sabato 12 dicembre 2015

Il castello di domenica 13 dicembre





COLLE D’ANCHISE (CB) – Castello 

(il testo, ad eccezione dell'ultimo periodo, è stato scritto da Franco Valente)

Non è facile capire a chi debba essere ricondotta l’attribuzione a uno sconosciuto Anchise la titolarità di quel nucleo abitato antico che oggi si chiama Colle d’Anchise ma che una volta si chiamava Cornachisio. Probabilmente la modifica del termine originario è iniziativa di epoca piuttosto moderna, credo nel tentativo antistorico di ingentilire un nome che a qualcuno sembrò poco piacevole. Lo stesso che é accaduto a Caccavone che in epoca recente fu cambiato in Poggio Sannita. Oppure di Cameli che oggi si chiama S. Elena Sannita. Sicuramente il cambiamento è stato fatto prima del 1781 perché già troviamo il nome moderno nella descrizione del Contado di Molise di Giuseppe Maria Galanti: “Colle d’Anchise. E’ in diocesi di Bojano, ed è popolato di 1611 persone. Vi è uno spedale, 5 cappelle, due badie, un beneficio, un luogo pio”. In realtà il documento da cui dovremo partire per ogni ulteriore approfondimento è il prezioso volume di Carlo de Lellis che va sotto il titolo di Discorsi delle famiglie nobili del Regno di Napoli e che fu pubblicato a Napoli nel 1654. De Lellis, occupandosi delle vicende della famiglia Sanfromondi, a un certo punto riferisce di una vicenda che riguardò Filippo Sanfromondo, secondogenito di Leonardo signore di Cusano, Prata, Capriati, Fossaceca, Ciorlano,Civitella, Pratella, Gallo, Letino e Valle (Agricola), avendo parteggiato per gli Angioini contro re Ladislao, fu dichiarato ribelle e le sue terre confiscate per essere assegnate a Francesco Pandone conte di Venafro. Ne nacque una vertenza che Nicolò, Giacomo e Antonio, figli di Filippo, conclusero con un accordo con il quale Francesco Pandone nel 1451 cedeva ai Sanfromondo “in contracambio Spineto, Cantalupo, Cornachisio, Campochiaro, e la metà delli Spineti, li quali essi fratelli Sanfromondo si divisero fra di loro”. Ma neppure Cornachisio è il nome originale di Colle d’Anchise perché esiste una citazione ancora più antica nei registri vaticani dove sono riportate le decime che la chiesa locale pagava a Roma. Tra le chiese della diocesi di Boiano che nel 1309 pagavano il tributo vi era anche quella di Coraccisi che corrisponde esattamente alla chiesa di Colle d’Anchise, come precisa Pietro Sella che nel 1936 ne fu il trascrittore. Anzi la piccola notazione è di un certo interesse perché non si riferisce a una chiesa in particolare ma ai “Clerici Coraccisi”. Il che fa intendere che in quell’anno a Colle d’Anchise vi fosse più di una chiesa. I chierici di Coraccisi pagavano 4 tarì. Le Rationes Decimarum Italiae ci danno, poi, anche una ulteriore notizia relativa al territorio di Colle d’Anchise, perché vi è citato alche il piccolo insediamento di Mignanello o Minganello dove esisteva un’altra comunità (Clerus Millanelli) che era obbligata al pagamento di 3 tarì all’anno. Millanellum è oggi un’entità del tutto sconosciuta, eppure in quel luogo vi nacque Roberto de Mignanello al quale fu dato in concessione, insieme al feudo di Mignanello dove era nato, anche quello di Pietra Fringa, come si legge nel Catalogus Baronum: Robertus de Mignanello sicut significavit Ab[denago] tenet Mignanellum, et Petram fringam feudum unius militis et cum augmento ij et servientes ij. Roberto di Mignanello, che riceveva il feudo per conto del Conte di Molise, fu un personaggio che ebbe vita lunga (a meno che non si tratti di nonno e nipote) perché sappiamo essere stato presente nel 1092 e poi nel 1124 alla donazione di Robertus filius Trostayni del castrum Torum a S. Sofia di Benevento (E. JAMISON, Molise e Marsia). Lo troviamo ancora nell’ottobre del 1147 a sottoscrivere in Limosano un atto di concordia stipulato tra Hugo Marchisius e Giovanni abate di S. Sofia di Benevento (E. JAMISON, Molise e Marsia, App., doc. 1). Infine nel marzo 1149 