mercoledì 31 gennaio 2024

Il castello di mercoledì 31 gennaio


PELLEGRINO PARMENSE (PR) - Torre dei Marchesi

Sono poche le informazioni e i documenti storici al momento conosciuti su questa fortificazione. Appoggiata su di una rupe ofiolitica, è attorniata lì vicino dai resti di altre opere murarie ormai sconnesse tra loro. Pur nella carenza di documenti a disposizione, i muri della torre ci raccontano una storia antica, quando scalpellini medievali innalzarono affascinanti pareti di pietre squadrate che ricordano tanto quelle delle chiese tardo- romaniche. Il colore dei muri è diverso da quello della rupe rocciosa. Le sapienti mani dei costruttori preferirono, infatti, alla difficilmente lavorabile pietra del posto rocce arenacee e calcaree, le quali donano alla torre una tenue tonalità arancione e biancastra. Le scaglie verdastre di roccia ofiolitica, invece, caratterizzano il riempimento "a sacco" dei muri, accompagnandosi anche alla spazzatura del tempo: rottami laterizi di coppi e mattoni. Secondo alcuni si tratterebbe dei resti del castello di Grotta. E’ conosciuto anche come "Torre dei Marchesi" e, con assoluta probabilità, pare sia appartenuto dapprima ai marchesi Pallavicino della vicina Scipione e, poi, ai marchesi Della Torre di Verona e agli Sforza Fogliani. Era, facilmente, parte integrante di uno scacchiere difensivo voluto dalla nobile famiglia Pallavicino in Val Stirone, con ogni probabilità abitato (solo da truppe militari o anche da membri della famiglia Pallavicino o da altre famiglie importanti della zona?). Oggi, oltre alla torre, si possono notare alcuni locali interrati, con feritoie, i resti di una cisterna (e forse di un magazzino in cui venivano ovviamente conservate le provviste) ma è certo che il luogo era arricchito anche dalla presenza di un oratorio di cui resta la traccia più evidente e significativa a poche centinaia di metri; infatti nella località di Casaleno (o Casalino), varcata la soglia della graziosa, quattrocentesca chiesetta dedicata a san Pietro Apostolo, si trova la statua lignea, trecentesca, della Madonna del Buon Consiglio. Un simulacro al quale i fedeli di tutta la zona sono molto legati e che in origine si trovava proprio nell’oratorio della "Torre dei Marchesi".

Fonti: testo di Paolo Panni su http://www.emiliamisteriosa.it/2015/05/il-misterioso-quadrilatero-della-val.html, testo di Le Visite Insolite su https://www.facebook.com/levisiteinsolite/posts/torre-di-grotta-o-torre-dei-marchesi-prfoto-scattate-a-inizio-2020un-altro-pitto/3076832582361791/?locale=ar_AR

Foto: la prima è di Le Visite Insolite su https://www.facebook.com/photo/?fbid=3076753759036340&set=pcb.3076832582361791&locale=ar_AR, la seconda è di Carlo Raineri su https://www.tourer.it/scheda?torre-dei-marchesi-grotta-aiola-pellegrino-parmense

lunedì 22 gennaio 2024

il blog si concede una pausa

Cari amici, 

per impegni personali non potrò parlarvi di nuovi castelli per qualche giorno, ci rivediamo la prossima settimana !!

