettoturisticoselinuntino.it/a.cfm?id=351

Foto: la prima, che mostra la torre originaria non più esistente, è una cartolina d’epoca, trovata su http://www.ebay.it/itm/29246-Cartolina-TP-Menfi-Piazza-e-castello-Burgio-Millusio-VG-1959/161870335148. La seconda, relativa a ciò che è visibile oggi, è presa da http://vineyardtour.it/luoghi/menfi/palazzo-pignatelli-e-torre-federiciana/#

Il castello di venerdì 24 febbraio






CRAVANZANA (CN) - Castello

Sorge sulla sommità della collina, al centro del paese, massiccio ed appartato; si presenta al visitatore circondato da mura che appaiono ancora oggi quasi inaccessibili. Fondato dalla famiglia Del Carretto (Enrico aveva ereditato il luogo), dominava il territorio tra le valli Belbo e Bormida, terre di passaggio tra i porti della Liguria e la pianura del Piemonte; prosperava sui proventi delle vie di comunicazione che percorrevano queste colline e sui commerci che le utilizzavano. Documentato a partire almeno dal 1190 fu ricostruito ed ampliato in numerose occasioni. Ceduto ad Asti, nel 1190, parecchi anni dopo e precisamente nel 1337, troviamo proprietari gli Scarampi, che lo ebbero in possesso per lungo tempo. Riguardo alla costruzione si hanno notizie di gravissimi danni che subì nel 1438 ad opera delle truppe mercenarie di Francesco Sforza e, un secolo dopo, nel 1535, fu la volta delle milizie spagnole, che lo saccheggiarono. In seguito a questi episodi il conte Verrua, che aveva sposato Margherita Scarampi, provvide, nel 1630 ad una prima ricostruzione, a cui seguì un rifacimento integrale nel 1731 ad opera del marchese Gian Giacomo Fontana, ministro di Carlo Emanuele III, che gli conferirono l’attuale aspetto. L’edificio, attuale rifacimento di strutture più antiche probabilmente dai caratteri difensivi più marcati, ha le caratteristiche del palazzo di abitazione, con la presenza anche di un giardino e di un raccolto parco. Secondo una tradizione, nel 1812, avrebbe sostato nel castello Pio VII, mentre, prigioniero di Napoleone I, era tradotto a Fontainebleau, nel corso di un viaggio che si svolse quasi sempre di notte ed in una carrozza dalle tende abbassate per nascondere l'identità dell'illustre personaggio. L'ipotesi pare però poco probabile e potrebbe essere nata dal fatto che nel castello di Cravanzana erano state portate ed erano gelosamente conservate le lenzuola, che servirono a Pio VII a Millesimo, durante una sosta del viaggio che il Pontefice compì a Savona il 15 agosto del 1809. Nel dopoguerra fu adibito a sede dell’Istituto Professionale per l’Agricoltura di Cuneo, che vi teneva corsi di specializzazione sulla coltivazione del nocciolo, e venne utilizzato come colonia estiva (apparteneva a Giovanni Ferrero che lo restaurò per le colonie estive dei dipendenti dell'azienda dolciaria albese). Negli ultimi anni, tornato di proprietà privata, è stato fatto oggetto di notevoli lavori di restauro che lo hanno riportato al passato splendore.

Fonti: http://www.comune.cravanzana.cn.it/Guidaalpaese/tabid/9272/Default.aspx?IDPagina=3075&IDCat=476, http://langhe.net/sight/il-castello-di-cravanzana/, http://www.centrostudibeppefenoglio.it/it/articolo/9-11-844/patrimonio-artistico/architettura/castello-di-cravanzana

Foto: la prima è di giancamonty 42 su http://mapio.net/a/66196308/, la seconda è di peteranna su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/160055/view

