sabato 28 febbraio 2015

Il castello di sabato 28 febbraio






SAMBUCI (RM) – Castello Theodoli

La storia di Sambuci è strettamente legata al suo castello, la cui costruzione nelle forme attuali è avvenuta in varie fasi tra il XIII e il XVII secolo. È menzionato come tale, per la prima volta, nella lapide murata sulla facciata della Chiesa di Santa Scolastica dell’Abate Umberto del 1052: Sambuculum è compreso fra i possedimenti fortificati dell’Abbazia. Nell’XII secolo il feudo passò, insieme ai vicini paesi di Saracinesco ed Anticoli, ai D’Antiochia che provvidero per primi alla costruzione della rocca. È forse questo il periodo più significativo ed importante per Sambuci, che seguì le alterne vicende della famiglia, partecipando a lungo alle guerre contro i tiburtini. Il castello rimase ai D’Antiochia fino al 1541 quando con atto testamentario il feudo passò ai Mareri. Dieci anni dopo fu acquistato dal vescovo di Sulmona Zambeccari e nella seconda metà del XVI secolo passò agli Astalli. Nel 1654, il cardinal Camillo Astalli, segretario di papa Innocenzo X lo scelse come stabile dimora e per questo fece una serie di lavori sul corpo del castello fino a conferirgli  l’aspetto di una residenza signorile. Nel XVIII secolo passò ai Piccolomini e nel 1878, i Theodoli, che già possedevano San Vito Romano e Ciciliano, ne divennero i proprietari. Il castello, una volta scelto dal cardinale Astalli nel 1654 come fissa dimora, fu oggetto di restauri e rifacimenti, trasformandosi in una vera residenza signorile. Addossato al castello, fu aperto un bel giardino all’italiana e fu costruita un’elegante loggia con volute barocche e contrafforti che si affacciava proprio sul nuovo giardino. Arricchito con statue, fontane e vasche, il giardino fu poi ornato dai Theodoli da un boschetto, con crescita spontanea del verde, che imitava il tipico giardino romantico all’inglese, molto di moda nell’800. L'architettura della facciata nord del castello, su Piazza di Corte, rivela chiaramente due corpi di epoche diverse: una parte comprende due delle quattro torri dell'intero complesso, il portale bugnato dal quale si accede al cortile coperto e, arretrata, la facciata del palazzo collocabile tra Medioevo e Rinascimento; oltre la torre di sinistra invece si distingue il corpo seicentesco a due piani, con eleganti finestre ad arco e rettangolari, che in basso ospita un'ampia nicchia con fontanella. Quest' ultimo fu aggiunto dagli Astalli per comprendere una cappella e un nuovo salone con loggia ad est verso i giardini. Una pregevole veduta di quest'ala e della loggia, con contrafforti e volute barocche, si ha dalle aiuole all'italiana del parco. Il castello si presenta come un ampio quadrilatero molto irregolare, con quattro torri angolari con un residuo di scarpa alla base e si sviluppa su cinque livelli, di cui uno seminterrato. Quest' ultimo era adibito alle cucine, il piano terra a pratiche lavorative, allo studio e al culto; al primo piano vi erano le sale di rappresentanza, il grande salone per le feste e le stanze ad uso privato; al secondo le stanze degli ospiti e i forestieri e il terzo era destinato ai servizi. All'interno dell’edificio si deve segnalare la presenza di numerose sale affrescate di notevole interesse e bellezza; nel torrione sud troviamo la sala “Gerusalemme liberata” con copertura a volta interamente affrescata con immagini tratte dal poema tassiano; al primo piano di grande effetto è la decorazione del Salone delle Prospettive che reca la data 1645, con vedute prospettiche di paesaggi, incorniciate da un colonnato, scandite dalle figure monocrome di Vulcano Ganimede, Giove e Marte, Ercole e Mercurio, Nettuno e Apollo; nei medaglioni monocromi, sopra le belle porte in legno dipinte, si riconoscono le figure allegoriche delle arti (pittura e scultura); di pregevole fattura è il soffitto a cassettone e travi con rosette a rilievo in nero e oro; il pavimento in ceramica è stato ripristinato dai marchesi Theodoli in epoca più recente; ancora affrescate sono una sala da bagno il cui soffitto ospita al centro la scena di Mosè e il miracolo dell'acqua ed infine la sala dei ciclopi che prende il nome dalle figure agli angoli del soffitto, in atto di sostenere medaglioni con le figure monocrome di Apollo, Marte, ed Ercole. Autore degli affreschi fu Giovan Angelo Canini studioso di antichità classiche e pitture, allievo per un breve periodo del Domenichino, che "prese poi servitù dal cardinal Astalli e per mezzo di lui la prese ancora col marchese suo fratello, che lo condusse a dipingere nel palazzo e chiese del feudo di Sambuci". Il salone del carro del Sole, al primo piano in corrispondenza della loggia seicentesca, è stato restaurato nel 1933 come ricorda l'iscrizione sopra la porta. Il soffitto in legno dipinto è di preziosa fattura nello stile del pittore Romano Mario De' Fiori. Fu trasportato e riadattato quì nel 1883 dal palazzo Theodoli di Roma, distrutto tra il 1881 e il 1882. I soggetti rappresentati sono al centro il carro del sole e ai suoi lati le allegorie del giorno e della notte. Sopra le finestre amorini in scene giocose, realizzati ad affresco. Al piano terra si trova invece la cappella privata dedicata all'Arcangelo Michele con volte decorate ed altarino centrale sormontato da una grande cornice in stucco di stile barocco, che doveva contenere un'immagine sacra. Purtroppo dell'arredo interno non rimane nulla ad eccezione di alcuni antichi scaldabagni a legna dei primi del secolo, di cui un esemplare è visibile nella sala antistante lo scalone d'ingresso. Detto comunemente dagli abitanti "La Villa" il grande giardino del castello, oggi parco comunale, si estende per una superficie di 54.650 mq ed è l'unico grande giardino della zona. Fu realizzato a partire dal XVII secolo quando da fortezza difensiva divenne dimora signorile. Nel parco si possono vedere con chiarezza le siepi modellate in maniera tale da raffigurare i simboli delle due grandi casate che abitarono il castello, le ruote dei Theodoli e i tre cerchi degli Astalli. Un altro elemento caratterizzante della villa, sono le quattro statue posizionate nel punto di incontro dei vialetti che suddividono il parco in quattro parti. Le suddette statue rappresentano le quattro stagioni e sono state ricollocate al loro posto da non molto tempo in quanto furono rubate e solo per caso ritrovate da un paesano che le vide in una vetrina di un negozio di antiquariato di Roma. Durante la seconda guerra mondiale il castello ed il giardino subirono numerosi danneggiamenti perché fu trasformato dai tedeschi in quartier generale, nascondendo nel parco i carri armati provenienti dal fronte di Montecassino. Nel 1960 il Castello passò ad una Immobiliare e, nel 1991, al Comune di Sambuci. Una “Giornata in costume al Castello” è la festa annuale che rievoca fasti e nefasti del periodo feudale. Dove c’è un castello c’è leggenda. Qui si racconta di una Signoraccia e soprattutto della Pantasema del Fontanone: due “presenze” una volta inquietanti per i bambini. L’attuale Presidente del Centro Anziani, da bambino, dimenticò una zappetta e, di notte, volle tornare a prenderla. Ma doveva passare davanti al Fontanone e dunque... alla Pantasema. Si coprì il volto e la testa con l’orlo del cappotto convinto di non farsi vedere e anche... di non essere veduto dalla Pantesema. Che era forse - ci spiegano - solo un effetto di condensazione momentanea di vapore o di nebbia! La signora Michelina, simpatica novantacinquenne, racconta che tutti avevano paura della Donna-fantasma, anche se poi ci scherzavano. Tra gli altri “luoghi magici” che sono stati individuati da Alessandro Riario Sforza c’è il tesoro presso il Castello. Il maniero “era ricco di tesori, che furono nascosti in una buca”: “Maria Theodoli  invocava nel giardino del Castello i cipressi, perché le rivelassero il segreto del tesoro. Ma i cipressi restarono muti e il tesoro è rimasto per sempre nascosto. Altri link consigliati: http://www.tibursuperbum.it/ita/escursioni/sambuci/SambuciCastello.htm, http://www.provincia.roma.it/percorsitematici/cultura/approfondimento/41021,


Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, la seconda è di Adriano Di Benedetto su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/239430/view

venerdì 27 febbraio 2015

Il castello di venerdì 27 febbraio





ANZI (PZ) - Castello

Allo sguardo del visitatore, Anzi si impone con tutta la sua ciclopica mole di roccia nuda. Un nido coeso di case, qualcuna annerita dal tempo, addossate fra loro quasi a sorreggersi reciprocamente in uno snodo di vie tutte in forte pendenza, sul crinale di roccia che fa da sfondo, base e cornice al paesaggio. Osservando dalla sommità del paese i pendii punteggiati di sporgenza si ha l'impressione di annotare fantastici campi di battaglia sui quali dei titani furibondi abbiano combattuto scegliendosi enormi macigni. Sulla sommità del paese troneggiano i resti di un castello, simbolo e testimonianza di una Anzi, che in tempi andati deve aver vissuto momenti di splendore, come ricorda Francesco Rossi storico del luogo, in una sua monografia del 1877. Ma la cittadella di Anca, si trova per la prima volta menzionata da Tito Livio in un passo delle sue Istorie, ove è detto che fu espugnata da Fabio Massimo al tempo della II guerra Punica. Questo, infatti, fa ritenere che tale roccaforte sorgesse nella medesima giacitura dell'attuale Anzi. Dalla caduta dell'impero romano Anzi conobbe un periodo di grave crisi. I Goti la fortificarono nel 408 e nel 585 i Longobardi la occuparono. I Normanni ne fecero un centro importante e anche Federico II pose il castello al centro di attenzioni particolari. Nella guerra tra Carlo d'Angiò e Corradino di Svevia, Anzi abbracciò le ragioni di quest'ultimo che venne sconfitto. In epoca Normanna, divenne feudo dei Loffredo, mutando poi spesso signoria. Il conte d'Andria vi stabilì la sua dimora asserragliandosi in un ben munito fortilizio, che non resistette però, nel 1133, all' impeto incontenibile della conquista del re Ruggiero, capitolando poi una seconda volta nel 1191 quando aprì le porte all'imperatore Enrico VI.  Nel 1269 il tenimento di Anzi venne donato a Pietro de Ugot da Carlo I d' Angiò e successivamente ne ebbero l'investitura i Guevara. Nel 1574 fu data ad Ottavio Carafa e poi agli eredi che la tennero fino al 1806. Per capire la fierezza e il coraggio dei cittadini di Anzi, basta ricordare l’episodio che ancora oggi la gente ama raccontare: nel 1793 il marchese Mario Carafa con vari sotterfugi si appropriò dei terreni demaniali e poi tentò di impadronirsi anche del bosco. Scoppiò una rivolta guidata da Gianvincenzo Pomarici, il quale fu preso e ucciso. Ciò fece infuriare ancora di più il popolo e il marchese, per salvare la sua vita e quella dei soldati, dovette restituire molti terreni usurpati. Da ricordare anche la distruzione di Anzi avvenuta il 19 luglio 1807: i briganti, guidati dall’anzese Paolicchio Scattone, torturarono e bruciarono semivivo il sindaco Brancati. Incendiarono pure molti palazzi signorili, gli archivi comunali ed ecclesiastici. Soppressa la feudalità il 20 gennaio 1810, per ordine della Commissione feudale, Anzi ebbe il territorio scorporato in varie proprietà. I Carafa allora, rimasero Marchesi di Anzi solo nominalmente.

Fonti: http://www.mondimedievali.net/Castelli/Basilicata/potenza/provincia000.htm#anzik, http://www.vacanzeinbasilicata.it/Basilicata/Potenza/Comuni/Anzi/Anzi-La-Storia.asp

Foto: da http://www.mondimedievali.net/Castelli/Basilicata/potenza/anzi01.jpg

giovedì 26 febbraio 2015

Il castello di giovedì 26 febbraio





SANDIGLIANO (BI) - Castello La Rocchetta

Nel 999 il paese passò nelle mani dei Vescovi di Vercelli, che lo diedero in feudo ai Signori di Sandigliano e alla Famiglia dei Vialardi. Nel XIV secolo il feudo venne occupato dai Visconti. Nel XV secolo una parte di esso passò agli Avogadro, che fecero atto di sottomissione ai Savoia. La famiglia Sandigliano, che era rimasta fedele ai Visconti, venne privata delle proprietà. Periodicamente Sandigliano fu sottoposto a saccheggio, costringendo gli abitanti a trovare rifugio nelle vicine montagne. Per scongiurare tali pericoli già nel XIV secolo si iniziò a fortificare il paese, mediante la costruzione di due castelli e del ricetto. Oggi parliamo della Rocchetta, dimora dei Signori di Sandigliano, costruita nel 1400 con la funzione di baluardo difensivo del ricetto cittadino, luogo in cui erano custoditi prodotti agricoli e bestiame. Singolare per la sua forma circolare, il Borgo di Sandigliano era delimitato da alte mura, in parte conservate ancora oggi, e da un fossato che nei secoli venne parzialmente riempito. Le origini del castello, Posto in Piazza Don Minzoni, risalgono al XIV secolo. L'esistenza del suddetto ricetto è attestata nell'atto di dedizione, datato 1404, degli Avogadro ai Savoia. La fortificazione collettiva fu costruita su una motta artificiale che la pone su una posizione leggermente rialzata rispetto al terreno circostante. Un fossato separava la piazza dal rivellino, un secondo separava questo dalla torre-porta del ricetto la quale era munita di ponte levatoio e di pedanca. Entro il ricetto, le cellule sono addossate alla cinta muraria di pianta circolare, fatta eccezione di quelle situate in prossimità della torre-porta. Nella parte nord-orientale, circondata dalle mura, si ergeva la “rocchetta”, dimora dei Signori di Sandigliano. Il castello rimaneva quindi in posizione autonoma rispetto al Borgo e disponeva di una propria torre di ingresso con ponte levatoio, di un locale di guardia e di una torre osservatorio. La costruzione ha impianto irregolare, con un lato convesso. L'apparato a sporgere compare intorno all'unica torre e sul lato sud-ovest. La torre della prigione al centro dell'impianto fortificato, è indizio di un'origine remota, probabilmente precedente allo stesso ricetto. Essa presenta alla base l'originaria tessitura lapidea in ciottoli con blocchi squadrati di spigolo. Tra le modifiche apportate all'aspetto originale del castello, è significativa l'apertura di alcune finestre. Dopo essere rimasto per parecchi anni chiuso al pubblico, il maniero è stato sottoposto ad una grande opera di restauro che ha saputo valorizzare al meglio questa splendida dimora. Un sapiente intervento ha permesso di riportare all’antico splendore gran parte della struttura originaria, rimasta in ottimo stato di conservazione nonostante il passare del tempo. Altre sezioni, hanno richiesto un intervento architettonico più importante, che si è integrato armonicamente con l'edificio antico e il risultato, oggi, è di sorprendente eleganza. L'edificio è oggi impiegato come struttura ricettiva con 16 alloggi adatti a brevi soggiorni e permanenze più lunghe. Nel suo insieme comprende 12 unità interne e 4 esterne. La gestione è stata affidata al Gruppo Gatti e Zanone, protagonista nel settore alberghiero da più di 20 anni. Vi è un sito dedicato alla "Rocchetta": http://www.castellolarocchetta.it

