venerdì 6 dicembre 2024

Il castello di venerdì 6 dicembre


 

PIAZZA AL SERCHIO (LU) - Castello di Sala (o Castelvecchio)

All’ingresso di Piazza al Serchio, sopra uno scoglio roccioso, alla confluenza dei due rami del Serchio, quello di Soraggio e quello di S.Michele (a poca distanza dalla vecchia locomotiva a vapore, esposta come monumento), si trovano le rovine di uno dei più antichi castelli della Garfagnana, conosciuto oggi come Castelvecchio di Sala. Nel corso della sua storia ha cambiato spesso nome creando spesso confusione nelle ricerche degli storici. La sua storia iniziò in epoca romana, per controllare le importanti vie di comunicazione che si incrociavano in quel piccolo pezzo di terra incastrato fra montagne, i romani vi costruirono una prima fortificazione, “Castrum” che dopo la cacciata dei Goti dalla valle da parte dell’esercito di Narsete iniziamo a trovare citato nei documenti, Narsete vi lasciò a guardia uno dei quattro presidi Bizantini dislocati nella valle. Intorno alla fine del VI secolo, i Longobardi riuscirono a penetrare in Garfagnana conquistando anche Castelvecchio “Castellum Garfagnanae”, i nuovi Signori dopo aver occupato la valle non ne mutarono l’ordinamento amministrativo, lasciando in vita le “circoscrizioni” Bizantine chiamate “Fines” e Castelvecchio continuò a esser capoluogo del “Fines Carfaniense”, che in quel periodo comprendeva, le “Terre” dell’antica “Plebs de Castello” e delle Pievi di Oppiano e di S.Lorenzo di Vinacciara (Minucciano). Dopo il Mille, le continue guerre fra Lucca, Pisa e i Malaspina, sempre pronti ad impossessarsi dell’alta Gargagnana, misero in difficoltà il Vescovato di Lucca che, per mantenere i propri privilegi feudatari sulla Contea, fu costretto più di una volta a ricorrere all’intervento dell'Imperatore (Federico Barbarossa 1155, Enrico VI 1194, Ottone IV 1209 e infine Carlo IV 1355). Castelvecchio in epoca medievale si trovò spesso al centro di battaglie scatenate dalle principali potenze militari toscane presenti nella regione, nel XV secolo con l’arrivo degli Estensi in Garfagnana la situazione politica sembrò stabilizzarsi, ma quando questi ultimi entrarono in conflitto con la Curia Romana, le operazioni belliche nella zona ripresero. Alcuni uomini dei castelli della Vicaria di Camporgiano si rifiutarono di tornare sotto Lucca, chiedendo protezione al Marchese di Ferrara Leonello D’Este. Per ritorsione verso i Lucchesi e il loro Vescovo s’impadronirono di Sala assaltando e distruggendo Castelvecchio. Al Vescovato di Lucca ci vollero 30 anni di reclami e l’intervento del Pontefice per ripristinare la Contea, che tennero fino alla fine del XVIII secolo. Il castello fu abbandonato già in epoca rinascimentale, utilizzato in seguito come terreno agricolo e castagneto. Castelvecchio, i cui ruderi sommersi dalla vegetazione sono rimasti pressoché irriconoscibili per secoli, è stato oggetto di un importante intervento di recupero che ha reso l'area nuovamente fruibile ed utilizzabile come spazio pubblico per eventi e manifestazioni. Oggi è pienamente recuperata la cortina esterna, ormai ridotta (nei punti più alti raggiunge i due metri di altezza), di forma trapezoidale irregolare con il vertice rivolto al nord, l'unica porta di accesso aperta nella cortina sud, la più corta, è perduta salvo per le feritoie poste a sua difesa. Sono identificabili anche le fondazioni di alcuni edifici interni al perimetro che costituivano le strutture di servizio. Altri link suggeriti: http://www.ingarfagnana.org/piazza-al-serchio/roccacastelvecchio.php, http://www.rocchevalledelserchio.it/it/cultura-e-territorio/piazza-al-serchio/castelvecchio-castello-di-sala/, https://www.youtube.com/watch?v=1gGawhnEUwk (video di Camperisti in erba)