giovedì 23 febbraio 2017

Il castello di giovedì 23 febbraio








CANOSA DI PUGLIA (BT) - Castello

Verso la fine del III secolo Canosa divenne capoluogo della Regio II Apulia et Calabria, diventando nel secolo successivo anche sede di una tra le più importanti diocesi di Puglia, che raggiunse il culmine della sua importanza con il vescovo san Sabino (dal 514 al 566); la presenza della sede episcopale ha lasciato testimonianze artistiche di valore, tipiche dei luoghi di culto e l'architettura civile dimostra la centralità della città rispetto al territorio pugliese (da cui l'appellativo "città dei vescovi"). Diventata sede di gastaldato con l'invasione longobarda nel VI secolo, subì successivamente diverse devastazioni per mano dei Saraceni (scacciati intorno all'871). Canosa ritrovò un certo rilievo nel millennio successivo (XI - XII secolo) con i Normanni, grazie al particolare interesse mostrato dal principe Boemondo I d'Antiochia (che dal 1111 giace nel mausoleo ivi presente) e poi, sotto gli Svevi, da Federico II. Dall'età imperiale incominciò il declino, perdurato sino al XVIII secolo, accentuato dai molteplici terremoti (1361, 1456, 1627, 1659, 1731), dai numerosi saccheggi (in particolare, dei tarantini nel 1451 e dei soldati francesi di Napoleone nel 1803) e dalla perdita della sede vescovile: Canosa divenne un feudo, gestito però da casati di cui alcuni, in seguito, avrebbero segnato la Storia. Vi si annoverano gli Orsini Del Balzo, i Grimaldi di Monaco, i de Gemmis di Castel Foce, gli Affaitati di Barletta, i Capece Minutolo di Napoli. Il castello fu costruito sulla collina dei Santissimi Quaranta Martiri, a 142,5 mt sul livello del mare, in una posizione da cui si domina il territorio circostante fino all'Adriatico, al Gargano ed al Vulture. Nello stesso luogo, era già l'acropoli della città greco-romana: ne recano ancora memoria i grandi blocchi di forma parallelepipeda nella parte bassa delle strutture murarie. Il Castello oggi è in rovina: aveva forma di esagono irregolare, con sei torri quadrangolari sporgenti agli spigoli. La prima notizia su di esso è la resistenza opposta ai Longobardi di re Autari (584-590). Successivamente nell'XI secolo i Normanni ne fecero una delle sedi di potere più importanti del loro territorio: qui s'incontrarono i fratelli Boemondo e Ruggero Borsa nel 1089 per mettere fine alla rivalità scoppiata fra loro subito dopo la morte di Roberto il Guiscardo (1085). Probabilmente anche Federico II soggiornò qui durante i lavori di costruzione di Castel del Monte (avvenuti dopo il 1240). Incerta e discussa è la notizia della prigionia fino alla morte di Elena D'Epiro e dei suoi giovani figli dopo la sconfitta del marito Manfredi a Benevento (1266). Nel 1271 il Castello fu restaurato ad opera di Pietro D'Angicourt, l'architetto francese al servizio dei sovrani angioini che progettò anche il Maschio Angioino a Napoli. Durante il periodo aragonese fu dimora di modesti feudatari, fino a quando Agostino Grimaldi, signore di Monaco (1523-1532), ed il suo successore Onorato (1532-1581), come ricompensa per la fedeltà dimostrata alla corono spagnola, ottennero il titolo di conti su Canosa di Puglia e la signoria su Terlizzi, Monteverde, Ripacandida e Garagnone. Nel 1643 Canosa e il castello furono venduti all'asta: iniziò così il lento declino dell'edificio, che decadde, tanto da essere utilizzato come cava per la costruzione del vicino palazzo baronale. Nel 1704 il castello fu comprato infine dalla famiglia napoletana dei Capece Minutolo, cui è appartenuto fino al 1956, quando esso fu acquistato dal comune di Canosa di Puglia. Molte volte si parla di una leggenda, che narra che il principe di Canosa e la sua famiglia scapparono quando Canosa si trovava nei guai. Alcuni anziani odiano ancora oggi la famiglia reale e si dice che durante quel periodo i cittadini coprirono di rifiuti e terra il castello. Il castello è visibile da una strada conosciuta solo dalla gente che vive in quella zona. Si innalzano però soltanto delle mura. Per avere altre notizie storiche e architettoniche vi suggerisco di leggere la scheda di Luigi Bressan su https://www.mondimedievali.net/Castelli/Puglia/bat/canosa.htm. In questo video (di CATANYGNIGNI25) si può vedere qualche scorcio del castello: https://www.youtube.com/watch?v=vBYsUNRXZ9A

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Canosa_di_Puglia, http://wikitravel.org/it/Canosa_di_Puglia

Foto: la prima è presa da https://www.mondimedievali.net/Castelli/Puglia/bat/canos31.jpg, la seconda è presa da https://www.mondimedievali.net/Glossario/01/canos01.jpg. Le altre due sono foto che appartengono alla mia collezione.

mercoledì 22 febbraio 2017

Il castello di mercoledì 22 febbraio




ALFEDENA (AQ) - Torre castello longobardo

Nel “Liber Coloniarum II” vi è per Aufidena un passo molto importante: “Aufidena, muro ducta iter populo debetur per x-milites eam lege Iulia sine colonis deduxerunt-aeger eius per centurias et scamna est assignatus termini tiburtini sunt appositi limitibus intercisivis” (G. DE PETRA, 1901; Napoli “Aufidena – Scavi e topografia”). Aufidena secondo le parole riferite, venne penalizzata o multata di una parte del suo territorio, che fu concessa ad uno stuolo di veterani romani. Questi non furono costituiti in colonia e non la città fu aggregata ad essi, bensì essi alla città. Il luogo in cui furono collocati quei veterani si può ritenere con assoluta certezza che sia stato il colle di Castel di Sangro, forte per natura e munito di un castello pelasgico. Con le parole Lege Iulia viene indicato il tempo della deduzione. Quei veterani romani non arrivarono a fondersi con i nativi. La separazione materiale faceva nascere interessi diversi, forse opposti e quei contrasti venivano rinfocolati dal rancore degli Aufidenati per la sofferta diminuzione del territorio. Nel secondo secolo, quando l’impero decise la costruzione della Via “Sulmone-Aeserniam”, gli abitanti di Castel di Sangro, di origine romana, fecero valere le loro ragioni, potendo vantare la sua origine romana in contrapposizione all’origine sannita degli Aufidenati. E’ certo che i primi abbiano domandato ed ottenuto che la strada toccasse il loro caseggiato e non la vecchia città sannitica. Il trasferimento della sede municipale a Castel di Sangro è certissimo sia per i monumenti che per le opere pubbliche ivi costruite; in ogni caso, gli antichi abitanti italici rimasero attaccati al vecchio nido, attraverso i secoli vi perpetuarono il nome di Aufidena, ad onta dei dcreti imperiali e municipali. Forse l’Aufidena ufficiale durò sino alle invasioni barbariche, di cui qualcuna le fu fatale. Probabilmente fu depredata dai barbari in quanto posta sopra una via pubblica ed in un punto assai notevole per lo sbocco nella Valle del Sangro. Quel colle tanto comodo per un castello medioevale non restò a lungo deserto e intorno al castello Longobardo si raggrupparono i vassalli che, non potendo rivendicare il nome di Aufidena, ci appaiono come gli abitanti di “Castrum Sangri o Sari” (Instrumento dell’anno 1026 in cui Oderisio, soprannominato Borrello, abitator in territorio de Sangro in ipsum Castellum comitale dona a Montecassino il Monastero di S. Pietro a fonte Avellana che egli aveva edificato. – Gattola, hist. Abbat. Cassin. 1733. Prt. 1, pag. 238). I vecchi aufidenati, invece, protetti dal luogo remoto e segregato, poterono conservare al sito dell’antica città il suo proprio nome sotto la firma di Alfedena. Testimonianza della storia medievale del paese è la torre ottagonale del castello di Alfedena (XII secolo), che domina l'intero centro storico. Dai lati della torre si dipartono tratti delle antiche cortine. Una scalinata recentemente restaurata e provvista di illuminazione, consente la visita ai turisti. La porta di Alfedena, sul limite della piazza Umberto I, consente l'accesso alla piazza Sannitica e al nucleo antico del paese, e reca in chiave lo stemma aufidenate. Della torre di Alfedena, a pianta poligonale, si conservano solo sei lati. L'edificio, collocato nella parte più alta del borgo, si presenta in stile normanno. Con sommità cimata costituisce probabilmente l'unico esempio di struttura fortificata così realizzata in Abruzzo, mentre è possibile trovare dei confronti nell'architettura fortificata delle Marche e del Lazio. Qui potete visitare virtualmente la torre e i dintorni: http://www.italiavirtualtour.it/dettaglio.php?id=97512. Ecco un video, sempre inerente la torre (di Flo Romanca): https://www.youtube.com/watch?v=mPdCyEl4FnQ

