giovedì 31 dicembre 2015

Il castello di giovedì 31 dicembre






OLBIA (OT) – Castello Sa Paulazza

Il Castello di Sa Paulazza si trova a circa 5 chilometri dalla città, a 234 metri sul colle di Monte a Telti e domina tutta la piana e l'intero Golfo di Olbia. Ha una pianta quadrangolare, con la torre a sud-est di forma pentoidale: proprio la forma di questa torre fa risalire le origini del castello all'epoca bizantina, quando l'imperatore Giustiniano riconquistò la Sardegna nel 534 d.C. La costruzione dell'edificio è ricavata dall'utilizzo di grandi blocchi di granito ricavati da alcuni grandi nuraghi preesistenti e risalenti all’età del Rame. L’edificio, nel suo periodo di massimo splendore, occupava un’area pari ad un ettaro e mezzo ed era considerato una delle più belle strutture dell’Isola. Il Castello di Sa Paulazza deve il suo nome, probabilmente, all’area in cui è stato realizzato, cioè una palude nota come Padulaccia. Davanti al Castello di Sa Paulazza venivano stanziate delle truppe che avevano proprio il compito di difendere il territorio circostante dagli attacchi dei cosiddetti Balari che provenivano in genere dal Monte Acuto e dall’Anglona oppure dai Corsi provenienti dalla Sardegna Occidentale. Il Castello di Sa Paulazza oggi si trova totalmente invaso da una rigogliosa vegetazione, con un sentiero da percorrere per raggiungerlo, nascosto da piante ed alberi. Dunque, la visita non è molto agevole ma è comunque fortemente consigliata agli amanti del genere e soprattutto vale la pena anche solo per godere della vista del Golfo di Olbia. Per raggiungere il castello, partendo da Olbia occorre prendere la strada vicinale che conduce alla frazione di Enas; oltrepassato il passaggio a livello svoltare a destra su una strada sterrata e proseguire sino alle case, chiedere l'autorizzazione e proseguire a piedi in direzione Ovest. Dell'area originale rimane abbastanza: zona già abitata dall'età del bronzo, venne fortificata dai romani a protezione della vecchia strada romana che collegava la zona di Olbia a Cagliari. Abbiamo in bella vista ancora tre torri abbastanza ben conservate, con parte della cinta in buono stato. All'interno sono presenti una cisterna e vari resti. Altre informazioni potete trovarle su http://www.comune.olbia.ss.it/archeologia/paulazza.htm. Ecco un interessante video che mostra diversi scorci del castello (di Maurizio Casula): https://www.youtube.com/watch?v=MbDGqzC9QF0



mercoledì 30 dicembre 2015

Il castello di mercoledì 30 dicembre






SARSINA (FC) - Torricini Vescovili

Nel 757 Sarsina fu sottomessa all'Esarcato di Ravenna. Nel X secolo si ebbe la costruzione della cattedrale romanica, nucleo della città. Subì poi le diverse dominazioni degli Ordelaffi, dei Malatesta e dei Veneziani, mantenendo però la sua importanza in quanto sede vescovile. Fu quindi oggetto di contesa fra feudatari e Signori. Nella "Descriptio provinciae Romandiolae" del 1371 è citata come quasi in rovina. Dal 1859 all'annessione al Regno d'Italia fece parte dello Stato Pontificio. Sulla Strada Nazionale, precisamente in Viale Matteotti, a poca distanza dal Mausoleo di Obulacco, si schierano i "torricini", fatti innalzare nel XV secolo dal vescovo conte a difesa della sua residenza sui ruderi delle mura romane. A queste, infatti, pare si debbano riferire e datare i grossi blocchi di arenaria che sporgono, nel primo tratto, a fior di terra. Blocchi simili, trovati nelle fondamenta di una rocca medioevale in Calbano, incoraggiano l'ipotesi che le mura civiche si fossero arrampicate fin sulla vetta dell'acropoli umbra-romana.
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Sarsina, http://www.sarsinaturismo.it/i-torricini-vescovili, http://www.sarsina.info/it/paese/il-centro-storico.htm,
Foto: la prima è una cartolina fotografica in vendita su http://images-00.delcampe-static.net/img_large/auction/000/282/650/765_001.jpg, la seconda è presa da http://www.sarsina.info/it/paese/il-centro-storico.htm

martedì 29 dicembre 2015

Il castello di martedì 29 dicembre





CAMPI BISENZIO (FI) - Rocca Strozzi

E' l'edificio simbolo della città. Sorge sulla riva destra del fiume Bisenzio, nei pressi del ponte che collega il centro storico con i quartieri occidentali. La prima Rocca fu costruita dalla famiglia Mazzinghi, feudataria del castello di Campi, nell'XI secolo e fu distrutta dai Ghibellini dopo la battaglia di Montaperti (1260) per vendetta contro i guelfi Mazzinghi. La fortezza fu poi ricostruita dalla Repubblica Fiorentina, per assicurare una maggiore difesa al castello di Campi che nei decenni precedenti era stato assalito diverse volte dai nemici di Firenze. La costruzione della Rocca venne iniziata da Ubertino di Rossello Strozzi intorno al 1366 e conclusa pochi anni più tardi ad opera di Carlo Strozzi. La prima attestazione documentaria è infatti del 1378, negli stessi anni in cui la Repubblica Fiorentina faceva costruire la cinta muraria del borgo di Campi, posto sulla sponda opposta del fiume Bisenzio. La Rocca indicata come "fortezza di Carlo degli Strozzi" in un elenco del 1409 riportante tutte le fortificazioni appartenute alla famiglia, perse la sua funzione bellica a partire dalla seconda metà del XVI secolo, trasformandosi in centro agricolo. L’edificio, a guardia del ponte, si presenta oggi sostanzialmente intatto nelle sue forme originali, con sviluppo verticale: un poderoso mastio in laterizio sul quale si imposta la costruzione, quadrangolare e dotata di un cammino di ronda sporgente e di un magnifico torrione d’angolo. L'importanza militare della Rocca venne meno nel Cinquecento e, acquistata dalla famiglia Strozzi che qui aveva molti possedimenti, fu trasformata in fattoria. Ulteriori modifiche furono effettuate nel XIX secolo e per qualche decennio tra il XIX ed il XX secolo ospitò anche la locale caserma dei Carabinieri. Nel 1992 il fortilizio è entrato a far parte del demanio statale, divenendo di proprietà del Ministero delle Finanze per poi passare negli anni successivi alla diretta proprietà del Comune di Campi Bisenzio che ne ha già iniziato il restauro, cominciando dai locali della tinaia. Il futuro dello splendido fortilizio, uno dei più integri e spettacolari esempi di edilizia militare trecentesca presenti in Toscana, sarà quello di divenire un grande polo culturale. In quest’ottica i locali della fattoria ospiteranno i laboratori di restauro dei reperti archeologici di epoca etrusca rinvenuti nell’area di Gonfienti, sempre nel Comune di Campi Bisenzio. Ulteriori notizie le trovate leggendo le schede di Fernando Giaffreda su http://www.mondimedievali.net/Castelli/Toscana/firenze/campibisenzio.htm e  http://www.mondimedievali.net/Castelli/Toscana/firenze/campibisenzio2.htm

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Rocca_Strozzi, http://www.turismo.intoscana.it/site/it/elemento-di-interesse/La-Rocca-Strozzi-a-Campi-Bisenzio/

