sabato 30 settembre 2017

Il castello di sabato 30 settembre



LAURITO (SA) – Palazzo Baronale

Diversi furono i signori che tennero il possesso della baronia di Laurito, fin quando nel 1352 Tommaso di Sanséverino, conte di Marsico e di Lauria, la concesse in suffeudo alla famiglia Monforte, venuta in origine dalla Francia al seguito degli Angioini, che la tenne fino al 1770. La famiglia Monforte ebbe un rapporto di dipendenza dai Sanseverino fino al 15 ottobre 1644, anno in cui, Filippo IV di Spagna, concesse a Giovan Battista Monforte il titolo di duca di Laurito, per la dimora secolare della sua famiglia ed i servigi resi. Ad essa appartenne Antonio Monforte, cultore e scrittore di matematica, e il sacerdote Tommaso Monforte che, con Giovan Filippo Romanelli, fondarono nel 1618 il Collegio dei Padri Dottrinari, con compiti assistenziali e del cui complesso, ne sono ancor oggi, visibili i resti. Fra le maggiori opere architettoniche va menzionato il Palazzo Baronale della famiglia Monforte, poi Speranza, danneggiato dopo il terremoto del 1980. L’edificio all'esterno presenta un ricco portale in pietra. Caratteristico il chiostro centrale con pozzo.

Fonti: http://www.comune.laurito.sa.it/index.php?action=index&p=215, https://www.infocilento.it/turismo/laurito/

Foto: la prima è di Filippo Iuliano su http://mapio.net/pic/p-7656105/, la seconda è presa da http://www.cilentoemenevanto.com/wp-content/uploads/2014/06/Laurito_corso.jpg

venerdì 29 settembre 2017

Il castello di venerdì 29 settembre






BORGOMARO (IM) - Castello Conti di Ventimiglia in frazione Conio

In epoca medievale Conio fu feudo dei Lascaris di Ventimiglia, che lasciarono come testimonianza il castello in cima al paese, oggi ricostruito. Al 1928 risale la soppressione del comune di Conio in favore del suo accorpamento nel territorio di Borgomaro come frazione. Edificato dai conti di Ventimiglia intorno al XIII secolo e situato in posizione strategica (dal piazzale infatti si ha un'ampia visuale su tutta la valle del Maro), il castello oggi, grazie ad un recente restauro, è divenuto un importante centro culturale utilizzato per mostre, convegni e manifestazioni. Incendiato durante la Seconda Guerra Mondiale, presenta ancora parti delle originarie mura perimetrali in blocchi di pietra squadrata.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Conio_(Borgomaro), https://it.wikipedia.org/wiki/Borgomaro#Architetture_militari, http://www.cec.it/comuni/bmaro/Itluo.htm

Foto: la prima è presa da http://www.imperia-online.de/images/IMG_7470.JPG, la seconda è di Vaiale su http://mapio.net/pic/p-80680326/

mercoledì 27 settembre 2017

Il castello di giovedì 28 settembre



FIE’ ALLO SCILIAR (BZ) – Castello di Presule

Si trova sull’altipiano dello Sciliar, immerso in un ameno paesaggio poco prima della località Fiè allo Sciliar. Il castello è un splendido esempio di arte gotica, e la sua realizzazione risale ai tempi di Massiliano I d’Asburgo nel 1517, come scritto sopra il portale d'ingresso. In realtà i signori di Fiè, amministratori dei vescovi di Bressanone, eressero il maniero già nell'anno 1200 (è menzionato per la prima volta in un documento del 1279 con il nome “Castrum Presile”). Il più famoso proprietario è stato il conte Leonhard von Völs (1458-1530), che visse nel momento di massimo splendore del castello. Anche il poeta sudtirolese Oswald von Wolkenstein vi soggiornò per qualche tempo. In italiano è talora indicato come Castel Colonna. Questo perché i Völs (Fiè), ad un certo punto, sotto Leonardo II, cominciarono ad aggiungere il cognome Colonna al proprio. Il motivo non è chiaro: per alcuni i signori di Fiè sarebbero stati un ramo dei Colonna romani arrivati in Tirolo nel XII secolo; per altri, invece, Leonardo I di Fié avrebbe partecipato alla battaglia di Lepanto al fianco di Marcantonio Colonna, affermando che la sua famiglia era originaria dei Colonna di Tuscolo. Per una terza versione, Marcantonio Colonna avrebbe adottato Leonardo, per poter ostentare l'appartenenza ad una nobile casata romana. Più probabilmente però, Leonardo di Fiè chiese ed ottenne semplicemente di poter aggiungere quello dei Colonna al proprio nome. Dal 1804 al 1978 il castello cambiò molteplici volte la proprietà e visse alcuni periodi di decadenza seguiti anche da periodi di restauro. Alla fine però il maniero fu abbandonato a se stesso. Solo nel 1981 un gruppo di appassionati fondò il Kuratorium Schloss Prösels S.r.l., e iniziarono così i lavori di ristrutturazione che durarono fino al 1982. Nei mesi dell'estate, si possono effettuare visite guidate. Inoltre vengono spesso effettuate anche numerose manifestazioni, come per esempio concerti, mostre o teatri. Al suo interno vi è una famosa collezione di armi ed armature. La collezione raccoglie prevalentemente armi del XIX secolo, provenienti dalle battaglie di Solferino e Custoza, ma ci sono anche alcuni pezzi che risalgono ancora al tempo di Leonardo di Fiè. Altre attrazioni sono: collezione di quadri già del ristorante “Batzenhäusl” di Bolzano, collezione di quadri moderni, loggia con archi a sesto acuto ed alcuni affreschi nel cortile, polveriera di epoca medievale. Inoltre, presso il castello ha luogo ogni anno in tarda primavera il torneo “Cavalcata Oswald von Wolkenstein”. Per alcuni giorni questo evento medievale attira innumerevoli appassionati di ogni età nei dintorni di Castel Presule. Ecco il sito ufficiale del castello: http://schloss-proesels.seiseralm.it/it/castel-proesels/benvenuti.html. Altri link suggeriti: scheda di Marta Tinor su http://www.mondimedievali.net/Castelli/Trentino/bolzano/presule.htm, http://www.sudtirol.com/castelli/castel-presule.htm, https://www.youtube.com/watch?v=V700P9QocGw (video di felicya), https://www.youtube.com/watch?v=1I0OBRhBe5c (video di SalutePiù), https://www.youtube.com/watch?v=kQn9YIpBCy4 (video con drone di Enzo Bolen).

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Presule, http://www.suedtirolerland.it/it/cultura-e-territorio/castelli/castel-presule/

Foto: la prima è presa da https://www.vivosuedtirol.com/it/castelli/castel-presule/, la seconda è di Luca Lorenzi su https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Presule#/media/File:Castel_Presule_2.jpg

Il castello di mercoledì 27 settembre



 