 Fonti: http://www.comune.alfedena.aq.it/informazioni/dove-siamo/notizie-storiche, https://it.wikipedia.org/wiki/Alfedena, http://www2.regione.abruzzo.it/xCultura/index.asp?modello=torreaq&servizio=xList&stileDiv=monoLeft&template=intIndex&b=menuTorr2749&tom=749

Foto: la prima è presa da http://www.italiavirtualtour.it/virtual_tours/abruzzo/alfedena/vt/torre_ottagonale/images/pano_veduta.jpg, la seconda è di Bruno S. su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/75580

martedì 21 febbraio 2017

Il castello di martedì 21 febbraio






DENICE (AL) - Torre Del Carretto

Su un breve rialzo che sovrasta il paese si erge una torre quadrata alta 36 metri, costruita in epoca medievale dai Marchesi del Carretto, di stirpe Aleramica. La cortina lapidea e la sua sommità è ornata da tre file di archetti a sesto acuto, alternati da cornici a dente di sega; l’ingresso originale è ad arco acuto con architrave. La grande torre domina la Valle Bormida ed è possibile accedere alla sommità mediante scala interna (dotata di cento gradini) per godere uno spettacolo incomparabile. Di notevole bellezza è tutta l’area del borgo medievale, di forma circolare è uno dei meglio conservati dell’Alto Monferrato con splendide case in pietra finemente restaurate, con un insieme di stradine suggestive, piazzette archivolti, loggiati e case con portali. Altre notizie si possono trovare qui: http://www.comunedenice.it/storiadenice_besio.pdf

Fonti: http://www.comunedenice.it/public/comune/index.php?mod=09_La_Citt, testo su pubblicazione "Castelli in Piemonte" di Rosella Seren Rosso (1999)

Foto: la prima è di Peteranna su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/120773, la seconda è di Naldina47 su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/151645