Foto: la prima è di Francesco da Campi su https://it.wikipedia.org/wiki/File:ROCCA.jpg, la seconda è di Giuseppe Zingarelli su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/313257

lunedì 28 dicembre 2015

Il castello di lunedì 28 dicembre






SENERCHIA (AV) – Castello

Citata come Sinerchia nel Catalogus Baronum del 1150-1168. Di Senerchia scrive Scipione Ammirato, “è un castello in principato citra di 160 fuochi, il quale ha dato il nome alla famiglia che sono più di trecento anni che lo possiede” riferendosi alla famiglia Sinerchia che per circa tre secoli vide la sua storia strettamente collegata a quella del piccolo paese campano. I Sinerchia, erano un'antica famiglia nobile di origine normanna, derivata dai Filangieri, ed ebbero molti feudi tra la Campania, la Basilicata e la Capitanata, e vissero principalmente tra Senerchia e Napoli sino al XV secolo. I Sinerchia, trapiantatisi in seguito in Basilicata si fregiarono del titolo di Conte nel XV secolo, a seguito della congiura dei baroni ordita nel Castello del Malconsiglio a Miglionico nel 1481 assunsero il cognome Scardaccione. Fra gli appartenenti alla stirpe dei Sinerchia sono da ricordare: Amelio Barone di Rapone e Castelgrande, che partecipò alla suddetta Congiura dei Baroni. Il castello di Senerchia, costruito tra il VIII e il IX secolo dai Longobardi, era posto a difesa di Conza della Campania, città importante dal punto di vista economico e strategico del meridione d’Italia. Il castello è stato distrutto da diversi eventi tellurici che hanno colpito il paese. Di esso oggi restano soltanto i ruderi delle mura e di una torre cilindrica. Questi ruderi sono una meta ideale sia per la storia che racchiudono sia per la loro posizione: da qui, infatti, si può godere di una splendida vista. Dopo le dominazioni normanna, sveva ed aragonese, i signori del Castello furono numerosi e tra questi si ricorda la famiglia Filangieri, nel 1507 i Carafa, nel 1629 passò a Antonio della Marra e dal 1776 fino all'abolizione dei diritti feudali nel 1806, appartenne alla casata dei Macedonio. Altri link consigliati: http://www.museodeicastelli.it/castelli/65-senerchia-castello-medievale.html, https://www.youtube.com/watch?v=jg1rmE8n61E (video di Stylemagno).

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Senerchia, http://www.castellidirpinia.com/senerchia_it.html, http://www.parcoregionalemontipicentini.it/parco/home-page/senerchia-avellino-1

Foto: entrambe sono di L.Boffa, Senerchia su http://www.panoramio.com/photo/62659949 e su http://www.panoramio.com/photo/62659866

giovedì 24 dicembre 2015

Buone feste a tutti ! Il blog va in vacanza



Auguro a tutti coloro che seguono il mio blog di trascorrere delle feste meravigliose insieme a chi vi sta accanto. In questi giorni non so se e quando pubblicherò nuovi castelli....fate un salto a controllare, chissà che non troviate qualcosa di nuovo, hahaha.

Valentino

mercoledì 23 dicembre 2015

Il castello di mercoledì 23 dicembre






COCCONATO (AT) - Torre

Parzialmente nascosta dagli alberi, la Torre di Cocconato è uno degli elementi caratterizzanti il paesaggio del comune monferrino. Oggi villa privata, l’edificio ha avuto una lunga ed interessante storia che inizia nei primi anni del X secolo. A quell’epoca i Conti Radicati, Signori di Cocconato, costruirono alla sommità della collina il loro castello, al quale si accedeva attraverso due porte. Parzialmente distrutti nel XIV e XV secolo, a seguito delle guerre tra Guelfi e Ghibellini e fra il Marchese di Monferrato e i Visconti di Milano, gli edifici fortificati vennero ricostruiti alla fine del 1400. Ma nel 1556 il castello, disputato tra tedeschi e francesi, venne da questi ultimi definitivamente distrutto e rimase pressoché intatta solamente la torre. Il terreno sul quale sorgeva venne venduto, intorno al 1800 dai Conti Radicati a Pietro Sarboraria. In quegli anni nella costruzione fu installata una stazione per il telegrafo ottico Chappe, voluto da Napoleone per collegare Parigi con Milano e Venezia. Nel percorso fra Torino e Milano i siti più adatti vennero individuati nelle colline del Monferrato, piuttosto che nella pianura padana, dove la frequente nebbia avrebbe cagionato problemi per la visibilità dei segnali. Così dalla torretta del Palazzo Madama di Torino i segnali erano trasmessi alla stazione di Superga e da questa ad Albugnano e quindi a Cocconato, distante in linea d’aria circa 6 km. Qui prestavano servizio come addetti il proprietario della torre e suo figlio, con compenso di £ 1,15 al giorno ciascuno. Da Cocconato i segnali erano inviati a Villadeati e via via a tutte le altre stazioni, fino a raggiungere il capoluogo lombardo. Il telegrafo ottico venne utilizzato per le comunicazioni fra Italia e Francia dal 1809 al 1814 e successivamente ancora per alcuni decenni per i collegamenti con Albugnano e Villadeati, fino all’introduzione del telegrafo elettrico. Nel 1836 il Sarboraria chiese al Comune il permesso di abbattere la torre medievale, ormai gravemente degradata, per costruirvi al posto un mulino a vento, ma le autorità si opposero, in quanto l’edificio era un punto caratteristico del paese, nel quale era consuetudine fare il cosiddetto falò ed i fuochi artificiali. La controversia si risolse rapidamente ed il Comune acconsentì alla demolizione della vecchia torre a condizione che fosse ricostruita nello stesso luogo, di analoga foggia architettonica e che si potesse continuare ad usare il sito per il falò ed i fuochi artificiali. Nell’autunno dello stesso anno, la nuova costruzione, formata dalla torre circolare, con sopra la struttura portante le pale, ed un piccolo edificio addossato era ultimata e poteva iniziare l’attività del mulino a vento, uno dei pochissimi realizzati in Piemonte. Tuttavia il mulino, probabilmente a causa di difetti meccanici intrinseci e della scarsità del vento, funzionava male e così dopo pochi anni il lavoro venne sospeso e nel 1851 anche le pale e la relativa struttura portante furono smontate. L’edificio fu successivamente trasformato in abitazione, diventando “Villa Giuseppina” (oggi “Villa Pia”): la torre venne completata superiormente con un terrazzo praticabile e all’interno furono ricavati due piani abitativi, con apertura di finestre ad arco acuto in quello inferiore e circolari in quello superiore, mentre l’edificio addosso fu rialzato di un piano nel 1910. Questa è in sintesi la storia di un edificio dal quale, nelle giornate limpide, è possibile godere di un eccezionale panorama: si riescono infatti a vedere la catena delle Alpi e l’Appennino Ligure, nonché molte città tra cui Novara, Vercelli, Saluzzo, Cuneo e, con un buon cannocchiale, perfino Milano, distante circa 100 km in linea d’aria. Altre pagine per approfondire: http://www.mepiemont.net/paesi/prov_at/cocconato.html, http://www.monferratoutdoor.it/torre-di-cocconato/

Fonti: http://www.comune.cocconato.at.it/Web-comuni-new/dettaglio_menu.aspx?categoria=La-torre&comune=Cocconato

