domenica 23 dicembre 2012

Sosta natalizia



Cari amici,
il blog si ferma per le feste di fine anno. Ci rivedremo dopo l'Epifania.
Colgo l'occasione per augurare a tutti voi un sereno Natale e un 2013 di ripresa !
Spero poi che aumentino le collaborazioni per preparare i nuovi articoli, già qualcuno ha gentilmente aderito...il blog è aperto a tutti :)

Il castello di lunedì 24 dicembre






MANIAGO (PN) – Castello patriarcale

Anticamente chiamato di Montegiardino, fu costruito come postazione di controllo e di pagamento delle tasse del patriarcato di Aquileia, dopo la conferma della donazione delle terre del feudo maniaghese a Rodoaldo (patriarca di Aquileia) da parte dell'imperatore Ottone II. La distanza tra tali terre e Aquileia non rendeva facile la loro amministrazione. Inoltre, con la formazione del grande feudo di Spilimbergo (che si estendeva, lungo il fiume Tagliamento, fino a Sbrojavacca), il consolidamento dei possessi sestensi nella Val Cellina, il possesso dell'Abbazia di Millstatt del territorio di Maniago Libero, l'insediamento dei Polcenigo a Mizza e dell'abbazia di Pomposa a Fanna, il piccolo feudo rischiava di subire un attacco in ogni momento. Era dunque necessaria la costruzione di un castello e soprattutto ricorrere a una "custoria", cioè a un "feudo di abitanza". Al finire dell’XI secolo esisteva già il castello di Maniago, ma non si conosce la data precisa della sua costruzione. Inizialmente fu eretto il mastio, ovvero la "Turris Magna", affiancato verso valle dalla "domus d. Patriarche"; quest'ultimo edificio cambiò nome in "domus magna" dopo che fu assegnato ai primi "habitatores" nobili, essendo stato costruito nel XIII secolo il Palatium, posto nel lato più a monte della corte accanto a una torre denominata "fracta" a causa dello stato in cui versava. Al centro della corte c'era la "Turris Alba" (torre bianca), con accanto un edificio denominato "casa de sotto". Accanto alla "domus magna" fu poi costruito un edificio a coronamento del portone d'ingresso, e in continuità di questo un ultimo edificio chiamato "casa de medio". Così finiva il primo giro di mura, e subito di fronte al castello si trovavano la chiesetta di San Giacomo, tuttora esistente, e il borgo del castello, oggi coperto da fitta vegetazione. Il castello, il borgo e la chiesetta erano circondati da una seconda cerchia di mura, completata dalla "Porta Castri", sormontata dalla "Torre della Porta". In questo punto si raccordavano la strada che scende all'attuale via Castello e il sentiero che termina alle spalle della chiesetta di San Carlo, anch'essa tuttora esistente. I possedimenti dei Signori Maniago erano così vasti che loro stessi ne diedero una parte in feudo di abitanza alle famiglie di Pinzano, Flagogna e ai fratelli Vidulino e Tussa. Queste famiglie possedevano terre e diritti sul feudo di Maniago in cambio della custodia e protezione che dovevano dare al feudo stesso. Il primo assedio al castello avvenne nel 1216 ad opera di Ezzelino II da Romano e di Vecellone da Camino, ma gli aggressori vennero respinti. Il 15 dicembre 1277 i Flagogna vendettero la loro parte del castello e i loro diritti vassallatici a Olvrando di Maniago, che successivamente costruì una sua dimora all'interno della prima cerchia di mura (normalmente individuata con la "domus de medio" per la presenza del cortiletto privato, indicato dalle fonti) per consolidare la propria posizione all'interno del feudo. Nel 1309 i Signori di Fanna attaccarono il castello per questioni di confini e per la proprietà di territori da utilizzare per il pascolo del bestiame; la difesa guidata dal conte di Montepace, comandante delle armi patriarcali, respinse gli assedianti con una sortita, mettendo in fuga Walterpertoldo di Spilimbergo e catturando Enrico di Prampero. Successivamente Olvrando si impegnò ad acquistare in varie cessioni i possedimenti dei Polcenigo e dei Pinzano. L’assedio del 1318 fu dovuto appunto alla volontà di estromettere i Pinzano dal castello. Nel 1319 Galvano, figlio di Olvrando, successe al padre e giurò fedeltà al capitano generale del Patriarcato. Egli inoltre, assieme al fratello Volveno, completò l'opera del padre, acquistando nel 1325 e nel 1326 le ultime proprietà dei Pinzano nel castello e nel feudo. Nel 1329 furono anche acquistati i possedimenti dei Varmo. Galvano infine riuscì a diventare proprietario di quasi tutto il fortilizio, inclusa la casa residenziale che nel 1333 il patriarca Bernando, considerandola “totaliter disrupta et destructa”, gli concesse in feudo di abitanza. Nel 1355 la chiesetta di San Giacomo entrò a far parte del complesso castellano. Essa é già ricordata nel 1291 quando, il 30 marzo, Benvenuta vedova di Odorico Folchero di Maniago lasciò in eredità sei soldi per la manutenzione. Rispetto al castello, che col passare dei secoli, tra incendi e terremoti, andò sempre più in rovina, la chiesa subì sorte diversa. Il passo successivo fu l’inglobazione nel feudo del territorio di Maniago Libero. Il monastero di Millstat non aveva però intenzione di cedere i propri possedimenti, amministrati dalla famiglia dei Flasberg. Perciò, per ovviare a questo problema, Volveno e Galvano acquistarono nel 1338 i diritti di avvocazia e il garitto esercitati da tale famiglia. L’acquisto fu consolidato dalla ratifica successiva dell’abate di Millstatt. Nel 1377 Nichilo, figlio di Galvano, ricevette per sé e i fratelli Bartolomeo e Rambaldo l’investitura del castello, del borgo, dei fortilizi, della torre, del girone e del palazzo patriarcale. Durante le lotte per la nomina a patriarca di Philippe d’Alencon, i signori di Maniago pagarono la fedeltà alla Lega friulana (in cui erano entrati nel 1385) subendo l’ennesimo assedio nel 1387; vennero infatti attaccati dalle truppe di Francesco da Carrara, ma nonostante l’utilizzo massiccio dell’artiglieria, il castello resistette. Si verificò in quegli anni anche un incendio provocato dall’incuria di una venditrice di focacce! Nel giugno del 1420 il maniero fu occupato dai Veneziani, e subito dopo Bartolomeo di Maniago giurò fedeltà alla Serenissima ricevendo in cambio l’investitura del feudo a vita. In occasione dell’invasione turca del 1467, vennero rinforzate le mura, ma dopo l’abbandono agli inizi del ‘500, e i terremoti del 1511 e del 1575 iniziò il declino del fortilizio. I Signori andarono ad abitare nei palazzi che si erano costruiti ai piedi del colle degli olivi e in piazza. Nel 1630, con la morte di una vecchia signora che non aveva voluto trasferirsi altrove, il castello restò definitivamente disabitato. Nel 1976 in Friuli un forte terremoto ha colpito anche la zona di Maniago, danneggiando gravemente le mura del castello. L’amministrazione comunale ha deciso di intervenire sulla zona del Colle degli Olivi per recuperare la struttura del castello. Il progetto prevedeva la sistemazione solo di alcune parti non essendo possibile per ragioni di spesa realizzare il recupero completo. Nel restauro l’attenzione maggiore venne prestata per i muri in pietra per cui venne scelta “la soluzione conservativa per le parti di maggior pregio; per gli altri muri si provvide alla loro ricostruzione sulle tracce dei muri già esistenti.” Oggi i maestosi ruderi castellani sono in buona parte avvolti dalla vegetazione.