Fonti: http://www.castellolarocchetta.it/modules/smartsection/item.php?itemid=1, http://fotobiellese.blogspot.it/2011_08_01_archive.html, http://www.comune.sandigliano.bi.it/on-line/Home/Canalitematici/Turismo/Luoghidiinteresse.html, testo su pubblicazione "Castelli in Piemonte" di Rosella Seren Rosso

Foto: di max37 su http://fotobiellese.blogspot.it/2011_08_01_archive.html e di Giuseppe1950 su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/378579/view

mercoledì 25 febbraio 2015

Il castello di mercoledì 25 febbraio






POGGIBONSI (SI) - Castello di Strozzavolpe (con la collaborazione di Silvia Polvani)
Il castello di Strozzavolpe si trova su un colle ricoperto di lecci nei pressi di Poggibonsi. Sorge su un colle ricoperto di lecci, di fronte al "Poggio Bonizio" nei pressi di Poggibonsi dove fu iniziato, e mai portato a termine, il progetto Mediceo della costruzione di una fortezza ("Fortezza dell'Imperatore") e di una nuova città fortificata. Per la prima volta viene nominato in un documento dell’Abbadia a Isola del 1154. Si parla del castello di Scoriavolpe del signore Guido Guerra. Il castello era affidato ai suoi vassalli, tra i quali potrebbero esserci stati i componenti di quel ramo degli Squarcialupi di nome Scoriavolpe. Nella seconda metà del XIII secolo appartenne agli Alberti: poi, tramite legami matrimoniali, passò nel patrimonio dei Salimbeni. Nel 1313 Arrigo VII si impadronì del castello, servendosene come roccaforte per attaccare il Contado senese. Nel 1318 Benuccio Salimbeni e i nipoti possedevano il "cassarum et fortilitiam" di Strozzavolpe. La struttura venne poi venduta alla fine del XIV secolo agli Adimari di Firenze, il cui stemma si trova scolpito su un caminetto all'interno dei locali adibiti a fattoria fino a pochi anni fa. Verso il 1550 divenne proprietà dei Rinucci, nel 1640 passò ai Ricciardi, nel 1730 ai Franceschi e nel 1777, attraverso matrimoni, ai Da Cepparello. Da questi andò ai Minucci, quindi fu venduto al cav. Bizzarri. L’ultima famiglia proprietaria è quella dei Conti Bianchi, una figlia dei quali sposò l’avvocato Aldo Arcangeli, il cui figlio Alberto divenne il quarantesimo signore di Strozzavolpe. Nel corso dei secoli il castello ha subito molte modifiche, che lo hanno reso diverso dalla sua forma originaria: inizialmente aveva mura a scarpa, era cinto da un fossato, aveva il mastio centrale e due torri. Nel 1800 il maschio fu demolito: il cavalier Bizzarri incaricò l’ingegner Rigacci di fare un completo restauro sul modello romanico tedesco. Fu innalzata la torre d’accesso, per motivi di proporzioni, e fu rimosso il fossato. Oggi il castello ospita una bella collezione di armi antiche, visitabile su richiesta. L'edificio conserva ancora l'originaria cinta muraria di forma irregolare con muratura che, almeno in parte, sembrerebbe autentica; qualche arciera nei pochi punti non coperti dalle piante che la circondano. L'ingresso è alla base di una torre, del tutto rifatta in stile nella parte alta, con una porta ad arco tondo, alla quale si accede con ponte levatoio. Una rampa porta al grande spiazzo interno, al cui centro sorge il "palazzo" del quale resta in pratica soltanto il volume, reso ormai illeggibile dai numerosi rifacimenti. Lungo il perimetro varie costruzioni più tarde. Strozzavolpe, come tutti i castelli che siano degni di portare questo nome, ha le sue belle storie di fantasmi e spiritelli vari. A partire dallo spirito di un animale. Ma non di un animale qualunque. Quello che si aggira nei boschi che circondano il castello nelle notti di luna piena è lo spettro della volpe che, secondo la tradizione, avrebbe dato il nome all’edificio. Si racconta che, quando un nobiluomo (che la leggenda identifica con Bonifacio, marchese di Toscana) si accinse ad edificare la fortezza, ebbe la sgradita sorpresa di trovarsi di fronte l’opposizione di una grossa e malefica volpe, talmente feroce da riuscire a mettere in fuga, non solo i muratori, ma persino i suoi cavalieri, armati di tutto punto. Nessuno riusciva a catturarla visto che si prendeva gioco anche dei più abili cacciatori facendosi vedere e nascondendosi immediatamente. Ma la cosa più strana è che la volpe pare tenesse lontano i suoi cacciatori sputando fuoco e fiamme dalla bocca. Fu l’inizio di una lunga e faticosa lotta che durò fino a quando lo stesso Bonifacio, con l’inganno riuscì ad uccidere l’animale stregato con un laccio (e “strozzando” letteralmente la volpe). La volpe che durante le notti di luna piena abbandona il suo nascondiglio e si mette a girovagare per i boschi del circondario. Celebre è il fantasma che sospira tristemente soprattutto nella cosiddetta “camera rossa”. Pare si tratti dello spirito triste della giovanissima e bella Cassandra Franceschi, la quale venne sorpresa dal marito, ser Giannozzo Da Cepparello, in compagnia di un avvenente paggio in atteggiamenti che definiremmo inequivocabili sul letto situato proprio in questa stanza. Erano altri tempi. L’offeso consorte non trovò allora di meglio che murare vivi i due amanti in una stanza del castello, facendoli crudelmente morire di fame. Non mancandogli, tuttavia, un certo qual senso dell’umorismo, si mise a banchettare allegramente e rumorosamente nella sala attigua fino a quando ritenne che la sua vendetta fosse compiuta. Per ironia della sorte, la stanza nella quale Cassandra ed il suo amato morirono di stenti, è stata successivamente trasformata in cucina. Si tratta forse solo di una leggenda, ma è pur tuttavia vero che, di tanto in tanto, in occasione di lavori, le segrete dei castelli restituiscono lo scheletro di qualche giovane donna. Tornando al castello di Strozzavolpe, altri spiriti popolerebbero quella parte del complesso che è nota come “casa delle monache e dei frati”, perché anticamente vi venivano ospitati i religiosi di passaggio, con il tradizionale corredo di rumore di catene trascinate, colpi violenti sui muri, porte e finestre che sbattono, e così via. Il maniero vanta, infine, un altro record. Stando alle voci e alle leggende, ogni castello della penisola, per quanto diroccato, conserverebbe un favoloso tesoro, spesso custodito da feroci fantasmi e che può essere ritrovato soltanto a prezzo di un non comune coraggio e dopo aver superato prove estremamente ardue. Ma forse, a Strozzavolpe, qualcuno ha davvero fatto questa scoperta. Siamo nel non troppo lontano 1870, anno di sconvolgimenti in Italia ed in Europa. Alcuni operai lavoravano al restauro della cinta muraria esterna. Una mattina uno dei lavoranti non si presentò al lavoro. Contemporaneamente si scoprì che uno dei merli ai quali egli lavorava era stato stranamente murato di fresco. Al suo interno si rinvenì un orcio di terracotta vuoto ed una pergamena antica che accennava ad un tesoro. E dell’operaio e della sua famiglia, partiti, si scoprì, in tutta fretta, non si seppe più nulla. Un altro mistero di questo incredibile castello.