CASTELGRANDE (PZ) - Ruderi castello angioino

Il primo riferimento a Castelgrande risale al 1239, in quella fase in cui l’Imperatore Federico II impartì disposizioni rispetto alla manutenzione dei castelli. Questo ameno borgo, messo a guardia dei confini fra la provincia di Avellino e la Basilicata, per l'altitudine della sua posizione fu in origine un castello legato al nome di potenti famiglie. Dapprima dovette appartenere ad una famiglia de Grandis, e come molti castelli prese il nome dai baroni che li possedettero al tempo dell’inizio dei cognomi, ma dai registri angioini appare che suoi feudatari erano gli Anibaldi di Roma, quegli stessi che rifulsero alla battaglia di Benevento col valore di Teobaldo degli Anibaldi, morto accanto a Re Manfredi. Fu dominata poi dai Pipino di Barletta e dai Sanseverino, e facendo parte della dote di Margherita Sanseverino, madre di Re Carlo III di Durazzo, insieme a Muro ed altri feudi fu patrimonio della Regia Corte. Un Antonio di Castelgrande nell’imperversare della fazione avversa alla Corona, dopo la fine infelice della Regina Giovanna I nel vicino castello di Muro Lucano (1381), seppe talmente meritarsi la fiducia di Re Carlo di Durazzo da ottenere un diploma di esenzione delle imposte per se ed i suoi discendenti. Il Re Ferrante, avuto ragione dei baroni con tradimenti e confische, si assicuro un’effimera pace dell’agitato regno. Dalla confisca degli Alemagna passò Castelgrande ai Carafa, e durò così fino alla famosa Donn’Anna Carafa, viceregina di Napoli. Proprio in quel tempo nasceva in Castelgrande Matteo Cristiano, che fu dottore in legge, e governatore generale delle armi del Duca di Guisa, combatté con grande ardimento a favore del popolo di Napoli (nel 1648 fu lui a guidare gli insorti durante la rivolta anti spagnola), finché nel castello di Torricella, cospirando con altri nobili abruzzesi, fu preso dagli spagnoli. Condotto in Napoli trovò la morte in piazza del Mercato insieme al marchese Pietro Concublet e a Damiano Tauro, emissario dell’ambasciatore francese a Roma. Le vicende dell’eroe lucano e della marchesa di Torricella, fiera amazzone abruzzese, che mantenne vivo il fuoco della rivolta fra i baluardi naturali della montuosa sua regione, furono trascritte da documenti dal chiaro magistrato Barone Nicola Cianci di Sanseverino (nato a Castelgrande nel 1835 morto in Napoli nel 1908) e fu merito del Sindaco di Castelgrande, Comm. Potito de Sanctis, di far murare una lapide nel 14 settembre 1913 a memoria delle gesta dell’eroe lucano, intitolando al di lui nome la maggior piazza del paese. Nel 1657 la peste colpì anche Castelgrande: dei 1850 abitanti, stando ai registri parrocchiali, ne morirono circa 1200. Alla fine del XIX secolo, Nicola Cianci di Sanseverino scriveva: “…appena la strada, uscendo dal bosco demaniale di Castelgrande, costeggia le ultime diramazioni del Subappennino, a guardare le alte mura di quella fortezza longobarda e le torri quadrangolari, che ancora si tengono in piedi, la impressione, che se ne riceve, è grandissima…”. Oggi le alte mura non ci sono più e le torri quadrangolari sono meno che rovine. Altri link suggeriti: http://www.michelesantarsiere.it/castelgrande/

Fonti: http://www.basilicataturistica.it/territori/castelgrande/?lang=it, http://lucania1.altervista.org/chiese/castelgrande/Tscritto/chiesaM.htm, http://www.castelgrande.gov.it/castelgrande/storia.php

Foto: è di ik8shl su http://mapio.net/a/88317401/

martedì 26 settembre 2017

Il castello di martedì 26 settembre




PORNASSIO (IM) - Castello in frazione Villa

Le prime notizie su Pornassio risalgono al XIII secolo quando il feudo fu al centro di un'aspra contesa territoriale tra il Marchesato di Ceva e il marchese di Clavesana poiché, entrambi, rivendicavano i rispettivi diritti feudali; la contesa si concluse pacificamente solamente nel 1310. Nel 1329 l'imperatore Ludovico IV conferì l'investitura ufficiale del territorio di Pornassio - e degli altri vicini feudi di Lavina e Cosio di Arroscia - al conte di Ventimiglia Francesco e ciò provocò la scatenante reazione dei marchesi Del Carretto. Alla nuova controversia sui domini territoriali dovette intervenire il doge della Repubblica di Genova Antoniotto Adorno che, nel 1385, prese la decisione di sottoporre Pornassio al dominio genovese e quindi di cedere il feudo alla famiglia Scarella, già signori di Garessio. Il territorio fu comunque nei secoli successivi oggetto di nuove contese tra la stessa repubblica genovese e il Ducato di Savoia, poiché situato in posizione strategica tra il basso Piemonte e la costa ligure. Nel 1735 il feudo passò sotto il dominio sabaudo e dal 1815, con il Congresso di Vienna, fu inserito come altri comuni liguri nel Regno di Sardegna. Dal 1861 divenne parte integrante del Regno d'Italia. Su un poggio dominante l'intero paese, si erge il castello. Anticamente era proprietà dei Conti di Badalucco, di Ventimiglia fin dal 1192, passando poi ai Genovesi. Nella prima metà del sec. XII Oberto Doria fu assediato dagli abitanti di Pornassio a causa di un diritto di "fedrum" imposto ingiustamente da Genova in alleanza con Dolceacqua (governata appunto da Oberto) nella lotta contro Carlo d'Angiò. Inizialmente l'edificio doveva, avere pianta quadrangolare allungata in direzione est/ovest. In seguito ha subito distruzioni e rifacimenti...La primitiva costruzione, demolita nel 1405, sorgeva su di una collinetta che ancora oggi è proprietà dell'attuale castello. Lungo il perimetro si trovano quattro guardiole semicircolari.
Al cortile interno si accede attraverso un passaggio con volte a botte. A sinistra la Cappella padronale con tratti di affreschi e rozze decorazioni a stucco. A sud un'ala cinquecentesca ben conservata con i muri in pietra regolare e malta. All'interno l'atrio con la scala, una grande cucina, un salone con soffitto a vela e altre sale. L'ala sud del castello, cinquecentesca, discretamente conservata nelle strutture esterne, in muratura di pietra irregolare mista a malta e, negli interni ove si succedono un vano scala alla genovese, un'ampia cucina, sale con volte a vela e mensole in ardesia, un vasto salone di rappresentanza. L'edificio non riesce attualmente a comunicare il carattere e il fascino che doveva avere nei secoli passati, data la sua suddivisione e relativa differente manutenzione e conservazione, in tre parti distinte: quella a sud (ora adibita ad abitazione), proprietà degli eredi dei Marchesi Scarella (famiglia che ricevette Pornassio in feudo dal doge di Genova nel lontano 1385), la parte ovest ancora di proprietà privata, la parte a nord che invece appartiene alla Provincia di Imperia.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Pornassio, http://www.comunepornassio.info/R714/site/get.asp?v=2684EC&by=104, http://www.visititaly.it/info/991855-castello-di-pornassio-pornassio.aspx

Foto: la prima è presa da http://www.imperiapost.it/wp-content/uploads/2015/08/castello-pornassio.jpg, la seconda è di Alessandro Collet su https://www.panoramio.com/photo/111916004

lunedì 25 settembre 2017

Il castello di lunedì 25 settembre







CASTELNUOVO BERARDENGA (SI) - Villa di Aiola

L'attuale villa sorge sui resti dell'omonimo castello, situato al confine tra i territori di Firenze e Siena e utilizzato come importante baluardo difensivo fino a quando convissero i due stati. Il castello era stato costruito in modo da poter ospitare una nutrita guarnigione di soldati. Nel 1554, quando apparteneva alla famiglia Bellanti di Siena, oppose un'efficace resistenza alle milizie fiorentine comandate dal marchese di Marignano. Dotato di mura scarpate alte più di 10 metri, venne difeso da 25 soldati e molti contadini della zona, rendendone espugnazione assai ardua. Capitolò solo quando ormai era pressoché indifendibile per i danni causati dalle artiglierie. Solo nel XVII secolo, decaduta ormai la funzione militare, sulle sue rovine fu costruita una villa padronale. Nel 1692 infatti è ricordato il podere dell'Aiola negli elenchi fiscali degli ufficiali delle Collette. Un disegno di Ettore Romagnoli del 1830 mostra la villa nel terrapieno della cinta muraria, con le torri angolari e il palazzo a due piani, con aperture regolari incorniciate da bugne di pietra; vi si vede inoltre un perduto avancorpo con una loggia, una terrazza sulla copertura del primo piano, e una torretta. Le modifiche nelle forme attuali risalgono al XIX secolo e all'inizio del XX, quando furono demolite le loggette e la torretta dell'avancorpo. Dell'originale castello resta la piattaforma della cinta muraria quadrangolare, ben conservata, con quattro torrette angolari di difesa che interrompevano il camminamento di ronda e dalle quali venivano sorvegliati i fossati sottostanti, ancora esistenti sul lato sud. Delle torri sono ben conservate solo quelle gli angoli nord ovest e nord est, col paramento murario originale, sebbene pesantemente trasformate all'interno per via del cambio di destinazione. Vi vennero aggiunte aperture e fu trasformata la copertura, facendo sparire i merli o i ballatoi. Le altre due torri sono tronche al livello delle mura. Per accedere si deve attraversare un ponticello in muratura, che un tempo era un ponte levatoio. La villa è sviluppata su tre livelli, con tetto a padiglione. I paramenti murari, coperti da intonaco, sono in pietra e mattoni, a testimoniare il reimpiego parziale di materiale proveniente dall'antico castello. Vi si aprono finestre su tutti i lati, circondate da cornici in pietra e scandite regolarmente e in simmetria. Sono rettangolari al primo piano e quadrate al secondo, mentre al primo piano si aprono vari portali, che portano anche ai locali sottostanti di deposito e magazzino. Da questi ultimi si dipartono anche alcune gallerie, che collegano segretamente la villa ad alcuni edifici circostanti e a rifugi nel fondovalle. Dopo l'avancorpo di entrata, si raggiunge un portale ad arco in comunicazione con un corridoio coperto da volta a botte e pavimentato in pietra, da cui si accede agli altri locali. Nell'atrio si trova anche lo scalone in travertino che conduce ai piani superiori. Al primo piano spiccano il salone centrale, con travi in legno sostenute da mensole e un grande camino. Da qui si accede alle camere tramite portali in pietra serena, e lo studiolo appartato, dove si trova la raccolta di volumi e carteggi. Il complesso si trova immerso in un parco dotato di alberi ad alto fusto. Nel 1934 la villa fu acquistata da Giovanni Malagodi (che nel 1953 venne eletto deputato e in seguito senatore per il Partito Liberale, di cui è stato anche segretario e presidente), che la trasformò in un'azienda vinicola, che si estende per 36 ettari di vigneti: esso produceva 100mila bottiglie l'anno ed "il 90 per cento è destinato alla produzione del Chianti classico, che il senatore Malagodi riuscì a far diventare il «vino della casa» a Palazzo Madama. Particolarità rimasta anche dopo la morte del senatore, nel 1991". La villa è stata acquistata nel 2012 da un gruppo di imprenditori russi. Altri link suggeriti: http://www.aiola.net/, https://andreapagliantini.com/2016/07/30/fattoria-de-laiola/.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Villa_di_Aiola  