Fonti: http://www.contadolucchese.it/piazzaalserchio_home.htm, https://castellitoscani.com/piazza-al-serchio/

Foto: entrambe prese da https://castellitoscani.com/piazza-al-serchio/

mercoledì 4 dicembre 2024

Il castello di mercoledì 4 dicembre



LICATA (AG) - Torre di Gaffe

E' un edificio ubicato a sei chilometri da Licata a undici metri sul livello del mare ed è una delle tante torri di avvistamento costruite da Camillo Camilliani, scultore, architetto e ingegnere italiano, noto per essere stato l'artefice della Fontana Pretoria a Palermo e di cui sono famose altre torri e altre opere architettoniche in Sicilia, fra le quali la Torre di Carlo V a Porto Empedocle, la Torre di Monterosso a Realmonte, la Torre di Fuori, posta sull'isolotto di fronte Isola delle Femmine. La torre, edificata nella prima metà del XVI secolo a guardia della vasta spiaggia Ciotta e del ricco entroterra agricolo, costituiva la difesa del feudo del Duca delle Gaffe, nobile famiglia catalana, arrivata in Sicilia sotto Federico III, famiglia che in quel luogo aveva realizzato la propria dimora, una chiesa e un agglomerato rurale che oggi conta circa un centinaio di abitanti. La costruzione in origine aveva la funzione di salvaguardare un opificio, di cui si possono ancora vedere i resti, destinato alla lavorazione della canna da zucchero che, fino all’unificazione d’Italia, era abbondantemente coltivata nella pianura retrostante. La torre a forma cilindrica, con un diametro di 9,80 metri con muri di conci è in buone condizioni statiche e presenta ancora porzioni dell'intonaco di calce e residui di beccatelli del coronamento dell'astraco. Il primo piano ha un unico ambiente con copertura a cupola ribassata. Nelle vicinanze della torre varie costruzioni, fra le quali una casermetta della Guardia di Finanza e adiacente all'edificio la Chiesetta di San Giusippuzzu di Gafi. La torre è sottoposta a vincolo monumentale. Altro link suggerito: https://www.youtube.com/watch?v=TlBLOfI_Vyk (video di Vincenzo Di Bartolo – World Computer Licata)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Torre_di_Gaffe, https://fondoambiente.it/luoghi/torre-di-gaffe, https://www.lasiciliainrete.it/directory-tangibili/listing/torre-di-gaffe/

Foto: la prima è presa da https://www.paesionline.it/italia/monumenti-ed-edifici-storici-licata/torri-di-gaffe-e-di-san-nicola, la seconda è presa da http://www.francescopira.it/news.php?c=1630