Fonti: http://www.luoghimisteriosi.it/toscana_strozzavolpe.html, http://www.turismo.intoscana.it/site/it/elemento-di-interesse/Il-Castello-di-Strozzavolpe/, http://www.settemuse.it/viaggi_italia_toscana/siena_strozzavolpe.htm, http://www.fototoscana.it/mostra-flash.asp?nomeflash=c020
Foto: da http://www.balloonintuscany.com/luoghidavedere/strozzavolpe.htm e di luca04 su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/261786/view

martedì 24 febbraio 2015

Il castello di martedì 24 febbraio






BASSANO DEL GRAPPA (VI) – Castello degli Ezzelini

La sua costruzione è da inquadrare nelle prime fortificazioni difensive sorte attorno alla Chiesa di Santa Maria, situata in Margnano, non molto lontano dalla riva del fiume chiamato Brenta, come testimonia un documento risalente all'anno 998. La chiesa in particolare era sorta sul colle più alto assieme a strutture fortificate poste in opera a scopo difensivo e di rifugio di popolo, beni e derrate. Nella seconda metà del XII secolo il vescovo di Vicenza, cui il castello apparteneva, lo donò a Ecelo I, capostipite di quella che fu la potente famiglia degli Ezzelini, di origine germanica, legatissima ed imparentata con l'Imperatore, che qui s'insediò definitivamente dopo le vicissitudini che la videro ritirarsi dal castello di Onara (Padova) e poi da quello di Castel di Godego (Treviso) per stabilirsi nel vicino castello di Romano. Le strutture più antiche ancora presenti risalgono ai secoli XII e XIII, periodo in cui venne costruito il muro di cinta pentagonale a nord e la torre dell'Ortazzo. Furono inoltre restaurate la torre di Ser Ivano e il campanile della chiesa. Le strutture più antiche comprendono le parti inferiori di torri e murature (identificabili per la tessitura muraria in ciottoli del fiume Brenta, pietre calcaree e laterizi). La piazza antistante era luogo di mercato e di adunanze. Il castello fu operativo durante le dominazioni degli Scaligeri (1311-87), dei Visconti (1387-1404) e infine della Repubblica di Venezia dopo la dedizione del 1404. Nel 1411 - durante la guerra tra la Repubblica di Venezia e il regno d’Ungheria - le sue fortificazioni resistettero agli attacchi delle prime bombarde messe in campo dalle truppe dell'imperatore Sigismondo di Lussemburgo che devastavano il territorio; caddero invece sotto l'urto degli eserciti di Massimiliano I d’Asburgo, durante la guerra della Lega di Cambrai nel 1508, nonostante la strenua difesa in Valsugana ad opera degli “ostici” Canalotti. Solo le “nuovissime” fortificazioni di Padova e Treviso salvarono la Serenissima. Dopo di che venne dismesso e l'abbandono della funzione militare favorì lo sviluppo di attività commerciali e artigianali nella città di Bassano all'interno delle mura. Alcune sue strutture, in grave stato di abbandono, vennero perfino invase da vegetazione selvatica fino al vistoso crollo verificatosi nel 1928. Dagli anni ’90 del Novecento il castello è stato oggetto di restauri. Il Corpo di Guardia si trova all’ingresso del percorso delle mura del Castello di Bassano del Grappa. La fortificazione ha una forma a quadrilatero con i lati di circa due metri e con muri alti da 7,50 a 13,50 m., realizzati in ciottoli e laterizi a file alternate secondo la tecnica in uso all’epoca. Sull’angolo sud ovest si erge la torre Bolzonella (detta anche di Ser Ivano, dal nome del masnadiero di Ezzelino III) alta 27 metri, che era una “macchina” da difesa imprendibile, autonoma ed isolata dallo stesso castello. I due lati est ed ovest della Mura sono liberi, mentre su quelli nord e sud sono addossati corpi di fabbrica con altezza prossima a quella della Mura storica. Il castello, dopo interventi di restauro, è adibito all'esposizione di mostre temporanee. D’estate il castello ospita il prestigioso Operafestival di Bassano. Oggi è possibile comprendere la complessa struttura anche con un percorso guidato sullo spettacolare e panoramico camminamento di ronda.


Foto: la seconda è di zyance su http://it.wikipedia.org/wiki/Castello_degli_Ezzelini#mediaviewer/File:Bassano_z02.JPG

lunedì 23 febbraio 2015

Il castello di lunedì 23 febbraio






GALLARATE (VA) - Castello Visconti in frazione Caiello

Cajello (detto anche Caiello) è un quartiere del comune di Gallarate, posto nella zona settentrionale della città. Costituì un comune autonomo fino al 1923. Cajello era un piccolo centro di antica origine, appartenente alla pieve di Gallarate del Ducato di Milano. Secondo le risposte ai 45 quesiti del 1751 della II giunta del censimento, Cajello aveva per feudatario Antonio Visconti, al quale la comunità non corrispondeva cosa alcuna per qualunque titolo. Numerosi sono i castelli che con la loro presenza documentano quanto fosse ramificato (e fortificato) il sistema di controllo e di difesa che i Visconti attuarono nella zona, così importante nell'antichità perché collegava Milano ai valichi alpini. Inoltre bisogna ricordare il motivo economico dell'insediamento visconteo per la riscossione di rendite agrarie, decime e tributi di pertinenza alle estese proprietà fondiarie. I fortilizi erano spesso in collegamento diretto e visivo tra loro come, ad esempio, i castelli di Crenna e Caiello a Gallarate, e poco più a nord quello di Jerago. I duchi milanesi ebbero sempre grande rispetto, fiducia e considerazione verso coloro che abitarono questi castelli, anche se appartenenti a rami minori della signoria viscontea, e da vicino seguirono le loro sorti. La fortificazione di Caiello è stata costruita probabilmente nel XV secolo e successivamente trasformata in villa.

Fonti: http://www.lombardiabeniculturali.it/istituzioni/schede/11000154/?view=toponimi&hid=, http://www.univa.va.it/varesefocus/vf.nsf/web/466C8B26C26DF192C1257147003BEE1A?OpenDocument, http://www.mondimedievali.net/Castelli/Lombardia/varese/provincia000.htm#caiello

Foto: da http://iluoghidelcuore.it/luoghi/va/gallarate/castello-di-cajello-vicolo-castello-gallarate-va/21745 e di giofo su http://www.panoramio.com/photo/64511106

domenica 22 febbraio 2015

Il castello di domenica 22 febbraio







PODENZANO (PC) – Castello in frazione Altoè

Alto (località Podenzano) aveva gli antichi toponimi “Al tho” ed “Oto” ai quali successe “Octavum”, per via della sua distanza da Piacenza di otto miglia. Il primo documento che accerta l’esistenza della località è un atto di donazione che il Sigifredo vescovo di Piacenza, fece alla chiesa di Sant’Antonino. Esso riguardava la cessione di un mansione da 144 pertiche. La località, poco distante dal capoluogo, si trova lungo una strada che congiungeva la città di Piacenza con la Val Nure, a breve distanza da un facile guado. Il fortilizio venne edificato sulle basi di un precedente insediamento romano, per il quale testimonianza è data da diversi reperti recuperati entro il recinto del castello. Dell’edificazione conosciuta ne è la data ma si ha riscontro della sua esistenza tra il 1385 ed il 1386, quando era di proprietà dei Salimbene. La famiglia Piccinino (prima con Nicolò e successivamente attraverso i suoi figli) ne prese possesso nel 1440 su concessione del Filippo Maria Visconti duca di Milano. Successivamente appartenne alle famiglie Tedeschi e Gonzaga di Castiglione. Ferrante Anguissola (poeta dell’Arcadia Trebbiense e diplomatico dei Farnese) diventando Conte di Alto nel 1650, prese possesso del forte che restò da allora di proprietà della sua famiglia. Tra gli ospiti che hanno alloggiato a corte, vi sono stati Antonio membro del Governo Provvisorio nel 1848 e Sanvitale, vescovo di Piacenza. Costituito da una struttura muraria in pietra e mattoni, il fortilizio si presenta a pianta rettangolare, particolarmente irregolare. L'irregolarità è dovuta alla posizione dei corpi circostanti: sul lato di sud est, una torre inserita al centro fungeva in origine da ingresso ed era dotata di ponte levatoio, come testimoniano le tracce degli attacchi; sul lato meridionale, un'altra torre fuoriesce dal profilo dell'edificio, assumendo le caratteristiche del Mastio. Nel cortile affaccia un portico a cinque fornici arcuati, con i due laterali tamponati per soddisfare le esigenze residenziali. Degno di nota è l’ingresso con portoni a volta, molto bello. L'intero apparato architettonico-decorativo è il risultato del restauro ottocentesco, eseguito dall'architetto Angelo Colla, che coordinò anche quello del Castello di Riva a Ponte dell'Olio. Attualmente il complesso fortificato è di proprietà privata con destinazione residenziale.


Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, le altre due sono entrambe di Solaxart 2011 su http://www.preboggion.it/Castello_di_Altoe.htm

sabato 21 febbraio 2015

Il castello di sabato 21 febbraio






MACCASTORNA (LO) – Castello Visconti-Bevilacqua

Fu edificato a pianta quadrangolare ma irregolare nel XIII secolo dai ghibellini cacciati da Cremona in prossimità della riva destra dell’Adda. Per la sua posizione al confine con la provincia di Cremona, il fortilizio (chiamato “Belpavone”) fece gola ai tempi dei ghibellini (che lo abitarono) e poi dei guelfi (che lo espugnarono con il massacro dei residenti). Nella prima metà del XIV secolo fu acquisito dalla nobile famiglia milanese dei Vincemala e con essi, il primitivo “fortino” subì una radicale trasformazione, mutandosi da edificio prettamente militare, in struttura parzialmente residenziale. Nel 1371 venne acquisito da Gian Galeazzo Visconti, signore di Milano che nel 1385 lo regalò, assieme al feudo, a Guglielmo Bevilacqua in segno di riconoscimento dell'aiuto per essersi sbarazzato di Bernabò Visconti. Nel XV secolo la struttura, assieme al feudo di Maccastorna, passò nelle mani di Cabrino Fondulo di Soncino, condottiero al servizio dei cremonesi Cavalcabò, signori di Cremona. Costui si stabilì nel maniero ed apportò importanti modifiche: edificò le mura di cinta, il fossato con il suo ponte levatoio e le prigioni. Il 24 luglio 1406 diede ospitalità nel castello a Carlo Cavalcabò, cugino di Ugolino Cavalcabò e signore di Cremona, ai suoi fratelli e al suo seguito di ritorno da Milano dopo una visita ai Visconti. Cabrino Fondulo dopo aver rifocillato e accolto nelle camere i circa 70 ospiti, aiutato dai suoi sgherri, li fece massacrare a pugnalate o strozzare e ne buttò i corpi nel pozzo delle spade. Da allora si narra che nelle sale del castello riecheggino ancora le grida dei morti. Questo sanguinoso episodio, entrato di diritto sui libri tra le più intense leggende di fantasmi d’Italia, fece chiamare il maniero anche “Castello dei settanta fantasmi”. Dopo poco Fondulo si autoproclamò signore di Cremona. Se Cabrino Fondulo, smanioso del potere si comportò da vile criminale, le sue vittime avevano a loro volta occupato il maniero medioevale approfittando della morte di Gian Galeazzo Visconti facendosi eleggere signori di Cremona. Il sanguinario capitano di ventura Cabrino Fondulo (che trovò la morte per impiccagione al Broletto di Milano) non fu da meno neppure allo smanioso di potere Gian Galeazzo Visconti che aveva comprato la rocca nel 1371 impadronendosi col tradimento del ducato di Milano e concedendola in feudo a Gugliemo Bevilacqua, suo complice nel delitto dello zio Bernabò. Nel 1417, il duca di Milano Filippo Maria Visconti, concesse il feudo a Galeotto Bevilacqua, appartenente alla famiglia originariamente proprietaria dello stesso. Il castello è rimasto, sino al 1901, in proprietà alla famiglia veronese dei Bevilacqua. Dal 1901 il maniero passò alla famiglia di Codogno Biancardi. L’impianto dell’edificio è a pianta trapezoidale tendente al rettangolo. Il lato meridionale e il lato nord presentano un tracciato concavo e al centro un torrione merlato. Il lato orientale presenta invece una torre d'ingresso quadrangolare preceduta da un rivellino merlato ed è affiancata da un corpo di maggiore spessore a destra. Il lato nord è inserito fra due torri merlate (angoli nord-est e nord-ovest). Cinque delle otto torri originarie sono state "abbassate" a livello delle murature perimetrali. Caratteristico di tutta l'architettura è l'apparato quasi continuo retto da beccatelli a mattoni digradanti e la cinta merlata che un tempo cingeva tutta la rocca ora limitata agli angoli sud-est e sud-ovest. Una lunga balconata sorretta da mensoloni in pietra o legno si estende lungo i lati nord, sud e parte dell'est, sormontata da un tetto a falda unica a sua volta sorretto da piccoli pilastri in legno. Sei balconi rientranti e allineati con la muratura interna contraddistinguono il piano superiore del lato ovest, in corrispondenza delle stanze da letto degli ospiti. Alla fine dell '800 l'acqua del fossato ed il relativo ponte levatoio sono stati sostituiti da un prato e da un ponte in muratura.

Fonti: http://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Maccastorna, http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/LO620-00041/, testo di B.B. su http://www.ilgiorno.it/lodi/cronaca/2013/08/18/935841-settanta-fantasmi-castello-maccastorna.shtml, http://www.preboggion.it/CastelloIT_di_Maccastorna.htm

Foto: entrambe di Solaxart 2012 su http://www.preboggion.it/CastelloIT_di_Maccastorna.htm

venerdì 20 febbraio 2015

Il castello di venerdì 20 febbraio






SOVICILLE (SI) - Castello di Palazzo al Piano dei Chigi-Lucherini-Saracini

E' situato su di una altura posta sotto il poggio di Caprazzoppa, a circa 430 mt slm nella Montagnola Senese, lungo la strada statale 541, Traversa Maremmana, che, da Colle di Val d'Elsa conduce alla colonna di Montarrenti. In origine la struttura, medievale, era chiamata Castello Balbiano, poi mutuata in Palpiano, ma l'attuale edificio venne ricostruito nel XIX secolo. Il castello viene citato in alcuni documenti risalenti al XII secolo, tra questi una bolla del 1156 con cui viene confermato tra i privilegi della pieve di Radicondoli. Tra la documentazione più antica assume maggiore significato il catasto della Comunità di Radi di Montagna del 1318 che attesta l’esistenza di appezzamenti di terreno in “loco dicto Monte Piano” e “loco dicto Villa al Piano” e un testo senese del 1386 dove viene ricordato un fortilizio nel territorio della vicina Pieve a Molli, da identificarsi probabilmente proprio con il castello. Della struttura originaria fanno attualmente parte solo il basamento a scarpa (nel quale si aprono ancora le arciere), ed il lato est. Da sempre appartenuto alla nobile famiglia senese dei Lucherini, fu ceduto dal conte Palatino Alcibiade Lucherini con un testamento del 15 dicembre 1644, al figlio adottivo Francesco Lucherini Bellanti e a sua volta al di lui figlio Alcibiade Lucherini Bellanti e al figlio adottivo Galgano Lucherini Saracini, con l'obbligo di mantenere in perpetuo, per tutta la discendenza, il cognome e l'arma dei Lucherini, come risulta dal testamento redatto il 4 gennaio 1719 dal notaio Francesco Capezzi di Siena. Dalla famiglia Lucherini Saracini venne ceduto per via ereditaria alla famiglia Chigi Lucherini Saracini che con Fabio (1848-1906) assunse appunto il nome di Chigi-Lucherini-Saracini, ne ebbe la proprietà insieme ai terreni che lo circondano e al vicino castello di Montarrenti, in Provincia di Siena. La famiglia Chigi–Saracini attuò a Palazzo al Piano un programma di interventi di restauro, secondo il gusto romantico dell’epoca, che portò il nucleo all’attuale assetto tipologico. Il Palazzo al Piano passò poi all'Accademia Musicale Chigiana e da questa alla Provincia di Siena nel 1973. L'Amministrazione provinciale, che ha affidato in gestione la struttura, ha effettuato una ristrutturazione, ancora in corso per il recupero completo del complesso da destinare ad Accademia per l’alta formazione turistica. Sono stati pertanto ristrutturati gli spazi interni da adibire a camere, sale riunioni e spazi comuni. È prevista inoltre la realizzazione di una zona per la ristorazione e una sala convegni. Un secondo stralcio di lavori prevede la ristrutturazione degli edifici adiacenti al castello e la realizzazione di servizi e aule per la didattica. Tutto il progetto dell’Amministrazione provinciale rientra in un contesto più ampio che prevede la valorizzazione, non solo turistica, del territorio della Montagnola Senese.