Il castello di domenica 23 dicembre






AVIGLIANO UMBRO (TR) – Castello in frazione Toscolano

Sorge sulle pendici del monte Croce di Serra, in una splendida posizione panoramica, ed è immerso in una fitta vegetazione costituita per lo più da castagni. La sua ubicazione originaria, nei secoli trasformatosi in un grazioso borgo medievale, è da individuare nei ruderi di Toscolano Vecchia il cui nome derivava dalla gens Toscola. Il borgo nacque attorno ad un castello di origine duecentesca, costruito come avamposto di difesa verso il territorio tuderte, assieme alle vicine Melezzole e Santa Restituita. In seguito venne inglobato a Todi, come dimostra lo stemma (aquila) che campeggia sopra una delle porte di accesso. La fortezza venne poi ristrutturata nel 1442; è caratterizzata da una pianta urbana di tipo concentrica e da possenti mura circolari dotate di torrioni di difesa e avvistamento. In un messale storico nella chiesa di S. Apollinare è apposta la firma di Carlo VIII re di Francia, occupante del castello nel 1495.

venerdì 21 dicembre 2012

Il castello di sabato 22 dicembre






LEONFORTE (EN) – Palazzo Branciforti

Iniziato a costruire nel 1610, con maestranze romane e palermitane che lavorarono sotto la direzione dei tre capomastri ennesi Gianguzzo, Inglese e Calì, il suo completamento si protrasse per mezzo secolo. In posizione dominante il paese, fu la dimora del Principe fondatore Nicoló Placido Branciforti e della sua famiglia sino al 1850, quando l’ottavo ed ultimo Principe, Giuseppe Branciforti, lasciò per sempre la città per trasferirsi definitivamente a Parigi. Si presenta con una mole inconsueta e stupefacente per un centro agricolo di nuova fondazione. Ha pianta quadrangolare e tre elevazioni, è dotato di ampio cortile interno quadrato e presenta una fila di finestre a piano terra e balconi simmetrici con mensole scolpite al primo piano. Elegante il manieristico portale a bugne (simile a quello del palazzo che il Principe possedeva a Palermo), con motivi figuranti sui pennacchi e sulle mensole del sovrastante balcone centrale, sul quale sono scolpite armi e trofei da guerra attribuite allo scultore romano Fabio Salviati. Il lato sud del Palazzo presenta due bastioni di fortificazione circoscriventi una villetta, realizzata nel 1878 dal Comune, che si affaccia sulla via Garibaldi e che ha come magnifico scenario la suggestiva zona storica della città. Internamente l’ampio cortile presenta al centro una profonda cisterna anch’essa di forma quadrata come l’intero complesso architettonico. Ai lati si aprono i magazzini, l'arsenale e altri ambienti. Sull' ala centrale, in corrispondenza del portone d'ingresso, si erge uno scalone di accesso ai due piani superiori del palazzo che costituivano la residenza del principe. Le sale di rappresentanza, di cui una che poteva accogliere circa 400 persone, sono decorate con pregevoli stucchi e sono state restaurate di recente. I sotterranei infine erano adibiti a magazzini per conservare l'olio e a carcere. Il deterioramento di questo edificio, purtroppo, è stato costante e progressivo nel tempo, sia all’interno che nel prospetto. Acquistato nell'Ottocento dai Conti Li Destri subì infatti diverse manomissioni, mentre un crollo negli anni Cinquanta ha irrimediabilmente cancellato l'ala est, oggi parzialmente ricostruita. Venne distrutta la galleria che collegava il Palazzo con la chiesa di S. Antonino, che fungeva da cappella palatina della famiglia Branciforti; con essa venne anche distrutto il giardino con alberi secolari per lasciare il posto ad un edificio scolastico. Nel 1980 si è provveduto al consolidamento del tetto, mentre nel 1988 è stato pavimentato il cortile interno con cotto a taglio. Il palazzo è stato sede di fastose mondanità documentate in testamenti ed altre scritture e ha ospitato illustri personalità tra cui Giuseppe Garibaldi che, tra il 15 e il 16 agosto 1862, da uno dei balconi parlò al popolo di Leonforte e Amedeo di Savoia, duca di Aosta, che nel 1923 si trovava a Leonforte per una battuta di caccia, ospite dell'amico Giovanni Scelfo ufficiale di artiglieria. Oggi, la parte ancora abitabile è di proprietà privata. Nel marzo del 2010 è stata attivata la nuova illuminazione artistica sulla facciata del glorioso palazzo.

Il castello di venerdì 21 dicembre





ELICE (PE) – Castello Castiglione

Elice è attestata nelle fonti sin dal secolo XI. Nel 1051 il monastero benedettino di S. Maria di Picciano aveva, per donazione di Bernardo di Penne, una cella detta di S. Martino "nel castello dell'Ilice soggetto". Il 10 luglio 1084, nel castello di Loreto, il conte Guglielmo Tassone donò il castello di Elice, con uomini, terreni, edifici e pertinenze, all'abbazia di S. Giovanni in Venere. Il castello, che nel 1168 aveva 264 abitanti, quale possesso dell'abbazia di S. Giovanni, era tenuto dal milite Guillelmo di Camarda; venne confermato il 16 giugno 1176 dal Papa e il 1° marzo 1195 dall'imperatore Enrico VI. Nel 1279 era feudatario di Elice Govitosa di Raiano, che potrebbe essere un erede di Bernardo. Nel 1284 erano signori del Castello Bertoldo e Pietro Stefano di Roma che, in tale anno, concessero all'Università di Elice di tenere il mercato tutti i lunedì purché non fosse di pregiudizio ai vicini e di dispendio allo stato. Nel marzo del 1292 gli atriani, con milizie francesi condotte da Matteo di Plexiac, assalirono contemporaneamente Elice e Cellino. Nel 1316 Elice era posseduta da Ingardo di Rillana che aveva anche la terza parte di Cellino. Nel 1388 era feudo di Antonio Brunforte che l'aveva ricevuto con l'assenso di Carlo III di Durazzo. A Penne pervenne per acquisto fatto dalla Città nel 1417 o 1418. Finita nelle mani di Giosia d'Acquaviva, il 31 ottobre 1438 la regina Giovanna II ordinò che fosse restituita alla Città di Penne che l'aveva acquistata da Petruzio de Rigerano. Nel 1461 il re Ferrante I d'Aragona concesse ai fratelli Baldassarre, Melchiorre, Gaspare ed Agamennone Castiglione, e ai loro eredi e successori, in perpetuum, il mero e misto impero e giurisdizione criminale nei loro feudi di Elice, Vestea e Castiglione. I Castiglione tennero in feudo Elice sino al 1806, quando furono emanate le leggi eversive della feudalità. Successivamente appartenne agli Impacciatore, famiglia di commercianti che avevano insediato ad Elice una fiorente fabbrica di ceramica, e ai Baroni famiglia di medici operanti fino al secondo dopoguerra. Pietro Baroni, che fu sindaco di Elice sino al 1893, anno della sua morte, impiantò nei locali del castello una fabbrica di terrecotte e di ceramiche. Ubicato alla sommità del paese il maniero crea un unico blocco con la chiesa parrocchiale. L’edificio, che si sviluppa planimetricamente secondo un rettangolo irregolare con i lati corti rivolti a Nord-Ovest e Sud-Est e quelli lunghi a Sud-Est e Sud-Ovest, copre un intero isolato. In ogni lato si sviluppa un corpo di fabbrica di spessore pressoché costante così da circoscrivere un cortile scoperto rettangolare che dà accesso sia ai locali a livello del cortile che ai piani superiori. La muratura è prevalentemente in laterizio, eseguita con la tradizionale tecnica a secco. L'edificio è a più livelli: piano a livello stradale dove si trovano alcuni ambienti parzialmente interrati dal terrapieno stradale - piano sopraelevato rispetto al livello stradale – primo e secondo piano costituenti la zona residenziale. Sul lato della piazza, sotto ai fondaci a sinistra entrando dal portone, c'è un dislivello col piano stradale superiore a tre metri. Sono stati condotti degli scavi nel 1987 ad opera del Comune per scoprire eventuali piani inferiori. Effettivamente risultano dei vuoti, in parte riempiti da terriccio e pietrame, antichi silos per derrate. Nei sotterranei di destra esistono cinque pozzi rivestiti in muratura, adibiti in passato a depositi di olio, grano e derrate varie, dati i frequenti assedi, carestie e periodi di isolamento. Anche la cisterna di raccolta delle acque piovane era indispensabile per i suddetti motivi. Anche sotto il cortile esistono locali riempiti di terra e rottami. Nel fondaco grande è stata trovata una gradinata che porta sotto il pavimento: non si è potuto procedere allo scavo per pericolo di frane (i vecchi del paese hanno sempre parlato di una galleria sotterranea che dal Castello attraversa la Piazza e termina nella campagna circostante). Il portale d’ingresso immette in un androne a volta ai lati del quale si aprono i locali adibiti una volta a cantine, stalle e alloggi della servitù e del corpo di guardia. Vi è una grande mangiatoia ben conservata e il locale del corpo di guardia dei "Bravi" con all'esterno una panca di pietra, impiegata non solo per il riposo e la sosta in servizio ma anche per facilitare il salire e scendere da cavallo. Le scalinate interne rientrano nella comune tipologia medievale, strette e con piccole feritoie tipiche dell’epoca. Dall'androne si passa nel cortile scoperto caratterizzato dal disegno della pavimentazione, formata da cinque cerchi concentrici posti a distanza regolare e collegati tra loro da due diametri corrispondenti alla circonferenza maggiore e da una serie di raggi incompleti posti a distanza regolare in modo da formare degli spicchi di uguale dimensione. Le circonferenze e i raggi sono realizzati in mattoni posti in opera a coltello mentre gli spicchi sono riempiti di ciottoli e terra: tale procedura la ritroviamo anche nel cortile coperto e nell'ingresso, con l'unica differenza che il disegno geometrico è caratterizzato da una maglia modulare rettangolare. Al primo piano, la cosiddetta “Galleria”, rimangono una cappella e un grande salone; sulla sommità un grosso terrazzo che si immette sull’ingresso. La cappella è un ambiente rettangolare, stretto e lungo, addossato alla Chiesa Madre, con piccole nicchie nel muro e tre grate di ferro dalle quali si poteva assistere ai riti religiosi La storia vuole che il castello di Elice abbia 99 stanze, numero molto ricorrente per l'Abruzzo in genere (si ricordi le 99 chiese dell'Aquila e la 99 cannelle), molte delle quali in perfetto stato di conservazione. Sotto la gradinata che porta al terrazzo superiore c'è un locale a cui si accede aprendo una grossa botola (pare servisse da nascondiglio o prigione per i briganti), mentre nei locali a destra del portone d'ingresso, dopo vari ambienti comunicanti, c'è un "trabocchetto", attualmente riempito di terra, dove con molta probabilità finivano gli ospiti indesiderati. ben poco è rimasto intatto dell'antico castello, se si escludono il bel torrione sulla piazza, la facciata Nord-Ovest, l'ingresso con il cortile e l'imponente struttura muraria che alla base raggiunge lo spessore di oltre un metro e mezzo. Fino a pochi anni fa il castello era aperto al pubblico e alcune stanze venivano utilizzate per la sagra della mugnaia. Purtroppo anche Elice ha riportato danni in seguito al terremoto de L'Aquila del 6/04/2009, con la conseguenza che l’edificio è stato chiuso in quanto inagibile.