Valentino


venerdì 19 gennaio 2024

Il castello di venerdì 19 gennaio



PELLEGRINO PARMENSE (PR) - Castello

La fortezza originaria fu innalzata a difesa del vicino borgo probabilmente nel 981, per volere di Adalberto di Baden, di stirpe obertenga, che fu investito del marchesato di Pellegrino dall'imperatore del Sacro Romano Impero Ottone II di Sassonia. I suoi due figli Umbertino e Bertoldo diedero origine all'importante casata dei Pallavicino. Nei secoli seguenti il castello fu conteso dai parmigiani e dai piacentini, che cercarono più volte di impossessarsene. Nel 1198 il cardinale Pietro Capuano, diacono di Santa Maria in Via Lata, si recò a Borgo San Donnino per pacificare i due fronti, ma durante il suo viaggio lungo la valle dello Stirone subì l'assalto da parte di Guglielmo Pallavicino, che lo spogliò di tutte le sue sostanze; il ricco bottino consentì al marchese di ricostruire completamente il maniero, che da allora fu a lungo considerato inespugnabile. Il marchese Oberto II Pallavicino, feroce condottiero ghibellino, sottomise i guelfi parmigiani che, impossibilitati a impadronirsi della fortezza, furono costretti a riconoscergli una pensione di 1000 lire imperiali, ma non gli risparmiarono l'attacco e la distruzione nel 1267 del castello di Ravarano, anch'esso di sua proprietà. Nel 1304 il maniero, all'epoca appartenente a Manfredino Pallavicino, fu attaccato da Francesco Scotti, signore di Piacenza, che, aiutato da Ghiberto da Correggio e dalle truppe del Comune di Parma guidate da Nicolò Fogliani, cinse per 15 giorni d'assedio il fortilizio, che resistette, per poi ripiegare sulla rocca di Belvedere, che fu distrutta. Nel 1307 in seguito alla ribellione di Pellegrino e Bardi all'autorità di Alberto Scotti, il signore di Piacenza attaccò i ribelli riuscendo ad avere la meglio su Bardi, Borgotaro e Castell'Arquato; soltanto Pellegrino fu in grado di contrastare ogni assalto, causando la ritirata dei piacentini. Il castello perse la sua fama di inespugnabilità nel 1428, quando fu assaltato dalle truppe del duca di Milano Filippo Maria Visconti, guidate dal capitano di ventura Niccolò Piccinino; il marchese Manfredo Pallavicino fu arrestato e costretto sotto tortura a confessare di aver congiurato contro il duca, che lo condannò a morte. Nel 1438 il feudo di Pellegrino, ridotto a contea, fu assegnato al Piccinino, che fortificò la rocca estendendo la cinta muraria per comprendervi anche le case e la chiesa del borgo; al conte succedettero i figli Francesco e Jacopo. Nel 1449 il condottiero Alessandro Sforza conquistò il castello, che nel 1472 fu acquistato da Gabriella Gonzaga, moglie di Corrado Fogliani, fratello per parte di madre del duca Francesco Sforza; il duca Galeazzo Maria Sforza elevò nuovamente a marchesato il feudo di Pellegrino, per assegnarlo al cugino Lodovico Fogliani, al quale concesse la facoltà di aggiungere al proprio il cognome Sforza. L'ultimo marchese Giovanni Fogliani Sforza d'Aragona, dal 1755 viceré di Sicilia, nel 1759 rinunciò ai propri feudi in favore di Federico Meli Lupi di Soragna, figlio di sua sorella; il marchesato passò alla sua morte al figlio Carlo, che nel 1805 fu costretto ad abbandonare Pellegrino a causa dei decreti napoleonici relativi all'abolizione dei diritti feudali. In seguito il maniero passò alla famiglia Boccoli, che lo rivendette nel 1817 ai Pettenati; i loro discendenti durante la prima guerra mondiale alienarono il castello, che, spogliato di ogni arredo, fu utilizzato come falegnameria. Durante la seconda guerra mondiale la fortezza fu requisita dai tedeschi, che la utilizzarono come torre d'avvistamento e alloggiamento per le armate. In seguito il maniero passò di mano più volte; a Carlo Raggio seguirono dapprima i Bottego e successivamente i Tomelleri, che ne avviarono i primi importanti interventi di restauro; dopo il 1990 fu acquistato dall'imprenditore Camillo Catelli, che completò i lavori recuperando anche la cappella e la torre e arredò con mobili antichi le sale. Il castello si sviluppa sulla vetta di un colle innalzandosi su un alto corpo a pianta rettangolare, affiancato sullo stretto lato est da un torrione quadrangolare; all'esterno si elevano alcuni tratti della cinta muraria, anch'essa articolata su un impianto rettangolare, in origine caratterizzata dalla presenza, in corrispondenza degli spigoli, di quattro torri cilindriche, di cui si conservano intatte solo quelle sul fianco est. Le austere facciate in pietra sono caratterizzate dal marcato andamento a scarpa degli spessi muri ai primi livelli e dalla presenza di un numero limitato di piccole finestre, a testimonianza del forte carattere difensivo del maniero; sulle fronti sono inoltre visibili alcune bifore chiuse, mentre lungo il perimetro sommitale del corpo principale sono distinguibili gli antichi merli accecati. All'interno, oltre alle numerose sale arredate con mobili d'antiquariato, sono presenti gli antichi ambienti di servizio e le prigioni, tra cui la cella in cui fu torturato e ucciso per strangolamento l'ultimo marchese Manfredo Pallavicino. Il castello è noto per ospitare il presunto fantasma della Dama bianca, che sarebbe stato avvistato per la prima volta nel 1827, come riportato nei documenti ufficiali ancora oggi esistenti. Dopo le prime manifestazioni dello spettro vestito con un manto bianco, testimoniate sotto giuramento da alcuni abitanti del borgo, la notizia si estese velocemente in tutto il ducato di Parma e Piacenza e cominciarono a giungere a Pellegrino sempre più curiosi dall'intero Stato, per raccogliersi attorno al maniero e assistere alle apparizioni, che avvenivano sempre fra le 18,15 e la mezzanotte; per un certo periodo si contarono in media 300 visitatori al giorno, ma il fenomeno dopo qualche tempo iniziò a infastidire le autorità governative, che decisero di inviare sul posto un corpo di Dragoni Ducali, con lo scopo di impedire ogni forma di assembramento; in seguito al loro arrivo le pubbliche apparizioni della Dama bianca cessarono completamente. Oggi l'edificio è di proprietà privata ed utilizzato come dimora, perciò non sono fissati giorni ed orari di apertura al pubblico. Tuttavia, viene tradizionalmente aperto per visite guidate gratuite in occasione della Fiera del Parmigiano-Reggiano di Montagna, che si svolge ogni anno durante il terzo fine settimana di luglio. Altri link per approfondimento: https://www.comune.pellegrino-parmense.pr.it/servizi-informazioni/il-castello-di-pellegrino-parmense (allegati pdf), https://www.preboggion.it/Castello_di_Pellegrinoparmense.htm, https://www.castellidellavalceno.it/category/castelli/castello-pellegrino-parmense/

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Pellegrino_Parmense, https://www.comune.pellegrino-parmense.pr.it/servizi-informazioni/il-castello-di-pellegrino-parmense