Fonti: http://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_al_Piano, http://www.sienafree.it/sovicille/24164-palazzo-al-piano-valorizzazione-della-proprieta-della-provincia-di-siena-nel-comune-di-sovicille-fotogallery, http://www.comune.sovicille.siena.it/Main.aspx?ID=334

Foto: entrambe da http://tuscany-latium-tourism-dmo.blogspot.it/2013/11/trekking-e-mountain-bike-palazzo-al.html

giovedì 19 febbraio 2015

Il castello di giovedì 19 febbraio






CHERASCO (CN) - Castello Visconti

Sorge in una posizione strategica su un’altura circondata dalla Stura di Demonte al termine dell'asse di via Roma, su cui si affacciano case con resti medievali, e del successivo viale napoleonico. Entrando a sud in via S. Pietro si sbocca in viale Salmatoris, al termine del quale si incontra il castello. Il maestoso maniero ha pianta quadrata, con torri ai quattro angoli a merlatura ghibellina e una minore sull'ingresso con ponte levatoio. Alla destra del castello si offre al visitatore una bella passeggiata lungo il viale dei platani. Esso gode di uno splendido panorama sulle colline di Novello, la Morra e Vergne. Percorrendo l'altra parte del viale si volta a destra per via Voersio e si costeggiano gli ex bastioni sino all'incrocio con via Cavour. Nelle vicinanze del castello numerose costruzioni di origine medievale immergono l'edificio in uno scenario molto suggestivo. Fu costruito per iniziativa del marchese Manfredi II Lancia (vicario imperiale di Federico II di Svevia, appartenente a un ramo cadetto della dinastia degli Aleramici) e Sarlo di Drua, podestà di Alba. nel 1243, in un luogo che già era stato abitato dai romani con il nome di Clarascum. Nel 1277 la città divenne Comune libero ed indipendente, come già Asti, Alba e Chieri, ma nel 1347 passò sotto il dominio dei Savoia. Nel 1348 Luchino Visconti, duca di Milano, dopo aver sconfitto i Savoia e aver già preso Asti e Bra, pose sotto assedio anche Cherasco. Egli cominciò la costruzione del castello conferendogli l'aspetto che possiede attualmente. Esso fu poi restaurato alla fine dell’Ottocento da Alfredo D’Andrade. Cherasco entrò a far parte dei beni dati in dote alla figlia di Gian Galeazzo Visconti, Valentina, andata in sposa a Luigi d’Orleans, fratello di Carlo VII di Francia. Con il trattato di Cambrai del 1559, tornò ai Savoia (che lo utilizzarono come rifugio in diverse occasioni, per sfuggire alla peste nel 1630 e ai Francesi nel 1706), ma fu presto oggetto di contesa tra Francesi e Spagnoli. Il trattato di Cateau-Cambrésis stabilì che la proprieta fosse affidata ai Savoia, che qui trovarono più volte rifugio: soprattutto nel 1630 mentre si diffondeva la peste, e ancora nel 1706 per sfuggire ai Francesi. Per approfondire l'argomento, suggerisco il seguente link : http://rm.univr.it/biblioteca/volumi/paneropinto/lanzardo.pdf. Il castello di Cherasco ha un sito web ufficiale che, però, al momento è in costruzione: http://castellodicherasco.it/

Fonti: testo della Redazione Icastelli.it su http://www.icastelli.it/castle-1235675940-castello_visconteo_di_cherasco-it.php,  http://www.piemonteitalia.eu/it/gestoredati/dettaglio/445/beni-architettonici/916/castello-di-cherasco.html,

Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, mentre la seconda è presa da http://www.mondimedievali.net/Castelli/Piemonte/cuneo/cherasco.htm (scheda di Federica Sesia)  