Foto: la prima è presa da http://www.mepiemont.net/paesi/prov_at/cocconat/coccon_torre.jpg, la seconda invece da http://2014.bandierearancioni.it/mobile/comune/photogallery/88/Cocconato-AT

martedì 22 dicembre 2015

Il castello di martedì 22 dicembre




VITTORIO VENETO (TV) - Castello di San Martino

Cèneda è un quartiere di Vittorio Veneto e ne rappresenta la porzione meridionale. Ceneda ha una storia assai antica: viene citata dallo storico Agazia come Keneta (VI secolo), toponimo che suggerisce un'origine celtica. È sicuro invece che in età romana rappresentasse un insediamento di una certa importanza, forse un vicus fortificato con il compito di appoggiare il castrum di Serravalle, realizzato per controllare gli accessi settentrionali al territorio di Oderzo. La presenza romana è inoltre testimoniata dai resti di una centuriazione (con 36 riquadri), ravvisabili nelle strade a sud del centro: cardi erano le attuali vie Rizzera e via Cal Alta (quest'ultima in comune di Cappella Maggiore), mentre un decumano è stato identificato con via Cal de Livera. Sono visibili anche numerosi limiti intercisivi. La decadenza di Oderzo accrebbe l'importanza di Ceneda, che fu sede di un ducato longobardo e in seguito di una diocesi. A partire dal 962, grazie alle concessioni di Ottone I, i vescovi esercitarono anche il potere temporale di conti sul vasto territorio (grossomodo dal Piave al Tagliamento) che era stato prima l'agro opitergino e poi il ducato longobardo. Nel 1307 il vescovo Francesco Ramponi cedette a Tolberto da Camino il territorio di Portobuffolè in cambio della contea di Tarzo (detta anche Castelnuovo) comprendente anche Corbanese, Arfanta, Colmaor e Fratta. In quest'ultima, il potere era detenuto da un vice-conte. La podestà ecclesiastica sulla contea fu mantenuta anche dopo la conquista della Serenissima. L'ultimo vescovo sovrano fu Lorenzo Da Ponte poiché, dal 14 dicembre 1769, la Repubblica prese direttamente il controllo del territorio insediandovi un podestà. Tuttavia Ceneda non ebbe mai il carattere di vera e propria città. In particolare, la sua evoluzione fu impedita dall'accrescersi della vicina Serravalle che, specie dopo la sottomissione a Venezia, assumeva invece le peculiarità di un borgo ben sviluppato dal punto di vista urbanistico ed economico. Il nucleo principale si concentrava ai piedi del castello di San Martino, sede del vescovado, ma per il resto era caratterizzata da un'economia prevalentemente agricola, con edifici sparsi o raccolti in minuscoli agglomerati. Ceneda è dominata dal Castello di San Martino, che sorge su un rilievo subito a nord della piazza (il colle di San Paolo). È l'antica sede dei vescovi-conti: forse di origini tardo-romane (V-VI secolo), fu restaurato dal 1420 dal vescovo Antonio Correr, ma mantiene in alcuni punti il suo aspetto di fortezza medievale. Vi si giunge tramite via Brevia, una strada molto panoramica che esce dalla piazza della Cattedrale e attraversa piccoli borghi caratteristici. Una galleria collegava anticamente il Castello di San Martino con il sottostante castello dei Romagno, non più esistente. Tale galleria è stata chiusa nel 1882. Altri gravi danni si ebbero a Ceneda con i terremoti del 1873 e del 1936, a seguito dei quali per il castello e per altri monumenti si intervenne con pesanti restauri. Ecco un interessante video del castello (di YouTour): https://www.youtube.com/watch?v=XUSgxfjqjgA

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Ceneda, http://www.magicoveneto.it/Trevisan/VittorioVeneto/Ceneda_CastelloSanMartino.htm,

Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, la seconda è presa da http://www.prolocovittorioveneto.it/img/vittorio-veneto/Castello-di-San-Martino-alto.jpg

lunedì 21 dicembre 2015

Il castello di lunedì 21 dicembre






TORANO CASTELLO (CS) – Palazzo Baronale in frazione Sartano

Le uniche notizie certe che si hanno su Sartano lo indicano come feudo dei Cavalcante agli inizi del XIII secolo, allorchè, come tale, fu conferito dalla regina Giovanna I a Filippo Cavalcante di Firenze. Ai Cavalcante, dopo circa trecento anni seguirono i Caputo (1659), i Lupinacci (1665), di nuovo un ramo della famiglia Cavalcante (1666), i Campagna (1746), di nuovo i Cavalcante (1787). Durante il XVI secolo, ai tempi delle trasmigrazioni albanesi in Italia, Sartano ebbe molti di questi come suoi abitanti. La legge francese del 19 gennaio 1807 ne fece un Luogo\Università, nel Governo di San Marco, mentre con il riordino successivo del 1811 divenne frazione di Torano. Il Palazzo Baronale, cui era annessa la vecchia chiesa di San Domenico, esisteva già nel XVII secolo. Oggi è di proprietà della famiglia Maierà. L'ala ovest del palazzo è quella che ha subìto gli interventi di ristrutturazione più recenti. Della struttura originaria di quest'ala rimangono solo le mura esterne. Il tetto è stato rifatto, è stato eliminato un piano ammezzato, sono comparsi dei balconi... La parte più interessante da un punto di vista storico ed architettonico è invece l'ala est del palazzo che ha avuto nel corso degli anni la "fortuna" di essere usata come magazzino di deposito e come cantina ed è stata perciò risparmiata da interventi più invasivi. Ha comunque subito l'ingiuria del tempo. Si racconta fosse chiamata "a turretta" e doveva avere un'altezza ben maggiore ma è stata abbassata a seguito di danni riportati nel corso dei terremoti del secolo scorso. E' sicuramente la parte più antica e mostra modalità d'uso e tipologie di materiali di costruzione diversi dal resto del palazzo. Presenta anche degli elementi decorativi di pregio come i conci di pietra agli angoli del muro sud e conici in pietra poste fra primo e secondo piano.