giovedì 20 dicembre 2012

Il castello di giovedì 20 dicembre






CORIGLIANO CALABRO (CS) – Castello Sanseverino in frazione Cantinella

Rappresenta uno dei più significativi esempi di architettura rinascimentale in Calabria. Edificato nel 1515 da Bernardino Sanseverino, quattordicesimo conte di Corigliano e principe di Bisignano., sulle rovine di un preesistente monastero di origine medievale, si trova sulla statale 106, ai margini della fertile pianura coriglianese, in località Cantinella. E’ meglio conosciuto come Castello di San Mauro dal nome del torrente che scorre nella zona. Nel novembre del 1535, Piero Antonio Sanseverino e la sua prima moglie, Giulia Orsini, vi ospitarono il re di Spagna Carlo V, di ritorno dalla campagna di Tunisi. E l’imperatore, giunto con esercito al seguito, rimase colpito dall’ospitalità dei Sanseverino. Oggi si presenta in cattivo stato di conservazione, ma quel che ne resta dimostra ampiamente l'antica imponenza. Nonostante la sua illustre storia, è finora mancata la volontà di recuperare questo monumento. Ecco un link in cui se ne parla con altre informazioni utili: http://larosanelbicchiere.blogspot.it/2008/03/attualitil-castello-di-san-mauro.html


Il castello di mercoledì 19 dicembre




REDONDESCO (MN) – Castello Gonzaga

E' una struttura militare sorta probabilmente nell'XI secolo ed è il più antico edificio a scopo difensivo rimasto a Redondesco. Il castello, o quanto di esso rimane dopo lo smantellamento nel XVII secolo, è costituito da una cortina, in parte merlata, anche se i merli, ghibellini, sono interamente rifatti. La torre d’ingresso è alta, sovralzata mediante una cella campanaria munita di due aperture arcuate su ogni lato. Ma già prima di tale sopralzo la torre possedeva una cella superiore, pure dotata di due finestre arcuate per lato, eccetto quello frontale oggi occupato dal quadrante dell’orologio. Malgrado le varie riprese, questa probabilmente fu l’originaria torre d’ingresso al borgo, tardo medievale; davanti ne venne eretta un’altra, più larga e più bassa, a sua volta doppiamente forata a destra da una porta arcuata già dotata di ponte levatoio (restano le sedi dei bolzoni) e a sinistra da una pusterla (oggi murata), anch’essa già dotata di passerella levatoia. Rimangono la torre principale (affrescata interamente nel ‘300) e quattro torrioni. Oggi è di proprietà comunale. Il castello, che ha degli elementi di somiglianza con quello San Giorgio di Mantova, fu residenza dei conti di Redondesco e dopo la loro cacciata divenne sede del pretorio e residenza dei giudici municipali. Ebbe un ruolo molto importante anche durante il dominio dei Gonzaga: essendo posto in posizione strategica, era infatti determinante per controllare o fermare movimenti militari sulla Postumia. Nel 2011 sono stati annunciati stanziamenti per il recupero e la riapertura al pubblico di questo importante monumento.

martedì 18 dicembre 2012

Il castello di martedì 18 dicembre




JESOLO (VE) – Torre del Caligo

Era un antico fortilizio che sorgeva sulle rive del canale Caligo, il quale si dirama poco prima dal Sile. Di origini altomedievali, fu probabilmente realizzata dai Veneziani su un precedente edificio di epoca imperiale. Certamente è romano il materiale utilizzato: conci di pietra alla base e quindi corsi di mattoni. Il manufatto, che misura 24 piedi per 24, sembra essere l’elemento superstite di una coppia, dal momento che alcune mappe settecentesche indicano una seconda torre con lo stesso nome, ora del tutto scomparsa, al capo opposto del canale Caligo, in località Lio Maggiore. A questa si aggiungeva una serie di altre costruzioni simili che si collocavano lungo il canale Revedoli, le quali tuttavia erano già scomparse nel XVI secolo. Il sistema difensivo serviva a sorvegliare una zona strategica, controllando i canali diretti in laguna e la campagna coltivata dei dintorni. La torre, di almeno 3 piani fino al XVI secolo, funzionò soprattutto come presidio militare che permetteva di far pagare i pedaggi: per il Caligo, infatti, passava un ingente traffico commerciale (legname) mettendo in comunicazione il Piave con la Laguna Veneta e Venezia. Era affidata a un "capitanio" nominato dagli Ufficiali alle Rason Vecchie che poteva riscuotere vino e vittuarie, le strutture erano gestite invece da un "palatièr" che riscuoteva le tariffe di transito in proporzione alla stazza delle imbarcazioni e alle merci trasportate. E' attestata l'esistenza di "palade a carri", che consentivano mediante un sistema di piani inclinati e argani di trasferire inbarcazioni di piccole dimensioni e di peso limitato oltre l'argine; attorno al 1577, si costruì anche un "sostegno a pianconi", cioè una specie di porta fluviale. Attorno alla torre sorsero, inoltre, strutture di accoglienza e di assistenza spirituale. Con l'abbandono della via d'acqua e lo smantellamento delle Porte di navigazione (1677), secondo un costume di riciclaggio dei materiali da costruzione in uso a quei tempi, anche per l'antica Torre giunse tuttavia la fine. Una mappa del 1713 la rappresenta ancora integra, ma è probabile che negli anni successivi sia stata smantellata per reimpiegarne i materiali da costruzione. Secondo una tradizione, nei pressi della fortezza sorgeva un monastero che avrebbe ospitato San Romualdo (si riferisce a questo episodio lo strano altorilievo raffigurante un pastore con pecore e una croce che si nota sul muro della torre prospiciente la strada, realizzato da un agricoltore in tempi recenti). Nel 1551 è però documentato un oratorio dedicato a San Pietro frequentato dagli abitanti del luogo. La torre stessa rappresentò un luogo devozionale, come dimostrano alcuni elementi (croci, probabili resti di un altare, un tabernacolo). Nel 1927, infine, fu collocata sulla parete più alta una croce in ferro proveniente dalla vecchia chiesa di San Donà, distrutta durante la grande guerra. Oggi ne rimane il basamento quadrangolare, piuttosto diroccato. I suoi ruderi attualmente visibili sono parzialmente invasi dalla vegetazione; quello che un tempo era l’ingresso principale, dalla parte della strada, è chiuso da una rete metallica a maglie larghe. E’ un sito archeologico tutelato in base al D. Lgs. 42/2001.

