venerdì 29 marzo 2019

Il castello di venerdì 29 marzo




NONANTOLA (MO) - Torre dei Modenesi e Torre dei Bolognesi

Il centro di Nonantola conserva numerose tracce del passato medievale, tra le quali le due torri dette "dei Modenesi" e "dei Bolognesi", resti delle rispettive rocche, quattro piccole torri della cinta muraria (tre incluse in edifici successivi), la porta fortificata settentrionale (inclusa nel Palazzo della Partecipanza) e la pieve di San Michele Arcangelo, quest'ultima risalente al IX secolo. Risalente al XIII secolo, la Torre dei Modenesi (detta anche Torre dell'Orologio o Torre Vecchia) faceva parte della fortificazione dell'abitato, mentre attualmente si trova in via Roma, nella parte occidentale del centro storico. Le origini della torre risalgono al 1261, quando a seguito di un lodo con il comune di Modena il rettore dell'abbazia di Nonantola perse il potere temporale e il borgo di Nonantola dovette ospitare una guarnigione di militari modenesi. La torre dei Modenesi era la principale fortificazione di Nonantola, tanto che già nel XIV secolo vennero ampliate le costruzioni circostanti: venne realizzato un rivellino indipendente con ponte levatoio per proteggere l'ingresso alla torre e la porta del borgo. Dal XVII secolo la torre divenne una prigione, con la casa del custode realizzata nel 1623. Le mura delle fortificazioni del borgo furono smantellate negli anni tra il 1920 e il 1925: la torre rimase si ritrovò così completamente isolata, dopo l'abbattimento degli edifici circstanti e la Porta Vecchia. Durante lo stesso secolo, la torre dei Modenesi divenne un ricovero per le persone povere e un rifugio antiaereo durante la seconda guerra mondiale, mentre successivamente ospitò iniziative culturali. La torre è stata danneggiata dal terremoto dell'Emilia del 2012 che ne ha reso necessaria la messa in sicurezza con un'ingabbiatura metallica. I lavori di ripristino e miglioramento antisismico, costati 800.000 euro, sono iniziati nell'ottobre 2016 e si sono conclusi dell'aprile 2017, con la librazione dai ponteggi. La torre è alta 30,5 metri ed è a pianta rettangolare (10,7 per 9,63 metri), divisa in cinque piani fuori terra. Le facciate in mattoni terminano con una merlatura guelfa squadrata. La parte più alta della torre è coperta da un tetto, su cui è poggiata la cella campanaria con la campana comunale. La facciata occidentale presenta un orologio realizzato verso il XVI secolo, mentre quella orientale è caratterizzata da una nicchia in cui è esposta una Madonna col Bambino del 1980 del pittore Romano Buffagni ispirato ad un vicino affresco del XIV secolo.
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La torre dei Bolognesi (o Rocca) fu costruita nel 1307 per l'appunto dai Bolognesi che avevano conquistato Nonantola dopo una lunga serie di battaglie con i Modenesi per il controllo del territorio nonantolano; secondo Girolamo Tiraboschi, autore della Storia dell’Augusta Badia di San Silvestro di Nonantola, i Bolognesi vinsero grazie ad una somma di denaro di 3000 lire con la quale corruppero i guardiani modenesi posti a vigilanza del castello, secondo le fonti modenesi i capitani nonantolani si sarebbero assoggettati ai Bolognesi in modo volontario per far terminare le continue battaglie. La torre è un edificio in mattoni a pianta quadrata di 11,7 x 12,76 metri - alta 38,13 metri, presenta una merlatura guelfa ricoperta da un tetto a capriate già attestato nel 1500 (rifatto negli anni ’70). Ai suoi piedi si vede ancora una delle porte del castello, Porta S. Adriano; proprio entrando da questa porta, sul fianco nord della torre, era murata una lapide marmorea posta a memoria della conquista di Nonantola da parte dei Bolognesi. La torre fu utilizzata dalla metà del XV al XIX secolo come carcere, in seguito come magazzino ed infine ospitò il deposito sopraelevato dell’acquedotto, periodo in cui purtroppo furono tagliate le travi trecentesche portanti in rovere per permettere l’inserimento di una cisterna. Dopo la demolizione del serbatoio dell’acquedotto, ormai in disuso, è stato possibile affrontare il restauro storico conservativo della Torre dei Bolognesi. Il recupero scientifico, terminato definitivamente nel 2004, è stato svolto eseguendo operazioni minime volte alla ricostruzione dei tre solai lignei distrutti dall’intromissione della torre piezometrica e delle scale di accesso ai vari piani. L’edificio ha così potuto rivelare nuovamente le sue antiche funzioni di struttura difensiva, lasciate appositamente in vista, in modo da evidenziare la valenza storica che la Torre ha avuto nei secoli. La Torre dei Bolognesi, per quanto riguarda le murature esterne, corrisponde quasi totalmente a quella costruita nel 1307 (ad eccezione del coronamento, modificato e ricostruito). Grazie all’analisi della cartografia storica, confermata dagli scavi archeologici effettuati nel 2004 dall’Università Ca’ Foscari di Venezia, è stato possibile ricostruire il sistema difensivo intorno alla torre: questo sistema era composto da due rivellini a nord, uno a ridosso delle mura di cinta, esterno alle mura, l’altro sulla stessa linea ma interno alle mura; i rivellini erano dotati di porte che, probabilmente grazie all’aiuto di ponti levatoi, permettevano di superare le fosse esterne (a ridosso delle mura di cinta) e interne (relative alle fortificazioni in corrispondenza della torre). Era inoltre presente un sistema di mura interne costituito da un tratto di mura verso nord e uno ad ovest della torre. La porta attuale al piano terreno è frutto di una ristrutturazione seicentesca mentre quella originaria (tuttora visibile anche se tamponata) era posta ad alcuni metri da terra ed era raggiungibile solo dal camminamento di ronda delle mura. A questa altezza era posto un ballatoio dal quale la guarnigione controllava il transito sulla sottostante strada ammattonata ed azionava le macchine dei ponti levatoi. Questo sistema permetteva di controllare efficacemente questa zona con operazioni sia offensive che difensive. All’interno della torre è oggi visitabile il Museo di Nonantola (http://www.visitnonantola.it/?portfolio=il-museo-di-nonantola). Dal 2015 la torre dei Modenesi e la vicina torre dei Bolognesi, in cui è ospitato il museo civico, partecipa all'iniziativa culturale Wiki Loves Monuments Italia. Altri link consigliati: http://www.visitnonantola.it/?portfolio=torre-vecchia-o-dei-modenesi-o-dellorologio, http://www.portaleturismo.provincia.modena.it/page.asp?IDCategoria=305&IDSezione=7182&ID=71541, http://www.tvqui.it/video/home/152707/nonantola-la-torre-dei-modenesi-torna-a-splendere.html, https://www.youtube.com/watch?v=qeyygPwpnYw (video di Gazzetta di Modena)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Nonantola, https://it.wikipedia.org/wiki/Torre_dei_Modenesi_(Nonantola), http://www.visitnonantola.it/?portfolio=torre-dei-bolognesi-o-rocca-sede-del-museo-di-nonantola