lunedì 2 dicembre 2024

Il castello di lunedì 2 dicembre


RIETI - Castello in frazione Moggio Reatino

Si può dar credito a chi asserisce che fin dai giorni di San Francesco (morto nel 1226) esistesse un castello posto sul pizzo di monte sovrastante la borgatella di povera gente dedita alla pastorizia. Sembra abbastanza vicino alla verità che anche il castello di Moggio fosse intorno al 1100 possesso del Comune di Narni. Il rapporto tra il castello di Moggio e la Chiesa Narnese appare invece chiaro sin dal 1227. Nell'archivio Capitolare c'è una bolla di papa Gregorio IX diretta al Prevosto Berardo e ai canonici di S. Giovenale di Narni, con la quale si confermano e si elencano i beni presenti e quelli che sarebbero venuti in possesso, in cui si riporta il "Reddittum centum piscium, quen habetis in Castro Modii". La bolla è riportata nel volume " Cathedralis Narniensis Ecclesiae, eiusque capituli et canonicorum antiquitas mobilitas ecc.". Il castello di Moggio era anticamente proprietà dei Nobili Vitelleschi di Labro. La storia feudale di Labro inizia nel 953 quando Ottone I, imperatore di Germania, investì Aldobrandino de' Nobili signore di Labro di altri 12 castelli fra il ducato di Spoleto e il contado di Rieti. Alla meta del XII secolo, al momento della massima espansione dei Normanni verso settentrione, per trovare protezioni potenti, i Nobili di Labro donarono a S. Giovanni in Laterano la quarta parte di Labro, di Moggio, di Morro di Apoleggia e di altri insediamenti fortificati oggi scomparsi, donazione che dette poi vita ad una lunga controversia tra Berardo di Labro ed il capitolo della Basilica Romana, che vide infine i Nobili tornare nel pieno possesso dei castelli oggetto della contestazione. Nel 1300 infine, Moggio fu inglobato nel contado reatino, grazie all’acquisto delle quote di cosignoria castrenze da parte del comune cittadino. Un monitorio del 1512 riporta che Giordano de Nobili signore di Moggio fu ascritto alla nobiltà romana in data 8 aprile e fu signore del castello di Moggio. La strutturadel castello a pianta rettangolare racchiude una superficie di circa 2000 mq. Rimangono parti delle murature su tre lati: i due lati corti e il lato lungo, che guarda verso la "Montagnola". Ben poco rimane delle mura perimetrali che un tempo dominavano il centro abitato. Da qui sono invece visibili le ampie fondazioni, che si appoggiano sulle prominenze rocciose della montagna. Non è difficile pensare che un tempo questa fortezza costituisse un baluardo inespugnabile, sicuro rifugio per tutta la popolazione del piccolo borgo. Le mura in alcuni punti raggiungono il ragguardevole spessore di un metro. La calce prodotta da fornaci locali e idrata a mano, secondo tecniche antichissime, appare bianca, compatta. La coesione con le pietre e' talmente perfetta che anche i Vigili del Fuoco nel corso di un sopralluogo espressero la loro meraviglia. Oggi è facilmente raggiungibile percorrendo un ampio sentiero, delimitato da alberi, che creano un gioco di luci e di ombre, particolarmente suggestivo. Il fascino dell'atmosfera antica è presente ovunque, ogni pietra sembra avere la sua storia. Basta percorrere appena cento metri, ed ecco apparire la possente torre cilindrica che sembra voglia sfidare il tempo e il disinteresse degli uomini. Sulla sommità, e ai lati, alcune feritoie lunghe e strette, con stipiti in pietra, un tempo, utilizzate per scrutare in condizioni di sicurezza, il territorio circostante. All'interno del castello si possono ammirare molte piante di montagna genere latifoglie: orniello, quercia, farnia, acero, come pure sempreverdi: leccio, alloro. Una pineta pregevole, anche se incolta, frutto di un intervento di rimboschimento del Corpo Forestale dello Stato, occupa gran parte della superficie interna.. Per molti anni questa struttura venne utilizzata come camposanto. Dopo le disposizioni napoleoniche (1805) le salme venivano deposte in cameroni comuni all'interno del castello diroccato. Tre grandi stanze (due per gli adulti ed una per i bambini) completamente interrate, accoglievano i morti. Successivamente le salme vennero trasportate nell'ossario della chiesetta dell'attuale camposanto costruito dal Comune di Rieti nel 1905. Le immense tombe, sono evidenti ancora oggi (malgrado l'opera maldestra di riempimento). Nel settembre del '98 la sorte dei ruderi del castello sembrava segnata. Gli effetti prorompenti del terremoto erano sin troppo evidenti. La stabilita' della struttura era compromessa, si temeva il crollo sul centro abitato. Finalmente nel settembre del 2005 il Comune di Rieti con un finanziamento di 103.000 euro (sostenuto al 50% dalla Regione Lazio) ha appaltato il primo intervento di consolidamento e recupero della torre del castello. Altro link suggerito: https://www.youtube.com/watch?v=x5TCQTPFzIs (video di Claudio Orsini)