Foto: la prima è di arzan su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/117689, la seconda è una cartolina della mia collezione

mercoledì 17 gennaio 2024

Il castello di mercoledì 17 gennaio



SUMMONTE (AV) - Torre Angioina

Nell'attuale centro storico, in posizione dominante sulla valle, sorgeva un fortilizio con il nome di Castrum Submontis (il toponimo sottintende tra sub e montis il termine “radicibus”, in quanto la preposizione latina su, come si sa, regge l'ablativo e non il genitivo) che aveva la funzione di difesa di Abellinum lungo la via antica, che nel medioevo ebbe il nome di campanina, il cui percorso era sostanzialmente quello dell'attuale strada provinciale (fino a poco tempo fa statale 374 di Summonte) che collega Avellino alla Valle Caudina. I Longobardi occuparono il territorio con le loro famiglie ed erano estremamente diffidenti verso la popolazione locale. Preferivano vivere in quartieri separati e ben protetti, cosicché il fortilizio di Summonte, già esistente, rappresentò il luogo ideale per una sicura dimora. Una volta insediatisi, adattarono la fortificazione alle loro esigenze, ampliandola e rafforzandola con la costruzione di una torre, che, a differenza di tutte le altre costruite dai Longobardi nel ducato di Benevento, ebbe base circolare e non quadrata, probabilmente in dipendenza della sua posizione dominante ed isolata. Nel 1138 il Castello fu assediato dalle truppe normanne durante la lunga guerra che vide contrapposti il conte Rainulfo di Avellino e Ruggiero II il Normanno, con quest'ultimo che conquistò Summonte. Verso la fine dell'XI secolo d.C., Summonte fu concesso in feudo ai Malerba, una famiglia franca al seguito dei Normanni ed il castello con la torre divenne la residenza del feudatario. Il Castello fu notevolmente ampliato con la costruzione di abitazioni per i servi e per i soldati e di una chiesetta, fino a costituire un borgo interamente murato, con ingresso principale dall'attuale arco San Nicola. Nel periodo Angioino il castello ebbe il suo assetto definitivo e la torre fu ristrutturata, fino ad assumere la forma tipica delle torri di detto periodo, riscontrabile nel rudere preesistente ai recenti lavori. I rilievi aerofotogrammetrici a raggi infrarossi effettuati nel giugno 1980 da esperti incaricati dal Comune hanno consentito di avere un quadro abbastanza fedele del preesistente castello: al centro di esso si ergeva la maestosa torre, dalla cui sommità era possibile sorvegliare l'intera zona. In caso di necessità essa serviva da rifugio per l'estrema difesa. Il castello era circondato da una prima fila di mura perimetrali con quattro capisaldi, che suddividevano le mura in altrettanti tratti, ciascuno lungo una cinquantina di metri. A valle, oltre l'anzidetta cinta di mura, in corrispondenza del caposaldo a sud-est della torre, vi erano delle formazioni murarie a semicerchio. Questa seconda cinta di mura rendeva molto difficile l'accesso agli eventuali aggressori e l'assalto alle difese fisse del castello, anche per la condizione naturale del terreno, che si elevava letteralmente a picco, era, se non impossibile, estremamente arduo. Al di sotto ed intorno alla torre vi erano cisterne, depositi e riservette varie, che permettevano di resistere anche ad un lungo assedio. Angusti e tortuosi corridoi sotterranei permettevano agli assediati di effettuare i collegamenti necessari in condizioni di sicurezza. La torre era priva di accesso diretto dall'area circostante. Esisteva un solo varco, sopraelevato rispetto al piano di campagna, e lo si poteva raggiungere solo a mezzo di funi o scale mobili. La torre era a due piani, divisi da solai di legno, comunicanti tra loro a mezzo di scalini ricavati dallo spessore del muro perimetrale. Forse al di sotto di essa, nella parte interrata, vi era un passaggio sotterraneo molto stretto che la collegava agli accennati corridoi. È storicamente certo che nel castello, quando il feudatario era Roberto Malerba, fu rinchiuso, per ordine di Federico II il cavaliere lombardo Obertino da Mondello, fatto prigioniero nella battaglia di Cortenuova (22 novembre 1237) e che vi fu ospitato, nel marzo del 1440, quando il feudatario era Ottino Caracciolo, Renato d'Angiò, durante la sua sfortunata guerra contro Alfonso d'Aragona. La torre che fino a pochi anni fa si presentava come un rudere, è stata di recente restaurata recuperandone l’apparecchiatura muraria e ricostruendone i solai lignei fino all’ultimo livello, di cui si è trovata traccia. E’ costruita interamente in conci di pietra calcarea sbozzati e malta di allettamento a base di calce, sabbia mista a lapillo e pietra macinata. In origine il paramento esterno doveva essere interamente intonacato. I solai dovevano essere forse cinque ed avevano travi e tavolato in legno di castagno. Il volume di base della torre angioina, modellato a tronco di cono, non era di sezione circolare bensì ellittica, forse perché la costruzione aveva dovuto includere le strutture murarie di un mastio preesistente, supportato da uno sperone alto e massiccio sul lato nord-ovest. La ricomposizione della torre è stata effettuata studiando attentamente tutti i particolari costruttivi e riproponendo i materiali e le tecniche costruttive preesistenti, sia come mezzo di rimodellamento degli aspetti architettonici sia come mezzo di consolidamento della fabbrica. La torre, alta 16 metri, è caratterizzata da cinque piani, così suddivisi:

Piano terra: è in realtà una cisterna sottostante il primo vero livello della torre, essa risale al XIII-XIV secolo ed era utilizzata per la raccolta dell’acqua piovana.