Foto: la prima è presa da http://blablawine.com/wp-content/uploads/2016/03/castello-di-aiola-1.jpg, la seconda è presa da http://www.radiosienatv.it/dalla-fattoria-aiola-il-primo-ministro-medvedev-non-e-mai-stato-qui/         

domenica 24 settembre 2017

Il castello di domenica 24 settembre



BOLSENA (VT) – Rocca Monaldeschi della Cervara

Le prime notizie risalgono al 1156 quando il papa Adriano IV fece fortificare i borghi situati sulla Cassia a difesa delle incursioni barbariche, oltre che dalla minaccia di Federico Barbarossa. Nel 1295 fu rifatta ad opera degli orvietani. Nel 1334, Ermanno Monaldeschi della Cervara divenne podestà del centro, e durante i secoli XIV e XV i Monaldeschi eseguirono vari lavori di completamento e potenziamento delle strutture. I Monaldeschi abbandonarono la struttura nel 1451; gli interni vennero parzialmente ricostruiti nel Cinquecento, mentre un’altra ala del castello fu adibita a carcere. Durante il XVI secolo, la rocca fu saccheggiata ed incendiata dai Lanzichenecchi. Dopo le scorrerie, il governatore Tiberio Crispo dispose dei nuovi lavori di sistemazione dello stabile. Nel 1612, la Rocca di Bolsena fu concessa al cardinale Sanesio, vescovo di Orvieto; il cardinale la adibì a dimora per la villeggiatura. Il terremoto del 1665 causò gravi danni al castello che fu parzialmente abbandonato. Nel 1750, Benedetto XIV concesse la rocca in enfiteusi al capitano Florido Zampi che si incaricò di far partire i lavori di restauro. La rocca fu, nuovamente, semidistrutta nel 1815, dagli abitanti del luogo, per evitare che fosse consegnata nelle mani di Luciano Buonaparte, fratello dell’ex imperatore dei francesi. Nel 1973, durante i lavori di restauro della rocca, è stato rinvenuto un butto alla base della torre maggiore, adoperato come immondezzaio dalla seconda metà del XIV secolo sino agli inizi del XVIII, ricco di reperti di cultura materiale, conservati all'interno del museo. La pianta della Rocca è irregolare, a forma trapezoidale, con quattro torri angolari di stile diverso che rivelano l'originaria struttura gotica della costruzione. La cornice che corre lungo l’edificio è sorretta da mensole dentellate sulle quali poggiano archetti a sesto ribassato. Le torri sono decorate con beccatelli dentellati. Attualmente l’edificio ospita il Museo territoriale del Lago di Bolsena, interessante per l'inquadramento che offre del comprensorio del lago e per alcune testimonianze della cultura materiale. Il museo si distribuisce su tre piani dell'edificio: al piano d'ingresso, attraverso plastici reperti archeologici e pannelli didattici, sono sviluppate con particolare dettaglio le sezioni riguardanti la formazione del bacino vulcanico del lago, la preistoria, la protostoria e la fase etrusca fino alla conquista romana. La parte centrale di questo piano è costituita dai reperti dell'età del ferro recuperati nell'ambito dell'abitato del "Gran Carro", rinvenuto sommerso presso la sponda orientale del lago di Bolsena nel 1959. Il piano superiore è interamente dedicato ai reperti provenienti dagli scavi della città etrusco - romana di Volsinii. Al piano inferiore è illustrato il periodo che va dal Medioevo ai giorni nostri. In questo piano l'esposizione si apre con le splendide ceramiche medievali e rinascimentali trovate nel butto della torre maggiore della Rocca e prosegue con la presentazione degli aspetti folclorici (tradizioni popolari e festività religiose), con particolare riguardo al lavoro dei pescatori, illustrato attraverso l'esposizioni di oggetti, attrezzi e pannelli illustrativi delle tecniche di pesca nonché dei pesci e dell'ambiente naturale del lago. Nel cortile esterno è allestito un lapidario dove sono esposte numerose are e cippi funerari di epoca romana. Il museo territoriale del lago di Bolsena, oltre che un'attrattiva di carattere turistico, intende essere anche un centro di ricerca scientifica e un luogo di produzione e socializzazione culturale. Dagli spalti della Rocca, infine, si può godere un magnifico panorama che spazia sull'intero lago e sugli scavi della città etrusco - romana di Volsinii, a brevissima distanza dal museo. La Rocca è situata nel centro storico di Bolsena, nella zona nord. Il quartiere si chiama Castello, ed è il quartiere più antico della Tuscia. Il Castello è ancora in stile medievale, con dei graziosi vicoletti, e con un grosso palazzo di proprietà di un principe del luogo. Il Castello è il luogo turistico più visitato dai turisti stranieri. Altri link suggeriti: http://www.onetcard.net/bolsena-la-rocca-monaldeschi-della-cervara-il-castello-2/, http://www.italiavirtualtour.it/dettaglio.php?id=95056, http://www.tesoridellazio.it/pagina.php?area=i+tesori+del+lazio&cat=Castelli+e+fortezze&pag=Bolsena+%28VT%29+-+la+Rocca+Monaldeschi+della+Cervara, https://www.youtube.com/watch?v=IxkQo1pxVcI (video di culturalazio), https://www.youtube.com/watch?v=09h-X3CtWV0 (video di Luigi Manfredi), https://www.youtube.com/watch?v=ickyBlx_Iis (video con drone di Egidio Severi).

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Bolsena, https://www.visitbolsena.it/visitare-rocca-monaldeschi-bolsena.asp, http://rete.comuni-italiani.it/wiki/Bolsena/Castello_di_Bolsena

Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, la seconda è di stefano.incerpi su http://mapio.net/pic/p-52318080/

sabato 23 settembre 2017

Il castello di sabato 23 settembre



GOSSOLENGO (PC) – Castello

Nell'Alto Medioevo la zona fu di proprietà dei monaci benedettini del Monastero di San Savino e della Cattedrale di Piacenza. Nel XII secolo fu edificato il castello. Nel Basso Medioevo la storia è strettamente legata a quella di Piacenza: nel 1314 la zona di Gossolengo fu teatro di una battaglia tra il signore di Piacenza Alberto Scoto e i Visconti desiderosi di espandersi al di sotto del Po. Nel 1536 vi fu una battaglia tra i Farnese signori di Parma e Piacenza e truppe spagnole che arrivarono ad espugnare il castello. Nel 1630 nella zona imperversò per cinque mesi la peste che fece numerose vittime. Tra il 1636 e il 1637 subì, insieme a quasi tutto il piacentino, saccheggi da parte delle truppe francesi e spagnole. Tra la fine del 1746 e l'inizio del 1747 una nuova epidemia di peste si abbattè su Gossolengo riducendo la popolazione del 25%. Nel 1796 Gossolengo, insieme alla città di Piacenza, fu occupato dalle truppe napoleoniche, queste ultime nel 1799 si scontrarono con le truppe austro-russe i una zona situata tra i comuni di Gossolengo e Gazzola nella battaglia della Trebbia, vinta dagli austro-russi comandati dal generale Suvorov. Dopo la vittoria questi ultimi incendiarono Gossolengo insieme ad altri villaggi della zona. Nel centro del paese si trova il castello di Gossolengo, fortilizio risalente alla fine del XII secolo costruito in laterizio e ciottoli di fiume, ha pianta rettangolare con due cortili interni. E' munito di due torri ai due lati dell'ingresso dove oggi si trova il portone principale. Il lato nord del Castello, non restaurato, conserva la torre di guardia con beccatelli sovrastante l'accesso originario, presso il quale sono visibili tracce dell'antico ponte levatoio. Ben visibili anche i ciottoli del Trebbia nella muratura esterna in cotto. L'interno è diviso in due cortili a pianta quadrata, e la disposizione delle stanze segue un criterio di razionalità: scuderie e magazzini attorno al primo cortile, gli alloggi della guarnigione attorno al secondo. L’edificio è citato nell'occupazione spagnola del borgo del 1636. Nel 1936, durante lavori di ristrutturazione sono stati scoperti alcuni interessanti affreschi, attribuiti ad un artista ignoto del XIV-XV secolo. Attualmente il castello fa parte del patrimonio del demanio militare.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Gossolengo, http://www.altavaltrebbia.net/castelli/bassa-val-trebbia/2067-castello-di-gossolengo.html

Foto: la prima è presa da http://www.turismoapiacenza.it/img_testa/castello_di_gossolengo.jpg, la seconda è di Solaxart 2011 su http://www.preboggion.it/images/Castelli/Gossolengo_6524.jpg

venerdì 22 settembre 2017

Il castello di venerdì 22 settembre






BAGNOREGIO (VT) - Castello delle Rocchette

Situato tra le ridenti colline dell’Alto Lazio, ai confini di Umbria e Toscana, a pochi chilometri dalla famosa Civita di Bagnoregio la Città che muore. Il castello delle Rocchette sorge su un masso tufaceo situato al centro di due verdi vallate percorse da ruscelli. Le prime notizie storiche risalgono al XV secolo. Originariamente era un rocca o torre di avvistamento. In epoche successive sono state aggiunte altre costruzioni, in modo da formare un piccolo borgo fortificato, composto dall’edificio principale, due casette gemelle e una cappella, che si affacciano su una piazzola lastricata, cui si accede attraverso un lungo ponte in muratura e legno (già ponte levatoio).Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=c9N5D5SbWVI (video di Italian Hotels reviews), https://www.youtube.com/watch?v=q8HP1S9bfic (video di Raffaele Campagnano).

Fonti: http://www.castellodellerocchette.it/it/

Foto: la prima è presa da https://www.googledirectory.it/oc-content/uploads/0/196.jpg, la seconda è stata realizzata dal mio amico Claudio Vagaggini e pubblicata su Facebook (https://www.facebook.com/308856780344/photos/rpp.308856780344/10155181540915345/?type=3&theater)

giovedì 21 settembre 2017

Il castello di giovedì 21 settembre






BARBERINO VAL D'ELSA (FI) - Castello di Paneretta

Sul crinale dei rilievi degradanti verso la Val d'Elsa, in località Monsanto, sorge la villa-fattoria della Paneretta con nella struttura ancora ben visibili le tracce della sua origine di fortilizio quattrocentesco. Il castello venne costruito in seguito all'abbandono del fortilizio di Cepparello (https://castelliere.blogspot.it/2016/08/il-castello-di-giovedi-25-agosto.html), una struttura militare situata più in basso e distrutta dai fiorentini dopo la battaglia di Montaperti nel 1260. Nel XIV secolo venne qui costruita una roccaforte medievale caratterizzata dalla struttura quadrilatera, dalle mura massicce e scarpate con merlatura guelfa e doppio redondone, dotate di feritoie, contornate da quattro torri angolari con al centro la possente struttura del mastio quadrato. In una delle torri è presente la cappella. Nel XVI secolo il castello apparteneva ai Vettori ed in virtù del matrimonio tra Maddalena Vettori e Ludovico Capponi juniore il castello passò come dote nel 1577 a quest'ultima famiglia. È da questo momento che iniziarono i lavori di ristrutturazione del castello che venne trasformato in villa di campagna. Furono aperte nuove finestre e il loggiato del cortile interno venne affrescato da Bernardino Poccetti. Il portale principale fu ornato con il caratteristico bugnato dell'epoca. Il luogo venne frequentato da artisti e letterati quali Girolamo Muzio, che dedicò un poema al castello e vi rimase ad abitare fino alla morte. Il castello rimase ai Capponi fino al 1669 quando passò, in seguito al matrimonio tre Cassandra Capponi e Carlo Riccardi-Strozzi ai Riccardi-Strozzi che continuarono le opere di trasformazione. Oltre al castello faceva parte della dote anche una ricca raccolta di libri , codici minati e pergamene che furono il primo nucleo della Biblioteca Riccardiana di Firenze Nel 1871 divenne di proprietà degli Strozzi che lo tennero fino al 1984, quando venne acquistato dalla famiglia Albisetti. Oggi è sede di un'azienda agricola specializzata nella produzione di vino Chianti Classico. Ecco il sito ufficiale che vi suggerisco di visitare: http://www.castellodellapaneretta.com/. Inoltre, consiglio anche questo video (di riomorione): https://www.youtube.com/watch?v=_DI541PJH8g.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_della_Paneretta, http://www.castellitoscani.com/italian/paneretta.htm

Foto: la prima è del mio amico Claudio Vagaggini (il nostro inviato, hahaha), scattata proprio oggi ! La seconda è di Vignaccia76 su https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_della_Paneretta#/media/File:Paneretta.jpg

Il castello di mercoledì 20 settembre





SLUDERNO (BZ) - Castel Coira

Castel Coira è uno dei più grandiosi e meglio conservati castelli dell’Alto Adige e s’innalza nella soleggiata Val Venosta sopra Sluderno. Oggi raccoglie la più grande armeria privata europea. La costruzione fu iniziata intorno al 1260, per iniziativa del principe-vescovo di Coira, Heinrch von Montfort. Il nucleo del castello consisteva nella torre, nel muro di cinta e nel palazzo. Fu costruito per contenere l'espansione dei signori di Mazia (Matsch). La diocesi di Coira soccombette a Mainardo II di Tirolo-Gorizia, che diede il castello nel 1297 proprio ai Mazia. Nel 1504 agli estinti Mazia subentrarono i conti Trapp, i quali ancora oggi sono in possesso del maestoso castello (dal 1983 il proprietario del maniero è Johannes Trapp). A loro si devono il rifacimento del palazzo - con l'aggiunta di ulteriori edifici abitativi - e la cappella, ma anche gli affreschi rinascimentali (tra cui anche due alberi genealogici) e la loggia. Furono aggiunti anche bastioni e terrazza del giardino in stile gotico. Solo verso la metà del XVI secolo, l’antico castello venne trasformato in una ricca residenza rinascimentale. Oggi il maniero è in ottimo stato di conservazione per vari motivi: la proprietà è sempre rimasta la stessa da oltre cinque secoli; il castello non ha mai subito attacchi, a parte quello del 1499 durante la battaglia di Calven fra engadini e tirolesi; il clima della Val Venosta, costantemente secco. Di conseguenza, troviamo oggi all’interno oggetti antichi quasi perfettamente conservati. Tutte le sale del castello sono arredate con mobili e suppellettili risalenti alle diverse epoche del maniero, a partire da una Madonna in legno risalente al 1270, oltre alle incisioni lapidarie nella cappella come anche il bellissimo porticato dipinto con la volta rinascimentale fatta di marmo di Lasa. Tra i diversi ambienti interni spiccano: la Sala San Giacomo, di notevole valore artistico e che risale al XVI secolo; la Sala Matscher, che espone i ritratti di tutti gli antenati dei Trapp dal 1600 al 1800, e la “Stanza degli Artigiani” con i “Lutscherne”. Ma la più nota è probabilmente la sala delle armature, in cui sono conservate circa 50 armature complete, oltre a spade e altre armi difensive, tutti in ottimo stato. Si tratta delle armature appartenute ai Matsch, ai Trapp e al corpo di guardia del castello. Il pezzo più importante è un'armatura alta 2,10 metri risalente al 1450. L'armatura pesante 46 chili, è opera dell'armaiolo milanese Missaglia ed apparteneva a Ulrico Matsch. Vi è poi quella appartenuta a Matthaus Gaudenz, penultimo discendente della famiglia Matsch. Si tratta di un'armatura di piccola taglia, creata apposta per Gaudenz, allora decenne, che già partecipava ai tornei riservati ai piccoli cavalieri. Su Gaudenz sopravvive ancora una leggenda secondo la quale Mattheus, unico discendente maschio della famiglia, era destinato alle armi ed al comando nei territori familiari. Tuttavia il giovane conte non voleva abbandonare il suo mondo incantato di bambino, così chiese al padre un anno di attesa prima di prendere pieno possesso della gestione degli affari della proprietà familiare. In quei dodici mesi avrebbe decorato il loggiato del castello. Non avendo però l'ispirazione per farlo, andò nei vicini boschi della Valle di Mazia, dove gli uccelli gli raccontarono storie fantastiche suggerendogli così le idee per le decorazioni del maniero. Ad una condizione, però: che fosse vietata la caccia nel territorio. Il giovane Gaudenz mantenne la promessa e decorò il loggiato con figure di animali e personaggi da fiaba, tuttora visibili. Il sito ufficiale del castello, che suggerisco di visitare, è il seguente: http://www.churburg.com/it/. Ecco un paio di video rintracciabili sul web: https://www.youtube.com/watch?v=FetIjcudW1o (di SalutePiù) e https://www.youtube.com/watch?v=_SS2NETngZc (di Livio Paroni).

