SANTA SEVERINA (KR) – Castello normanno (Testi del Dr
Francesco De Luca su http://www.comune.santaseverina.kr.it/index.php?action=index&p=234)
"Santa Severina è ora superba di un vecchio
castello, coperto di edera verdeggiante e di vergognosa parietaria… Sotto
quelle mura, narra la storia, rintuzzò e infranse l'orgoglio di invitte schiere,
che, gloriose erano passate attraverso l'Italia. Roberto il Guiscardo l'assediò
invano… fu vinta solo dal tradimento di un Ruggiero, ma il castello ebbe fama
di inespugnabile. Ora l'ala distruttrice del tempo è passata irriverente anche
sul forte maniero: per gli antri oscuri, per gli umidi e neri sotterranei,
gelida…si aggira la solitudine; e sulle rocche, sulle torri, sui baluardi, sui
merli, che ancora sfidano la furia della tempesta, fin giù sui barbacani, che,
curvi sostengono la immane mole, crescono i licheni e s'intrecciano i rovi, su'
quali, a frotte, si posano le cornacchie, che nidificano tra i crepacci e nei
buchi di quelle mura vetuste, donde, a primavera, parte e si sente da lontano,
mesto, il lamento del passero solitario. Dalla costa dirupata anche ora il
castello medioevale lancia le sue torri in alto, e domina la cittadina ed i
colli circostanti; e, quando in questo secolo per ben due volte il terremoto
distrusse paesi e città e Santa Severina fu grandemente danneggiata, il vasto edificio
e le sue antiche fortificazioni non ebbero a soffrire che una lieve fessura che
ancora si vede.". Questa pittoresca pagina del De Giacomo, che scriveva alla fine del XIX secolo,
ci offre una descrizione del degrado in cui versava il castello in quel periodo
prima dell'acquisto, nel 1905, da parte del Comune. Sulle vicende del monumento
dopo l'abbandono dei Grutther, conseguente alla legge napoleonica che decretava
la fine del regime feudale, c'è un buco nero di un secolo che solo la
conoscenza e lo studio dei documenti dell'archivio comunale, purtroppo ancora
da riordinare e catalogare, potranno chiarire. Abbiamo accennato al fatto che
dagli inizi degli anni '30 il castello ospitò il Ginnasio-Convitto e che fu
grande il merito di quei dirigenti che salvarono il monumento da ulteriore
degrado in modo da consegnarlo ai restauratori in buono stato di conservazione.
I lavori iniziati nel 1991, sono culminati nella cerimonia di riconsegna
tenutasi il 23 maggio 1998. Sette anni che hanno visto all'opera numerosi e
qualificati tecnici delle due Soprintendenze (quella Archeologica e quella per
i Beni Culturali) che, confrontandosi e qualche volta scontrandosi, hanno
condotto a termine il restauro nel migliore dei modi. Era auspicabile che, al
termine delle complesse operazioni che hanno riportato il castello all'antico
splendore, si producesse uno studio che, ripercorrendo le varie fasi del
restauro, ci disvelasse finalmente i punti oscuri che avevano impedito una
lettura completa e scientificamente valida dell'intera struttura. La stampa
dell'opera in due volumi, uno a cura della sezione archeologica e l'altro della
sezione dei beni culturali, segna un punto fisso e qualificato per chi voglia
approfondire lo studio del castello. Riteniamo, di conseguenza, che
l'addentrarci in una complessa descrizione dei piedritti, delle bertesche,
delle troniere, dei beccatelli,dei rivellini, ecc. o riportare le complesse
fasi e procedure del restauro, potrebbe interessare un ristrettissimo numero di
lettori che, per i loro approfondimenti, dispongomo di strumenti ben più
validi, costituiti dalle opere già citate. A noi interessa spremere da quegli
studi il succo: i tratti essenziali delle diverse fasi architettoniche che
hanno riguardato il castello, per verificare la coincidenza di esse con il
divenire storico ed artistico della nostra città. I numerosi studiosi che nel
passato si erano interessati a questo monumento avevano ipotizzata, pur senza
averne alcuna prova documentale, la preesistenza, come primo insediamento, di
un castello bizantino. Noi scrivevamo nel 1986: "Se ne attribuisce la
fondazione a Roberto il Guiscardo ma tutti concordano sulla preesistenza di
un'antica arce bizantina prima, durante e dopo l'occupazione araba." Alla
luce di quanto è emerso dagli scavi, possiamo oggi concordare con Lopetrone
che, prima ancora che diventasse l'arce bizantina, "doveva esservi sul
sito l'acropoli della città, circondata da muraglie di sbarramento, riservata
agli eletti e, all'accorrenza, usata anche da altre genti che popolavano tutto
l'acrocoro, dimorando in case di murature (ceto agiato) ed in ampli grottoni
artificiali, capanni ed altri tuguri, scavati e/o parzialmente murati
(plebe)". Nel II volume dell'opera sul Castello dianzi citata, a cura
della sezione di Archeologia, si legge: "Gli scavi hanno accertato
sporadiche presenze riferibili all'età greca e brettia (IV-III sec. a.