domenica 16 dicembre 2012

Il castello di lunedì 17 dicembre






CECCANO (FR) – Castello dei Conti di Ceccano

Nel corso della sua esistenza millenaria, il castello di Ceccano ha attraversato tre principali fasi storiche. Nella prima fase, in epoca medievale, esso fu il centro nevralgico di una vasta contea che apparteneva a stabili feudali, conosciuti come conti de Ceccano. Secondo alcuni storici come ad esempio Ferdinand Gregorovius la famiglia, di origine germanica, era imparentata con la nobiltà di Roma e poco prima dell'anno Mille si stabilì sul luogo prendendone l'appellativo. La presenza di un edificio fortificato è testimoniata su alcuni documenti sin dal 1113, quando un incendio distrusse l’arcem Ceccani. Il termine latino arx, più che riferirsi generalmente al borgo fortificato, si riferisce certamente alla rocca, cioè all’edificio che oltre ad avere scopi difensivi, serviva anche da residenza ed abitazione per il feudatario e i vari personaggi a lui legati, che ne formavano la famiglia. E’ in questo castello che Giovanni da Ceccano dovette redigere nel 1224 il suo testamento in camera da volta in Ceccano. Che questo ambiente con copertura a volta appartenesse alla rocca appare chiaro da un atto del 1264, il testamento di Landolfo, in cui se ne specifica la collocazione: in volta seu camera turris venule, cioè nella torre, probabilmente nel mastio del castello. L’aggettivo venula riferito alla torre fa pensare all’esistenza di altre torri o di edifici costruiti in epoca più recente, e forse a seguito della citata distruzione del 1113. Con la scomparsa dell'ultimo erede dei da Ceccano verso la metà del XVI secolo, la contea passò dapprima ai Caetani per poi essere parte della signoria dei Colonna fino ai primi anni del XIX secolo. In questa seconda fase il castello subì i primi rimaneggiamenti: venne cambiata innanzitutto la finalità della struttura che da residenza signorile divenne carcere mandamentale e vennero aggiunte nuove costruzioni in funzione delle nuove esigenze. Quando nel 1816 i Colonna rinunciarono ai diritti feudali su Ceccano, i loro possedimenti, castello incluso, divennero proprietà della Delegazione Apostolica di Frosinone per poi essere acquistati dal marchese Filippo Berardi che ne decise il restauro. La rocca nonostante mantenesse inalterata la sua funzione di carcere, venne "ingentilita" dai progetti dell'architetto Cipolla, che decise l'aggiunta di un terzo piano con finestre a trifora e di una merlatura sul terrazzo e sulla torre. Di quest'ultima fase resta oggi visibile solo l'ultimo piano: a causa probabilmente delle vibrazioni e degli spostamenti d'aria causati dai bombardamenti americani subiti dalla città durante l'ultimo conflitto mondiale caddero i merli e la torre venne mozzata della sua parte superiore. Dopo la guerra, il carcere mantenne la sua funzione fino al 1973, anno della sua chiusura. Dopo un periodo di abbandono la struttura venne acquistata alla fine degli anni'90 dal Comune, che ne decise il restauro. Eseguiti non senza polemiche, specialmente riguardo al mancato rifacimento delle merlature, i lavori hanno riconsegnato alla città il castello nelle sue forme originarie, quelle di rocca fortificata che è possibile vedere in una foto degli ultimi anni dell'800. Il castello di Ceccano è un tipico esempio di rocca fortificata del Lazio Meridionale nei secoli XII e XIII, costituita da una cinta muraria, una torre mastio, un corpo residenziale (palatium) su due piani ad ambiente unico, sede del signore feudale. Il maniero si raggiunge percorrendo uno stretto vicolo in curva, rappresentato da un arco gotico datato XII secolo in pietra calcarea, sovrastato da un’edicoletta, che individua un vano di ingresso posto davanti alla porta più antica di accesso alla cinta muraria del castello stesso, anch’essa ad arco gotico con i fori dei cardini in pietra ancora intatti. Su di un lato dell’arco di ingresso è visibile un segno di croce incisa sulla pietra che i cavalieri toccavano al passaggio. Attraversando il vano di ingresso, salendo su una rampa, si giunge a quella che doveva essere la piazza d’armi delimitata dalla antica cinta muraria, dove è ubicata la cisterna e sulla quale si affaccia la chiesa di S. Angelo del XVIII secolo ad ambiente unico a volta e dove domina la torre mastio con le sue camere voltate sovrapposte, con ancora visibili le antiche feritoie per le balestre e la porta di ingresso in pietra calcarea. Posta a quasi due metri più in alto del livello del cortile di ingresso, tipico delle torri medievali. Di fronte alla rampa troviamo un corpo avanzato che copre il “mastio”. Alla sinistra troviamo un corpo di fabbrica alto due piani realizzato nel XVII secolo e coevo all’istituzione del carcere; esso ospitava il tribunale della corte Colonna. Al piano terreno la cancelleria, al primo la sala delle udienze con un bel pavimento in lastroni di pietra. Questo settore risulta addossato ad un muro di notevole spessore, che costituiva il muro di cinta del castello. Osservando tale muro verso l’esterno da Vicolo del Montano, esso risulta in ultimo tratto rialzato in tufo; quella al di sotto è la quota dell’antica cinta muraria, realizzata in pietra calcarea. Attraverso il mastio, l’elemento più antico del fortilizio, si accede ad una sala a volta con un pilastro centrale (palatium residenziale), le cui pareti perimetrali sono caratterizzate da due porte gotiche ad arco acuto in pietra, attraverso le quali da una parte si accede ad una altra torre, inglobata nel volume del corpo di fabbrica principale, ma con la sua muratura ben visibile e, segnata anch’essa da due porte gotiche a sesto acuto, e da affreschi del XIII secolo, in fase di restauro, con figure di monaci raffiguranti i mesi dell’anno. Ritornando alla sala del pilastro centrale, all’esterno della stessa, si può ammirare, inglobata nella muratura, l’antica merlatura ghibellina del castello medievale, facciata impreziosita su di un lato dalla meraviglia di un occhio ottagonale gotico borgognone, identico a quelli esistenti sulla facciata della cattedrale di Fossanova e del palazzo comunale di Priverno. Interessante dal punto di vista architettonico è la soluzione a tre spigoli, fra loro ravvicinati, del lato est del castello, per il movimento che essi riescono a dare alla massiccia mole della fortificazione. L’Inventario Caetani del 1491 testimonia la compiutezza del castello come organismo policentrico e polifunzionale, che era composto da: una torre mastia e tre altre torri, sale, camere, cellara, cortigli, correturi, revellini, furni, cisterne. Vi è un sito dedicato a questo prestigioso maniero: www.castellodeicontidiceccano.it