Piano sopraelevato: vano soprastante la cisterna e ad essa collegata mediante un pozzo, probabilmente tale ambiente era destinato alla conservazione delle vettovaglie. Oggi il piano è stato pavimentato con tavolato di legno di castagno, supportato con struttura metallica e dotato di una botola di cristallo, il piano ha un accesso indipendente rispetto agli altri piani della torre e vi si accede attraverso una scaletta laterale in ferro e legno.·

Piano primo: vi si accede attraverso una scala esterna in muratura di conci di pietra sbozzata, semicircolare che si sviluppa lungo la parete esterna della torre, il piano è caratterizzato al suo interno da un pavimento in tavolato ligneo supportato da travi di legno lamellare posizionate sulle medesime riseghe delle strutture antiche, centralmente e presente una scala di legno lamellare con pedate lignee e balaustre di ferro, la scala si sviluppa per tutti i piani fino al terrazzo terminale. Lungo le pareti in conci di pietra calcarea sbozzata a vista sono presenti una serie di feritoie chiuse con infissi di legno, destinate essenzialmente all’illuminazione e all’aerazione dell’ambiente interno.·

Piano secondo: il piano ha le stesse caratteristiche del primo, con la sola differenza che è un po’ più ampio ed al posto delle feritoie per l’aerazione, presenta una sola apertura, una sorta di monofora ad arco policentrico, realizzata in scheggioni di pietra calcarea e chiusa da infisso di legno trattato a cera.

Piano terzo: il piano ha le stesse caratteristiche dei precedenti con la sola differenza che presenta sei monofore ad arco policentrico.

Terrazza: dalla terrazza è possibile godere di uno scenario panoramico eccezionale, ad essa vi si accede dalla scala tramite un lucernaio, in legno vetro e struttura metallica, il pavimento è rivestito con gres porcellanato ad effetto legno, antigelivo ed antiscivolo perimetralmente è presente un parapetto in apparecchiatura muraria di conci di pietra sbozzati e bauletto di coronamento in schegge di pietra.

L’intera struttura è fornita di un impianto elettrico autonomo caratterizzato da faretti e punti presa distribuiti per ogni piano. L’impianto è stato realizzato secondo tutte le norme di sicurezza vigenti in materia. Gli infissi sono in legno di castagno rinforzato con caratteristiche estetiche tipiche delle forme medioevali. Altri link proposti: https://www.youtube.com/watch?v=WNnyAzbVi3k (video di Tesori d'Irpinia), https://www.youtube.com/watch?v=8k0XCDNTUGk (video con drone di Salvatore Diana), https://www.youtube.com/watch?app=desktop&v=LbemAjpIDVM (video di Filippo Cannata)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Summonte, https://comune.summonte.av.it/area-castellare/torre-angioina/, http://www.castellidirpinia.com/summonte_it.html

Foto: la prima è di Citterio su https://it.wikipedia.org/wiki/Summonte#/media/File:Torre_di_Summonte.JPG, la seconda è presa da https://comune.summonte.av.it/area-castellare/torre-angioina/

venerdì 12 gennaio 2024

Il castello di venerdì 12 gennaio



VAIANO (PO) - Torre di Melagrana

E' un'antica torre d'avvistamento militare che sorge sulle pendici occidentali della Calvana, e faceva parte di un sistema di difesa della vallata insieme alle antiche torri di Casanera, Le Mura, San Gaudenzio, Badia di Vaiano e, probabilmente, anche al perduto castellare di Bibbiano. Non è facile capire chi abbia voluto la costruzione della torre e a chi sia appartenuta nel corso dei secoli, in quanto non è rimasto nessun documento archivistico che ne faccia riferimento. Data la sua posizione, si può ipotizzare che fosse una postazione strategica per il controllo degli insediamenti situati lungo la viabilità che dal fiume Bisenzio raggiunge il Passo della Croce, punto di transito fondamentale per arrivare nel Mugello. Un’ipotesi plausibile è che la torre potesse appartenere, assieme ad altre strutture fortificate in località Le Mura, alla famiglia di un certo Bartolo di Vito. Questi era un ghibellino di parte bianca che fu cacciato da Firenze e venne a rifugiarsi nel territorio di Sofignano tra la fine del XIII secolo e l'inizio del XIV secolo. La funzione militare del forte non deve essere durata a lungo e, secondo gli studi effettuati dai Laboratori Archeologici San Gallo, sembra che nel 1300 la torre sia stata convertita in colombaia. A conferma dell'ipotesi si sa che Bartolo di Vito venne condannato ad inizio secolo ad abbattere le sue fortificazioni, nel tentativo di regolamentare l'incisione ghibellina sul territorio; inoltre è documentata la presenza di colombaie nella zona di Sofignano nello stesso periodo. Attualmente l’edificio, in alberese, ha una pianta rettangolare di 6.20x5.30 m ed è alto circa 8 m, divisi in quattro “piani”, deducibili per la presenza delle riseghe. La prima fila di buche pontaie si trova a un paio di decine di centimetri dal terreno e questo permette di affermare che la torre doveva essere più alta. Inoltre, a suggerire la presenza di almeno un altro metro di interro, sappiamo che tradizionalmente nelle torri fortificate l’entrata si trovava ad un’altezza di circa 7 metri per permettere una miglior difesa; solo in seguito, quando cessava l'attività militare, gli ingressi venivano modificati per essere più comodi. Questo fu probabilmente il caso della Torre di Melagrana, che ad oggi ha un portale d'accesso a livello del terreno.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Torre_di_Melagrana, https://www.pratoturismo.it/it/cosa/luoghi-da-vedere/rocche-e-fortificazioni/torre-di-melagrana/