sabato 19 dicembre 2015

Il castello di domenica 20 dicembre






ORIOLO ROMANO (VT) – Palazzo Altieri

Sulla facciata del palazzo Santacroce, oggi noto come Palazzo Altieri, si leggono alcune parole che possono essere considerate l'atto di nascita del paese: "Giorgio Santa Croce quinto signore di Viano, figlio di Onofrio, disboscò la selva di Manziana, e condottovi i coloni nell'anno 1562, rese frequentata la strada Claudia, dotò di mura il castello di Oriolo, edificò la chiesa di S. Giorgio (1570), edificò questo palazzo". Nei primi anni del 1560, infatti, Giorgio Santacroce, ricevuto il feudo in donazione dalla famiglia Orsini, chiamò Oriolo il nuovo insediamento sorto dal disboscamento del 1560. Il signore invitò nelle sue terre contadini e boscaioli, detti "capannari", provenienti soprattutto dalla Toscana e dall'Umbria, da Pistoia e Siena in particolare. Concesse enfiteusi e mise a disposizione case per gli abitanti con l'obbligo di disboscare macchie e di coltivare terre, corrispondendo il "quinto" di quanto raccolto. Al momento dell’atto di donazione del feudo, gli Orsini posero però una clausola per effetto della quale, in mancanza di discendenza maschile, il feudo doveva tornare in loro possesso. Nel 1606 la clausola venne applicata e il feudo ritornò alla nobile famiglia. Nell’ottobre del 1671, il Cardinale Virgilio Orsini cedette per 400 mila scudi alla famiglia Altieri il castello di Oriolo ed altri castelli limitrofi. Da quel momento la città divenne sede della “curia” baronale, mentre gli Altieri mantennero il feudo per sette generazioni, fino al 1922, anno in cui fu definitivamente smembrato in base alle leggi che facilitavano l'affrancamento degli "usi civici". Il Palazzo Altieri, costruito dai Santacroce tra il 1578 e il 1585, è a pianta rettangolare con la facciata arricchita da un loggiato ad arcate ioniche, mentre ai lati vi sono due strutture angolari a forma di torrione. L’edificio chiude piazza Umberto I. Nell’atrio spicca lo stemma della famiglia Altieri che, divenuti nuovi padroni dal 1674 - durante il papato di Clemente X (l'esponente più rilevante della famiglia) - decisero di ingrandirlo con due corpi laterali per difendere meglio la loro residenza di campagna e poter creare un’imponente pinacoteca, determinandone l’attuale struttura ottenuta sotto la direzione di Carlo Fontana. L'interno contiene molti affreschi: sette immagini di Roma, storie dell'Antico Testamento e paesaggi che rappresentano luoghi appartenenti all'epoca alla famiglia: Vicarello, Castello di Rota, Canale Monterano ecc. Il palazzo contiene anche nell'ala est la Galleria dei Papi, voluta da Papa Clemente X Altieri, lunga 70 metri ed arricchita da quadri a olio di epoche diverse che immortalano i pontefici da S. Pietro fino all’attuale. La galleria servì da modello per i ritratti dei papi di San Paolo fuori le mura che erano andati distrutti dopo l'incendio del 1823. Altri ambienti nel palazzo sono decorati con stucchi e affreschi, con soggetti mitologici e allegorici, attribuibili in parte alla scuola dei fratelli Federico e Taddeo Zuccari. La fontana  che decora la piazza fu costruita nel XVII secolo, ma non conserva il suo aspetto originario, visibile in un affresco all’interno del Palazzo, a causa dell’abbassamento del livello e della modifica degli elementi di contorno. Altri link consigliati: http://oriolo-romano.it/cosavedere.htm, http://www.lazioturismo.it/asp/scheda_archeo.asp?id=148, http://www.provincia.viterbo.gov.it/turismo/39-servizi/106-visitare_la_tuscia/56-monumento.html



Il castello di sabato 19 dicembre






LADISPOLI (RM) – Castello dei Monteroni

E’ un casale fortificato, che si trova lungo il percorso dell'antica via Aurelia (oggi via Antica Aurelia, già via dell'Acquedotto della Statua), nei pressi di una necropoli etrusca (Monteroni). Il termine “monteroni” deriva, infatti, dagli alti tumuli etruschi della necropoli adiacente scavata nel 1838 dalla duchessa Sermoneta (oggi ne restano solo un paio).  La struttura è dotata di due piani, ha le dimensioni di 36 x 22m e un' altezza di 8m, sui quattro vertici è dotata di quattro torri merlate di lato 5m. Oltre al castello vi erano due strutture una stalla ed un fienile in legno, oggi scomparso. Appartenne prima allo Stato Pontificio e in seguito nel XVI sec. ai marchesi di Riano. Durante i secoli il casale è stato adibito a più funzioni: venne utilizzato come stazione di posta, come albergo e osteria per i viandanti, sul percorso tra Roma e Civitavecchia. Vi soggiornarono san Paolo della Croce, il viaggiatore romantico George Dennis, l'architetto topografo Luigi Canina, Teresa Caetani, duchessa di Sermoneta, e il poeta Giuseppe Gioacchino Belli che vi fu anche arrestato. Durante gli anni cinquanta fu utilizzato come set cinematografico delle ultime scene del film "La Grande Guerra" con Alberto Sordi e Vittorio Gassman. Dopo la Seconda guerra mondiale l'edificio era stato dato in concessione ai mezzadri dell'Ente Maremma ed è caduto in abbandono alla fine degli anni sessanta, con il crollo di alcune parti della struttura. Il cattivo stato di conservazione di quel tempo è la ragione per cui l’edificio iniziò ad essere chiamato anche “castellaccio”. Passato dal disciolto Ente Maremma all'Agenzia regionale per lo sviluppo e l'innovazione dell'agricoltura del Lazio, in seguito all'attività della sezione del GAR di Ladispoli-Cerveteri è stato recuperato e in seguito restaurato per il Grande Giubileo del 2000 a cura della Provincia di Roma e della Soprintendenza ai beni architettonici del Lazio. La struttura è tuttavia ancora inutilizzata e di nuovo in condizioni di degrado. Per il giorno 20 gennaio 2011 il Comune di Ladispoli ha indetto una conferenza dei servizi per l'approvazione del progetto definitivo per il recupero ed il riuso della struttura. Altri link consigliati: http://www.tesoridellazio.it/pagina.php?area=i+tesori+del+lazio&cat=Castelli+e+fortezze&pag=Ladispoli+%28RM%29+-+Loc.+Monteroni+-+Il+Castellaccio, http://www.baraondanews.it/c/106453/13174/ladispoli---castellaccio-dei-monteroni--aggiudicati-i-lavori.html (con le ultime novità sul riuso del casale)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castellaccio_dei_Monteroni, http://www.archeoetruria.altervista.org/castmonteroni.html

Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, la seconda è presa da http://www.assovelica.it/castellacio-dei-monteroni/