La seconda e la terza foto le ho realizzate io sul posto.

sabato 15 dicembre 2012

Il castello di domenica 16 dicembre






FOMBIO (LO) – Castello Douglas Scotti

Fu edificato da Alberto Scotti, signore di Piacenza che nel 1299 aveva acquistato il feudo di Fombio, agli inizi del sec. XIV, in posizione dominante sulla bassura fluviale del Po. Uno degli obblighi dell’infeudato era proprio quello che dovesse erigere un castello, dove potessero trovare ricovero gli abitanti in caso di guerra.  Un precedente fortilizio, noto come il "castellazzo", sorgeva invece a nord del paese; di esso restano solo dei ruderi presso un cascinale verso Codogno. La storia secolare del Castello Douglas Scotti è indissolubilmente legata alle vicende di Fombio e, anche se ora appare in uno stato di trascuratezza, in passato è stato il fulcro di vicende storiche rilevanti per l’intero Basso Lodigiano. Dal punto di vista architettonico l’edificio è caratterizzato da possenti mura in mattoni, con pianta ad “U” rivolta a mezzogiorno. Dei fossati e del ponte levatoio un tempo esistenti non restano che vaghe tracce, seppure sia possibile immaginarne le fattezze grazie alle linee di demarcazione ancora presenti. Nel corso dei secoli il nucleo centrale del ‘300 subì numerosi rimaneggiamenti, sopratutto apportati nel XIX secolo, i più evidenti dei quali sono rappresentati dall'ampio porticato che si affaccia sul cortile d'onore e la veranda che collega le due ali del castello. Nelle sale interne, fra vari elementi architettonici, di particolare pregio è un soffitto a cassettoni lignei risalente al XV secolo nonché i locali di ingresso al pian terreno ove ancora si conservano sui soffitti e su alcune pareti affreschi del XVII secolo. Degno di nota è anche un camino in pietra quattrocentesco, recante lo stemma degli Scotti. I locali dell'ingresso, al pianterreno, conservano nei sottarchi a alle pareti tracce di affreschi (grottesche e figure allegoriche) di buona fattura, risalenti probabilmente al XVII secolo. Sono interessanti da vedere anche i vasti sotterranei del castello coperti da ampie volte a botte in mattoni. Il castello fu teatro di numerose vicende belliche, come ad esempio nel 1314 Galeazzo Visconti, signore di Piacenza, con parte del suo esercito, temendo che la città venisse presa dai guelfi stanziati a Fombio se ne impadronì e lo incendiò, facendo prigionieri gli abitanti. Agli inizi del '500 fu invece dato alle fiamme dai Landi, nel più ampio scenario delle battaglie tra guelfi, schieramento al quale appartenevano gli Scotti feudatari di Fombio, e ghibellini. Successivamente il maniero divenne oggetto di contesa anche dei Trivulzio di Retegno, contrappostisi alla signoria fombiese degli Scotti.  Il castello è soprattutto noto per aver fatto da sfondo alla nota “battaglia di Fombio”. Tale scontro armato è ancora ricordato con accenti forse ingiustificatamente epici, tuttavia il combattimento che vide fronteggiarsi, nel paese e nelle sue immediate adiacenze, un’avanguardia di quattromila granatieri francesi al comando del generale Lannes ed un manipolo di austriaci è menzionato come evento-simbolo per il fortilizio fombiese: sciamati nel Lodigiano dopo aver superato il Po, i transalpini si trovarono ad affrontare un gruppo di austriaci al comando del generale Lipthay che, disperatamente, tentarono di arginare l’arrivo dell’esercito nemico. Penalizzati però da una difesa male organizzata e da un esiguo numero di effettivi, questi ultimi furono agevolmente messi in fuga dai soldati napoleonici, riparando nel vicino paese di Pizzighettone, mentre i Francesi riuscirono a raggiungere Codogno. L'edificio, attualmente di proprietà comunale, è stato recentemente restaurato nella sua parte aperta al pubblico.

Il castello di sabato 15 dicembre





MESAGNE (BR) – Castello Normanno-Svevo 
(scritto da Mimmo Ciurlia)