Foto: entrambe del mio amico (e inviato speciale del blog) Claudio Vagaggini

giovedì 11 gennaio 2024

Il castello di giovedì 11 gennaio



RIVERGARO (PC) - Castello in frazione Montechiaro

Il castello è uno dei più suggestivi del piacentino, sia per la posizione a dominio della media Val Trebbia, sia per il bel parco che lo circonda, sia per l'originale architettura. Citato come castrum Raglii, dal nome della limitrofa frazione di Rallio di Montechiaro, all'interno degli Annali Piacentini, fu probabilmente realizzato intorno alla metà del XII secolo ad opera della famiglia Malaspina, casata per la quale il forte svolse certamente il ruolo di caposaldo lungo la direttrice verso la pianura. Fattori che fanno propendere per un'edificazione malaspiniana sono elementi stilistici riconducibili a maestranze provenienti dalla Lunigiana, all'epoca fulcro dei domini della famiglia; il castello rimase ai Malaspina fino al XII secolo. L'edificio fu distrutto nel 1234 da parte dei populares piacentini, che già avevano precedentemente attaccato altri castelli della valle, tra i quali Rivergaro e Pigazzano, poiché al suo interno si erano rifugiati i nobili fuggiti dalla città di Piacenza. Nel 1251 il forte subì l'occupazione da parte del podestà di Cremona Uberto Pallavicino, sostenuto da diversi esponenti di area ghibellina. Ancora nel 1312 il castello è citato come rifugio per nobili ghibellini, mentre l'anno successivo subì un infruttuoso assalto da parte di Galluccio Fulgosio. Con un atto notarile del 7 luglio 1324 l'edificio fu ceduto alla famiglia Anguissola da parte della casata dei Quattrocchi. L'abate A. Corna nel volume "Rocche e castelli del piacentino" riferisce un episodio databile al 1374, anno in cui un altro Fulgosio tentò inutilmente di occupare il castello difeso da Riccardo Anguissola. Questi peraltro seppe bene tenere a bada gli assedianti, anzi, durante le frequenti sortite, catturò pure molti prigionieri che poi fece precipitare dall'alto delle mura. In seguito, la disputa per il suo possedimento tra le famiglie Anguissola e Fulgosio venne sanata con il matrimonio tra due membri delle due casate. Nel 1377 Lancillotto Anguissola cedette il castello a Giovanni Anguissola; otto anni più tardi il castello, difeso da Annibale Anguissola, fu espugnato dai ribelli nemici del signore di Milano Gian Galeazzo Visconti. Nel 1462 Onofrio Anguissola si asserragliò nel castello dopo essersi ribellato al duca di Milano Francesco Sforza ed essere stato sconfitto in battaglia nei pressi di Grazzano Visconti; le truppe fedeli al duca riuscirono a catturarlo grazie al tradimento del fratello Gian Galeazzo Anguissola, desideroso di guadagnarsi le simpatie del duca. Scrive il Corna: "Il disgraziato, dopo dodici anni di prigionia, fu decapitato nel 1474 nella Rocca di Binasco". Dopo la morte di Gian Galeazzo, la proprietà del castello fu divisa in due tra i figli naturali di questo e i fratelli Filippo Maria e Antonio, esponenti del ramo di Podenzano degli Anguissola. Nel 1635 il forte, praticamente indifeso e popolato unicamente da donne e bambini, fu occupato da una banda di banditi bobbiesi che avevano disceso la vallata; la loro occupazione, tuttavia, durò un'unica giornata poiché il giorno successivo essi furono cacciati da parte di una milizia proveniente da Villò posta sotto il comando del conte Girolamo Anguissola e del conte Pier Maria Zanardi Landi di Veano. Il maniero rimase tra le proprietà della famiglia Anguissola fino al 1652 quando Gerolamo III Anguissola vendette l'edificio, all'epoca in precarie condizioni di conservazione, al cavaliere genovese Bernardo Morando in cambio della somma di 197.800 lire, 1 soldo e 11 denari. Passato al figlio Gian Francesco nel 1656 dopo la morte di Bernardo, l'edificio venne restaurato e adattato alle necessità dell'epoca. Nel 1662, alla scomparsa senza eredi di Gian Francesco, il forte venne ereditato da Morando Morandi, che conservò la proprietà dell'edificio e del feudo per 44 anni. Sotto il dominio di Morando nelle vicinanze del castello venne costruito un ponte sul fiume Trebbia, poi crollato all'inizio del XVIII secolo, e fu avviato lo sfruttamento dell'olio di sasso, ovvero delle vene petrolifere presenti nella zona, delle quali si era in precedenza interessato anche il fratello. Intorno al 1770 venne ulteriormente rimaneggiato con l'obiettivo di trasformarlo in residenza signorile. La famiglia Morando mantenne il controllo sul castello fino al 1841 quando, a seguito della dipartita del conte Luigi Morando, i beni famigliari passarono alle cinque figlie della sorella Teresa, la quale aveva sposato il marchese Antonino Casati Rollieri. Nella divisione dei beni il castello fu assegnato a Luigia Casati, consorte del conte Pavesi di Pontremoli. Deceduti anch'essi senza eredi diretti, il castello pervenne ad Antonino Giovanni Casati, cugino di Luigia. Nel Novecento, con la morte del marchese Giovanni Casati, il castello, per volere testamentario della moglie Imelde Anguissola Scotti, passò al nipote di Imelde, il professor Ranieri Gagnoni Schippisi. Acquistato nel 1990 da parte della famiglia Gattegno, l'edificio venne successivamente sottoposto a importanti lavori di restauro. Esso si caratterizza per la presenza centrale del dongione nel centro del cortile, la cui forma è dettata dalla morfologia del luogo in cui sorge l'edificio. La torre (nella quale si asserragliavano il feudatario e il presidio nei casi disperati per tentare di salvarsi dagli assalitori) presenta sulla sua sommità merli ghibellini, mentre nella parte inferiore si trova una piccola finestra dotata di voltino monoblocco realizzata in pietra, indice di una costruzione duecentesca. La prima cerchia muraria, dotata di cammino di ronda, è alta 15 metri e presenta una forma esagonale irregolare. Diverse costruzioni sorte successivamente, in prevalenza con funzioni abitative, si trovano addossate a questa cinta. Sul fronte nord-occidentale si trova quella che era originariamente la dimora signorile, poi in seguito riadattata a magazzino: all'interno di questo corpo si trova un grande salone decorato con tappezzerie riportanti lo stemma della famiglia Anguissola, mentre in un'altra sala, probabilmente utilizzata come oratorio, si trova un affresco rinascimentale opera di ignoti raffigurante la Madonna. Nei sotterranei si trovavano le prigioni, sui cui muri sono visibili diverse incisioni e graffiti tra cui un canto liturgico dedicato alla Resurrezione di Cristo. Esternamente alla prima cinta muraria si trova la seconda, che presenta una forma ellittica. L'unico ingresso di questa cerchia si trova sul fronte sud-occidentale ed era inizialmente dotato di ponte levatoio. A una trentina di metri di distanza si trova la terza ed ultima cinta, la quale, in condizioni di conservazione peggiori rispetto alle altre due, presenta un andamento poligonale che segue la morfologia della collina. Sotto la porta di accesso del castello si trovava un bassorilievo in arenaria, noto come "benvegnu", rappresentante i proprietari del castello nell'atto di accogliere gli ospiti con la seguente frase in lingua volgare: «Signori vu sie tuti gi ben vegnù e zesscun ghe verà serà ben vegnù e ben recevù». Il bassorilievo, custodito ai musei civici di Piacenza, presso palazzo Farnese è una delle prime testimonianze scritte in lingua volgare e risale probabilmente alla prima parte del XIV secolo. L'iscrizione presente sul bassorilievo è simile ad una, risalente al 1330, presente nel castello di Vigolzone, anch'esso di proprietà della famiglia Anguissola in epoca medievale. Altri link suggeriti: https://www.preboggion.it/Castello_di_Montechiaro.htm, https://web.archive.org/web/20060605143434/http://pcturismo.liberta.it/asp/default.asp?IDG=37370, https://www.tourer.it/scheda?castello-di-montechiaro-montechiaro-rivergaro