Foto: la prima, relativa alla Torre dei Bolognesi, è una cartolina della mia collezione; la seconda, raffigurante la Torre dei Modenesi, è presa da http://www.centrostudinonantola.it/

giovedì 28 marzo 2019

Il castello di giovedì 28 marzo




LOANO (SV) - Palazzo Doria e Torre Pentagonale

Oltre al Castello Doria (già trattato nel blog, vedere https://castelliere.blogspot.com/2013/02/il-castello-di-sabato-9-febbraio.html), Loano conserva un centro storico di notevole interesse monumentale tra i meglio conservati della Liguria. Il cuore della seicentesca Loano dei Doria custodisce monumenti pubblici grandiosi: Palazzo Doria (costruito nel 1578), attuale sede del Comune ed un tempo palazzo residenziale di Giovanni Andrea Doria e della moglie Zenobia Del Carretto. L’edificio attribuito a Galeazzo Alessi (1500-1572), ingegnere capo di Genova ed architetto di spicco, fu realizzato secondo il concetto del palazzo fortezza ed a rafforzare tale idea sorge ad ovest di esso una torre pentagonale a base irregolare che riproduce il perimetro delle mura. Completano il complesso di Palazzo Doria i suoi giardini, ora in parte destinati a teatro all’aperto, la fontana storica chiamata Fontana Giovanna e la Loggetta che si affaccia sulle mura pentagonali che circondano il palazzo e su Ponte San Sebastiano, ricostruito nel 1691 da un ponte più antico che univa il borgo murato all’antico castello. L’architettura severa del palazzo è alleggerita da logge e da due terrazzi, che sporgono sui lati maggiori. Sulle facciate minori si aprono delle logge sovrapposte, che danno l’accesso sui giardini laterali. Un ampio scalone a larghi gradoni in pendenza conduceva al piano nobile. Pare che la conformazione dello scalone derivasse dalla passione del Conte di salire a cavallo. Nel salone centrale è stato deposto un Mosaico Romano, risalente al 1937. E' difficile datare il mosaico trovato sotto al piano stradale, come è difficile definire la tipologia di edificio dalla quale proveniva. Costruita nel 1602, la torre pentagonale è annessa al Palazzo Doria. Serviva da baluardo difensivo dai pericoli provenienti dal mare, come è testimoniato dalla sua posizione incastonata all’interno della cinta muraria difensiva. L’architettura della torre è molto semplice, senza merli e poco slanciata. Al pianterreno erano site le prigioni. L’accesso al piano superiore è possibile solo attraversando un corridoio un tempo coperto con una loggia, di Palazzo Doria. Altri link per approfondire: http://www.culturainliguria.it/cultura/it/Temi/Luoghivisita/architetture.do;jsessionid=2FC1B032E66269EAAA86F690F24FFB15.node2?contentId=27381&localita=2222&area=213, http://www.formentorestauri.it/portfolio/torre-pentagonale-loano/, https://www.youtube.com/watch?v=Uem28urhYow (video di Viqueria . com)

Fonti: https://www.geoplan.it/luoghi-interesse-italia/monumenti-provincia-savona/cartina-monumenti-loano/monumenti-loano-torre-pentagonale.htm, https://www.geoplan.it/luoghi-interesse-italia/monumenti-provincia-savona/cartina-monumenti-loano/monumenti-loano-palazzo-doria.htm, http://www.visitloano.it/557/vivi-la-citta/loano-citta-dei-doria/centro-storico/

Foto: la prima, relativa alla torre pentagonale, è una cartolina della mia collezione; la seconda, che inquadra sia il palazzo Doria sia la torre, è presa da https://www.geoplan.it/luoghi-interesse-italia/monumenti-provincia-savona/cartina-monumenti-loano/monumenti-loano-palazzo-doria.htm