venerdì 18 dicembre 2015

Il castello di venerdì 18 dicembre





BERGAMO – Rocca veneziana

Si trova nella parte alta della città sul colle di Sant’Eufemia, da cui domina, verso sud, la città bassa e la pianura circostante mentre verso nord guarda la corona delle Orobie. Nel XIV secolo Bergamo viveva le lotte fratricide delle fazioni contrapposte guelfe e ghibelline, partiti o meglio consorterie che dissimulavano aspirazionni di potere e nell'alleanza con potentanti superiori, ora il Papato ora l'Impero trovavano una propria legittimazione. Era il basso medioevo, un momento in cui le autonomie comunali si scontravano con gli emergenti poteri signorili, favoriti, oltretutto, questi ultimi, dalle lotte intestine che minavano dall'interno le libertà comunali. Interventi armati esterni, a volte subiti, a volte sollecitati come pacificatori, si trasformavano in dominazioni spesso intercambianti in un altalenante gioco politico-militare in cui il Comune cessava di essere soggetto per divenire oggetto politico. Tutto ciò accadde anche a Bergamo (5 febbraio 1331) e ad altri liberi comuni che, sfibrati dalle discordie interne, si offrirono all'azione pacificatrice di un potente, straniero, improvvidamente ritenuto super partes: in questo caso Giovanni di Lussemburgo, Re di Boemia e di Polonia. Bergamo non più libero comune venne a fare parte di una monarchia, passando, d'ora in avanti, da un dominatore all'altro seguendo il destino di altri comuni, anch'essi impotenti di fronte all'avanzare delle nuove istituzioni politiche, le signorie e quindi i principati. I principati, a loro volta, non avrebbero retto l'urto delle monarchie nazionali straniere che fecero dell'Italia uno degli scacchieri su cui confrontarsi nel tentativo di affermare la propria primazia. La costruzione della rocca iniziò lo stesso anno della dazione di Bergamo al re di Boemia, 1331. I lavori furono condotti sotto il coordinamento di Guglielmo di Castelbarco vicario del re, furono proseguiti dai Visconti, dopo che l'effimera esperienza, circa 20 mesi, di Giovanni del Lussemburgo era sta chiusa dalle armi viscontee, e ultimati da Azzone Visconti nel 1336. I Visconti aggiunsero delle opere di fortificazione che ne aumentarono la funzione difensiva sia contro nemici esterni sia contro quelli interni e le loro eventuali velleità di ribellione: il castello come difesa ma anche come strumento di repressione e di controllo del territorio. Il podestà Negro Pirovano, che reggeva Bergamo in nome dei Visconti, fece apporre una targa commemorativa sui muri che erano stati fatti costruire per rinforzare il castello, 1345: “Anno milleno triceno terque quideno Vir Prudens dominus Niger e Pirovano natus Bergomi rector capitaneus atque potestas Pro excelsis dominis nostris Ioanne Luchino Hos condi lecit muros in tempore dicto”. (Bortolo Belotti, Storia di Bergamo e dei bergamaschi, Bergamo, Bolis, 1989.). Nel nuovo sistema difensivo visconteo la Rocca venne integrata da una nuova opera militare, la Cittadella, in un complesso visto « soprattutto come strumento per tenere in soggezione la città, in quanto permetteva di mettere in sicurezza il presidio consentendone al contempo il soccorso e il rifornimento dall'esterno. » (Gian Maria Labaa, Bergamo in Castra Borgomensia, 2004). Nel 1355 Bernabò Visconti iniziò la costruzione, sul colle San Giovanni, della Cittadella chiamata Firma Fides, come indicato in un'apposita lapide. La lapide, oltre all'iscrizione e allo stemma visconteo, aveva in altorilievo una figura umana a tre teste come allegoria della concordia che regnava tra i Visconti. Quest'opera completò la funzione difensiva della Rocca, costruita sul colle Sant'Eufemia, racchiudendo il centro storico tra i due colli ora entrambi fortificati. Le due fortezze costituirono così un unico complesso difensivo coordinato, di cui uno, la Rocca, rappresentava, in caso di occupazione nemica, l'ultima possibilità di salvezza e di contrattacco, l'ultima ridotta. Con la costruzione della Cittadella « i Visconti rendono bipolare, e quindi dinamico, il sistema difensivo della città di Bergamo ora non più legato alla staticità della tenuta di un circuito murato » (G. M. Labaa, Ibid.). Quel che rimane ora della Cittadella è poco meno della metà dell’opera originaria che comprendeva anche l’area dell’attuale Seminario vescovile. La città vecchia era così racchiusa in un recinto fortificato, vagamente triangolare, che aveva ai propri vertici la Rocca a sud-est, la parte della Cittadella attualmente superstite a nord-est e la cosiddetta Cittadella Superiore, ora scomparsa, a sud-ovest. Nel 1428 alla signoria viscontea successe la dominazione veneziana che portò a nuove opere di fortificazione. Nella parte bassa della città fu costruita una cinta muraria, le Muraine, una vera e propria barriera fortificata che la isolava dalla pianura: il suo resto più vistoso è la torre del Galgario nella parte sud-orientale. Le Muraine costituivano l'anello difensivo più esterno della città mentre il baluardo più importante restava il complesso fortificato di città alta, che dal 1º settembre 1561, data d’inizio dei lavori, al 1588 venne racchiuso da un imponente circuito bastionato che doveva rendere Bergamo una città fortezza, nelle intenzione dei progettisti imprendibile. Al mastio della Rocca fu aggiunto il torrione circolare che ancora oggi lo caratterizza e al suo interno un edificio, la cosiddetta scuola dei Bombardieri, come caserma degli artiglieri. Il torrione veneziano, privo di merlatura, è alto 23 metri e si divide in tre piani. L'edificio interno per gli artiglieri era a due piani; il secondo è stato abbattuto agli inizi del Novecento. La Rocca mantenne la sua funzione militare anche durante il breve periodo napoleonico, 1797-1814, e sotto la successiva dominazione austro-ungarica, dal 1814 all’8 giugno 1859, quando fu liberata da Garibaldi. Negli anni 1927/33 il complesso, già ceduto dallo Stato al Comune di Bergamo, fu sottoposto a un attento restauro al fine di ridargli il suo aspetto originario e di utilizzarlo come luogo ideale per la celebrazione della storia risorgimentale bergamasca. Dal 7 maggio 2004 l’edificio all’interno del mastio, già alloggio dei granatieri veneziani, ospita l’attuale Museo Storico di Bergamo (al riguardo potete visitare questo link: http://fondazione.bergamoestoria.it/ottocento_complesso_rocca.aspx) , mentre il piazzale antistante è sede di manifestazioni celebrative. La Rocca, per la sua posizione elevata, e particolarmente il torrione del mastio, da cui si gode una bellissima vista a 360 gradi sulla pianura e sulle Orobie, sono mete di un notevole flusso turistico. Altri link consigliati: http://www.infobergamo.it/bergamo/articoli/2005/3rocca1.htm, https://www.youtube.com/watch?v=4WymElRNEm8 (video di

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Rocca_di_Bergamo, http://guide.travelitalia.com/it/guide/bergamo/la-rocca/

Foto: la prima è di Diego Berti, pubblicata nella pagina Facebook https://www.facebook.com/CASTELLI-ROCCHE-FORTEZZE-in-Italia-308856780344/?fref=photo, la seconda è presa da http://www.geoplan.it/foto-monumento/monumenti/monumenti-da-visitare-bergamo-rocca-di-bergamo.jpg

giovedì 17 dicembre 2015

Il castello di giovedì 17 dicembre






CASTELNUOVO BERARDENGA (SI) - Castello di Scopeto

"Un lungo viale di bosso, accuratamente sagomato, conduce all'antico complesso di Scopeto. Il luogo fu, agli inizi dell’anno mille, parte dei possedimenti della cattedrale senese divenendo poi proprietà della famiglia Sozzini che lo mantenne fino all’estinzione avvenuta nel secolo scorso. Già agli inizi del '300 troviamo alcuni Sozzini partecipare alle alte magistrature della Repubblica Senese, ma è solo verso la fine del XV secolo e durante il successivo che Cornelio, Dario, Lelio, Camillo e Fausto accoglieranno, con pieno entusiasmo, le tesi della Riforma divulgando, nelle numerose Accademie, quelle scintille di eresia che in seguito provocheranno le ire e la energica reazione del Sant'Uffizio. Scopeto diventa così il ritrovo di tutti coloro che accettano le nuove idee, e dopo essere stata coinvolta negli ultimi fatti d'arme che portarono alla caduta della fiorente repubblica sotto le palle medicee, diverrà con Fausto Sozzini, il centro delle nuove conferenze teologiche. I primi sospetti di eresia nascono nel 1558 e questo evento procurerà un primo processo inquisitoriale per tutti i membri della famiglia. L'inquisizione arriva fino alla villa di Scopeto e qui vengono catturati Cornelio e Dario, mentre Camillo e Fausto riusciranno a fuggire. Durante il processo Fausto si recherà all'estero e troverà rifugio a Ginevra, mentre in patria i suoi beni, compresa la villa di Scopeto, venivano confiscati dal Sant'Uffizio. La torre, dunque, e tutti gli altri edifici che si affacciano su un grande piazzale sono legati a questa famiglia, a cui si deve la prima trasformazione in villa di Scopeto, e principalmente del cassero medievale e del corpo adiacente. La torre a pianta rettangolare conserva ancora nella base il robusto paramento murario a scarpa, mentre subisce continui rifacimenti nella parte alta, escluso tutto il lato nord in cui sono visibili le finestre ad arco ribassato e le arciere-archibugiere dalla sommità. Altri edifici, adibiti agli usi della fattoria, si affacciano sul piazzale e conservano, sia nelle strutture sia internamente, quel sapore un po' vecchiotto, dove ogni locale mantiene ancora gelosamente le proprie funzioni secondo i criteri di una agricoltura più patriarcale che moderna. Alcuni vani della villa sono stati invece affrescati durante gli ultimi restauri con decorazioni floreali tanto care al '600 e '700 che sono eseguite con rara maestria.". La tenuta è ora uno dei più esclusivi luoghi di soggiorno ed offre ai suoi ospiti una esperienza unica.
Fonti: http://www.borgoscopetorelais.it/ita/storia.htm (Tratto dal libro "Il Chianti di villa in villa" - Autore: Prof. Lorenzo Bosi - Scopeto), http://www.borgoscopetorelais.it/ita/relais.htm