Fonti: https://fondoambiente.it/luoghi/castello-di-moggio-reatino?ldc, http://www.lechiusedireopasto.it/moggio.html, http://www.montagnola.org/castello.php

Foto: la prima è presa da http://www.montagnola.org/castello.php, la seconda è di Patrizia Palenga su https://www.facebook.com/118159207542161/photos/pb.100081060917771.-2207520000/153268160697932/?type=3

martedì 30 luglio 2024

Il castello di martedì 30 luglio



FRANCOFONTE (SR) - Castello di Chadra

A nord-est di Francofonte sorgono, immersi tra agrumeti e vigneti, i ruderi del castello di Chadra, le cui origini affondano in quel periodo della Sicilia tanto turbolento, quanto incerto, risultato della lotta tra angioini e aragonesi prima e dopo la guerra del Vespro. Nel 1270 si documenta l’esistenza solo di un casale “Càdera” o “Chadra”. Nel 1296 il casale era feudo diviso tra le due famiglie dei Mortillaro e dei De Lamia; nel 1307 il miles Giovanni De Lamia decise di edificare una fortezza in quella parte del feudo che apparteneva alla sua famiglia, la quale ottenne l’intero possesso del territorio appena due anni dopo. I De Lamia detennero Chadra con il relativo castello fino al 1392, anno in cui Nicolò De Lamia, considerato ribelle giacché leale alla famiglia dei Chiaramonte, subì la confisca dei beni dalla regia camera. Nel 1394 ottenne l’investitura del feudo di Chadra Berengario Cruyllas, la cui famiglia non molto tempo dopo ricevette anche castello e abitato di Calatabiano. Due terremoti causarono il progressivo abbandono del casale e della fortezza: al 1552 è datato un primo evento sismico, durante il quale la fortezza subì seri danni, tuttavia riparati; infine il violento terremoto del 1693 devastò l’intera struttura, pregiudicando ogni tentativo di ricostruzione. Chadra è un “baglio”, il quale si presenta nella forma di una grande torre mastra, attorno alla quale si svolge il perimetro di un cortile fortificato. Il cortile possiede una forma rettangolare irregolare (m. 75 X 45), orientato est-ovest. L’intero complesso, che sorge su di un’ansa del torrente Canale, si presenta protetto a meridione e a oriente dal medesimo corso d’acqua, mentre a settentrione offrono una prima difesa dai possibili assedianti due fossati paralleli, dei quali quello più esterno pare sia rimasto incompiuto. Il fossato interno era largo oltre 4 metri e, almeno nella prossimità dell'angolo sud.ovest, profondo altrettanto. L’intera cortina muraria sembra essere il risultato di aggiunte successive: il muro orientale, ai giorni nostri per buona parte crollato, parrebbe opera del XIV o XV secolo; certamente più tardo è il tratto di muro meridionale, realizzato per buona parte nel XVIII secolo, ma inglobante tratti della cortina trecentesca. Lungo tutto il perimetro murario si svolgono anche i camminamenti di ronda merlati, scomparsi per la maggior parte, tranne per alcuni brevi tratti. Essi si dispongono a circa 4 m. d’altezza e si internano nella medesima cortina con una profondità di circa cm. 70. L’ingresso principale al cortile fortificato si trova nell’angolo di nord-est e ha la forma di un avancorpo, aggettante verso settentrione di circa m. 12. La soglia di tale ingresso immette in un piccolo cortile, forse salvaguardato dalla presenza di una torretta, un tempo anch’essa aggettante dalla cortina muraria principale, ma adesso crollata. Dal piccolo cortile al grande cortile si accede tramite una rampa di scale intagliata nella roccia. Il baglio è oggi occupato da un agrumeto che occulta buona parte delle strutture superstiti. Fino a qualche decennio fa dovevano esservi molti cisterne e silos scavati nella roccia, oggi del tutto interrati e poco o per nulla visibili. La torre mastra sorge lungo il lato occidentale del cortile principale. Dell’edificio oggi rimangono solo dei grossi monconi, dai quali è possibile ricostruire solo con parziale esattezza l’aspetto originario di questa fortificazione: essa possedeva una pianta cilindrica e apriva sul baglio il suo unico ingresso, caratterizzato da un arco a tutto sesto composto da blocchetti di pietra calcarea. Si può ancora misurare lo spessore murario dell’intero edificio, quantificato in circa m. 1,50, uniforme in tutta l’altezza. Solo in seguito, probabilmente durante alcuni rifacimenti della torre, si aggiunge una scarpatura non ammorsata lungo l’intera circonferenza, alta dal piano di campagna m. 7,60 e spessa alla base m. 2,20. Dai pochi dati adesso disponibili, si evince che un tempo la struttura avesse una pianta interna a forma ottagonale del diametro di m. 8. Ciascun angolo dei lati interni dell’ottagono probabilmente si allungava non oltre un terzo dell’intera altezza della torre, al fine di formare costolonature necessarie a reggere una volta di copertura. In ogni lato dell’ottagono si aprivano saettiere fortemente strombate, delle quali oggi rimangono solo pochi esempi. Come è anche possibile apprendere da alcuni documenti storici, la torre doveva possedere in tutto tre piani, oltre il terrazzo merlato, così da raggiungere un’altezza complessiva di 15/18 metri. Il pian terreno, “turri d’abbasciu”, si componeva di un’unica stanza; infine, gli altri due piani accessibili attraverso scale lignee, si ricavavano per mezzo di altrettanti solai, uno detto “di immenzu”, l’altro “di susu”. Altri link suggeriti: https://sicilyenjoy.com/listing/castello-di-chadra-a-francofonte/, https://www.siciliafotografica.it/gallery/index.php?/category/1241 (foto varie)