C.)" e, più oltre: "La prima importante scoperta effettuata nel corso
degli scavi è stata quella di rintracciare dalla parte dell'area esterna
dell'ex Cinema (area D) tracce della presenza degli Arabi.". Possiamo
quindi ipotizzare con ragionevole approssimazione che l'acrocoro su cui sorse
poi il castello, ospitò nell'epoca di Siberene-Severiana i primi nuclei di
quelle antiche popolazioni che scelsero quella rocca come loro primo
insediamento, dal quale dominavano le vallate circostanti. E' scontato che gli
Arabi durante la loro dominazione (840-885/86) fecero di questa arce la base
del loro comando militare ed amministrativo. Con la riconquista di Santa
Severina da parte di Niceforo Foca il sito riprende vita e diventa un Kastron,
con strutture militari ed un complesso di edifici religiosi. Gli scavi hanno
evidenziato, e sono visibili nella parete esterna del Museo sulla sinistra di
chi entra nel castello, la base affrescata di un primo edificio
ecclesiale.Sulla destra di chi entra nell'atrio a botte del mastio sono
affiorati, come rileva il Cuteri, altri muri affrescati di un ambiente la cui
pianta di metri 5 x 10 si colloca di fronte alla necropoli, quasi certamente
coeva, scoperta anch'essa dagli scavi e visibile nell'mbiente di sinistra per
chi entra nel detto atrio. Lo studio del Cuteri lascia irrisolto il problema
della datazione di quel sito per cui rimane senza una risposta definitiva la
domanda: il Kastron, del quale emergono elementi significativi, è sorto prima o
dopo l'occupazione araba? Non si riesce a far luce analizzando la croce
reliquario proveniente dall'area della necropoli perché essa viene assegnata
dal Cuteri all'VIII-IX secolo e quindi, teoricamente, il reperto può anche
essere datato al periodo immediatamente successivo alla scacciata degli arabi. Cuteri
colloca le costruzioni di questi edifici bizantini alla fine del IX secolo,
quando, con la nascita della metropolia, "La notevole diffusione dei culti
si riflette anche nella costruzione di numerosi e più modesti edifici, siano
essi chiese o monasteri". Trovano comunque pieno conforto tutte le
precedenti ipotesi sull'esistenza di un'arce bizantina che precedette l'occupazione
normanna. Abbiamo visto, nella parte storica di questo lavoro, che dal
Malaterra al Chandelon, al Pontieri ed a tutti quelli che hanno scritto
dell'occupazione di Santa Severina da parte di Abelardo prima e di Roberto e
Ruggero d'Altavilla dopo, è ben documentata la presenza normanna nella nostra
città e quindi il loro insediamento nel punto strategico di essa costituito dal
castello. "Le evidenze relative a tutto il periodo normanno sono venute
alla luce in due settori di scavo: il primo sottostante l'area dell'attuale
mastio, il secondo situato all'esterno del fossato sud, nel settore della
fortezza cinquecentesca contenente la scuderia e la cappella.". Aggiunge,
al riguardo, Marilisa Morrone: "I maggiori dati stratigrafici provengono
proprio dagli strati di distruzione del precedente abitato e del complesso
chiesa-necropoli situati al centro di essi.". E' in quest'area che i
Normanni costruirono il torrione centrale del sistema difensivo con una base
muraria dello spessore di circa tre metri che in parte è stata messa in luce.