lunedì 20 febbraio 2017

Il castello di lunedì 20 febbraio






MONTEMARANO (AV) - Palazzo Castello

La storia di Montemarano risale a molto prima dell’anno mille, alle sanguinose guerre tra Sanniti e Romani, e la città vanta, addirittura, di aver avuto sul proprio colle, dove oggi è la pregevole Cattedrale, un tempio dedicato a Giove. Orgoglio dei Montemaranesi è la tradizione, tramandatasi fino ad oggi, che a fondare la città sia stato un certo Mario Egnazio, ribelle e valoroso condottiero irpino, che si fermò su questi monti, dove riuscì perfino a sconfiggere le schiere romane. Sull’esempio di questo leggendario fondatore si spiega poi perchè la città in tempi remoti fu una fortezza inaccessibile, un osso duro per tutte le orde barbariche che cercarono di assediarla. Gli stessi Bizantini e Longobardi, sempre secondo la tradizione locale, dovettero arrestare le loro ambizioni di conquista di fronte all’ardua resistenza dei rustici abitanti, armati soltanto di roncole e scuri. Tuttavia il periodo più fiorente Montemarano lo visse intorno al Mille sotto l’episcopato di Giovanni, cittadino, vescovo e poi Santo protettore che, sullo sfondo di età tenebrose, seppe difendere il paese dagli avventurieri e dalle prime invasioni normanne. Giovanni con la forza della fede e della ragione fermò le spade, facendo di Montemarano un’oasi di pace e di benessere. Il nobile passato della città di Montemarano trova un’altra splendida espressione nel miracolo di S. Francesco. Difatti “la leggenda maggiore di S. Bonaventura di Bagnoreggio e il “ Trattato dei miracoli” di Tommaso Celano parlano di un evento miracoloso che ebbe luogo in questa città, dove una donna di nobile casato, che era già morta, ritornò in vita solo per il tempo di confessarsi e acquistare la pace dell'anima. La scena fu raffigurata da Giotto nell’affresco conosciuto come “Miracolo della morta di Montemarano”, nella Basilica Superiore di S. Francesco in Assisi. La sorte della città fu legata a quella dei vari feudatari succedutisi fino agli inizi del 1800. La città appartenne originariamente ai Saraceni, poi ai Della Marra e ai Caracciolo. Quindi, seguirono i Lagonessa e gli Strambone. Nel 1571 il feudo fu acquistato da Domenico Cattaneo, principe di S. Nicandro, e nel 1760 ne diventava padrone la famiglia genovese dei Beria, per la precisione, il marchese Giacomo Beria, che fu il librettista di Gioacchino Rossini. Poichè il musicista soggiornò a Napoli nel 1810, non è da escludere che egli si sia potuto ispirare in qualche sua opera ai suggestivi squarci paesaggistici del nostro territorio cittadino. Il Castello feudale nel 1835 fu acquistato da una nobildonna Inglese, Luisa Dylan Strakan. Il centro assurse a dignità di città al sorgere della diocesi. Essa comprendeva 18 casali, che portavano il nome di Santi. Dal punto di vista sociale, il periodo tra il 1400 e il 1500 fu il più importante, poichè nacque l’Università di Montemarano, che non era altro che il comune. L’Università si caratterizzò per il fiorire delle leggi che disciplinavano l’igiene, la macellazione, il seppellimento dei morti ed altri servizi essenziali. La decadenza investì la città di Montemarano tra il 1600 e il 1700 per le pestilenze che si susseguirono in tale periodo. Nel 1818 la diocesi fu soppressa e aggregata a quella di Nusco e nel 1820-21 anche Montemarano diede il suo contributo ai famosi moti rivoluzionari. Infatti, i cittadini si unirono ai fratelli delle vendite di Monteforte al grido di “ Costituzione o morte” e a Napoli combatterono i Borboni. Dal punto più alto di Montemarano, a circa 820 metri s.l.m., il Castello ha visto avvicendarsi secoli di storie e signorie feudali e ancora oggi domina il paese con la sua imponenza, anche se la sua struttura originaria è cambiata molto nel corso dei secoli e al momento risulta inagibile. Ancora si riconosce l'impianto medioevale sotto la veste tardo-rinascimentale con cui è stato trasfigurato nelle epoche successive alla sua nascita ma nulla più rimane delle torri che un tempo circondavano il maniero e della cinta muraria, visibile solo per un breve tratto in Via Sottocastello. L'accesso principale al castello doveva essere nell'antica via Vegliante, l'attuale via Roma, per mezzo di una maestosa scala, come raccontano le fonti storiche, mentre sul lato sud del castello c'era un vasto giardino. Ancora visibili le tracce dei signori che hanno abitato il castello, come lo stemma dei Della Lagonessa (o Leonessa) impresso su uno dei portali, raffigurante il leone rampante simbolo della famiglia in questione. Come tipico di molti castelli, nel cortile interno dovevano essere allocate numerose stanze di servizio, tra cui una farmacia. La storia del castello è legata, oltre ai suoi numerosi padroni, anche alla figura di Giovan Battista Basile, che vi dimorò in qualità di governatore di Montemarano tra il 1615 ed il 1616, periodo in cui terminò la prima stesura della sua più grande e conosciuta opera, "Lo Cunto de li Cunti". L'edificio, che si presenta oggi come un palazzo residenziale con linee architettoniche in stile rinascimentale, è in parte di proprietà privata. Solo il livello terraneo ha mantenuto la conformazione originaria. Notevole è il portale, tramite il quale si accede al cortile interno ed al giardino di corte. Le vaste stanze dei piani superiori si raggiungono percorrendo una vasta scala in pietra locale. Per approfondimenti è altamente consigliata la visita del sito ufficiale del monumento: http://www.palazzocastellomontemarano.eu/index.html, dove trovare altre notizie storiche e architettoniche.  

Fonti: http://www.comune.montemarano.av.it/page.aspx?id=storia, http://www.museodeicastelli.it/castelli/52-montemarano-castello-medievale.html, http://www.castellidirpinia.com/montemarano_it.html, http://www.irpinia.info/sito/towns/montemarano/castello.htm

Foto: la prima è presa da http://www.museodeicastelli.it/images/museo/castelli/Castello_di_Montemarano.jpg, la seconda è di Beniamino Palmieri su https://twitter.com/benpalmieri/status/655735675396968448