Fonti: https://www.comune.francofonte.sr.it/2021/04/17/castello-chadra/, articolo di Giuseppe Tropea su https://www.mondimedievali.net/Castelli/Sicilia/siracusa/chadra.htm, https://www.icastelli.it/it/sicilia/siracusa/francofonte/castello-di-chadra

Foto: la prima è presa da https://www.visititaly.it/info/955855-castello-chadra-ruderi-francofonte.aspx, la seconda è presa da https://www.comune.francofonte.sr.it/2021/04/17/castello-chadra/

lunedì 29 luglio 2024

Il castello di lunedì 29 luglio



MONTELUPO FIORENTINO (FI) - Torre dei Frescobaldi in località Torre

Anticamente era chiamata Torre di San Quirico dal nome della chiesa intestata ai santi Quirico e Lucia situata nelle vicinanze. Assunse la denominazione dei Frescobaldi dopo l'acquisto da parte dell'omonima famiglia, avvenuto nella seconda metà del 1700. La data di realizzazione della Torre non è del tutto certa. Secondo il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, essa era stata costruita agli inizi del 1300 per tutelare le attività commerciali lungo il fiume Arno e contro le incursioni di Castruccio Castracani. Alcune ricerche ipotizzano che la Torre sia nata come mulino nei primi decenni del 1300. Dal 1320 al 1335, Montelupo diventò infatti una piazza particolarmente importante per il commercio del grano e probabilmente la struttura esisteva e svolgeva già la sua funzione durante questo periodo. Il primo riferimento esplicito sulla Torre dei Frescobaldi è tratto da una portata catastale datata 1427, dove si viene a sapere che essa era un "luogo ritratto a fortezza" con mulino annesso, appartenuto ai fratelli Gherardo e Adovardo di Gherardozzo Bartoli. Il documento attesta che in questa struttura vi abitava almeno una persona, il mugnaio. Nel 1529 Francesco Ferrucci, durante l'Assedio di Firenze, ordinò di distruggere tutti i mulini nei pressi di Montelupo, in modo da impedire alle truppe di Carlo V d'Asburgo la possibilità di rifornirsi. Questo destino non toccò alla Torre, grazie al fatto che il mulino in quegli anni non poteva più macinare ed era in una situazione di degrado a causa della deviazione del corso del fiume. Nel 1552 Galeotto del Caccia, marito di una discendente dei Bartoli, vide che il fiume aveva ripreso il suo vecchio andamento e per questo motivo decise di rimettere in funzione il mulino. Tuttavia ciò non era possibile a causa del taglio della pescaia da parte degli Ufficiali dei fiumi, e questo fece sì che la struttura rimanesse in uno stato di degrado. Nel 1588 Marietta Gondi, vedova di Gio. Antonio di Filippo Bartoli, vendette la Torre a Ferdinando I de' Medici al prezzo di 800 fiorini. La Torre entrò a far parte della vicina tenuta dell'Ambrogiana nella quale la famiglia Medici possedeva una villa. Poco dopo l'acquisto fu completamente ristrutturata e in seguito assunse la funzione di luogo di divertimento del granduca e dei