mercoledì 18 febbraio 2015

Il castello di mercoledì 18 febbraio






MIRANDOLA (MO) - Castello dei Pico

La struttura che oggi domina il lato Sud-est di Piazza Costituente costituiva un complesso molto imponente, composto da diversi edifici costruiti in epoche differenti. Probabilmente sorto su una "motta" dove si insediarono uomimi primitivi, trae la sua origine dai tempi longobardi. Solo dopo il Mille venne rafforzato e certamente esisteva già nel 1200. Infatti nel 1267 i Modenesi rasero al suolo l'oppidum mirandolese. Simbolo del potere militare e politico della famiglia Pico, il Castello di Mirandola è in realtà una cittadella fortificata, da cui per 400 anni, dal 1311 al 1711 la dinastia Pichense governò il territorio, rivestendo un ruolo cruciale nelle vicende politiche italiane ed europee, trovandosi in un punto di passaggio obbligato tra le grandi signorie, lo stato pontificio e la Chiesa. A partire da un nucleo originario, ebbe modo di divenire nel corso dei secoli una splendida reggia, con diversi spazi di elevato pregio artistico. Tra il 1465 ed il 1467 si registrò un episodio artistico di altissimo livello all’interno del castello, allorchè un grande protagonista dell’arte rinascimentale, il ferrarese Cosmè Tura, realizzò un ciclo di dieci tavole – andate perdute – per la biblioteca del castello, su commissione di Giovan Francesco I Pico. Durante la seconda metà del 1400 le stanze del Castello ospitarono la nascita di due personaggi di grandissimo rilievo: Giovanni Pico innanzitutto, una delle figure fondamentali e cruciali del pensiero dell’Umanesimo e del Rinascimento, e Giovan Francesco II, anch’egli importante filosofo e uomo di cultura. E fu proprio quest’ultimo, che resse con alterne fortune lo stato mirandolese, a costruire nel fossato del Castello l’ "isola giardino" (1524), luogo ameno e destinato alla meditazioni del Principe umanista. L’isola venne distrutta anni dopo per lasciar spazio al bastione difensivo del Castello, che venne successivamente adibito a giardino di corte. Il poderoso e massiccio torrione fu fatto erigere da Giovan Francesco II Pico nel 1499-1500 (su progetto di Giovan Marco di Lorenzo da Lendinara) su un edificio costruito prima del 1100. Egli rafforzò ed estese il primo nucleo di fabbricati, con la costruzione di nuove mura e di torri, e trasformò il castello in una specie di reggia fortificata, secondo l'uso dei più ambiziosi Signori rinascimentali. Anche Galeotto I Pico e Gianfrancesco II Pico, rispettivamente fratello e nipote di Giovanni Pico, disposero importanti miglioramenti al Castello. L’edificio risultava solidissimo ed isolato, in quanto non era possibile accedervi se non tramite un ponte levatoio che metteva in comunicazione la torre con il terzo piano di un vicino fabbricato del Castello. Questa costruzione rientrava peraltro nel progetto pichense di poter sempre più valorizzare città e signoria, emulando in grandezza e splendore i centri di Mantova e Ferrara, che potevano vantare magnifiche dimore signorili. Nel Seicento la roccaforte accrebbe il suo splendore grazie al mecenatismo dei Pico che fecero costruire nella zona nord-orientale del Castello due "quartieri" che costituirono un vero e proprio nuovo palazzo ducale. Al loro interno artisti come Jacopo Palma il Giovane e Sante Peranda affrescarono numerose sale e diverse opere d’arte vennero collocate all’interno degli appartamenti signorili. Molte di queste opere andarono perdute, ed altre (ritratti di esponenti della famiglia Pico e le tele dei cicli pittorici “Età del mondo” e “Storia di Psiche” di Sante Peranda) furono trasportate al palazzo ducale di Mantova, dove sono tuttora conservate. Sotto il Ducato di Alessandro II Pico il Castello si ampliò ulteriormente grazie alla costruzione della “Galleria Nuova”. Questo fabbricato, caratterizzato dalle ampie arcate rivolte a nord in direzione delle campagne ed affrescato dal pittore Biagio Falceri, fu realizzato per accogliere un’importantissima quadreria acquistata dal Duca Alessandro II a Verona nel 1688. Questa ala del Castello, che ospitava 300 opere, includeva dipinti provvisti di straordinarie attribuzioni, con nomi di artisti quali Leonardo da Vinci, Raffaello, Caravaggio, Tiziano e molti altri. Verso la fine del XVIII secolo il castello raggiunse il momento della sua massima estensione e del suo pieno fulgore: occupava un vasto quadrilatero all'estremità nord-ovest della pianta di Mirandola. Si trattava di un grande quadrilatero, chiuso intorno da un fossato e con le caratteristiche proprie di una città nella città. Nella zona nord orientale di tale quadrilatero sorgevano le residenze ducali, fra la piazza e l'attuale viale Circonvallazione. Nell'area retrostante sorgevano i giardini e s'innalzava il grande torrione di Giovan Francesco II. Nella zona meridionale il quadrilatero era chiuso da tre torri, una delle quali, affacciata sull'attuale piazza Costituente, venne abbattuta nel 1883. All’interno di questo grande complesso vi erano magazzini, prigioni, sale dell’archivio e della macelleria, grandi cantine, il pozzo, il mulino, l’orto botanico, locali di servizio e di presidio militare, l’arsenale. La fortezza era tra le più importanti e temute di Italia tra il 1400 e il 1700, ospitò, tra gli altri, papa Giulio II, Ludovico I, re d'Ungheria, l'imperatore Leopoldo, Aldo Manunzio il Vecchio (precettore di casa Pico, poi divenuto celebre stampatore), Borso ed Ercole d'Este, Rodolfo Gonzaga e Francesco Stefano di Lorena, granduca di Toscana. Nei secoli successivi il Castello di Mirandola subì distruzioni e modifiche che ne alterarono pesantemente i caratteri. Il Castello fu distrutto in gran parte nel 1714 per lo scoppio di una torre, piena di polvere da sparo, che fu incendiata da un fulmine durante un temporale. Gran parte delle fabbriche restanti furono demolite alla fine del Settecento per ordine dei Duchi di Modena, alle dipendenze dei quali era passata Mirandola nel 1709. Al loro posto è la ricostruzione neogotica novecentesca di un torrione, dietro al quale restano alcune parti della Reggia con portico seicentesco e la sontuosa facciata della Galleria Nuova. Fu creato poi un teatro d’opera sfruttando parte degli ambienti del palazzo ducale. Frammenti di affreschi si trovano certamente celati sotto gli intonaci. Dopo molti anni di degrado (al suo interno era presente addirittura un cinema a luci rosse) ed abbandono, l’edificio è stato soggetto ad un importante restauro e riaperto al pubblico nel 2006, con l'inaugurazione del Museo Civico, alcune sale espositive adibite a mostre temporanee, spazi adibiti a conferenze e al MoBimed, mostra permanente del biomedicale, settore trainante dell’economia mirandolese. A seguito del terremoto del 2012, si sono registrati gravi danni sulla parete ovest, dove la struttura portante risulta pesantemente compromessa, la loggia dei Carabini è pericolante, crolli (limitati) sulla copertura. Tra gli edifici superstiti occorre segnalare, in primo luogo, la bella facciata della "Galleria Nuova", fatta erigere dal Duca Alessandro II Pico nel 1668, e prospiciente oggi il viale di Circonvallazione. Si tratta di un maestoso e nobile loggiato, chiuso da due corpi laterali sporgenti, profilati a bugnato e caratterizzati al centro da ampie ed armoniche finestre tripartite dette "serliane". La "Galleria Nuova" costituisce la parte del complesso del Castello che ancora oggi si offre alla vista del visitatore destando vivo interesse ed ammirazione, stante l'eleganza e l'imponenza del complesso. Altra parte esterna del Castello di notevole rilievo s'incontra nella facciata che fronteggia il Teatro Nuovo. Si tratta di quanto rimane del "Palazzo Ducale", caratterizzato da un bel porticato che si poggia su dieci colonne in marmo rosa, fatto costruire da Alessandro I Pico. Sotto questo porticato è disposta una porta ad arco profilata a bugnato, attraverso la quale si accede a un cortile interno e alla facciata meridionale della "Galleria Nuova". Ad ovest rispetto a questa s'incontrano i resti di un terrapieno e delle mura, laddove sorgeva il bastione costruito nel Cinquecento a difesa del Castello. Sotto il porticato del Palazzo Ducale di Alessandro I è possibile attraversare un'altra porta ed accedere al sotterraneo e piano terra, di età rinascimentale. Scendendo una rampa di scale si accede alla "Sala delle prigioni", dalla spessa muratura. Vicino s'incontrano due ambienti assai spaziosi e contraddistinti da belle architetture con volte a botte e a crociera. Salendo, all'interno di quello che fu il Palazzo Ducale di Alessandro I Pico, va segnalata la vasta, ariosa e maestosa "Sala dei Carabini" sontuosamente e magnificamente decorata del Seicento, spogliata nei secoli successivi ed ancora oggi luminosa ed elegante. Il castello ha un sito web ufficiale: http://www.castellopico.it/

Fonti: http://it.wikipedia.org/wiki/Mirandola#Castello_dei_Pico, http://turismo.comune.modena.it/it/canali-tematici/scopri-il-territorio/arte-e-cultura/castelli-torri-campanili/castello-dei-pico-inagibile-causa-terremoto, http://www.castellopico.it/index.asp?ind=storia.htm