sabato 18 febbraio 2017

Il castello di domenica 19 febbraio






SAN GIULIANO MILANESE (MI) – Castello Sforza di Zivido

Zivido è un quartiere della città lombarda di San Giuliano Milanese di cui costituisce la porzione meridionale del centro abitato, tra la Statale Emilia ad occidente e il Lambro ad oriente. La località era un borgo agricolo di antica origine. Nell'ambito della suddivisione in pievi del territorio milanese, apparteneva alla pieve di San Giuliano, e confinava con Carpianello a nord, Mediglia ad est, Santa Brera e Viboldone a sud, e San Giuliano ad ovest. Al censimento del 1751 la località fece registrare 347 residenti. In età napoleonica, nel 1805, la popolazione era scesa a 267 unità, tanto che nel 1809 il Comune di Zivido fu aggregato a San Giuliano, a sua volta annessa a Viboldone nel 1811. Tutte le località recuperarono comunque l'autonomia nel 1816 dopo la costituzione del Regno Lombardo-Veneto. Nel 1841 i governanti tedeschi decisero di ampliare il territorio municipale di Zivido, aggregandogli Carpianello a titolo definitivo. Al censimento del 1853 il Comune di Zivido contava 680 abitanti, a quello del 1861 il numero era salito a 698. Nel 1869 il Comune di Zivido venne annesso definitivamente da quello di Viboldone, che poi nel 1893 assunse il nome di San Giuliano Milanese. Denominata castello dalla tradizione locale, l'antica residenza dei marchesi Brivio a Zivido è da più voci ritenuta, ma senza alcuna conferma di tipo documentario, già proprietà di quei Della Torre, che, rivali dei Visconti, a questi si sostituirono, nel 1302, al governo di Milano. Essendo, ormai, l'aspetto iniziale dell'intero edificio molto alterato da trasformazioni susseguitesi nei secoli, ben poco rimane di quello che si vorrebbe trecentesco: cioè, almeno parte della torre quadrangolare, attorno alla quale, al Quattrocento e al Cinquecento devono risalire i corpi di fabbrica circostanti, tutti poi notevolmente rimaneggiati; dalle due corti, così formatesi, la minore, delimitata da semplice parete muraria di chiusura, prospetta sulla via, mentre la maggiore è rivolta a ovest, verso la via Emilia. Malgrado la discreta bibliografia - che di volta in volta lo ha definito castello, palazzotto o villa - il castello di Zivido è stato più volte dimenticato, ad esempio da note guide comprendenti anche la pianura intorno a Milano. Tuttavia, non sono mancati, anche in tempi recenti, segnali di un risvegliato interesse: oltre ai piani regolatori dedicati al borgo di Zivido, che ne focalizzano gran parte della loro attenzione, e ad alcuni studi locali, l'edificio appare compreso col segno convenzionale di castello con residenza, nell'atlante all'interno del volume sui beni architettonici ed ambientali della Provincia di Milano, pubblicato nel 1985, nonché citato nel censimento delle opere fortificate nella Lombardia, edito, per la zona relativa, nel 1990, in cui può rientrare - come suggerisce a chi scrive Antonello Vincenti, presidente della Sezione Lombardia dell'Istituto Italiano dei Castelli - nella convenzione tipologica stabilitavi per l'edificio agricolo fortificato. Infine, il castello è compreso sia in studi promossi dal Politecnico di Milano (1990-1991), sia nella schedatura condotta per l'Ufficio dei Beni Culturali Ecclesiastici nella Diocesi di Milano (1992), come anche nella segnalazione di opere da restaurare, nel recentissimo repertorio (1992), dedicato alla Lombardia da salvare. E’ verosimile che, alla pari dei castelli in pianura e risalenti ad età viscontea, anche la fabbrica di Zivido fosse, agli inizi, semplicemente costruita in mattoni, con qualche eventuale inserto lapideo per le modanature maggiormente sollecitate (colonne, chiavi e spalle di archi, mensole). Cioè, anche nella costruzione del castello di Zivido, l'utilizzazione del materiale più immediatamente disponibile, dovette corrispondere a quella diffusa visione economica, evidentemente tesa a ridurre al possibile l'incidenza dei costi di trasporto. Dovette, così, derivarne un conseguente, maggior senso di unitarietà. Nel contempo, forse anche l'insediamento di Zivido può riflettere quelle fasi salienti dell'evoluzione storica del territorio, legata soprattutto alla dominazione visconteo-sforzesca (1277-1499), e quindi alla spagnola (1559-1707), le cui testimonianze, più importanti e significative si trovano dislocate sia nel capoluogo e nei centri di provincia, sia in quelli posti in particolare posizione strategica lungo il corso dei fiumi, spesso non senza improntare di sé, come è stato più volte affermato, l'intero territorio. Non sembra, infatti, da escludere l'ipotesi che, anche a Zivido, esistesse una torre di avvistamento sul Lambro - come quelle, vicine, della Rocca Brivio o di San Donato Milanese, e, ancora, della cascina Triulzio - malgrado sia oggi difficile percepire, date