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castel_Coira, http://www.venosta.net/it/alta-val-venosta/cultura-arte/attrazioni/rocche-e-castelli/10511334-castel-coira.html#detail, http://www.suedtirolerland.it/it/cultura-e-territorio/castelli/castel-coira/, scheda di Stefano Favero su http://www.mondimedievali.net/Castelli/Trentino/bolzano/sluderno.htm

Foto: la prima è presa da http://www.arteovunque.info/2015/05/28/sluderno/, la seconda è presa da https://www.sentres.com/it/sluderno/castel-coira



martedì 19 settembre 2017

Il castello di martedì 19 settembre






ZEME (PV) - Castello

Nel medioevo era indicato come Cemide o Zemide. Appartenne forse fin dal X secolo al Vescovo di Pavia e successivamente al priorato di Santa Croce di Mortara; per metà nel 1311 però veniva confermato ai conti Palatini di Lomello. È altresì nominato nei diplomi imperiali (1191, 1220) che assegnano la Lomellina a Pavia (ma non nel più antico del 1164). In epoca viscontea venne in potere di Filippino, figlio di Facino Cane, che nel 1524 lo vendette al condottiero Angelo della Pergola (allora signore anche di Sartirana); nel 1518 il pronipote Francesco della Pergola vendeva Zeme ai San Cassiano, ma nel 1532, costituita la diocesi di Vigevano, la Contea di Zeme fu assegnata al capitolo e alla Mensa Vescovile di quella città; il dominio feudale della Mensa cessò solo con l'abolizione del feudalesimo. Nel 1707 (e ufficialmente nel 1713) Zeme, con la Lomellina, passò sotto il dominio dei Savoia. Nel 1818 vennero definitivamente uniti a Zeme i soppressi comuni di Marza e Sant'Alessandro, costituiti dalle omonime cascine. Il castello è un edificio a blocco unico, con pianta rettangolare, dal basamento scarpato, situato in corrispondenza dell'angolo nordoccidentale dell'abitato. Sull'angolo meridionale si innalza una torretta cilindrica munita di caditoie. Benché sia noto in luogo come "castello", è in realtà una palazzina settecentesca, dunque un edificio d'abitazione, sia pure probabilmente ricavata da una preesistente casa-forte, di cui non sono note le vicissitudini. I fabbricati adiacenti, fra i quali una cappella sconsacrata, indurrebbero a ipotizzare la presenza in luogo di un ricetto. Il castello mostra finestre con semplici ma eleganti cornici settecentesche racchiudenti teste muliebri. Sul lato posto a nord si vede un affresco raffigurante un santo in piviale e mitria. Sul tetto si nota un curioso comignolo a doppio fungo. La cinta ad ovest ha due portali d'ingresso, uno dei quali reca la data 1741. La facciata meridionale, in cui si apre l'ingresso, mostra agli angoli due corpi di fabbrica sopraelevati, rappresentazione scenografica delle antiche torri angolari. Le pareti verso il cortile sembrano conservare un tessuto murario più antico ove l'intonaco settecentesco lascia intravedere l'ordito dei mattoni; alla sommità dei muri perimetrali sono osservabili tracce di merlatura tamponata. Le basi dell'edificio sono a scarpa, anche se un innalzamento del terreno circostante effettuato molti decenni fa nasconde alla vista questa particolarità, insieme con ogni eventuale traccia del preesistente fossato. Anziani del luogo affermano che dal castello si diparte un cunicolo che venne parzialmente esplorato molti decenni orsono, senza esito. Esso si dirigerebbe verso l'attuale cascina "Marza".

Fonti: http://www.comunezeme.pv.it/index.php?mod=Storia, http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/1A050-00259/, http://www.infolomellina.net/html/zeme.htm

Foto: la prima è presa da http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/1A050-00259/, la seconda è presa da http://www.infolomellina.net/img/zeme_cast.jpg

lunedì 18 settembre 2017

Il castello di lunedì 18 settembre






ERBA (CO) - Castello di Pomerio

Il Castello di Pomerio conserva l'antica posizione sul tracciato di quella che è stata un'importante strada romana della "Gallia Cisalpina" che collegava tra loro Como, Lecco, Bergamo e Brescia. Il dominio romano aveva offerto protezione alle correnti migratorie dal settentrione, ma dal terzo secolo in poi i "barbari" si affacciarono alle frontiere. Nel 568 d.C. ci fu l'invasione dei Longobardi, nell'Insubria, che da allora divenne Longobardia o Lombardia. Nel 774 d.C. ultimo re dei Longobardi fu Desiderio, sconfitto da Carlo Magno, re dei Franchi che dominarono fino all'888 d.C. quando la corona di Italia toccò a Berengario I, duca del Friuli: le guerre chiamarono in Italia Ottone I re di Germania (951 d.C.), eletto successivamente imperatore. Il dominio degli imperatori tedeschi durò fino al 1268. Si consolidò il sistema feudale, sorto ai tempi dei Longobardi e approvato da Carlo Magno. Alcuni documenti parlano di una fortezza che, parrebbe essere proprio il Castello di Pomerio, il figlio di Carlo Magno utilizzò come sua base militare. A segnare la storia di Pomerio e del suo castello fu la battaglia di Carcano nel 1160 contro il Barbarossa di cui ogni anno si festeggia la la rievocazione storica. I castelli di Pomerio e Casiglio appartennero alla locale famiglia dei Parravicini, i quali erano anche proprietari di molti altri edifici tra cui chiese e cappelle ancora oggi presenti nell'erbese. La costruzione del castello di Pomerio risale al XI-XII secolo (ad opera della famiglia dei Parravicini) ed è il tipico castello medievale. Fu ricostruito nel 1300 ed appartenne dapprima ai Carpani, successivamente ai Visconti; attualmente è di proprietà del comune di Erba. L'edificio è caratterizzato da splendide bifore e da una torre lombarda. L'ingresso, che dà sulla strada che porta ad Albavilla, è sicuramente la parte più antica del castello. Durante i lavori di ristrutturazione, sono stati rinvenuti moltissimi reperti tra cui affreschi sacri (risalenti alla fine del 1300) oltre agli stemmi delle famiglie Carpani e Parravicini, ma anche vasi e piatti di ceramica finemente decorati. Oltre a ciò ci piace ricordare che: "solo le città con un pomerium potevano essere definite Urbes e quindi entità consacrata agli dei. Le fortezze lungo le Mura o sui tracciati di collegamento svolgevano funzione di ristoro e di ospitalità ai viandanti ed il Castello di Pomerio vuole esserlo tutt'ora". In epoche più recenti tra il Settecento e l'Ottocento, il Castello è stato trasformato in filanda dai nobili Corti, titolari di una prestigiosa fileria serica. Al centro della Corte d'Onore echeggiano infatti due splendidi gelsi secolari a testimonianza di quel periodo storico. La città di Como è stata capitale di tale produzione, riconosciuta in tutto il mondo per il pregio dei filati e della qualità del design. Proprio a Como è possibile visitare il Museo della Seta e il Museo Studio del Tessuto. Altri link suggeriti: https://it-it.facebook.com/CastelloPomerio/, http://www.triangololariano.it/it/castello-pomerio-erba.aspx, https://www.geocaching.com/geocache/GC58A3T_castello-di-pomerio?guid=d91564f4-7995-4ce2-9630-60f5ae3c38fb