La posizione eminente del sito e la presenza di acqua sorgiva nelle immediate vicinanze, spinse gli antichi conquistatori, tra alto e basso Medioevo, a sceglierlo come sito per erigere un castrum a protezione della Via Appia tra Taranto e Brindisi. Il documento più antico che menziona il castrum risale al periodo svevo, datato 1220, quando Federico II ordinava la demolizione dei castelli privati riservando a se stesso il diritto di costruirne di nuovi o restaurare e ripristinare quelli già esistenti. Nell’elenco dei castelli da restaurare è menzionato proprio il Castrum Mejanii. Nel 1256 Manfredi assediò Mesagne per combattere una lega anti-sveva creata tra Brindisi, Mesagne, Lecce ed Oria. In quella occasione il castrum di Mesagne, benché fortemente devastato, fu usato come base di appoggio per l’assalto a Brindisi. Mesagne fu poi ricostruita dagli Angioini nel 1276. In un manoscritto di fine Cinquecento, lo storico Cataldantonio Mannarino, ci tramanda che il nucleo più antico del castello, pericolante, fu abbattuto da Giannantonio del Balzo Orsini intorno al terzo, quarto decennio del ‘400. Al suo posto venne edificato l’attuale torrione, circondato da un fossato profondo due metri e largo ben nove. La torre era dotata di un ponte levatoio, probabilmente situato sul lato meridionale, in corrispondenza dell’auditorium. Infatti le uniche caditoie, le feritoie da cui si facevano precipitare materiali vari per colpire il nemico, sono poste su questo lato. La città era protetta da una cinta muraria che comprendeva anche 22 torrette difensive. Nel XVII, al tempo dei feudatari di casa De Angelis, subentrati agli Albricci, il castello di Mesagne assunse le attuali sembianze. Infatti il castello medievale fu trasformato radicalmente, intorno al 1660 dall'architetto e sacerdote mesagnese Francesco Capodieci, di cui i De Angelis furono i mecenati e al cui estro si affidarono per rendere armoniosa l’imponente struttura: a lui si deve la progettazione dei piani superiori. Negli immensi sotterranei erano state realizzate, tra il Cinquecento ed il Seicento, diverse “posture" e "cellari", per la conservazione dell'olio e del vino prodotti nei vasti possedimenti dei feudatari di Mesagne. I De Angelis spesero somme ingenti per trasformare l'antico castello in residenza moderna, e attuarono una serie di restauri destinati ad imprimere all’antico maniero quel volto barocco che avrebbe conservato fino al giorni nostri. Gli ambienti che caratterizzano il castello sono il Torrione diviso in cinque camerette in cui si nota la presenza di feritoie e di stipi. Esse sono dotate di grandi camini che hanno la canna fumaria in comune. Nella stanzetta centrale vi sono le scale di accesso alle carceri, ed un pozzo di acqua sorgiva. Nella prima stanza ad ovest si trova quella che si ipotizza essere una porta o una loggia; accanto alla finestra vi è un servizio igienico. Alla base del Torrione sono collocate le carceri. Le celle erano sei, sebbene attualmente soltanto quattro siano accessibili. Vi si accedeva grazie a due ripidissime scale, oramai del tutto consunte a causa del tempo. Altra via di accesso era una angusta scala a chiocciola, in parte crollata e che oggi è stata ricostruita per un breve tratto per consentire l’accesso a questi ambienti. Le celle sono soffocanti, e si può immaginare in quale stato versassero i prigionieri, incatenati ad anelli di ferro infissi nel muro. Le celle collocate a nord sono dotate ciascuna di una piccola finestra, all’altezza della base della torre. Proprio al centro del castello si trova il cortile interno ritenuto l’antica piazza d’armi. Qui probabilmente si riunivano i soldati prima di mettersi in marcia. Un tempo, al centro dell’atrio, vi era un pozzo con abbeveratoio. Esistono anche due bocche tramite le quali si raccoglieva l’acqua piovana. Attraverso il cortile si aveva accesso alla rimessa, ad un magazzino e alla stalla. Dal cortile dove affacciano il porticato rinascimentale e gli appartamenti nobiliari, si accede ad un loggiato secentesco che sorge nell’ala occidentale del castello, esattamente sopra la cantina. Esso fu fatto costruire dal principe Giannantonio Albricci e venne terminato nel 1661. Si ha testimonianza di questa data, oltre che in alcuni documenti, anche su un frammento di mosaico collocato sul pavimento. Nel Seicento la loggia era coperta da un grande tetto in legno, sorretto da una duplice fila di colonne. Nel mezzo si trovavano vasi con piante decorative. L’ambiente che più colpisce però è la gran sala che era la stanza di rappresentanza. Qui si tenevano banchetti e riunioni. La copertura della sala è realizzata con suggestive capriate lignee, un sistema di copertura in cui le travi di legno del tetto rimangono a vista. Fino a qualche decennio fa, esisteva un soffitto di tavole a quadrelli che è andato distrutto nelle varie fasi di vita del castello. Le pareti presentano preziosi affreschi, raffiguranti stemmi di casate nobiliari. Sul lato meridionale si osserva una piccola stanzetta, che era probabilmente adibita a cappella privata. Gli ambienti però che caratterizzano fortemente il castello di Mesagne sono le neviere e le cisterne. La neviera era un ambiente sotterraneo, interamente rivestito in legno, in modo tale da ottenere un discreto isolamento termico. Qui un tempo veniva immagazzinato il ghiaccio, utilizzato per conservare le vivande. La neve veniva raccolta sulle montagne delle Murge tarantine e, dopo essere stata compressa in sacchi di canapa, era condotta a Mesagne e conservata, appunto, nelle neviere. All’interno del castello esistevano due di questi ambienti: il primo era collocato sotto il pavimento della stanza sulla sinistra dell’ingresso principale. La seconda neviera era ubicata sul lato nord-ovest del castello, in corrispondenza dell’attuale sala mostre. Una delle principali risorse dell’economia mesagnese è stata nei secoli scorsi la coltivazione dell’olivo e ciò spiega perché questa città fosse così ricca di frantoi. L’olio prodotto era per lo più conservato nelle cisterne del castello. Queste in origine erano quattro, della capienza di circa centomila litri l’una. Successivamente ne furono aggiunte altre due. L’ultima non è visibile, essendo stata murata negli anni ’50 per problemi di stabilità della torre. Ogni cisterna è rivestita nella parte inferiore con pietra calcarea impermeabile e, in quella superiore, con carparo o tufo, materiali piuttosto porosi: ciò fa supporre che queste vasche fossero riempite soltanto fino ad un determinato livello. In corrispondenza delle bocche, fori attraverso cui l’olio veniva introdotto nelle cisterne, ci sono le “pozzette di decantazione”. Queste servivano per raccogliere gli scarti dell’olio, che, più pesanti, si depositavano sul fondo. I fori che si osservano nelle pareti, si rendevano forse necessari per il ricambio dell’aria nella cisterna. Ciò risultava utile quando si ripulivano queste vasche, che altrimenti sarebbero state inaccessibili perché sature di gas nocivi. Le porte di comunicazione fra le cisterne sono state aperte di recente, per rendere questi ambienti visitabili. La fervida fantasia popolare ha ispirato miti e leggende, che vedono il castello al centro di incredibili vicende. Quella che più colpisce riguarda un fantomatico pozzo irto di spade acuminate. Si narra che i prigionieri dopo essere stati sottoposti a crudeli torture nelle carceri, vi fossero gettati senza pietà. Questa leggenda è di gusto squisitamente medievale; essa potrebbe derivare proprio dal fatto che all’interno del torrione, nucleo più antico del castello, esiste effettivamente un pozzo, la cui conoscenza incompleta e parziale avrebbe acceso la fantasia popolare. Molti dicono di aver visto con i propri occhi questo pozzo, ma nessuno sa indicare con precisione dove esso si trovasse. I mesagnesi più anziani sono certi che il castello di Mesagne fosse dotato di un corridoio sotterraneo segreto che avrebbe collegato Mesagne con San Vito Dei Normanni. C’è però chi sostiene che il tunnel terminasse a Latiano o addirittura a Oria e che il passaggio fosse largo abbastanza per far passare una carrozza e che fosse illuminato con torce. Il tunnel partiva probabilmente da sotto il torrione o da sotto la rimessa. Effettivamente nei castelli, solitamente esisteva una fitta rete di passaggi segreti. Ciò ha forse determinato la nascita di questa leggenda. Tuttavia, il passaggio segreto non è stato mai ritrovato, nemmeno durante i lavori di restauro. Gli ultimi feudatari del castello furono gli Imperiali che nel 1908 cedettero il Castello alla principessa Iran d’Abro Pagradite. Il Castello fu poi acquistato dal Comune di Mesagne dagli ultimi proprietari, i Granafei, il 15 marzo 1973. Il 23 dicembre 1996 il castello parzialmente restaurato viene riaperto al pubblico destinandolo a scopi culturali. Il 14 luglio 2001 viene inaugurato il primo piano. Oggi il castello comunale mostra tutto il suo splendore; oltre ad essere un bellissimo monumento è anche un importante contenitore culturale; l’auditorium ospita convegni, conferenze,
incontri e matrimoni civili; il torrione e il piano nobile accoglie mostre temporanee mentre le sale al piano terra accolgono il Museo del Territorio “U. Granafei” con importanti reperti della civiltà messapica.


venerdì 14 dicembre 2012

Il castello di venerdì 14 dicembre





CHAMPORCHER (AO) – Castello dei Signori di Bard

Le prime notizie storiche certe di una comunità umana stabile a Champorcher risalgono al XIII secolo, quando era sotto il dominio dei potenti signori di Bard. Costoro controllavano anche Hône, Bard, Donnas, Vert, Pont-Saint-Martin, parte di Arnad ed il mandamento di Châtel-Argent, nell’alta valle d’Aosta. Del primitivo castello, sorto probabilmente nell’XI secolo, ben poco si sa. All’inizio del XIII secolo i fratelli Guglielmo e Ugo intrapresero tra loro una guerra, durata fino al 1214, che portò, tra l’altro, all’incendio del maniero e del borgo di Donnas. E’ noto che il castello fu bruciato per volere di Ugo di Bard, il che fa supporre che fosse costruito in gran parte in legno, come molti edifici alto-medievali. Fu probabilmente ricostruito nello stesso secolo, sicuramente prima del 1276, quando già necessitava di essere ricoperto di tegole di legno. La tradizione popolare vuole che esistesse, sulla Corseria (attuale sagrato della Chiesa), un vero e proprio castello con una cappella, che sarebbe poi diventata la prima chiesa parrocchiale. Il territorio di tutta la valle di Champorcher fu in seguito diviso in due parti chiamate “ressorts” assegnate ai due fratelli. Nel 1242, a causa del rifiuto di Ugo di Bard di riconoscere la dipendenza feudale dal conte Amedeo IV, il castello e la sua metà del feudo della valle di Champorcher furono incamerati dai Savoia, che lo gestirono direttamente fino alla fine del Cinquecento. In seguito i signori di Savoia concessero questo ressort in feudo a piccoli signori locali, ufficiali dell'esercito sabaudo, funzionari di corte o ricchi commercianti nobilitati (Jean-Jacques Riccarand, Pompeo Bruiset, Jean-François Freydoz). L’altra metà restò ai discendenti di Guglielmo di Bard (divenuto, dal 1214, signore di Pont-Saint-Martin) fino al 1737, quando, a causa dell'estinzione della famiglia, passò anch’essa ai Savoia e da costoro fu infine venduta nel 1746 ai Freydoz, che possedevano già l'altro ressort. Dell’antica fortificazione sopravvive ancora la torre, posta su un piccolo promontorio roccioso, a pochi passi dalla chiesa parrocchiale. E’ a pianta quadrata, con 6,40 metri di lato, e un'altezza di circa 15 metri, coronata da merlatura a coda di rondine e la sua porta di ingresso, a cui si accedeva solo con una scala a pioli, è a circa 4 metri dal suolo. Un tempo era divisa da soppalchi in legno, in ambienti sovrapposti sopra un buio magazzino che fungeva da base. L'interno era illuminato da strette feritoie, riscaldato da un camino e servito da latrine sporgenti che consentivano, nella buona stagione, la permanenza di una piccola guarnigione. Usata durante il Medioevo come torre di segnalazione e di controllo delle terre circostanti per scoprire prontamente eventuali intrusioni dei signori confinanti, dopo la sua distruzione nei primi anni del XIV secolo, fu successivamente ricostruita per ordine dei Savoia. I lavori principali consistettero nel rifacimento della copertura, nella costruzione di un camino in pietra, nella realizzazione di sei aperture, di una scala in legno, dei merli e di un avampiede. Infine furono costruiti una sorta di ponte levatoio e una cortina muraria di circa 150 metri intorno al Castello. Il maniero non fu mai residenziale, ma un avamposto militare, munito di armati nei momento di pericolo. Negli anni Ottanta la Torre ha subito un nuovo restauro, grazie all’intervento della Sovrintendenza del Ministero dei beni culturali. E’ considerata il simbolo di Champorcher.