Altri importanti brandelli murari sono emersi nel sottosuolo dell'ex scuderia e
nell'area antistante ad essa dove è stata evidenziata la struttura di un
ambiente, forse rimasto incompiuto, che dovette servire da officina per la
fusione di una campana. In questa zona è stato rinvenuto un tarì aureo di
Roberto il Guiscardo esposto nel Museo del castello. I passaggi successivi,
nell'evoluzione architettonica del complesso castellense, per come risultano
dall'indagine scientifica sulle strutture, hanno evidenziato la presenza di
costruzioni sveve così descritte da Pasquale Lopetrone: "Le reliquie della
torre tonda antica, quella della torre tagliata, quella della torre dell'antica
chiocciola e quelle relative alle merlature quadrangolari, afferenti alla terza
fase, con molta probabilità risalgono all'ultimo periodo della dominazione
sveva.". Dall'analisi successiva di Lopetrone risulta che "Non vi è
alcun dubbio che i nuovi torrioni cilindrici posti agli angoli salienti del mastio
risalgono al periodo angioino ai cui regnanti va riconosciuto il
potenziamento…". Questi risultati devono essere considerati assolutamente
rivoluzionari, se raffrontati a tutte le precedenti ipotesi che si sono
succedute nel corso di quasi mezzo millennio. Le nostre perplessità, in merito
all’esistenza a Santa Severina di un "Maschio Angioino", ipotesi
emergente dallo studio di Lopetrone e degli altri esperti che mostrano di
averne condivisa la diagnosi, non mirano, né possono, per l'assoluta nostra
incapacità di misurarci con una materia estranea alla nostra preparazione
specifica, ad infirmare minimamente i risultati di quelle indagini. Noi diciamo
solo che la storiografia di tanti secoli aveva inequivocabilmente assegnata
l'intera ristrutturazione del castello ad Andrea Carafa. E' evidente che, alla
luce dei risultati dei restauri bisognerà o azzerare tutte le precedenti
letture della struttura del castello di Santa Severina o tentare di trovare una
ricostruzione che concilii le nuove tesi con le precedenti ipotesi, insinuando,
perlomeno, dei dubbi che andranno approfonditi con ulteriori studi. E i dubbi
esistono per chi, come noi, cerca di trovare una rispondenza fra i risultati
emersi e tutto ciò che scrissero e documentarono fino al 1998 studiosi
impegnati e qualificati sul monumento che stiamo analizzando. Bernardo, dopo
aver accennato ai grandi mezzi ed agli ottimi ingegneri di cui disponeva il
Carafa, assegna a costui tutte le costruzioni difensive. Cita il documento del
1521 che descrive molte opere apportate al castro: muri, fossati, bastioni per
bombarde ed altre armi di difesa :"In primis dicta civitas Sanctae
Severinae cum eius castro et fortellinis, muro, fossatis, et vallatis cum
bombardis et aliis munitionibus, variis atiglieriis et armis ad defensionem
castri predicti necessariis". Il documento del 1623 è ancora più esplicito
perché afferma che "quel castello fu fatto dall'Ill.mo Conte Carafa in
tempi che fu luogotenente del Regno di Napoli". Muovendo da questi dati
Bernardo svolge un lungo ragionamento ipotizzando che il mastio sia stato
edificato dopo la costruzione di tutte quelle opere difensive, collocandone
l'inizio della edificazione probabilmente "negli ultimi anni del pacifico
governo di Andrea Carafa" ed attribuendone la conclusione al nipote
Galeoto. La tesi del Bernardo viene perfettamente condivisa da Francesca
Martorano, ricercatrice in Conservazione di beni architettonici e capo tecnico
della Soprintendenza archeologica di Reggio Calabria. Ella scrive: "…Ciò
ha fatto supporre che la sua costruzione (del mastio) sia più tarda, legata ad
un periodo di pace e di benessere economico. I presupposti per l'edificazione
del mastio ricorrono nel periodo di dominio di Galeotto Carafa, nipote di
Andrea, che, come attesta un'iscrizione, fece costruire nel 1535 un belvedere
fra i due bastioni del lato orientale. Il mastio aveva quindi una funzione
residenziale che mantenne anche nei secoli successivi". Risparmiamo al
lettore il lungo elenco di storici e studiosi che hanno attribuito al Carafa la