le notevoli trasformazioni, l'altimetria del suolo rispetto al fiume stesso. Rispetto alla grande maglia di castelli ducali viscontei, Zivido poteva appartenere, allora, alla rete, minore e meno organica, ma pur sempre utilizzabile, costituita da castelli feudali, o, comunque, privati. Questi, infatti, comportavano almeno due vantaggi, rispettivamente nei periodi di pace e di guerra. Durante i primi, potevano, infatti, garantire l'ordine in tutto il territorio, che il potere centrale non sarebbe stato in grado di mantenere con le sue sole forze, tenuto conto anche della lentezza nel trasferire le milizie, a piedi, o dell'eccessiva spesa di queste, specie se dovevano affrontare problemi locali, come, ad esempio, il brigantaggio. In tempo di guerra, e nel particolare caso di invasione, questa rete di castelli poteva contrastare, o quanto meno rallentare, l'avanzata nemica, sia se eccezionalmente presidiati da forze regolari, sia per le forze locali, che si presumevano solidali col potere centrale, a causa della reciproca convivenza. Più tardi, in effetti, nel 1515 e nel corso della battaglia dei Giganti, il castello di Zivido sarà quasi completamente distrutto, come da tradizione ormai accettata da tutti gli studiosi. Oltre alla torre, l'incendio che fu allora appiccato dovette risparmiare anche, almeno in parte, alcuni fra i corpi di fabbrica aggiunti, come sembra, nel Quattrocento: a questo secolo, gli studiosi hanno riferito, in particolare, anche alcuni avanzi di un porticato, già aperto sulla corte maggiore a ovest. Ma, poichè il castello fu ricostruito il secolo seguente, è molto difficile, allo stato attuale, distinguere le fabbriche iniziali da quelle, a loro volta, rispettivamente quattro e cinquecentesche. Nel contempo, l'indagine delle strutture in alzato sembra svelare, allo stato attuale delle ricerche, una ristrutturazione attuata nel Cinquacento di notevole vastità, data la pressochè continua omogeneità dei materiali costruttivi (in particolare, dei mattoni e delle malte). Se già dal 22 giugno 1251 è menzionata, nel borgo di Zivido, la presenza dei Brivio, come in questo volume segnalato anche da Alessandro Deiana, mancano, purtroppo altre notizie relative non solo al castello, ma anche al passaggio di proprietà alla medesima famiglia, sino al documento citato dagli studiosi, in data 9 luglio 1575. Secondo quanto sarà affermato nel 1583, alla data doveva risalire un istrumento rogato dal notaio Giovanni Battista Bombello, per cui la "casa da gentilhuomo" nel luogo di Zivido, con il suo "castelletto", già acquistata dal massaro Capponi (forse lo stesso coinvolto nella lite per la chiesetta di S. Maria della Natività "di Settembre") era sottoposta all'eredità della famiglia Brivio. Già ristrutturato, e non più allo stato di rovina, doveva essere il castello nel 1575, quando era distinta la "casa da gentilhuomo" dal "castelletto". L'antica destinazione, cioè, si era ormai trasformata, come di consueto nelle architetture fortificate, essendosene altresì conclusa la destinazione difensiva: con intenti simili era riadattato, ugualmente nella pianura intorno a Zivido, anche il castello di Melegnano, donato dal duca Francesco II Sforza nel 1532 al Medeghino, ma anteriormente sin dal 1513, da Massimiliano Sforza altresì accordato, quale feudo, proprio alla medesima casata dei Brivio. Come nella residenza di Melegnano, anche quanto restava del castello agreste di Zivido fu allora rielaborato, nella trasformazione a residenza di campagna, quindi sistematicamente assimilato in un progetto architettonico cinquecentesco: probabilmente nuova rispetto alla preesistenza dovette essere quella regolare scansione spaziale che ne seguì, variamente articolata nei corpi di fabbrica costituenti il castello. In tempi recenti, nel 1982 la famiglia proprietaria donava il castello a suore che, attualmente, ne gestiscono un asilo infantile. Diversi sono, così, gli interventi minori i quali, legati a tale destinazione, rendono poco visibili, anche ai fini dello studio, varie parti del castello. Questo non è che uno dei tanti problemi inerenti al notevole stato di degrado in cui si trova, attualmente, il castello di Zivido: vale a dire una situazione che contribuisce ad accentuare le difficoltà di uno studio relativo agli affreschi (di G.B.Sannazzaro da “Zivido, mille anni di storia. Dall’alto medioevo alla battaglia dei giganti”, pp.158, 159-160, 163, 167, Associazione Culturale Zivido, 1994. Per approfondire, vi suggerisco la lettura delle altre pagine sul castello che trovate qui: http://www.aczivido.net/zivido/tuttozivido/tuttoziv.php. Inoltre, è consultabile questa pagina: https://www.mondimedievali.net/Castelli/Lombardia/milano/provincia000.htm#zivido. Infine, ecco un interessante video di Pierino Esposti sull’argomento: https://www.youtube.com/watch?v=hPwbMhdk7z8