Fonti: http://www.castellodipomerio.it/storia.html, testo di Stefano Ripamonti su http://www.altabrianza.org/reportage/icastelli.html

Foto: la prima è presa da https://www.geocaching.com/geocache/GC58A3T_castello-di-pomerio?guid=d91564f4-7995-4ce2-9630-60f5ae3c38fb, la seconda è presa da http://www.castellodipomerio.it/images/bg1.jpg

sabato 16 settembre 2017

Il castello di domenica 17 settembre


MARATEA (PZ) – Castello in frazione Castrocucco

L'antica Castrocucco, che sorgeva intorno all'omonimo castello, venne dichiarata Feudo Nobile nel XIII secolo. La vita di questo abitato è testimoniata fino al XVII secolo, epoca in cui venne disabitato. Nei primi anni del XIX secolo venne ufficialmente assimilato al resto di Maratea, e dopo pochi anni si formò l'attuale abitato. Tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, Castrocucco costituiva un grande centro di produzione agricola, grazie al territorio pianeggiante e alla presenza del fiume Noce. Ma la presenza del fiume riservò anche dei problemi: il 1º marzo 1930 il Noce straripò, distruggendo molti campi e minacciando lo stesso abitato. Nel 1955 le antiche tecniche di coltivazione furono soppiantate con l'apertura di un moderno stabilimento. Il castello si trova su un grande costone di roccia sospeso sopra la S.S. 18. Questo baluardo medioevale nel 2005 è stato sottoposto a tutela dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, e tutta l'area circostante è stata individuata quale Sito di Interesse Comunitario; nonostante ciò ancora oggi non è sufficientemente conosciuto né valorizzato. Il castello fu abbandonato nel XVII secolo, e pertanto presenta un pessimo stato di conservazione. E’ notevole quello che possiamo ancora trovare dell’antico sistema urbano: restano visibili la porta di accesso, alcuni bastioni posti agli angoli della struttura, i ruderi delle mura di cinta e di una ventina di edifici tra cui una torre di guardia e la chiesa di San Pietro al cui interno sono presenti cripte con le originarie pitture ancora in parte visibili nonostante la millenaria azione erosiva degli agenti atmosferici e della salsedine. Lo storico Michele Lacava, che effettuò un sopralluogo al castello nel 1891, così lo descrive: “Il castello un tempo dovea essere ben grande, ma ora è tutto in rovina; poteva contenere un trenta case, addossate all'interno del muro di cinta che è ben alto. In mezzo al castello esiste un vano o cortile scosceso; nell'alto di questo vano trovasi la parte più fortificata del castello posta verso settentrione. Nelle mura di questa parte veggonsi molti buchi per balestrieri. Le stanze sono tutte in roviona, ed in alcuni vedesi solo il pavimento, fatto di calcestruzzo. Non si trova conserva o cisterna alcuna per l'acqua, od almeno ora non ne apparisce traccia tra tante ruine. Molti buchi di balestrieri trovansi ancora alle mura esterne del Castello. Non vi appariscono vestigia di saracinesche alle porte. Una torre tonda, in parte diruta, trovasi, vicino all'ingresso del castello che è rivolta ad oriente: questa torre ha dei buchi per balestre od archibugi, ed ha due buchi tondi per colubrine. Alcune case erano fuori il cinto del castello, e costituivano un piccolo villaggio: che si estendeva tra oriente e mezzogiorno, sul ciglio di una collina, la quale congiunge il promontorio di Castrocucco ai monti contigui. Queste case non erano molte, non oltre forse una cinquantina, ed in qualche punto apparirebbero gli avanzi di un muro di cinta. Alla punta di questo villaggio, e poco discosto dal Castello, trovansi una piccola cappella diruta, e vedasi ancora l'abside con rozze pitture a fresco. Il fabbricato di questo castello, può rimontare al 1100 e 1200, restaurato e modificato verso il 1600 per l'adattamento delle bocche da fuoco”. Nel corso degli anni il castello, costruito presumibilmente a cavallo dell’anno Mille si sviluppò come parte di un sistema urbano con all’esterno del muro di cinta le abitazioni dei coloni. Probabilmente il castello e il borgo circostante, costruito inizialmente per esigenze difensive in una posizione oltremodo impervia e difficile da raggiungere, furono abbandonati al venire meno dei pericoli, provenienti tipicamente dal mare, quali i pirati saraceni. Disponiamo di pochissime fonti circa l'origine del castello. Molto probabilmente fu costruito nel IX secolo, in quanto il suo nome è già presente in una bolla di Alfano I, vescovo di Salerno, datata 1079. Altri storici locali lo vogliono più antico, facendone risalire la costruzione alla difesa di Blanda Julia. È noto poi che nel tra la fine del XIV e l'inizio del XV secolo il castello venne abbandonato. Fu inserito in un feudo costituito nel 1470 da re Ferrante e da questi affidato ad un certo Galeotto Pascale a cui veniva dato il titolo di Barone del Castello dirupo e disabitato di Castrocucco. Tra il 1470 e il 1660, venne ceduto prima ai nobili De Rosa e poi ai nobili Giordano. Durante il XVI secolo fu ristrutturato e ingrandito, e le sue mura furono modificate per ospitare delle bocche da fuoco. Dal 1664 fu tenuto dai Labanchi, famiglia calabrese proveniente da Bisignano che possedette il castello e il feudo fino al XIX secolo. Altri link suggeriti: http://www.calderano.it/testi/emanuelelabanchi/UnCastelloDaSalvare.htm, http://www.lasecca.com/galleria/index.php/varie/I-resti-del-castello-di-Castrocucco-The-ruins-of-Castrocucco-castle-1 (foto).

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castrocucco, https://www.maratea.info/castello-castrocucco-maratea.html, https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Castrocucco

Foto: la prima è presa da http://www.calderano.it/testi/emanuelelabanchi/UnCastelloDaSalvare.htm, la seconda è di Luke18389 su https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Castrocucco#/media/File:CastrocuccosCastle.JPG