costruzione del castello: i loro pareri possono essere facilmente disattesi per
la mancanza di scientificità e le loro troppo generiche e ripetitive
affermazioni. Ma non possiamo non citare, per l'autorevolezza degli autori,
quanto si legge nel volume di AA.VV. (Tutti docenti di Architettura
nell'Università Di Reggio Calabria) "Per un Atlante della Calabria":
"Il nucleo centrale è probabilmente normanno, eretto, forse sui resti di
un castello bizantino. Il mastio quadrato con quattro torri cilindriche
angolari è caratterizzato da cinture murali e baluardi a scaglioni, torrette
speronate ed altre opere difensive realizzate durante l'ampliamento e la
sistemazione militare di Andrea Carafa Conte di Santa Severina dal 1496. Né
possiamo sottacere il giudizio di Mirella Mafrici, autrice di diecine di studi
sui castelli e sulle fortificazioni del Meridione, che, al riguardo, scrive:
"Al tempo del Carafa, luogotenente generale del regno durante l'assenza
del vicerè don Carlo Lannoy, è databile la ricostruzione (su quello antico già
edificato dai Normanni) del castello di S. Severina.". I nostri dubbi si
infittiscono se si considerano alcuni elementi che possono interessare chi ha
in animo di approfondire il problema. Ci sembra, intanto, che non si possa
prescindere dal fatto che il mastio venne edificato su precedenti e rozze
costruzioni che gli svevo-angioini avevano impiantato al centro dell'intera
struttura e le cui tracce sono inequivocabilmente emerse dai lavori di
restauro. Se questo può e deve essere univocamente accettato, bisogna trovare
un aggancio storico che giustifichi la costruzione-ristrutturazione dell'intero
mastio ad opera degli Angioini. Ma a questo punto insorgono alcune
considerazioni: non esiste un solo documento che avvalori questa tesi. Bisogna
tener conto dell'importanza dell'opera che presuppone un largo impiego di
mezzi, una notevole durata per realizzarla e, conseguentemente, un forte e
diretto interesse a dotare la struttura castellense di un impianto che doveva
servire al committente ed ai suoi successori. Scrive Lopetrone: "Dall'ammodernamento-revisione
globale, operato dagli Angioini, ne scaturì, dal vecchio castello di Santa
Severina, una roccaforte di rara bellezza e sontuosità, con toni architettonici
elevati alla pari delle più importanti roccaforti europee costruite in tale
periodo". Lo stesso autore deve però ammettere che "In assenza di
fonti documentarie certe, appare assai difficile stabilire il nome del
committente o quello dell'architetto che insieme progettarono e fecero
realizzare il magnifico edificio militare". Le notizie storicamente certe
di cui disponiamo ci informano che, con diploma del 1266, Carlo I d'Angiò
dispose che la città, con i suoi casali, venisse incorporata nelle terre del
demanio, arrivando a precluderne ogni futura possibilità di infeudazione. Le
successive assegnazioni in feudo a Pessino di Villary e la cessione di costui a
Pietro Ruffo ci dicono che costoro, in effetti, non esercitarono mai
l'effettivo possesso. E, d'altra parte, anche Carlo II aveva emesso un diploma
che sottraeva al Ruffo ed al Villary il possesso del feudo, riconfermando Santa
Severina città demaniale. In un editto del 1346 di Giovanna I la città figura
ancora nell'elenco delle terre demaniali. Lopetrone, nella ricerca di un
possibile committente, indica, nel suo secondo studio dopo il completamento dei
restauri, in Nicolò Ruffo il solo che, per disponibilità di mezzi, avrebbe
potuto realizzare un'opera tanto importante. Chi vuole rendersi conto
dell'inattendibilità di tale attribuzione, legga il testo di Giuseppe Caridi
che può definirsi la saga dei Ruffo, ripercorrendo l'autore le vicende
dell'intera Casata ma, soprattutto lo studio di Vincenzo Ruffo sugli antenati
Pietro e Nicolò. La loro vita e le loro opere sono narrate in centinaia di
pagine e vengono utilizzate tutte le fonti storiche esistenti, compresi i
ricchi archivi dei Ruffo. In tale trattazione non esiste un solo accenno che
possa suffragare la tesi della edificazione di un'opera così complessa ed importante.