Foto: entrambe di Claudio Vagaggini, pubblicate sulla pagina Facebook https://www.facebook.com/CASTELLI-ROCCHE-FORTEZZE-in-Italia-308856780344/?fref=photo

mercoledì 16 dicembre 2015

Il castello di mercoledì 16 dicembre






LIGOSULLO (UD) - Castello in località Valdajer

E' situato nel paesaggio montano delle alpi carniche circondato da abetaie inserito nell’area naturalistica di pregio ambientale della Regione FVG nella Valle dell'Incarojo o di Paularo, a circa 1340 mt di altitudine. Il castello, costruito nel 1460 da Corrado IV Von Kreig, barone del Sacro Romano Impero e comandante del forte di Osoppo nella guerra tra Austria e Repubblica Veneta, non è più riconoscibile nella sua struttura originaria di baluardo difensivo. Secondo Natalino Sollero ( "L'Incarojo fra storia e leggenda", Campanotto editore 1994), dicono che a Valdajer "avendo il Parlamento Friulano eretto a protettore dello Stato Patriarcale, contro le oppressioni dei conti di Gorizia, un certo Corrado I° von Kraig, barone del Sacro Romano Impero, un successore di questo, Corrado IV° von Kraig, trovandosi al comando delle sue truppe nei forti di Osoppo e di Sutrio, un giorno dell'anno 1430 salì sul Valdajer, rimanendo talmente incantato della località da decidere di costruirvi una sua dimora. Il fatto è documentato dalla data fissata sulla volta della porta del castello, ora portata a Stockdorf, presso Monaco di Baviera, e dai lasciti di Corrado IV° al figlio Leonardo Kraig, registrati dal notaio Beltrando da Tolmezzo il 22 aprile 1488". Il castello fu riadattato a dimora di famiglie nobili. Il Sollero giunge poi a notizie del 1839, quando Jacopo Nicolò Craigher ricostruì il castello sulle vecchie mura, per adibirlo a residenza estiva. L'architettura assunse lo stile neogotico di tipo tedesco e fu adibita anche ad ospitare personalità del mondo degli affari e più generalmente di quello mitteleuropeo. Successivamente l'edificio fu notevolmente ampliato nel 1880 dal barone Dionisio Craigher "de Jachelutta", marito di Amelia von Flotw. Si dice che (sempre secondo il Sollero) in quel periodo vi abbia soggiornato in forma privata l'imperatore Francesco d'Asburgo. Seguì poi la decadenza della struttura, con l'incendio del 1917 ad opera delle truppe in ritirata. Vi fu una ricostruzione per opera del senatore Pier Silverio Leicht (parente del barone Corrado Craigher) con i finanziamenti dei danni di guerra. Il Nobile Orgnani di Tricesimo acquistò l'edificio nel 1972 e lo trasformò in castello-albergo, cedendolo successivamente ai fratelli Altan di Ramuscello, i quali lo usano quale struttura turistica. Oggi infatti è adibito ad albergo. Al piano terra trovano posto bar, ristorante, sala tv, saletta con caminetto, cucina e servizi. Il Castello di Valdajer è un ottimo punto di partenza per interessanti escursioni al laghetto Dimon, al rifugio alpino sul Monte Paularo e alle vecchie malghe in disuso di Montate, Cuesta Robbi, Foranc e Culet. La leggenda parla dell'ambiente dei pascoli, ove a primavera i pastori conducevano le greggi. Fra essi vi era un giovane, figlio del padrone del pascolo, che non si adattava alla vita di pastore e che bestemmiava contro le interminabili giornate fra il gregge. Una sera d'autunno, poco prima che finisse l'alpeggio, pioveva intensamente e il giovane si trovava solo nella malga. Sentì abbaiare il cane e quando aprì la porta si trovò dinanzi una giovane donna molto bella. Si trattava di Volaia (da qui il nome Valdajer). Il ragazzo le chiese di andarsene via con lei. Così, al ritorno dei pastori e del padre, questi non trovarono più traccia di lui. Lo chiamarono e cercarono a lungo, ma nulla da fare. Il padre, alla fine, decise di partire con le capre verso il Plan da Listeli, ordinando di appendere sulla porta della casera una croce che tenesse lontane le streghe. Il vecchio fu ritrovato nella primavera successiva, accanto ad un sasso da cui sgorgava una sorgente.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Ligosullo, http://www.altan.com/it/proposte-immobiliari/item/34-castel-valdajer, http://www.orgnani.it/orgnani/valdajer.htm

Foto: la prima è presa da http://adesso-pedala.it/wp-content/uploads/2015/06/DSCF3444.jpg, la seconda da http://www.orgnani.it/orgnani/orgnani_file/foto_valdajer2.jpg

martedì 15 dicembre 2015

Il castello di martedì 15 dicembre






SOGLIO (AT) - Castello

Si trova in posizione elevata al centro del paese, di cui ne caratterizza l'urbanizzazione concentrica. Il Castello era chiuso, in epoca medioevale, nel recinto di cui rimangono tracce sul lato a nord. Si ritiene che la sua edificazione possa risalire all'XI secolo. Nel secolo successivo fu possesso dei vari esponenti della famiglia Pelletta. Verso la metà del '500 gravi danni furono arrecati all'edificio dalle truppe francesi. Nel XVII secolo risultava diviso in tre parti spettanti agli Asinari, ai Crova e ai Della Valle. Questi ultimi promossero, verso la metà del '700, interventi di restauro che conferirono all'edificio gran parte dell'aspetto attuale, ossia di elegante residenza, attenuando così i caratteri della casaforte medioevale. Di quest'epoca conserva, nei prospetti est e nord, elementi visibili dalla piazza della chiesa: un'ampia muraglia, due finestre ogivali tamponate e una cornice sottofalda in mattoni sporgenti a mo’ di dentelli. Sulla porta d'ingresso, uno stemma in pietra scolpita che "inquarta" il leone, simbolo dei Pelletta e la torre, simbolo degli Asinari. Attualmente è una dimora storica con Bed & Breakfast (vedere il sito http://www.castellodisoglio.com/) con una particolarità: il proprietario offre ai clienti la possibilità di partecipare a corsi di cartascultura da lui stesso tenuti, in quanto esperto conoscitore di questa inconsueta arte. Un giardino all’italiana occupa lo spazio antistante la facciata. Non è visitabile. Per approfondire, suggeriamo questo link: http://www.beniculturali.monferratoastigiano.it/sog_castello.htm
Fonti: http://www.comune.soglio.at.it/web-comuni-new/dettaglio_menu.aspx?categoria=Il-Castello&comune=Soglio&des=Il%20Castello, http://www.astinternational.it/servizi/informazioni/informazioni_fase03.aspx?ID=1319,