Il castello di sabato 16 settembre



LAGONEGRO (PZ) - Castello

Nel periodo medievale, la cosiddetta "terra" di Lagonegro fece parte, della Contea di Lauria. Passò successivamente nel 1463 a Vinceslao Sanseverino, dodicesimo conte di Lauria. Non avendo figli maschi ammogliò sua figlia Luisia con Barnaba Sanseverino, fratello di Roberto, principe di Salerno, dandole in dote il suffeudo di Lauria consistente in Lauria, Ursomarso, Layno, Castelluccio, Trecchina e cedette le sue ragioni sopra Torturella, Cuccaro, Lagoniro, Rocca, Policastro, Rivello, Scalea e Bervicato. L'11 agosto del 1498 il re Federico donò Lagonegro a Gaspare Saragusio, devoluta per ribellione di Guglielmo Sanseverino, la di cui figlia Giovanna la vendette poi a Vincenzo Carafa. Nel 1548 il Carafa la vendette a Giacomo Cossa col patto di retrovenderla. Nel 1550 il Vincenzo Carafa cedette il diritto di ricomprarla per ducati 5000 a Luigi Carafa, il quale, acquistò poi per ducati 20.000. I cittadini però nel 1559 si ricomprarono, divenendo così città demaniale. Del castello di Lagonegro oggi non rimane alcuna traccia. Dovette essere costruito dai Normanni, su una rupe denominata Castello, di forma quasi circolare, e quindi facente parte di un nucleo abitato più antico, che poi venne abbandonato durante il popolamento del nuovo borgo. Sui margini di questa rupe, infatti, furono costruite nel medioevo delle grosse mura di cinta, nel cui circuito vi erano altre torri semicircolari di cui due sono tuttora in piedi, mentre l'altra è completamente distrutta. Il castello sorgeva sulla vetta della rupe, ma dopo che nel 1552 i Lagonegresi pagarono con un riscatto la loro libertà, furono essi stessi a disperdere le tracce materiali del feroce dominio feudale e ad evitare che un nuovo barone si insediasse nella fortezza. I cittadini pensarono di abbattere fin dalle fondamenta il superbo e temuto palazzo del Barone, e non fu mai permesso a nessuno di fabbricare su quel suolo. L’area del palazzo rimase nei secoli come piazzetta pubblica e luogo di riunione e di passeggio, finché nel 1858 fu adattata a necropoli ed i sotterranei del palazzo furono utilizzati come sepoltura ed ossario comune. L’odio dei Lagonegresi verso la tirannia feudale era notoriamente triste: il più crudele fra tutti i signori di Lagonegro fu Gian Vincenzo Carafa. La tradizione vuole che il Carafa, feudatario del castello, in esso avesse riunito i più scellerati uomini della zona, per farsi aiutare nelle sue imprese e scorribande nel territorio e nella città, senza essere punito da alcuno. Tra i tanti uomini fedeli ed assassini si ricorda un certo Mangaretto “il basso”. Costui non solo angariava i poveri sudditi, ma fece costruire al centro del maestoso cortile del Castello, una specie di torre-vedetta, sulla quale era possibile guardare se nei dintorni vi fosse una pattuglia di cavalieri o poliziotti. Accadeva, però, che lo stesso Mangaretto si comportasse quasi da padrone del feudo, infischiandosene anche del Barone Carafa, che non poteva nulla contro la prepotenza del suo scagnozzo. Fu tanto l’odio e l’invidia del Carafa verso lo stesso Mangaretto il basso, che ideò uno stratagemma per ucciderlo. «Carissimo Mangaretto, vieni da me, che voglio regalarti una parte del paese, così che anche tu possa godere del mio regno per sempre». Lo fece sporgere dalla torre-vedetta e, in un attimo, scaraventò l’assassino che realizzò al tonfo un lago di sangue nero. Si dice che nel punto dove Mangaretto cadde nacque un roveto che nessuno è mai riuscito a togliere. Quando il castello venne abbattuto, i Lagonegresi circondarono il roveto con un circolo di novantadue pietre, cioè il numero dei delitti di Mangaretto il basso. Un’altra tradizione, però, riporta che in questo castello dimorò la famosa Monna Lisa, la famosa Gioconda dipinta da Leonardo da Vinci.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Lagonegro#Storia, http://www.vacanzeinbasilicata.it/Basilicata/Potenza/Comuni/Lagonegro/Da-Visitare/Lagonegro-Castello.asp

Foto: la prima è presa da https://www.mondimedievali.net/Castelli/Basilicata/potenza/lagoneg02.jpg, la seconda è presa da http://www.aptbasilicata.it/comuni_pics_temp/pics/8b7d73fa44.jpg

venerdì 15 settembre 2017

Il castello di venerdì 15 settembre






PERUGIA - Castello di Civitella d'Arna

La città, un tempo importante, vanta origine umbre anche se gli Etruschi furono i principali artefici del suo sviluppo, nel IV secolo a.C. Il nome originale Arna, in etrusco, significa "corrente del fiume", dovuto probabilmente al fatto che la città sorgeva tra due grandi corsi d'acqua, il Tevere ed il Chiascio (un piccolo torrente present a tutt'oggi è chiamato Rio d'Arno). Arna si sviluppò anche durante il periodo romano, tanto che intorno al VI secolo era sede vescovile. Il suo declino cominciò con le devastazioni portate dal passaggio delle orde barbariche di Totila e terminò con le lotte secolari fra Bizantini e Longobardi. Il massimo sviluppo urbanistico di Arna dovette attuarsi nei primi secoli dell’età imperiale sulla sommità del colle di Civitella, dove poi si insediò il castello, e sui ripiani orientali e meridionali. Le notizie storiche scarseggiano dopo il VI sec. d.C., la sua decadenza e scomparsa si possono far risalire al suo coinvolgimento nella guerra Gotica; trovandosi Arna nella scomoda posizione tra il Ducato Bizantino di Perugia e il Gastaldato longobardo di Assisi, infatti fu occupato da Teodorico il Grande (454 ca-526); e nel 726 venne distrutta da Liutprando (+ 744), re dei Longobardi, durante la campagna per la conquista dell’Esarcato. Nel 1059 papa Niccolò II (1058-61) donò a Bonizone, abate di San Pietro in Perugia, per la sua fidelitas i beni che la Chiesa Romana possedeva nel territorio, tra cui Civitella d’Arna e Pilonico Paterno. Nel 1209 fu assegnato in pegno ad Assisi per la pace stipulata tra il podestà perugino Pandolfo di Figura e il console Marangone. Ritornato sotto Perugia e aggregato al contado di porta Sole, nel 1282 era già classificato come castrum con ben 71 focolari (pari a circa 355 persone). Negli Annali Decemvirali del 1380 e nella coeva Rassegna di castelli e ville del Rione di Porta Sole compare con il toponimo “Villa Civitelle Arnis“, e come “Castrum Civitelle Arni“, a proposito di una visita pastorale di Giuliano Della Rovere nel 1571, alla cappella di S. Germano, presso il castello di Civitella. Nel 1381 fu conquistato dai fuoriusciti perugini, ma l’anno successivo ripreso con l’aiuto delle milizie assisane. Nel 1394 Barzo di Angelello di Nino Barzi, cittadino perugino, vendette alla città di Perugia la rata della Rocca di “Castel d’Arno” che era stata occupata alcuni mesi prima da Francesco Barzi. Nel 1494 fu assalito e depredato da Jacopo e Alessandro Fiumi di Assisi con la conseguente ritorsione da parte dei Baglioni di Perugia. Il 2 gennaio 1522 si radunarono nelle vicinanze del castello le milizie (circa 3500 uomini) di Malatesta IV e Orazio II Baglioni, figli di Giampaolo, intenzionati a riprendere il controllo di Perugia. A Civitella cominciarono le trattative con lo zio Gentile Baglioni (+ 1527) affinché la vicenda si risolvesse senza spargimento di sangue: nonostante la mediazione di Mario Orsini tutti i tentativi fallirono. Il 4 gennaio Perugia venne assalita, senza esito. La veemenza, il perpetuarsi degli attacchi e la paura di una sollevazione popolare indussero, però, Gentile e i suoi familiari a fuggire a Città di Castello ospitati da Vitello Vitelli (+ 1528) e da sua moglie Angela Rossi. Nel secolo XVII il castello fu per un lungo periodo il covo del bandito perugino Francesco II Alfani, morto a Cortona nel gennaio 1635 all’età di 72 anni. Da Civitella controllava il passaggio obbligato della strada Gualdo Tadino-Perugia commettendo delitti e rapine ai danni degli incauti viaggiatori: a lui vennero, infatti, attribuiti circa 78 omicidi. Imprigionato nella fortezza di Perugia e confortato dalla compagnia di Stratonica, figlia del carceriere, evase poco dopo e si rifugiò a Monte Santa Maria. Gli Alfani già dal 1441 possedevano estese tenute intorno a Civitella (oltre 80 ha) con Alfano, discendente del famoso giurista Bartolo da Sassoferrato. Nel secolo XVIII Civitella d’Arpa divenne residenza degli Azzi di Arezzo iscritti ai nobili collegi del Cambio e della Mercanzia. Nei primi anni dell’800 Ugo Maria degli Azzi, erudito di storia e filosofia, sposò una Vitelleschi e aggiunse al suo casato il cognome. Dagli Azzi Vitelleschi nel 1912 la proprietà passò a Francesco Paolo Spinola e nel 1955 all’ingegner Ubaldo Baldelli. Il castello (XIII secolo) è costruito su fondamenta di antiche cisterne romane, i cui resti sotterranei sono osservabili tuttora. Rimaneggiato più volte per ospitare i signori locali (i Sozi, i Degli Azzi Vitelleschi, gli Spinola, fino agli attuali proprietari, i Baldelli), conserva il bastione di ingresso e un bell'arco del XIV secolo. Un alto mastio guelfo con beccatelli spicca all’interno del castello, racchiuso da possenti mura dentro le quali sono stati ricavati nuclei abitativi. In buono stato anche due torri quadrate angolari, una delle quali funge da ingresso principale. Tratti di mura etrusco-romane sono ancor oggi individuabili nelle mura esterne. Altri link suggeriti: http://www.fotodiaries.com/italia/civitella-darna-e-il-dialetto-perugino/, https://www.youtube.com/watch?v=DYucB7k6-Sw (video di Mister Jack rosi).