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Montechiaro_(Rivergaro), https://web.archive.org/web/20211222130925/http://www.comune.rivergaro.pc.it/cultura/monumenti/montechiaro.html

Foto: la prima è presa da https://www.piacenzasera.it/2012/02/il-castello-di-montechiaro/19985/, la seconda è una cartolina della mia collezione

mercoledì 10 gennaio 2024

Il castello di mercoledì 10 gennaio



VIGLIANO BIELLESE (BI) - Castello di Montecavallo

Una casaforte è attestata sul territorio di Vigliano Biellese fin dal XIII secolo. Sulle sue rovine è stato edificato il Castello di Montecavallo per volere di Filiberto Avogadro di Collobiano nel 1830. Filiberto Avogadro, incaricato dalla regina Maria Cristina di Savoia di seguire i lavori di restauro dell'abbazia di Altacomba, restò incantato dallo stile neogotico ed incaricò l'architetto Dupuy di costruire il castello inglobandone la torre preesistente. Oltre alla torre, appartenevano alla famiglia i terreni circostanti che venivano coltivati principalmente a vigna e che sono stati ripianatati negli anni '70 del Novecento. Il Castello, un edificio a pianta quadrata ai cui angoli si ergono massicce torri merlate, è un esempio caratteristico dello stile neogotico, che nel Biellese è testimoniato in modo ampio a Rosazza. La costruzione sorge in luogo di un maniero ben più antico, di cui ora non c’è più traccia. I signori del castello, gli Avogadro di Valdengo, vengono già citati in antichi documenti risalenti al Quattrocento. Nella struttura attuale si segnala la cappella, dedicata a San Filippo, collegata al castello con un passaggio coperto, in cui sono conservate importanti sculture. Nel corpo del maniero, al secondo piano, è collocata un’ importante biblioteca nella quale figurano i ritratti dei nobili Avogadro. Il castello appare come un blocco compatto di quattro piani, con basse torri angolari. Accanto ad esso vi è una lunghissima galleria con volte a crociera e la Cappella di San Filippo, le cui volte raffigurano un cielo trapunto di stelle. La galleria vetrata collega il castello ad un altro blocco, ora utilizzato per agriturismo, cantine e camere di charme. La ghiacciaia interrata dove si conservava il ghiaccio nella stagione calda, è a sezione circolare ed è per dimensione e conservazione tra le più notevoli del Biellese. Sulla cima della collina, il complesso comprende giardino, parco, bosco e vigneti. Altri link suggeriti: https://castellodimontecavallo.it/storia/#castello, https://vimeo.com/227961216 (video di Matteo Cuzzola)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Vigliano_Biellese, https://comune.vigliano.bi.it/it-it/vivere-il-comune/cosa-vedere, https://www.dimorestoricheitaliane.it/dimora/castello-di-montecavallo/?lan=it, https://www.atl.biella.it/vedere-dettaglio/-/d/castello-di-montecavallo