giovedì 13 dicembre 2012

Il castello di giovedì 13 dicembre






VIPITENO (BZ) – Castel Tasso (o Schloss Reifenstein)

Risalente al XII secolo, è un suggestivo esempio di fortezza medievale, considerato giustamente uno dei castelli più belli di tutto l'Alto Adige. Posizionato in mezzo ad una palude bonificata (Sterzinger Moos) a Campo di Trens, si erge su un dosso roccioso, a pochi chilometri dal centro abitato, in posizione di controllo della vallata. Fu menzionato per la prima volta in documenti scritti nel 1100 come feudo dei Conti bavaresi Lechsgmünd, mentre dal 1100 la rocca fu data ai Signori di Stilfes. La torre rotonda costituisce il nucleo del castello e la sua prima citazione in documenti ufficiali risale al 1240. Per duecento anni il maniero fu sottoposto alla sovranità del Tirolo che nel corso degli anni lo diede in feudo a diverse famiglie nobiliari. Nel 1405 la proprietà passo alla famiglia dei Signori di Sabiona (Säben). In seguito all’estinzione della famiglia la proprietà passò al Duca Sigismondo, il quale però nel 1470 vendette Castel Tasso all’Ordine Teutonico, al quale è dovuto il suo aspetto attuale e gran parte dell'arredamento tardogotico che ancora conserva. Dal 1813 divenne proprietà dei Conti Thurn un Taxis di Ratisbona, cui ancora appartiene. Poichè il castello non fu mai conquistato o devastato, ancora oggi è ben conservato ed all’interno troviamo moltissimi oggetti e mobili di tempi passati. Della struttura fa parte anche la piccola cappella di San Zeno, presso la quale sono stati ritrovate bare di legno baiuvari risalenti al IV e VIII secolo, due delle quali si possono vedere in una sala del castello, mentre le altre sono conservate nel Museo archeologico dell’Alto Adige. La cappella è preceduta da un eccezionale cancello di legno abilmente intagliato e traforato con raffinati motivi geometrici. Il profondo fossato tra la parte antistante il castello e la struttura principale è ancora oggi sormontato da uno storico ponte. All’interno di Castel Tasso si possono visitare ben 10 stanze in quasi perfetto stato di conservazione, tra cui spicca ad esempio la grande cucina duecentesca. Impressionante è anche la vecchia torre d'abitazione ancora intatta con il dormitorio per gli scudieri a scomparti che ha la forma di un grande cassone di legno. Preziose testimonianze della ristrutturazione quattrocentesca sono la splendida sala Verde, così chiamata per il colore della decorazione pittorica che simula un rilievo. Alla fine del quattrocento risale anche la cosidetta “camera del Capitolo” che conserva l'arredamento originale. Meritano una visita anche il porticato, la prigione scavata nella roccia, la “sala degli uomini” (dove il signore e gli armigeri si ritrovavano per mangiare ma anche per fustigare i prigionieri alla colonna di legno che conserva ancora tracce di tali torture), la “sala delle dame” (contenente vecchi e preziosi arcolai e bauletti intarsiati). Un'antica leggenda narra che per porre fine alla guerra che si trascinava da anni fra Castel Tasso e il vicino Castel Pietra (Schloss Sprechenstein), posti l'uno di fronte all'altro sugli opposti versanti della valle, venne deciso di affidare le sorti del conflitto ad un duello di tiro con l'arco. I due signori impegnati nella sfida, saliti ciascuno sulla torre del proprio castello, imbracciarono l'arco e scoccarono la freccia fatale. Ma la loro abilità fu tale che le due frecce s'incontrarono a mezza strada, cadendo entrambe nella vallata. Quanto accaduto venne interpretato come un ammonimento divino a non continuare quella futile guerra che aveva arrecato soltanto danni agli abitanti, ai campi e ai possedimenti dei due feudi.


mercoledì 12 dicembre 2012

Il castello di mercoledì 12 dicembre





SILIQUA (CA) – Castello dell’Acquafredda (o del Conte Ugolino)

Edificato dai Pisani intorno al 1215 in posizione strategica, su una collinetta vulcanica da cui controllava l'accesso dal Cagliaritano verso la ricca città mineraria di Iglesias (argento, zinco e piombo), è forse il più scenografico di tutta la Sardegna. Il suo nome deriva probabilmente da una sorgente d’acqua fresca che ancora oggi sgorga tra gli anfratti rocciosi. Intorno al 1257 divenne proprietà della famiglia pisana dei conti Donoratico della Gherardesca, nel periodo della Sardegna Giudicale, durante il quale fu forte l'influenza Pisana nell’isola. Della costruzione principale, che aveva una pianta a U, restano alcuni muri con merlature e feritoie, su cui si possono vedere alcuni stemmi scolpiti, tra cui l'aquila della famiglia della Gherardesca. Il più famoso proprietario del castello fu il celeberrimo Conte Ugolino, citato da Dante nella Divina Commedia nell'atto di cibarsi dei suoi figli (XXXIII° canto dell'Inferno), una leggenda, quella del cannibalismo del Conte, che fu poi smentita da successivi studi scientifici sulle sue ossa e dovuta alle tristi vicende familiari. Considerato traditore dai ghibellini, guidati dall'arcivescovo Ruggieri degli Ubaldini, venne infatti rinchiuso nella Torre della Muda, di proprietà dei Gualandi, a Pisa, una durissima prigione per lui, i figli Gaddo e Uguccione, e i nipoti Anselmuccio e Lapo, dove morì di fame nel 1288. Invece, una tradizione locale fa ritenere che il conte Ugolino sia stato imprigionato nel castello di Acquafredda nella torre della fame, dove sarebbe morto dopo un anno. Il castello divenne proprietà della Repubblica Pisana per passare, dal 1326 al 1410, in mani Aragonesi e in seguito a diverse famiglie feudali, ma non venne più abitato e cadde progressivamente in abbandono. Venne riscattato dal Re di Sardegna Vittorio Amedeo III di Savoia nel 1785. La struttura difensiva del maniero è piuttosto complessa e si sviluppa su più livelli, sulla vetta a 256 metri s.l.m. c'è il cuore della struttura, cioé il Mastio centrale ovvero l'abitazione del castellano, cui si accedeva attraverso un ponte levatoio. Aveva due livelli più la sottostante cisterna, rimangono ancora in piedi i prospetti a nord-ovest e sud-est, che si ergono per 20 metri d'altezza con i loro merli guelfi. Di fronte al mastio svetta ancora possente la Torre di Guardia (248 metri s.l.m.), che i locali chiamano Torre de s'impicadroxiu (Torre dell'impicco), un nome sinistro che molto dice sull'uso della torre stessa probabilmente come prigione. A circa 200 metri s.l.m. svetta la poderosa struttura muraria della quadrangolare Torre Cisterna che ha la caratteristica di rimanere isolata rispetto alle altre strutture difensive. Inutile dire l'importanza che doveva avere l'acqua per la vita del castello e della sua guarnigione. Sito a circa 154 m s.l.m., il Borgo militare era protetto da un'alta cinta muraria e difeso da tre torri, due delle quali sono ormai andate ditrutte, nell'unica rimanente si può leggervi la struttura su 3 livelli e solai in legno. Nel borgo alloggiavano i soldati, si trovavano i magazzini del castello, che contenevano dalle armi alle scorte alimentari. Probabile anche la presenza di una chiesa (di Santa Barbara), mai però confermata. L'ascesa al castello è abbastanza agevole, anche se è praticabile solo a piedi. Con un decreto legge del 1993, il sito denominato“Domo Andesitico di Acquafredda”, è stato istituito a Monumento Naturale. Alla base del colle che ospita il Parco naturale e archeologico del Castello di Acquafredda vi è un'ampio bosco nel quale sono stati allestiti dei tavoli picnic. Vi è anche un chiosco bar-noleggio mountain bike e un’area sosta per camper. Il sito è gestito dalla Cooperativa Antarias di Siliqua. Il castello ha un suo sito web: http://www.castellodiacquafredda.it, inoltre si possono trovare altre notizie anche al seguente link: http://www.comune.siliqua.ca.it/Menu.php?menu=2321