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Zivido,  http://www.aczivido.net/zivido/castello/storia.php?PHPSESSID=ea6a74757f2869


Il castello di sabato 18 febbraio






FOLIGNO (PG) – Castello di Roccafranca

Roccafranca od ancor prima Acquafranca è un paese del comune di Foligno, a 830 metri di altezza, posto nell’alta valle del fiume Vigi, su di un terrazzo che domina un precipizio di 400 metri solcato da fossi e canali. Si narra che nel 1281, Sellano incalzato dalle truppe spoletine dovette capitolare (Syllanum Spoletinis se dedit). Alcuni dei suoi abitanti che si battevano per l’indipendenza, preferirono passare sotto il ducato dei Varano di Camerino oltre il Vigi. Ma agli stessi abitanti Spoleto finì per concedere la “franchigia”, cioè l’indipendenza nel 1284 consentendo loro di costruirsi delle abitazioni, e siccome nei pressi dell’insediamento sgorgava una copiosa sorgente, nacque il toponimo Acquafranca. In seguito a questo atto generoso, i transfughi decisero di ritornare sotto il dominio spoletino, con i soliti obblighi, gabelle, podestà spoletino a Sellano, cero per l’Assunta a Spoleto e milizie in cambio di protezione. Il nome di Acquafranca venne cambiato in Roccafranca, in seguito alla costruzione della fortezza ed entrò di nuovo a far parte del comune di Sellano, con diritto ad avere uno dei tre consiglieri spettanti allo stesso comune (Guaita S. Petri vel Acquefranche), come dagli statuti del 1374. Nel 1329, furono delimitati mediante catasto i limiti dei terreni di Acquafranca, Montesanto e Verchiano, al fine di pagare le tasse ad una sola comunità. Secondo il Dorio, già nel 1377 Ugolino III Trinci, nel momento in cui a Foligno veniva assassinato suo padre Trincia, sarebbe stato trattenuto come prigioniero nel castello, ma appena riconquistata la libertà e la Signoria, nel 1378 avrebbe fatto restaurare ed ampliare la fortezza. E’ questo il periodo in cui i Trinci si impossessarono di Acquafranca e ne mantennero il dominio fmo al 1435. Dopo la fine della Signoria dei Trinci, nel 1461 il castello passò di nuovo a Spoleto, ma nel frattempo si formarono due fazioni contrapposte, una favorevole a Foligno e l’altra a Spoleto ed essendo castellano uno spoletino, certo Paolangelo, il fautore di Foligno Monaldo, insieme ad altri abbandonò il castello rifugiandosi con tutte le masserizie a Percanestro. Lo stesso Monaldo era spalleggiato dai massari di Roccafranca, nonché dagli abitanti dei castelli di Verchiano e Rasiglia per ritornarne in possesso, ma Paolangelo a nome del comune di Spoleto, iniziò una massiccia fortificazione, costruendo un nuovo torrione con un fossato ed un presidio ben armato. I Varano signori di Camerino, cercavano di fomentare discordie in quanto confinanti interessati al possesso di Roccafranca. Fu così che Foligno dovette ricorrere a Papa Pio II, che nel 1461 esortò gli spoletini affinché consegnassero il castello al cardinale Eroli, legato pontificio dell’epoca, ma poiché tale esortazione non venne presa in considerazione, i folignati furono costretti a scatenare ancora una volta dei disordini nel paese. Gli spoletini inviarono allora un massiccio numero di uomini per punire i colpevoli della rivolta e distruggere il castello, ma intervenne senza indugio il commissario pontificio, certo Domenico di Lucca che prese risolutamente in mano la situazione. Le schermaglie tra Foligno e Spoleto, durarono fino al 1487, anno in cui il Papa Innocenzo VIII, commise al governatore di Spoleto Maurizio Egro il compito della pacificazione. Ed è proprio in quel periodo che Roccafranca passò definitivamente a Foligno, mentre Spoleto ebbe i castelli di Cammoro e Orsano. Attorno alla fortezza di Roccafranca, gravitavano le ville di Ali, Caposommiggiale, Collenibbi, Croce di Roccafranca e Tito. La piccola comunità ebbe definitivamente gli statuti, tra i quali quello più antico è in latino e data 1424, mentre il testo volgare risale al 1508. Entrambi sono conservati presso l’Archivio di Stato di Foligno. Con la fine delle Signorie dei Trinci di Foligno e dei Varano di Camerino e con l’avvento dell’amministrazione pontificia, il castello di Roccafranca come quelli di Annifo, Colfiorito, Rocchetta, Dignano e Percanestro, non ebbero più ragione di esistere in quanto non più di confine. Le più importanti famiglie come la potente famiglia dei Roscioli, si trasferirono a Roma. La comunità fu appodiata a Verchiano e la stessa che nel 600 contava oltre 400 anime, con il passare degli anni si è andata sempre più sfoltendo, fino a quasi estinguersi. Alla fine di gennaio 2005, a Roccafranca vi abitava una sola persona; un anziano signore (al quale doverosamente porgo i miei più vivi ringraziamenti per la cortese disponibilità), che dopo la morte della moglie non ha voluto abbandonare la zona e vive in solitudine, in una piccola abitazione posta nei pressi del castello. Lo stesso è quasi completamente diroccato, ma le due imponenti torri poligonali, una del comune e l’altra campanaria, sono in fase di ristrutturazione. Nella piazzetta antistante, era stata costruita una chiesa dedicata all’Assunta, con un bel portale del XV secolo andato completamente distrutto, come in pessimo stato al suo interno si trovano i due affreschi del XVI secolo rappresentanti il Battesimo di Gesù e S. Nicola da Tolentino con S. Francesco da Paola. La pala d’altare della chiesina, di anonimo umbro, è stata trasferita molti anni fa a Spoleto dove tuttora si trova, conservata nella pinacoteca arcivescovile dalla quale dipendono le parrocchie della zona. Attualmente sia il castello che la chiesa si trovano in avanzato stato di restauro post – terremoto. Per approfondire suggerisco: la scheda di Stefano Favero su https://www.mondimedievali.net/Castelli/Umbria/perugia/roccafranca.htm,



venerdì 17 febbraio 2017

Il castello di venerdì 17 febbraio






FABBRICA CURONE (AL) - Castello Malaspina

Il paese di Fabbrica è sicuramente il nucleo più antico della zona ed è sorto intorno al IX secolo quale avamposto del monastero di San Colombano di Bobbio. Nel "Codice Diplomatico" dell'Abbazia di San Colombano, in un atto dell'844, si parla di tale Leone e dei nipoti Orso ed Evuardo che risiedono a Fabbrica e sono "Livellari" di terre che il monastero possiede. Formatosi inizialmente attorno alla Pieve, si è poi sviluppato con la creazione di un Ospizio o Ospedale dove i monaci davano ospitalità a pellegrini e mercanti. Con l'espandersi del feudalesimo, Fabbrica ebbe il suo castello, di cui si possono ancora ammirare alcuni ruderi, e tutto il territorio venne prima assegnato al Vescovo-Conte di Tortona, con bolla di papa Adriano IV del13 aprile 1157, mentre nel secolo successivo fu concesso ai Marchesi Malaspina che lo tennero fino alla fine dei Feudi Imperiali, decretato da Napoleone nel 1797. Dal XV secolo la zona di Costa, Serra e Morigliassi, venne concessa ai Marchesi Frascaroli di Montacuto, mentre il restante territorio venne assegnato prima ai Fieschi e poi ai Doria che diventarono confeudatari insieme ai Malaspina. Oltre ai resti del castello malaspiniano, Fabbrica vanta uno splendido gioiello di arte romanico-gotica, che è la sua Pieve e che costituisce uno dei monumenti più antichi e importanti di tutta la valle. Il castello sorge in ripa sinistra del torrente Curone e dirimpetto al paese, su di un poggio dai fianchi scoscesi e dirupati, in posizione idonea al controllo della sottostante valle. Attualmente dell'antico e ben fortificato maniero rimangono la parte inferiore della massiccia torre quadrangolare, in completo abbandono e parte di altro edificio di abitazione, in rovina. Di fianco a questo si scorgono ancora i resti dell'antica porta di accesso al castello, il quale nella sua cerchia comprendeva anche una teoria di edifici bassi e fortificati, atti a formare un ricetto. Altro link suggerito: http://www.valcurone.org/alta_val_curone2.html