I rinvenimenti numismatici, riferibili al periodo angioino nell'area della
intera struttura castellense, ci dicono che "è assente completamente la
monetazione angioina di Napoli". Anche nell'elenco da noi reso della
collezione donata al Museo diocesano non v'è traccia, nell'intero comprensorio
della nostra città, di monete angioine mentre abbondano quelle normanne e
quelle sveve (come succede anche per i ritrovamenti nel castello). Questo è un
fatto di grande importanza perché non si può pensare che di un'opera tanto
significativa non ci sia pervenuto un solo reperto! Tutte le date graffite sui muri sia delle strutture esterne che nell'interno
del mastio sono posteriori al 1500. Riteniamo l'argomento meritevole di
riscontro e di approfondimento che, vagliando i vari elementi da noi resi e,
ovviamente, gli studi che li precedono, giunga ad una conferma o alla
confutazione di quanto è sostenuto dai restauratori del castello. E' opinione
generale che furono i Grutther a trasformare il mastio, venute meno le
necessità di difesa dalle incursioni dei pirati , in dimora signorile. Fino al
'600 i feudatari non abitavano i castelli ma, quasi tutti dimoravano a Napoli
presso la cui corte sperperavano le loro sostanze. Giorgio Leone, nel suo
pregevole studio, ci invita a considerare che l'ammodernamento del mastio ebbe
inizio con la Famiglia Sculco, basandosi su due ragioni che appaiono
assolutamente plausibili: gli Sculco furono i primi feudatari a stabilire con
la città un rapporto nuovo e più intenso come dimostra l'acquisizione di una
cappella nella chiesa di S.Antonio che ospita la lapide tombale di Carlo
Sculco: "La lettura dell'Apprezzo del 1687 è utilissima per cogliere gli
aspetti più salienti di questa nuova definizione architettonica-abitativa che
venne data al castello". Bisogna difatti tener presente che, all'epoca
dell'Apprezzo, i Grutther non avevano ancora acquisito il feudo, che si
aggiudicarono all'asta nel 1691. A loro, comunque, bisogna attribuire la
sistemazione definitiva del piano nobile che oggi ammiriamo e che probabilmente
fu utilizzato, almeno periodicamente, come residenza. Essi modificarono i vani,
ricavandone sale e saloni che coprirono con volte a schifo che fecero decorare
con raffigurazioni pittoriche riportate dai recenti restauri all'antico
splendore, e con mobili di gran pregio dei quali purtroppo nulla è rimasto. Riteniamo,
senza far torto ai lettori, di poterci risparmiare una descrizione
particolareggiata dei diversi ambienti, sia perché essi sono stati egregiamente
illustrati nei due volumi cui abbiamo fatto riferimento, editi dalla
Rubbettino, sia perché in ogni stanza è posto un pannello descrittivo
dell'ambiente. Questo vale anche per la sale museali che espongono reperti
provenienti dal circondario (in massima parte da noi donati) e dagli scavi del
castello. A destra di chi entra dall'ingresso principale si accede alle sale
che ospitano il Centro Documentazioni Castelli e Fortificazioni della Calabria
con numerosi pannelli esplicativi. L'intera struttura si sviluppa su di un'area
di circa diecimila mq., ma la zona della "difesa merlata della ronda
bassa", visibile per chi sale in paese sopra la strada a picco della
scarpata, è rimasta purtroppo da ripulire e restaurare e del progetto che ne
prevedeva la sistemazione più non si parla. Per avere un'idea del fascino che
suscita il castello, basta riflettere sul dato, fornitoci dai giovani della
Cooperativa Aristippo che ne curano la gestione, delle 50.000 presenze di
turisti che annualmente lo visitano. Scrivevamo in un nostro precedente lavoro:
"Necropoli, affreschi di complessi ecclesiali, fornaci, camini, silos,
cisterne, e monete ed utensili e terraglie e palle di bombarde e tutto quanto
consentiva la vita nel Castello, la sua storia che è poi quella dell'intero
paese nell'arco di tanti secoli, sono venuti alla luce per consentire,
finalmente, una lettura aggiornata,anche se forse non definitiva, del Monumento
restaurato in tutto il suo splendore". Altri link consigliati: https://it.wikipedia.org/wiki/Santa_Severina#Il_castello,
http://www.icastelli.it/castle-1235854425-castello_fortezza_di_santa_severina-it.php,
il video di Pino Barone su youtube (https://www.youtube.com/watch?v=n45xqYSGV8c),
Foto: la
prima da http://www.comune.santaseverina.kr.it/img/public/gallery/castello-santa-severina.jpg,
la seconda da http://www.comune.crotone.it/flex/images/f/6/b/D.1df23296256cd759fdac/S_1_.severina.png,
infine la terza di Redlion74 su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/274744
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