lunedì 10 dicembre 2012

Il castello di martedì 11 dicembre






PIEGARO (PG) – Castello di Cibottola

Eretto prima del X secolo, sorge a sud-est di Pietrafitta sulla cima di uno dei rilievi che delimitano il fiume Nestore, a 471 metri s.l.m. Dell’antico insediamento, dipendente dal contado di porta Santa Susanna poi di Porta Eburnea di Perugia, rimane oggi la porta di ingresso (quasi intatta e con l’intero battente del ponte levatoio), una torre eptagonale, alta circa 20 metri, adattata nel XVII secolo a campanile della parrocchiale e gran parte della cerchia muraria con torrione angolare circolare. Vi è poi un cunicolo sotterraneo che, partendo dall'abitazione del castellano, al centro dell'area protetta, si allontana per circa 500 metri lungo il pendio del colle. Della suddetta abitazione rimangono soltanto poche tracce incorporate nel settecentesco palazzo sorto sulle sue rovine. Sconosciuta l’origine del castello anche se una leggenda, riportata da vari storici locali, riferisce che sia stato fondato "nel 1330 del mondo". Più probabile invece un'altra ipotesi, che lo fa risalire alla prima metà del secolo IX. L’insediamento fu conosciuto fin dal medioevo per la sua vicinanza al convento di S. Bartolomeo, dove soggiornarono San Francesco d’Assisi, Sant’Antonio da Padova e San Bonaventura. All'inizio del XIII secolo la località apparteneva alla potente famiglia Montemelini, proprietaria di vasti possedimenti. Le prime notizie certe risalgono alla seconda metà del XIII secolo. Nell'elenco del 1282 Cibottola è indicata come "villa", con una popolazione di 75 focolari. Nella prima metà del secolo XIV fu costruita la cinta muraria per cui, quando i Priori di Perugia ordinarono nel 1380 il censimento di tutti i castelli e le ville del contado, divisi per porta, Cibottola venne classificata come castello. Durante tale periodo la sua popolazione, come accadde per quasi tutti gli insediamenti di alta collina e montagna, subì un discreto calo, passando dai 75 focolari del secolo precedente a 65 famiglie; soltanto nel 1495 tornò alla primitiva consistenza. Nel 1416, in attesa di muovere alla conquista di Perugia, il celebre condottiero Braccio Fortebraccio da Montone sostò per qualche giorno a Cibottola insieme alle sue truppe. In tale località ricevette gli ambasciatori fiorentini che tentarono invano di dissuaderlo dal marciare sulla città. Dopo la vittoriosa battaglia di Sant'Egidio contro i perugini usciti all'attacco e che gli aprì le porte della città, Cibottola, insieme ad altre località, tra cui Agello, Piegaro e Paciano, in atto di sottomissione al condottiero mandò le chiavi del castello, perchè ne prendesse possesso. Il nome Cibottola fu attribuito al maniero nel XV secolo per rendere omaggio a Maurizio Cybo, governatore di Perugia e fratello di papa Innocenzo VIII ( 1484-92), che vi aveva istituito una pretura e alcuni granai popolari detti in latino "horreola" da cui Cyborreola, cioè "piccoli granai di Cybo". Col tempo, per un fenomeno di naturale conversione, la "r" si addolcì trasformandosi in "t", per cui si ebbe Cybotteola, da cui Cibottola. Nei primi anni del Cinquecento il castello fu feudo dei Crispolti; passò poi agli Scotti e nei primi anni del Settecento ai Tocchi. Oggi il castello è di proprietà comunale. Sulla torre, recentemente adibita a torre civica, è collocata una campana di 5 quintali, donata nel 1850 da Pietro Tocchi, rettore dell'Università di Perugia.

Il castello di lunedì 10 dicembre




MONTELPARO (FM) – Torre civica

Il nome del paese sembra derivare da quello di Elprando o Eliprando, un condottiero longobardo che nell'alto medioevo costruì un castello con una prima cerchia muraria tra il VII e l'XI secolo. Seguì un lungo e florido periodo sotto l'ala protettrice dei Farfensi della vicina Santa Vittoria in Matenano. I monaci costruirono sul colle anche un monastero e la chiesa di San Michele Arcangelo, oltre a una seconda cerchia muraria risalente ai secoli XII–XIV: a questa cinta appartiene il bastione cilindrico della torre civica nell'edificio del municipio (secoli XIV-XV). I resti degli altri bastioni di difesa mostrano come sia stato privilegiato un disegno ripetutamente cilindrico. Il paese divenne talmente importante da meritare l’appellativo di Magnifica Communitas. Già nel tredicesimo secolo Montelparo si era costituita in Libero Comune, regolato da propri Statuti: nel 1257 venne esentato da fra Leonardo, procuratore dell’abate di Farfa Giacomo, dal pagamento del censo annuo di 50 monete dovuto all’Abbazia, mentre nel 1290 Papa Niccolò IV riconobbe alla comunità montelparese il privilegio di eleggere il Podestà. Negli anni successivi Montelparo ottenne dai vari pontefici altre concessioni e indulgenze, che vennero ampiamente confermate prima da Papa Urbano VI nel 1379, con un documento nel quale si affermava che il castello di Montelparo non doveva mai essere assoggettato o dato in feudo, e poi da un decreto del cardinale di Aquileia del 1445. Proprio in tale anno il centro riacquistò la propria libertà dopo che era stato occupato, insieme agli altri territori del Presidiato Farfense, dalle truppe del Conte Francesco Sforza di Milano. In questo periodo, quando venne tra l’altro iniziata la costruzione della terza cerchia di mura, la popolazione di Montelparo raggiunse i 5.000 abitanti, con il paese che disponeva di un ospedale, di un monte di pietà e di un monte frumentario. I privilegi e l’importanza acquisiti vennero meno a partire dal 1587, quando Papa Sisto V creò il Presidiato di Montalto, entità politica destinata a sopravvivere fino al dominio napoleonico del quale Montelparo entrò a far parte. La decadenza di questo illustre centro venne sancita da alcuni drammatici eventi naturali: nel 1683 iniziarono degli smottamenti del terreno che provocarono i primi danni; altri fenomeni tellurici si susseguirono negli anni successivi, fino al devastante terremoto del 2 febbraio 1703, durante il quale tutta la parte centrale del paese, compreso il vecchio Palazzo comunale, sprofondò in un’immensa voragine.