Fonti: http://www.comune.fabbricacurone.al.it/ComStoria.asp, http://www.terredelgiarolo.it/index.php?page=a1_s1_f14

Foto: la prima è presa da http://www.panoramatortona.it/perde-la-vita-cadendo-dal-tetto-di-casa/, la seconda è di Giames 2010 su http://mapio.net/a/70069687/

giovedì 16 febbraio 2017

Il castello di giovedì 16 febbraio






CASELLA (GE) - Palazzo Fieschi

Il primo documento storico su Casella, nel quale il paese è citato con l'antico toponimo longobardo di Redigabio, risale al 1196, ma il borgo ha probabilmente origini molto più antiche, riconducibili all'epoca romana, legate alla presenza di importanti vie commerciali, che qui si intersecavano: la strada di fondovalle (attuale SP 226), che con l'avvento dei Fieschi nel XIII secolo fu chiamata "Strada dei Feudi Imperiali", perché collegava tra loro i vari castelli fliscani della valle e la "Via del Sale", che collegava il porto di Genova con le città della pianura padana, ed era una delle più importanti tra le numerose vie del sale che collegavano la costa ligure con l'entroterra padano. Questa strada, valicato l'Appennino alla Crocetta d'Orero, passava lo Scrivia presso Casella, proseguendo poi per la pianura padana attraverso Crocefieschi, Vobbia e la val Borbera. Nel XII secolo il borgo di Redigabio appartenne ai vescovi della diocesi di Tortona (ed ancora oggi la parrocchia di Casella fa parte della diocesi tortonese). Nel XIII secolo, come altri centri dell'alta valle Scrivia, passò a far parte dei feudi imperiali, possedimento della famiglia Fieschi, sotto l'egida degli Asburgo. Il dominio fliscano durò per circa cinque secoli, fino alla fine del Settecento quando i feudi imperiali furono soppressi da Napoleone Bonaparte, che con il suo esercito aveva occupato la Repubblica di Genova e tutta la Liguria. Del passato feudale resta oggi il palazzo Fieschi, sito nella piazza principale, oggi denominata piazza XXV Aprile, fatto costruire dai Fieschi sul finire del XVII secolo, molto probabilmente nel 1691 con la definitiva configurazione della piazza, proprio all'incrocio dei due principali assi viari. Nel 1678 il grande feudo che dominava la zona fu diviso nei due territori autonomi di Savignone e di Crocefieschi: Casella fu posta sotto la giurisdizione savignonese. In questo periodo si verificò un forte incremento demografico, che portò anche ad un miglioramento delle condizioni economiche del paese. Il Palazzo Fieschi, che costituisce un valido esempio di architettura genovese a cavallo tra tardo rinascimento e barocco, rientra nella tipologia delle cosiddette "volte mercantili", edifici a preminente vocazione commerciale. Si sviluppa a pianta quadrata e a due piani di altezza, dotato di una corte interna a cielo aperto un tempo porticata. Il complesso architettonico è dominato da una poderosa torre centrale anch'essa quadrata, destinata presumibilmente a funzioni di avvistamento. Un tempo sulla torre era affrescata una Madonna e all'interno erano allevati i piccioni viaggiatori indispensabili per le comunicazioni dell'epoca. Sulla facciata della torre è visibile lo stemma gentilizio dei Fieschi. Nel braccio occidentale dell'antico palazzo era allestita una grande stalla con soprastante fienile, mentre la parte di nord-est era occupata da una osteria con possibilità di alloggio. Solo la parte rivolta a mezzogiorno e prospettante l'ampio giardino era riservata al Conte, che vi soggiornava nella bella stagione. Gli altri ambienti, compreso l'intero fabbricato al lato di levante della piazza denominato Palazzetto, erano adibiti a magazzini merci. Al centro dei due edifici, in asse coi portoni che alla sera venivano chiusi, passava la strada che collegava il capoluogo feudale di Savignone con Casella. Il palazzo ebbe soprattutto funzioni amministrative e di controllo merci, ma in alcuni periodi fu anche residenza estiva dei Fieschi.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Casella_(Italia)#Storia, https://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_Fieschi_(Casella), http://www.culturainliguria.it/cultura/it/Temi/Luoghivisita/architetture.do;jsessionid=FA8CA0052C2C0F776D2B5E64058DC4D5.node2?contentId=28845&localita=2073&area=209

Foto: la prima è di Wilmar Santin su http://mapio.net/s/48910358/, la seconda è di Davide Papalini su https://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_Fieschi_(Casella)#/media/File:Casella-palazzo_Fieschi-complesso1.jpg