Foto: la prima è di VIG su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/397574/view, la seconda è di Elio Maltoni su http://www.panoramio.com/photo/19740045

lunedì 14 dicembre 2015

Il castello di lunedì 14 dicembre





FILAGO (BG) - Castello di Marne

All'anno 976 risale il primo documento scritto che attesta l'esistenza di Marne, che risentì di un notevole incremento demografico e crebbe di importanza. Questo era dovuto al fatto che la strada di collegamento tra Bergamo e Milano riprese importanza, e la zona dominava il passaggio sul ponte Corvo. Anche le mire egemoniche su questa zona aumentarono a dismisura, facendola diventare molto appetita tra le potenti famiglie dell'epoca. Numerose furono allora le fortificazioni, tra le quali spiccava il poderoso castello dotato di torri e di mura che, tuttora esistente, è conosciuto come Castello di Marne. Situato in una posizione strategica venne costruito in epoca medievale, probabilmente sui resti di un fortilizio di origine romana. Il buono stato di conservazione permette di vedere gran parte della struttura integra, così com'era parecchi secoli fa, con torri merlate, il ponte levatoio ed un parco ancora rigoglioso. Su di esso si narrano numerose storie e leggende, tra cui quella che vedrebbe i santi Fermo e Rustico qui tenuti in prigionia prima di essere portati a Verona, dove subirono il martirio. Logicamente qui si svolsero i principali avvenimenti riguardanti il territorio comunale in epoca medievale: inizialmente gestito dalla famiglia guelfa degli Avogadro, che lo ricevette in gestione dal vescovo di Bergamo, lo consegnò, nel 1398 al ghibellino Gian Galeazzo Visconti al fine di ottenere una sospensione dei violenti combattimenti che interessavano l'intera zona. La tregua durò soltanto sei anni, dal momento che nel 1404 le truppe capitanate da Pandolfo Malatesta attaccarono e distrussero il castello e le abitazioni circostanti. La situazione sociale e politica si acquietò con l'avvento della Repubblica di Venezia, avvenuto nel 1428. La Serenissima difatti varò una serie di leggi volte ad eliminare una volta per tutte le diatribe tra le opposte fazioni guelfe e ghibelline, e permise la ricostruzione del castello di Marne, che venne riaffidato alla famiglia degli Avogadro. A quel tempo, l'edificio aveva dimensioni ben più imponenti di quelle di oggi, estendendosi verso il paese,al  quale lo collegavano muraglie, intercalate da due torri, di cui una è ancora visibile, in uno stato di conservazione buono, nel cortile di una cascina situata a pochi metri di distanza dal Castello. Tra le due costruzioni, c'è oggi una chiesetta, restaurata. Ciò potrebbe indicare la continuazione(il perdurare) di un culto del luogo, considerato 'sacro' nelle varie epoche. All'inizio del XVIII secolo subì ulteriori devastazioni ad opera di Francesi e Tedeschi (al tempo della successione Spagnola). Lo ritroviamo alla fine dell'Ottocento, con nuovi proprietari, i Colleoni. Marino Colleoni alla fine dell'Ottocento lo restaurò e lo trasformò in residenza estiva; in seguito i suoi eredi ne proseguirono l'opera di ripristino, trasformando lo spalto che domina il Brembo in un sontuoso giardino e inserendo un arredamento consono alle origini medievali del maniero. Ciò che era originariamente questa dimora, oggi non c'è più. In epoche più recenti (inizi Novecento), furono aggiunte le due ali ad angolo tra di loro, con portico e sale al piano terra e locali abitabili a quello superiore. Nell'atrio interno sono sistemati alle pareti vari cippi lapidei recanti stemmi nobiliari/familiari e un'icona raffigurante la Madonna con il Bambino. All’esterno è stata mantenuta la tipica struttura medievale, anche se rimaneggiata più volte nel corso dei secoli, con l’imponente torre merlata, gli evidenti segni della passata esistenza del ponte levatoio, le finestre a sesto acuto; l’interno, invece, richiama le residenze rinascimentali con un semplice impianto a L, il giardino, la fontana e il pozzo a muro. Nel cortile del castello si trova un caseggiato una volta adibito a scuderie e sotto il quale, durante il periodo di Bartolomeo Colleoni, era stata scavata nella viva roccia che sovrasta il fiume Brembo, una stanza che fungeva da zecca. Durante gli scavi in questo vano furono infatti rinvenute delle monete d'oro, risalenti al periodo del condottiero bergamasco (ora al Museo di Bergamo). Come ogni castello che si rispetti, anche questo di Marne ha le sue leggende, moltiplicatesi nella fantasia popolare soprattutto dopo che il conte Marino Colleoni aveva chiuso il cunicolo sotterraneo. Nota la tradizione che riporta l'apparizione, all'entrata del castello, di un fantasma con un grande mantello nero, o la romantica storia di Adelasia, la bella damigella figlia del castellano Guatterio Verando, contesa tra due cavalieri, che sarebbe stata liberata dal malvagio da parte di uno stuolo di cavalieri, penetrati nel castello tramite il condotto sotterraneo. Altri link suggeriti: http://www.acquaroli.it/location-matrimoni/castello-di-marne, http://www.mondimedievali.net/Castelli/Lombardia/bergamo/provincia000.htm#marne

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Filago_(Italia), http://www.isolabergamasca.org/castello-marne (qui trovate anche un video !!), http://www.comune.filago.bg.it/cenni-storici/920-cenni-storici, http://www.duepassinelmistero.com/Il%20Castello%20di%20Marne(Filago-BG).htm,


Foto: di ErmesCorti su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/250304/view e di kingleo su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/202790

sabato 12 dicembre 2015

Il castello di domenica 13 dicembre





COLLE D’ANCHISE (CB) – Castello 

(il testo, ad eccezione dell'ultimo periodo, è stato scritto da Franco Valente)