Foto: entrambe da http://www.emiliaromagna.beniculturali.it/index.php?it/108/ricerca-itinerari/38/346

martedì 17 febbraio 2015

Il castello di martedì 17 febbraio






CETONA (SI) - Rocca

La prima menzione di Cetona come "Castello" si ha tra il 1207 ed il 1214, signoria del Conte Ildebrandino ma soggetta a sovranità del Comune di Orvieto. Intorno al Castello, oggi per gli abitanti "la rocca", si sviluppò poi il borgo, tipico agglomerato medievale di case e casupole, abbarbicate a spirale sulle ripide pareti della collina turrita. La storia di Cetona visse prima del conflitto tra Siena ed Orvieto, che a metà del '200 godette anche dell'aiuto di Firenze. Nel 1260, il borgo passò proprio alla Repubblica di Orvieto. Nel 1418, conquistata dal capitano di ventura Braccio di Montone, signore di Perugia, Cetona venne da questi venduta alla Repubblica di Siena, a cui si deve la fortificazione del luogo. Nel 1556, fedeli a Siena per quasi un secolo e mezzo, gli abitanti, decimati dalle pestilenze e dalle guerre, si arresero senza combattere all'esercito imperiale in Toscana quando questo si presentò sotto le mura. Il borgo venne così inglobato nel Granducato di Toscana. Granduca Cosimo I de' Medici cedette Cetona in feudo al marchese Chiappino Vitelli che trasformò la rocca in abitazione e costruì la grande piazza (oggi Piazza Garibaldi) su cui si affaccia appunto Palazzo Vitelli. Con il marchesato dei Vitelli ebbe inizio un'epoca d'oro per la cittadina. Tornata in seguito a far parte del Granducato di Toscana, ne seguì le sorti fino al Risorgimento e all'unità d'Italia. Nel 1772 Cetona divenne Comune, aggregato a Sarteano fino al 1840. La Rocca che si staglia troneggiando sull'abitato, risale probabilmente al X secolo e costituisce il nucleo più antico di Cetona. Durante il XVI secolo, come già detto, sotto il presidio di Chiappino Vitelli, con l'aggiunta di altri corpi edilizi, venne trasformata in abitazione. Il Corpo di Guardia della Rocca venne costruito dopo il 1500 innanzi all’antica porta del castello che rimase inglobata nella parte interna destra. Da qui, mediante rampa di accesso, si saliva alla piazza d’armi ed al mastio. Anticamente il castello era difeso da almeno tre torri, ma gli eventi bellici ed il tempo hanno contribuito a ridurne il numero, tanto che oggi ne resta solamente una, in pietra, peraltro molto rimaneggiata con l’aggiunta della copertura. Si tratta dell’antico mastio coronato da apparato a sporgere con beccatelli e da archetti in pietra a caditoie. La rocca ha un sito web ufficiale: http://www.roccadicetona.it/home.html. Ecco un interessante video che ho trovato sul web (in lingua inglese): http://www.tuscanytube.com/venues/rocca_di_cetona.htm

Fonti: http://www.cetona.org/da-vedere, http://www.ctnet.it/cetona/index.htm, http://it.wikipedia.org/wiki/Cetona,

Foto: di Miche77 su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/71539/view e da http://www.eutoscana.it/la-rocca-di-cetona-p-24_vis_9_333.html

lunedì 16 febbraio 2015

Il castello di lunedì 16 febbraio






GAGLIANO ATERNO (AQ) - Castello Conti di Celano

I primi fondatori di Gagliano Aterno furono i de Aquila, che furono anche i primi costruttori del castello. Storicamente Gagliano Aterno è stato un centro molto importante il cui valore era testimoniato dalla presenza del monastero di San Matteo, da quello di S. Scolastica e quello di S. Maria le cui pietre furono usate per la costruzione della chiesa di S. Martino; nel secolo IX risulta edificato un monastero benedettino il quale, in seguito, fu inglobato, per alcune strutture, dal successivo convento di S. Chiara. E a proposito di tale convento si può sicuramente asserire che fu tra i primi e più antichi conventi di Clarisse dell’Abruzzo. L’importanza a cui pervenne il convento di S.Chiara è documentata anche dalla lettera che Sancha, regina del Regno di Napoli, consorte di Roberto d’Angiò, scrisse nel 1326 ad Isabella d’Acquaviva, contessa di Celano, raccomandando la sua protezione per il convento. Nel 1328 fu edificato (o sarebbe meglio dire ampliato su una precedente costruzione innalzata dai Conti di Celano tra XII e XIII secolo) il Castello di Gagliano Aterno per volontà di Isabella d’Aquino, contessa di Celano e discendente dei de Aquila per parte materna. La stessa Isabella d’Acquaviva fece costruire la fontana medioevale nel 1344 mentre edificò la primitiva chiesa di S. Martino, a navata unica, in seguito portata a tre navate per desiderio di Jacobella nel XV secolo; i due stemmi apposti sul portale trecentesco, quello degli Acquaviva, con il leone rampante, e quello dei conti di Celano, uno scudo con banda, confermano questi interventi. Distrutto nel 1462 da Braccio da Montone, in seguito passò ai Piccolomini che adattarono il castello alle nuove esigenze militari, aggiungendo due cerchie di mura difensive ed altri impianti, sempre di difesa. Gli stemmi dei Barberini Colonna (che ne conservarono la proprietà sino al 1806), degli Sciarra e dei Lazzaroni, esposti nel cortile del castello, documentano la vita di Gagliano Aterno. La non regolarità della pianta del maniero, imposta anche dal adattamento necessario alla tipica conformazione montuosa del luogo, è testimonianza delle fasi di perfezionamento avvenute successivamente che dall’impianto in prevalenza militare hanno portato al presente castello-dimora, cui è ispirato il colonnato su due piani che chiude il lato che dà verso il paese. La struttura, come oggi si presenta, è ritenuta uno dei castelli meglio conservati d'Italia, un organismo architettonico stratificato e complesso, caratterizzato da una doppia cinta muraria a forte scarpatura, che ne ricorda l'origine militare. L’entrata situata a nord-est è anticipata da un notevole muro estremo di difesa al quale si giunge dalla piazza di fronte tramite uno dei pochi ponti levatoi sopravvissuti in Abruzzo, che scavalca il fossato, tuttora individuabile, che difendeva i fronti più indifesi dell’edificio. La cinta più interna, raggiungibile tramite un ingresso sopraelevato al di là di quello che era il fossato, è coronata da merlatura guelfa e assume, in corrispondenza degli angoli, forma di torrioni di rinforzo cilindrici e in un caso, di torre poligonale, simile ad un puntone. Oltre la cortina muraria merlata, si sviluppa l'edificio palazziale caratterizzato dall'accostamento di più corpi di fabbrica gravitanti intorno ad un suggestivo cortile con pozzo quadrato, circondato da portico e loggetta al piano nobile, sul quale si affaccia la scenografica scalinata a giorno che conduce agli appartamenti del primo piano. Sui prospetti esterni si notano bene gli interventi effettuati per trasformare il castello, da costruzione militare a dimora aristocratica; l'edificio è stato oggetto infatti di interventi di sopraelevazione e ampie finestre, sia monofore che bifore, di dimensioni ed epoche diverse, sono state aperte lungo tutto il perimetro della costruzione, per adattarla all'uso residenziale. Di particolare grazia architettonica è la loggia su due ordini del prospetto verso il borgo, con archi acuti alla quota del cortile e a pieno sesto al piano superiore. Il castello, di proprietà privata (appartenente ai marchesi Lazzeroni), è tuttora usato come residenza. Un altro link per approfondire è: http://www.gruppoarcheologicosuperequano.it/artegagliano.htm. Ecco un video (di Inviaggiocongiuliana) che parla del castello: https://www.youtube.com/watch?v=D_k3PBnyODE

Fonti: http://www.comune.gaglianoaterno.gov.it/arte-e-storia.html, http://www.regione.abruzzo.it/xCultura/index.asp?modello=castelloaq&servizio=xList&stileDiv=monoLeft&template=intIndex&b=menuCast2158&tom=158, http://www.inabruzzo.it/gagliano-aterno-castello.html, http://inviaggiocongiulianaa.blogspot.it/2013/05/il-castello-di-gagliano-aterno-aq.html,

Foto: di sirente su http://www.naturamediterraneo.com/forum/pop_printer_friendly.asp?TOPIC_ID=29290 e da http://www.micoadriatica.it/L'Abruzzo%20dei%20parchi/Gagliano%20Aterno%20AQ.jpg