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Civitella_d%27Arna, http://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-civitella-darna-civitella-darna-pg/,

Foto: la prima è del mio amico Claudio Vagaggini, scattata ieri 14 settembre sul posto, mentre la seconda è presa da http://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-civitella-darna-civitella-darna-pg/

giovedì 14 settembre 2017

Il castello di giovedì 14 settembre





ORSARA BORMIDA (AL) - Castello

Per trovare la prima notizia certa di Orsara dobbiamo arrivare al 1155 quando papa Adriano IV, in un documento, conferma al capitolo acquese “quod habetis in Ursaria vel Ripalta”. Và però rilevato che il Dionisotti fa risalire la prima notizia sull’esistenza di Orsara al 1014: in un diploma di Arrigo I fra le terre donate dall’aleramico Ugone al monastero di Fruttuaria, si nominano i beni posseduti in Orsingo (Orsara Bormida secondo il Dionisotti) e Maleria (Molare). La Marca Aleramica fu istituita da Berengario II re del Regno Italico, nell’anno 950, assieme alle altre due Marche, la Arduinica e la Orbetenga, per tutelare i confini del suo regno. La marca Arduinica (o di Torino) si estendeva dal territorio piemontese (alto Piemonte) fino a Ventimiglia. La marca Orbetenga (o di Genova) partiva dalla Lombardia e comprendeva Tortona, genova, e la Ludigiana. La Marca Aleramica (o di Savona) partiva dal Po, comprendeva tutto il Monferrato e giungeva, fino alla fasci costiera compresa tra Savona e Albenga. Le tre Marche, attigue, dislocate ai margini del Regno Italico, presero il nome dai tre capostipiti Ardoino, Oberto, Aleramo ed erano, a loro volta, suddivise in più Comitati. Va innanzitutto precisato, che la Marca Aleramica fù suddivisa in tre Comitati: quello di Vado-Savona, quello di Acqui, quello del Monferrato. Orsara apparteneva a quest’ultimo Comitato; le sue vicende storiche sono quindi strettamente legate alle sorti dei potenti Marchesi del Monferrato. Il Saletta, storico del Settecento, produsse una monumentale rassegna manoscritta di tutti i paesi appartenenti al Marchesato del Monferrato. La descrizione di Orsara inizia nel seguente modo: "Nelle parti di Monferrato, oltre Tanaro, vi è la terra dell’Orsara tra li confini di Riualta, Streui, Morsasco, Montaldo e Castelnuovo. Era questo luogo dell’Orsara uno di quei feudi che anticamente li Marchesi Malaspina riconoscevano dall’alto dominio e superiorità di Monferrato nelli modi e forme di Morsasco, Grognardo e Cavatore e che dopo ne fù investita la famiglia de li Conte Lodrone". I Malaspina, probababilmente, non furono i primi signori di Orsara. Infatti nella biografia di San Guido (vescovo di Acqui dal 1034 al 1070), scritta dal Calceato nel secolo XII, si legge che Guido, nobile di Melazzo, divenuto Vescovo, donò alla sua chiesa molti beni e feudi, appartenenti alla sua famiglia. Tra questi ultimi, troviamo Orsara. Il paese fu feudo dei Signori Malaspina fino al 1530, poi passò come dote di Violante Malaspina ai conti Lodrone fino al 1598 ed infine ai conti Ferrari che ne mantennero l’investitura fino alla fine del feudalesimo e la proprietà del castello fino al 1922. Il castello, profondamente trasformato nel corso dei secoli fino a divenire da torre di avvistamento abitazione signorile, passò allora in proprietà del marchese Cesare Staglieno, poi dei Signori Capo, provenienti dall’Argentina e nel 1951 fu acquistato dagli attuali proprietari, signori Remondini di Genova. Il castello di Orsara è situato sulla cima del colle più alto del paese, a 295 metri sul livello del mare, in posizione dominante, dalla quale si scorgono case e strade digradanti e campagna coltivata prevalentemente a vigneti, cereali ed ortaggi. L'edificio, dall'esterno, si presenta caratterizzato essenzialmente da tre torri: quella più antica e di dimensioni maggiori, posta nella attuale zona residenziale, è la torre quadrata. Essa costituisce a tutt'oggi il maschio dell'edificio, notevolmente alta, in pietra con corsi e rinzeppi in mattoni e tracce di intonacatura è probabilmente stata modificata nella parte superiore. La copertura è a padiglione, non presenta tracce di apparato sporgente che è invece evidente su un'altra torre del castello, più bassa, a pianta ottagonale, coronata da una fitta serie di beccatelli. Tra le due torri si estende il corpo di fabbrica del castello, anch'esso in pietra con saltuarie tessiture in mattoni. La torre di dimensioni minori, di forma cilindrica, parte integrante della cinta di mura di protezione del castello, ebbe funzione di torre di vedetta. All'interno delle mura perimetrali del maniero, un esteso giardino su due piani ingentilisce il castello con prati, alberi secolari, ed aiuole fiorite. Il castello venne costruito nel XIII secolo, ampliato nel XV e trasformato in residenza signorile nel corso del XVII e XVIII secolo. Dall'inizio del 900 è di proprietà della famiglia Remondini di Genova che ha provveduto ad effettuare una profonda ristrutturazione degli interni, lasciati architettonicamente intatti ma resi accoglienti per una continuativa fruizione abitativa. Anche gli arredamenti risalenti al 500 e 600, sono rimasti intatti. Gli ambienti vari, molto particolari, denunciano la funzione di rappresentanza e di relazioni di una famiglia patrizia, come furono quelle dei vari proprietari. Il salone ospita un biliardo risalente al 700, pavimenti in maiolica, mobili e antichi quadri, come quello del cavaliere di Malta, molto particolare e allo stesso tempo bello da vedere. Nelle varie stanze sono presenti specchi di varia foggia e dimensioni, funzionali ad ingrandire gli ambienti. Al piano superiore le varie camere da letto, con sedie e mobili d'epoca intarsiati o dipinti sono arredate con letti elevati per miglior isolamento termico. Una stanza particolare è la biblioteca, insigne per la preziosa raccolta di libri storici su Orsara e sul castello stesso: come quelli sulle spese effettuate. La caratteristica particolare dell'aspetto storico/iconografico del maniero, è la successione di affreschi che documentano attraverso gli stemmi nobiliari, i proprietari avvicendatisi nel corso dei secoli, in qualità anche di feudatari del paese: i Malaspina, i Lodrone, i Ferrari. Nei sotterranei, i locali in passato adibiti a prigioni, ed oggi a cantine dei signori Remondini, attuali proprietari, si possono ammirare volte a botte ed a crociera, cunicoli, passaggi a scala ed a corridoio un tempo utili anche per emergenze o per segretezza di spostamenti ed oggi fruibili come accessi particolari dei locali naturalmente isolati da mura spesse in pietra. Fin dal 1196 l'azienda agricola è sempre stata legata all'immagine del castello, ed è stata rinnovata dagli attuali proprietari che hanno avviato un'attività di produzione di vini DOC, quali Barbera del Monferrato, Dolcetto d'Acqui, Brachetto, Chardonnay e Moscato. Altri link suggeriti: http://www.orsara.com/sito/, http://www.castellipiemontesi.it/pagine/ita/castelli/orsara_bormida.lasso, http://video.virgilio.it/guarda-video/il-castello-di-orsara-bormida_ms725131 (video), https://www.youtube.com/watch?v=g-v5oOhIa84 (video di roby allario).

Fonti: http://www.comune.orsara.al.it/il-comune/la-storia, http://www.comune.orsara.al.it/turismo-e-folclore/il-castello-di-orsara-bormida, http://www.monferratontour.it/it/risorsa/castello-di-orsara-bormida/470749fdc1ac285bc65ce25d91a4e9c4/24065aa18d05831e76cd35a12e276ecf/

Foto: la prima è presa da http://www.orsara.com/sito/img_gallery/visuale6_bassa_ris.jpg, la seconda è di livius2 su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/338316/view