Foto: la prima è presa da https://www.movimentolento.it/it/resource/accomodation/castello-di-montecavallo/, la seconda è presa da https://comune.vigliano.bi.it/it-it/vivere-il-comune/cosa-vedere/castello-di-montecavallo-1624-1-be36928ba151a910a5b8dc8a85f4d269

martedì 9 gennaio 2024

Il castello di martedì 9 gennaio



PALERMO - Porta dei Greci

La porta, posta in piazza Kalsa nel cuore del quartiere della Kalsa, tra i bastioni del Tuono e di Vega, venne edificata nel XIV secolo nei pressi della chiesa di San Nicolò dei Greci (volgarmente detta chiesa di San Nicolò la Carruba), ma presto venne distrutta e riedificata nel 1553 ispirandosi allo stile architettonico della Porta di Castro. Nel lungo contesto delle Guerre del Vespro, Federico III d'Aragona con la nascita del primo figlio maschio Pietro, associò quest'ultimo al trono e lo designò erede, contravvenendo ai patti stipulati (restituzione alla sua morte della Sicilia alla Casa d'Angiò), violando di fatto la Pace di Caltabellotta. Nel 1316 insieme a Porta Termini subì gli assalti dell'esercito di re Roberto d'Angiò al comando di Tommaso Marciani, assalto che fu eroicamente respinto. Presso questa porta Carlo d'Angiò, duca di Calabria, nel 1325 guidò gli scontri che coinvolsero altri tre accessi cittadini. La guerra tra Napoli e Palermo durò fino al 1372, quando la Pace di Catania e il Trattato di Avignone sancirono e riconobbero definitivamente l'indipendenza della Sicilia, in cambio di un congruo risarcimento a favore degli Angiò. In contrapposizione a Porta Nuova che ad occidente magnificava la Conquista di Tunisi, a oriente Porta de' Greci tesseva le lodi per l'impresa di Mahdia. Nel 1550 dopo essere sbarcato dall'ennesima campagna in terra tunisina contro il corsaro Dragut, attraverso questa porta effettuò l'ingresso trionfale Giovanni de Vega, viceré di Sicilia. Come bottino di guerra furono condotte a Palermo le porte di ferro della città conquistata, manufatti che furono installati nel 1556. L'orgoglio per tale impresa dettò la consuetudine d'arricchire i varchi con frasi commemorative. Il Senato Palermitano invitò a celebrare in versi Antonio Veneziano, iscrizione e architetture decorative non più esistenti al presente. Nel 1580 il viceré Marcantonio Colonna, negli ambienti adiacenti vi fece trasferire i collettori delle gabelle ovvero gli esattori delle imposte da Porta Termini. L'intradosso era affrescato con sacre immagini realizzate da Giovanni Fernandez da Navarra, detto il Navarretto. La prima rivoluzione architettonica avvenne nel 1754 con la demolizione di uno dei bastioni che la incorniciavano, mentre l'altro fu demolito nel 1783. In questo periodo la porta venne spostata più verso il mare seguendo il nuovo perimetro murario e sopra di esso venne edificato intorno al 1840 il Palazzo Forcella De Seta dagli architetti Nicolò Puglia e Emmanuele Palazzotto. Sul lato mare la porta è decorata con un motivo a bugne che accentua il chiaroscuro, nella decorazione troviamo anche delle colonne con relativi capitelli. Sull'architrave invece troviamo festoni di fiori e frutta e delle figure umane sdraiate. In origine erano anche presenti un'iscrizione ed un'aquila a due teste, ornata di corona imperiale, recante sul petto lo stemma dell’imperatore Carlo V, opera dello scultore Fazio Gagini. Tale aquila venne successivamente rimossa e posta nella facciata dell’edificio del Monte di Pietà. Analogamente furono tolti due stemmi che adornavano il prospetto esterno, recanti le armi del vicerè del Vega e l’aquila palermitana; dal prospetto interno venne anche tolta un aquila marmorea ad ali spiegate. Quest’aquila è quella che si trova attualmente collocata nel cortile maggiore del Museo Nazionale di Palermo. Il lato interno della Porta, invece, è quasi del tutto privo di decorazioni. Porta dei Greci è legata alla celebre processione fatta nel 1625 a seguito del ritrovamento delle ossa di S. Rosalia sul Monte Pellegrino. Il lungo corteo di popolo, uscito da Porta Felice, rientrò da quella “dei Greci” e analoga manifestazione avvenne nel centenario del 1724. Sulla porta sorgeva il cosiddetto “casino del principe della Cattolica” che, nei moti del 1820, fu quasi interamente distrutto dalle artiglierie delle barche cannoniere siciliane. Nel 1832 esso venne acquistato dal Marchese Ernico forcella il quale lo fece ricostruire con architetture e decorazioni eclettiche, di gusto non sempre accettabile. Il palazzo che rimase in parte incompleto a causa di una lunga lite con le monache del vicino monastero di Santa Teresa che non volevano che le nuove fabbriche togliessero la vista del mare dall’alto della loggia che sormontava il monastero stesso, fu acquistato in seguito dai principi di Baucina e successivamente dal marchese De Seta. Con quest’ultimo nome è comunemente conosciuto. Altri link suggeriti: https://carapalermo.com/2022/03/14/porta-dei-greci-alla-kalsa-la-prima-saracinesca-della-storia/, https://www.youtube.com/watch?v=EQkhQl0fg0o (video di Quotidiano di Palermo)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Porta_dei_Greci, https://turismo.comune.palermo.it/palermo-welcome-luogo-dettaglio.php?tp=68&det=17&id=287, https://liceocannizzaropalermo.edu.it/leportedipalermo/le-porte/porta-dei-greci/