suoi ospiti. Durante i primi anni del Settecento, essa diventò il luogo di riscossione dell'Imposizione d'Arno, una tassa applicata ai proprietari dei terreni in corrispondenza dei tratti di fiume in cui vengono eseguiti dei lavori. Il disinteresse da parte del granduca Cosimo III de' Medici culminò in un nuovo passaggio di proprietà. Nel 1715 i fratelli Giovanni e Giuseppe di Giuliano Castellani acquistarono la Torre, destinandola ad uso abitativo. Nel 1764 passò nelle mani di Giuseppe de' Frescobaldi e successivamente al nipote Cosimo Ridolfi. Nel 1902 viene acquistata dal Barone Raimondo Fianchetti e dopo pochi mesi da Pietro Carboncini. Successivamente, la struttura ospitò lo studio del ceramista Bruno Bagnoli. Dal 2001, dopo un completo restauro realizzato dall'attuale proprietario Giovanni Bartolozzi, una parte della Torre dei Frescobaldi ospita il Museo del Fiasco Toscano, davanti al quale si trova il Monumento alla Fiascaia, realizzato dall’artista Piero Bertelli. Da un punto di vista architettonico la torre è costituita da un parallelepipedo compatto, in cui si dispongono sei piani, per un'altezza di una quindicina di metri circa. Il carattere possente della muratura denuncia immediatamente l'origine militare, acuita dalla terminazione a beccatelli e merli. Il paramento, su tutti i lati, è costituito da pietre di fiume (le famose “pillore”, ricavate dal vicino alveo dell'Arno), intervallate da filaretti in laterizio che funzionano da irrigidimento e per una ottimale distribuzione dei carichi; presenti anche innumerevoli buche pontaie. Agli spigoli, i punti più delicati per una struttura militare, la muratura è costituita esclusivamente da mattoni. Le aperture in origine dovevano essere molto più piccole delle attuali, ma la riduzione ad abitazione, almeno dal '700, ha comportato l'adattamento della trecentesca struttura militare, che tuttavia si è ben conservata. I beccatelli che contraddistinguono il coronamento, sono costituiti da mensole lapidee, progressivamente più aggettanti. Fra mensola e mensola si aprono piccole aperture da cui era possibile rovesciare qualsiasi cosa al malaugurato assalitore (e che poteva essere facilmente adattata a piccionaia). Anche i merli sembrano quelli originari, anche se parzialmente ricostruiti sul lato meridionale della torre. Sui fronti Sud ed Est è stato ridisegnato, in forma di graffito, lo stemma dei Frescobaldi, il cui originale era andato perduto. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=hY5q-cm1B9s (video di Flybri), https://www.facebook.com/watch/?v=1623701171079593 (video di Cerofolini Pulizie), https://www.visitvaldelsa.com/it/11-comuni-della-valdelsa/montelupo/ville-ed-edifici-storici/torre-dei-frescobaldi

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Torre_dei_Frescobaldi, http://smartarc.blogspot.com/2013/01/montelupo-la-torre-de-frescobaldi.html