Non è facile capire a chi debba essere ricondotta l’attribuzione a uno sconosciuto Anchise la titolarità di quel nucleo abitato antico che oggi si chiama Colle d’Anchise ma che una volta si chiamava Cornachisio. Probabilmente la modifica del termine originario è iniziativa di epoca piuttosto moderna, credo nel tentativo antistorico di ingentilire un nome che a qualcuno sembrò poco piacevole. Lo stesso che é accaduto a Caccavone che in epoca recente fu cambiato in Poggio Sannita. Oppure di Cameli che oggi si chiama S. Elena Sannita. Sicuramente il cambiamento è stato fatto prima del 1781 perché già troviamo il nome moderno nella descrizione del Contado di Molise di Giuseppe Maria Galanti: “Colle d’Anchise. E’ in diocesi di Bojano, ed è popolato di 1611 persone. Vi è uno spedale, 5 cappelle, due badie, un beneficio, un luogo pio”. In realtà il documento da cui dovremo partire per ogni ulteriore approfondimento è il prezioso volume di Carlo de Lellis che va sotto il titolo di Discorsi delle famiglie nobili del Regno di Napoli e che fu pubblicato a Napoli nel 1654. De Lellis, occupandosi delle vicende della famiglia Sanfromondi, a un certo punto riferisce di una vicenda che riguardò Filippo Sanfromondo, secondogenito di Leonardo signore di Cusano, Prata, Capriati, Fossaceca, Ciorlano,Civitella, Pratella, Gallo, Letino e Valle (Agricola), avendo parteggiato per gli Angioini contro re Ladislao, fu dichiarato ribelle e le sue terre confiscate per essere assegnate a Francesco Pandone conte di Venafro. Ne nacque una vertenza che Nicolò, Giacomo e Antonio, figli di Filippo, conclusero con un accordo con il quale Francesco Pandone nel 1451 cedeva ai Sanfromondo “in contracambio Spineto, Cantalupo, Cornachisio, Campochiaro, e la metà delli Spineti, li quali essi fratelli Sanfromondo si divisero fra di loro”. Ma neppure Cornachisio è il nome originale di Colle d’Anchise perché esiste una citazione ancora più antica nei registri vaticani dove sono riportate le decime che la chiesa locale pagava a Roma. Tra le chiese della diocesi di Boiano che nel 1309 pagavano il tributo vi era anche quella di Coraccisi che corrisponde esattamente alla chiesa di Colle d’Anchise, come precisa Pietro Sella che nel 1936 ne fu il trascrittore. Anzi la piccola notazione è di un certo interesse perché non si riferisce a una chiesa in particolare ma ai “Clerici Coraccisi”. Il che fa intendere che in quell’anno a Colle d’Anchise vi fosse più di una chiesa. I chierici di Coraccisi pagavano 4 tarì. Le Rationes Decimarum Italiae ci danno, poi, anche una ulteriore notizia relativa al territorio di Colle d’Anchise, perché vi è citato alche il piccolo insediamento di Mignanello o Minganello dove esisteva un’altra comunità (Clerus Millanelli) che era obbligata al pagamento di 3 tarì all’anno. Millanellum è oggi un’entità del tutto sconosciuta, eppure in quel luogo vi nacque Roberto de Mignanello al quale fu dato in concessione, insieme al feudo di Mignanello dove era nato, anche quello di Pietra Fringa, come si legge nel Catalogus Baronum: Robertus de Mignanello sicut significavit Ab[denago] tenet Mignanellum, et Petram fringam feudum unius militis et cum augmento ij et servientes ij. Roberto di Mignanello, che riceveva il feudo per conto del Conte di Molise, fu un personaggio che ebbe vita lunga (a meno che non si tratti di nonno e nipote) perché sappiamo essere stato presente nel 1092 e poi nel 1124 alla donazione di Robertus filius Trostayni del castrum Torum a S. Sofia di Benevento (E. JAMISON, Molise e Marsia). Lo troviamo ancora nell’ottobre del 1147 a sottoscrivere in Limosano un atto di concordia stipulato tra Hugo Marchisius e Giovanni abate di S. Sofia di Benevento (E. JAMISON, Molise e Marsia, App., doc. 1). Infine nel marzo 1149 sottoscrisse il privilegio  con il quale Ugo (II), conte di Molise, confermava a S. Sofia di Benevento la concessione del castello di Castelvecchio, fatta dai suoi antenati, e la concessione dei castelli di Toro e S. Giovanni in Galdo, fatta da alcuni suoi parenti (JAMISON, Molise e Marsia, App., doc. 2) (E. CUOZZO, Commentario al Catalogus Baronum). Poco ci aiuta a ricostruire le vicende del nucleo abitato ciò che rimane del castello. Probabilmente una campagna di scavi archeologici finalizzata non solo alla conoscenza del luogo, ma anche e soprattutto, al restauro delle sopravvivenze, potrebbe fornire qualche utile informazione. E’ incredibile che edifici che hanno fatto la storia di un luogo scompaiano fisicamente. Probabilmente fu Federico II a deciderne una prima demolizione o una riduzione all’impotenza difensiva nel quadro del riordino delle strutture militari del territorio quando tutte le comunità che facevano parte della valle del Biferno furono assoggettate fiscalmente a contribuire alla riparazione e alla manutenzione del castello demaniale di Civita di Boiano. Questo tipo di gestione fu continuato anche dagli angioini e Carlo I seguì i criteri di Federico nell’amministrazione dei castelli che avevano una concreta importanza. Il castello di Civita di Boiano, infatti, veniva sostenuto dalle comunità di Monteverde, Castelvecchio, le baronie del circondario di Castropignano, Campobasso, Isernia, Roccamandolfi e tutte le baronie in feudo a Tommaso di Molise: Item castrum Boyani reparari debet per homines ipsius terre, Montis Viridis, Castelli Vecclis, baronie Castri Pignani, Campi bassi, Ysernie, Rocce Madelunie, Cantalupi et baronie domini Thomasii de Molisio. Tra le baronie di Tommaso di Molise, ovviamente, vi era anche Colle d’Anchise. Quando si arriva al vertice della collina dove si trova quel che resta del castello, sembra di essere arrivati alla periferia di un paese bombardato del Medio-Oriente. Uno spettacolo angosciante dove la sensibilità di qualche paesano cerca di porre riparo con piccoli interventi che restituiscono la speranza che ancora qualcuno vuole sopravvivere agli scempi delle demolizioni e della cancellazione della storia. Mi dicono che quando il castello fu demolito i muri perimetrali erano perfettamente in piedi. Ma servivano pietre per la carrozzabile e il castello di Colle d’Anchise fece la fine di quello di Longano, miseramente demolito per fare la massicciata della strada che doveva servire per raggiungerlo. A far sparire il castello di Colle d’Anchise non furono eserciti nemici, ma moderni escavatori. Le sterpaglie e i rovi impediscono qualsiasi avvicinamento. Cerchiamo un’altra via, ma è interdetta per pericolo di crolli. Non mi scoraggio e tento la salita dal basso. Non è un percorso consigliabile a chi venga a Colle d’Anchise per conoscere la sua storia. Viene da piangere nel vedere come si tiene nel disastro più totale il cuore della memoria storica del paese. Ferraglie, muretti semidiroccati, sporcizia, reti di letti usati come recinzioni, alberi infestanti, lavatrici abbandonate. E’ verosimile che la torre inglobata nei ruderi del “Castello” di Colle d’Anchise possa essere datata tra il IX e XI sec. d.C. Essa è sicuramente la struttura superstite più antica che ancora oggi si può vedere in paese, insieme ai ruderi del Palazzo Ducale di età sei-settecentesca, del quale oggi rimangono sempre meno tracce se si esclude un tratto, ancora ben conservato, del possente muro a scarpa che controlla dall’alto la valle del Biferno.

Fonti: http://www.francovalente.it/2014/12/01/colle-danchise-una-volta-si-chiamava-cornachisio-e-prima-ancora-coraccisi/, http://www.francovalente.it/2012/09/13/colle-d%E2%80%99anchise-salviamo-almeno-quella-motocarrozzella/, http://www.matese.org/comuni/colle%20d'anchise_file/storia.htm

Foto: da http://www.matese.org/comuni/colle%20d'anchise_file/Torre%20longobarda.jpg