Foto: la prima è presa da https://www.lasiciliainrete.it/directory-tangibili/listing/porta-dei-greci/, la seconda è presa da https://www.palermoviva.it/i-luoghi-storici-della-kalsa-mandamento-tribunali/piazza-kalsa-porta-dei-greci-pw/

lunedì 8 gennaio 2024

Il castello di lunedì 8 gennaio



ROMA - Torre delle Cornacchie

Sorta su di un piccolo poggio all'altezza del km 15 della via Cassia, fu edificata nel XI secolo. Era l'avamposto che vigilava su Roma per i pericoli che arrivavano da Nord. La torre delimitava a nord il complesso dei due borghi, “Vetus” (Casale della Spizzichina) e “Novus” (Casale della Castelluccia) costruiti nel Medioevo. La sua funzione era quella di comunicare con tutte le vedette circostanti, giungendo probabilmente sia all’Aurelia a SO ed alla Flaminia ad E, e permetteva inoltre il controllo del passaggio dei pellegrini e dei viandanti che nel Medioevo si recavano a Roma, nei pressi della via Trionfale, provenienti soprattutto dalla Francia attraverso la via Cassia che in quest’epoca assunse il nome di “via Francisca” o “via Francigena”. Due chilometri prima infatti, all’altezza della località “La Storta”, le vetture postali sostavano per l’ultima volta, prima di iniziare il tratto che le avrebbe condotte alla città eterna, presso la stazione di posta per i cavalli tuttora esistente, anche se rimaneggiata, ai bordi della Cassia. Nel Medioevo la torre fu annoverata fra quelle fiscali, cioè tassata, proprio per il fatto di trovarsi sulla Cassia all’imbocco dell’antica “Trionfalis”, dove si dividevano i pellegrini diretti a S. Pietro dai viaggiatori che raggiungevano invece il Ponte Milvio: i primi erano esenti dal pagamento del pedaggio, cui erano invece obbligati i secondi. Costruita con i basalti divelti della originaria strada romana, ancora oggi sulle pietre della torre si possono notare i solchi dei carri e delle bighe. Nel 1300 circa fu colpita da un fulmine e acquisì un’aurea di mistero; si diffuse la leggenda che nel giardino fosse stato sepolto un tesoro, e che il fulmine volesse indicare il punto dove era stato seppellito. A partire dal 1929 l’allora proprietario Carlo Grazioli affidò all’arch. Lorenzo Cesanelli il compito di un completo restauro della torre, consistito principalmente nel ripristinare alcune finestre sia della torre che del casale, prospicienti la via Cassia, che erano state da tempo murate, e nel demolire la rampa costruita nel secolo XVIII, facendo così luogo alla scala originaria. Il restauro ha operato inoltre il rifacimento, già in atto, del ponticello di collegamento tra il lato di ponente e quello settentrionale, che si trovava in condizioni assai fatiscenti: fu completamente rifatto il grande ambiente al piano terra, ripristinato anche nelle sue aperture, ed il corrispondente vano al primo piano fu analogamente restaurato e fu meglio evidenziata l’antica cappa del camino, ancora visibile al lato nord. Anche la copertura fu completamente ripristinata. La torre é stata vincolata il 5 aprile 1938 ai sensi della legge n. 364 del 1909 sulla tutela delle antichità e belle arti. Altro link di approfondimento: https://www.torredellecornacchie.it/public/le_storie.pdf

Fonti: https://movio.beniculturali.it/mav/galleriadigerhardschwarz/it/49/torre-delle-cornacchie, testo di Rodolfo Bosi su https://www.vignaclarablog.it/2012091520098/cassia-torre-delle-cornacchie-o-delle-taccole/

Foto: la prima è presa da https://www.matrimonio.com/location-matrimoni/torre-delle-cornacchie--e298741, la seconda è presa da https://www.torredellecornacchie.it/