Foto: sono state scattate da me durante la mia visita del 28/07/2024

mercoledì 12 giugno 2024

Il castello di mercoledì 12 giugno



CAPENA (RM) - Castello di Scorano

Nel verde di uno spettacolare parco di circa 6 ettari, sorge maestoso il Castello di Scorano del 1200, all’epoca presidio fortificato e successivamente trasformato in casale ad uso agricolo. Si presume sia stato edificato dalla famiglia Orsini su antiche preesistenze Capenati. Nel corso della storia fu dimora di altre nobili famiglie romane quali i Borghese, i Brancaccio e in ultimo Don Vittorio Massimo, principe di Roccasecca dei Volsci. Il maniero fu abitato fino alla sua morte dal Principe Vittorio Emanulele Massimo (Principe di Roccasecca dei Volsci), secondo genito del Principe Camillo Francesco Massimo (Principe di Arsoli) e di Eleonora Brancaccio. Dopo la morte del Principe Vittorio Emanuele Massimo, il Castello è stato venduto a privati. Di questi ricordiamo: Leone Massimo (Principe di Arsoli) - Maria Principessa di Savoia - Vittorio Emanuele Massimo (Principe di Roccasecca dei Volsci) - Margrethe Bechshöft - Dawn Victoria Addams - Josefa Domingas Soares - Elizabetta Massimo - Angelo Falcone. Oggi il Castello di Scorano è caratterizzato da un grande portale d’ingresso con accesso dalla Via Tiberina e da un lungo viale alberato che porta alla splendida corte principale ove sono stati rinvenuti resti archeologici dell’epoca etrusca romana. Si accede alla corte tramite un maestoso portale bugnato ad arco, sormontato da una torre merlata.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Capena#Architetture_militari, https://www.immobiliare.it/annunci/109732731/?utm_source=lifull-connect&utm_medium=aggregator&utm_campaign=sale_desktop

Foto: la prima è presa da https://www.latuacasaaroma.it/ita/34/casa-castello-di-scorano/, la seconda è presa da https://www.wikicasa.it/annuncio/16934936/foto/1