sottoscrisse il privilegio  con il quale Ugo (II), conte di Molise, confermava a S. Sofia di Benevento la concessione del castello di Castelvecchio, fatta dai suoi antenati, e la concessione dei castelli di Toro e S. Giovanni in Galdo, fatta da alcuni suoi parenti (JAMISON, Molise e Marsia, App., doc. 2) (E. CUOZZO, Commentario al Catalogus Baronum). Poco ci aiuta a ricostruire le vicende del nucleo abitato ciò che rimane del castello. Probabilmente una campagna di scavi archeologici finalizzata non solo alla conoscenza del luogo, ma anche e soprattutto, al restauro delle sopravvivenze, potrebbe fornire qualche utile informazione. E’ incredibile che edifici che hanno fatto la storia di un luogo scompaiano fisicamente. Probabilmente fu Federico II a deciderne una prima demolizione o una riduzione all’impotenza difensiva nel quadro del riordino delle strutture militari del territorio quando tutte le comunità che facevano parte della valle del Biferno furono assoggettate fiscalmente a contribuire alla riparazione e alla manutenzione del castello demaniale di Civita di Boiano. Questo tipo di gestione fu continuato anche dagli angioini e Carlo I seguì i criteri di Federico nell’amministrazione dei castelli che avevano una concreta importanza. Il castello di Civita di Boiano, infatti, veniva sostenuto dalle comunità di Monteverde, Castelvecchio, le baronie del circondario di Castropignano, Campobasso, Isernia, Roccamandolfi e tutte le baronie in feudo a Tommaso di Molise: Item castrum Boyani reparari debet per homines ipsius terre, Montis Viridis, Castelli Vecclis, baronie Castri Pignani, Campi bassi, Ysernie, Rocce Madelunie, Cantalupi et baronie domini Thomasii de Molisio. Tra le baronie di Tommaso di Molise, ovviamente, vi era anche Colle d’Anchise. Quando si arriva al vertice della collina dove si trova quel che resta del castello, sembra di essere arrivati alla periferia di un paese bombardato del Medio-Oriente. Uno spettacolo angosciante dove la sensibilità di qualche paesano cerca di porre riparo con piccoli interventi che restituiscono la speranza che ancora qualcuno vuole sopravvivere agli scempi delle demolizioni e della cancellazione della storia. Mi dicono che quando il castello fu demolito i muri perimetrali erano perfettamente in piedi. Ma servivano pietre per la carrozzabile e il castello di Colle d’Anchise fece la fine di quello di Longano, miseramente demolito per fare la massicciata della strada che doveva servire per raggiungerlo. A far sparire il castello di Colle d’Anchise non furono eserciti nemici, ma moderni escavatori. Le sterpaglie e i rovi impediscono qualsiasi avvicinamento. Cerchiamo un’altra via, ma è interdetta per pericolo di crolli. Non mi scoraggio e tento la salita dal basso. Non è un percorso consigliabile a chi venga a Colle d’Anchise per conoscere la sua storia. Viene da piangere nel vedere come si tiene nel disastro più totale il cuore della memoria storica del paese. Ferraglie, muretti semidiroccati, sporcizia, reti di letti usati come recinzioni, alberi infestanti, lavatrici abbandonate. E’ verosimile che la torre inglobata nei ruderi del “Castello” di Colle d’Anchise possa essere datata tra il IX e XI sec. d.C. Essa è sicuramente la struttura superstite più antica che ancora oggi si può vedere in paese, insieme ai ruderi del Palazzo Ducale di età sei-settecentesca, del quale oggi rimangono sempre meno tracce se si esclude un tratto, ancora ben conservato, del possente muro a scarpa che controlla dall’alto la valle del Biferno.

Fonti: http://www.francovalente.it/2014/12/01/colle-danchise-una-volta-si-chiamava-cornachisio-e-prima-ancora-coraccisi/, http://www.francovalente.it/2012/09/13/colle-d%E2%80%99anchise-salviamo-almeno-quella-motocarrozzella/, http://www.matese.org/comuni/colle%20d'anchise_file/storia.htm

Foto: da http://www.matese.org/comuni/colle%20d'anchise_file/Torre%20longobarda.jpg

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