martedì 11 giugno 2024

Il castello di martedì 11 giugno


SIRACUSA - Castello della Targia

Sorge a pochi chilometri da Siracusa, situandosi a Nord, poco distante dalla fortezza greca di Eurialo. Federico II in una lettera da Sarpi del 21 marzo 1240, scrive al Plancatore per l'approvazione di un progetto relativo alla costruzione di una fiskia nel suo palatium in Chindia prope Syracusiam e per consentire l'assegnazione a censo ai contadini siracusani delle terre incolte definite prato magno, per impiantarvi dei vigneti a patto che non danneggino il vicino mirteto e la costruzione di recinti per animali. Il termine fiskia indica un "bacino idrico o un fontanile. Ancora una volta il termine arabo, certamente attestato nella Sicilia del XII secolo, lascia intravedere un'eredità tecnologica ed ideale che continuava in età sveva a produrre i suoi frutti". L'imperatore avrebbe quindi approvato la realizzazione di un bacino idrico nell'ambito probabilmente di uno dei luoghi di sollazzo esistenti nel territorio, comprensivo forse di un vivaio. La regione è ricca di acqua e per il periodo medievale è attestata l'esistenza di un ricco patrimonio arboreo. Il legname ricavato dalle foreste serviva alla trasformazione della canna da zucchero del territorio limitrofo (San Cusmano e Cantera). L'identificazione del Palatium della Chindia fu fatta da G. Agnello con la struttura esistente nella contrada Targia vicino a Siracusa prope Syracusiam) che egli battezzò Valatium di Targia. Il nome compare nei documenti federiciani una sola volta: nel 1240 il secreto di Messina aveva fatto aprire una cava calcarea) a Targia per trarre materiale da usare in lavori di riparazione per alcuni edifici caduti in rovina che non dovevano essere molto distanti. Lo Sthamer propose una localizzazione nel territorio di Floridia, intendendo il toponimo Chindia come Cerninda o Cernindia, cioè Floridia (in dialetto Ciuriddia) ma, come sottolinea F. Maurici, nel territorio indicato non esistono testimonianze di edifici svevi. Il toponimo Targia di origine araba, invece, lascia pensare ad una frequentazione del sito precedente al periodo svevo. Del periodo normanno si ricordano gli avvenimenti legati al conte Ruggero "il quale, dopo la morte del figlio Giordano, sarebbe passato nella vicina terra per punirvi la popolazione ribelle, abbattendo dalle fondamenta il castello. Certo è che i ruderi di vecchie abitazioni e i documenti storici, riferentisi a disposizioni di ripopolamento della contrada, provano a sufficienza che il feudo Targia dovette essere legato alle vicende della storia cittadina: le sue abitazioni turrite e le prospere dipendenze terriere ne fecero, forse per lungo tempo, un luogo di giocondi sollazzi regali". In età aragonese il feudo di Targia fu oggetto di interesse dei regnanti come testimoniato da un diploma di Federico III dal quale si evince che esistevano ben due sollacia (la Targia magna e la Targia parva, cioè grande e piccola) con i relativi parchi, case, giardini, mulini. La frequentazione come luogo di svago e di caccia nel periodo aragonese è indice di continuità storica con il periodo svevo ed è molto probabile che esista materialmente la prova di questa sequenza cronologica. Benché completamente rimaneggiato in epoca moderna, l'unico edificio che risponde comunque alle caratteristiche icnografiche sveve nella contrada è il Castello della Targia, che possiede una pianta leggermente trapezoidale (lati minori 19,40 m; lati maggiori di misura differente: il lato Est 26,70 m e il lato Ovest 32,10 m) e delle torri circolari nell'intersezione degli assi e cortile centrale. L'impianto planimetrico, nella sua attuale consistenza, di forma irregolare, potrebbe essere dovuto all'adattamento delle fondazioni su strutture preesistenti, peraltro mai indagate. Esso appare simile ad un grande baglio dal momento che la fabbrica dell'edificio si articola attorno ad una corte centrale. Lo spessore murario è di 1,10 m. Secondo Giuseppe Agnello la cortina muraria originaria sarebbe integra su tre lati tranne sul lato Nord dove si sono sostituiti fabbricati moderni di tipo rurale. All'interno esistono ambienti soltanto nei lati Sud e Ovest, ma che non hanno alcun elemento antico. Le caratteristiche sveve sono riscontrabili, secondo lo studioso, nelle torri Sud-Ovest e Sud- Est. La prima (diametro esterno 6,30 m; diametro interno 4,10 m) presenta un rivestimento in piccoli conci (altezza 26/28 cm) in pietra calcarea disposti in 25 filari. Il coronamento si organizza con una cornice composta di archetti tipica del periodo tre - quattrocentesco. Esiste una sola finestra rettangolare a doppio strombo. La torre Sud-Est, lacunosa del coronamento, è confrontabile nell'impostazione generale alla precedente. Della torre Nord-Ovest rimangono solo la base e quattro assise di conci; la Nord- Est è tutta di rifacimento moderno. Il Castello della Targia è oggi proprietà della Famiglia Pupillo ed è quindi visitabile solo su richiesta e per degustazioni di vini (https://solacium.it/newsite/). Forte di una lunga tradizione familiare, l’Azienda agricola Pupillo ha recuperato il gusto perduto del Moscato di Siracusa e rinnovato quello più consolidato del Nero d’Avola.

Fonti: https://www.antoniorandazzo.it/castellietorrimedievali/castello-targia.html, https://www.icastelli.it/it/sicilia/siracusa/siracusa/castello-della-targia,

Foto: la prima è presa da https://www.lasiciliainrete.it/directory-tangibili/listing/castello-della-targia/, la seconda è presa da https://www.goccedisicilia.com/it/122_cantina-pupillo