mercoledì 27 marzo 2019

Il castello di mercoledì 27 marzo



TORTOLI' (OG) - Torre di San Gemiliano

E' una torre, dal nome originario di Taratasciàr (in arabo "tredicesima torre"), che fa parte del complesso di strutture fortificate che, dall'alto medioevo sino alla metà del diciannovesimo secolo, hanno costituito il sistema difensivo, di avvistamento e di comunicazione della fascia costiera della Sardegna. Nel XVII secolo la torre era chiamata "del Zaccurro". Nel secolo successivo fu anche chiamata del "Iacuri", del "Saccuru", del "Zacuro", o anche, nel XIX secolo, della "Punta del Sacurro" poi distorta in "Punta del Soccorso". Il titolo di San Gemiliano, comparso solo nel 1767, insieme ad altri appellativi, come San Milano, si lega alla vicina chiesetta campestre di San Gemiliano. Si trova lungo la costa orientale della Sardegna, in Ogliastra, a poche centinaia di metri dal centro abitato di Arbatax, nonché a circa quattro chilometri da Tortolì. La struttura architettonica della torre dà alla stessa un aspetto decisamente slanciato. La forma è troncoconica, con 12 m di altezza e soli 7 m di diametro. All'interno è presente una piccola camera di circa 13 m² (un vano voltato a cupola), ove alloggiava la guarnigione, che è posta a circa 4 metri d'altezza. A questo ambiente, detto anche Casamatta, si accede attraverso un boccaporto; radialmente all'ingresso vi sono due troniere o feritoie. Per accedere alla Piazza d'armi, cioè al terrazzo superiore esterno, si utilizzava una scala di legno che passava tramite un'apertura praticata nella volta della casamatta; nella terrazza si possono osservare, nel muro di spalamento, le cannoniere e i vani delle garitte. La torre fu realizzata con rocce granitiche locali. Inizialmente non prevista in progetti cinquecenteschi, la torre risale probabilmente al primo quarto del XVII secolo; è, infatti, registrata nella "Carta sulla descripcion de la Isla Y Reyno de Sardena", di Francesco Vico del 1639. Nuovamente citata da documenti del 1720, quali la relazione del I commissario di artiglieria, fabbriche e fortificazioni, Cagnoli, il fortilizio appare in buono stato, mancandovi solamente una porta. La torre, pur essendo stata progettata con funzioni di guardia dagli attacchi dei pirati, poteva anche essere utilizzata per la difesa leggera; dalla relazione del 1767 del piemontese Ripol, si documenta la presenza di un "alcaide" (capitano della torre) e di due soldati e di un arsenale costituito da sei fucili, due spingarde e un cannone. Nel 1798 il fortilizio fu gravemente danneggiato da un fulmine e, con una forte spesa, furono approntati dei lavori di riparazione su progetto del capitano ingegnere Marciot; altre ristrutturazioni sono attestate nel 1798. Da una relazione del 1828 si ricava che la torre versava in una situazione così disastrosa che la guarnigione era costretta ad alloggiare nella vicina chiesetta di San Gemiliano; dopo questa segnalazione, fu incaricato l'architetto Melis di eseguire un progetto di restauro, completato due anni dopo. Dopo la soppressione, nel 1842, della Reale Amministrazione delle Torri, la torre risulta sotto l'amministrazione del "Iudicado de Ollastre", come quelle di Bari Sardo e di Larga Vista; soltanto qualche anno dopo, fu dismessa. Situata a 42 m s.l.m., la torre ha un vista di 25 km verso il mare. Domina sulle spiagge di Orrì e di Cea ed era in diretto contatto visivo con la torre di Barì e la torre, non più esistente, di Bellavista. La struttura è visitabile. Si può raggiungere sia dalla spiaggia, sia da una stradina non asfaltata che si incrocia con la via San Gemiliano. Altri link suggeriti: http://old.comuneditortoli.it/portale_comune/portale/dettagli_contenuto.asp?id_contenuto=182, http://www.agugliastra.it/territorio/da-vedere/item/4065-torre-di-san-gemiliano.html, https://www.youtube.com/watch?v=Ty0iYUGXhOU (video con riprese aeree di Matteo Finazzi), https://www.youtube.com/watch?v=K8L5drfzFB8 (video di Sardegna Punto Radio)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Torre_di_San_Gemiliano, http://www.ogliastraontheweb.it/torredisangemiliano.htm, http://www.sardegnacultura.it/j/v/253?s=17939&v=2&c=2661&c1=2640&visb=&t=1

Foto: la prima è di trolvag su https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Torre_San_Gemiliano,_Tortol%C3%AC,_Province_of_Ogliastra,_Sardinia,_Italy_-_panoramio_(1).jpg, la seconda è di Stefano Marrocu su https://www.traccedisardegna.it/storia-e-cultura/torre-di-san-gemiliano-taratasci%C3%A0r

martedì 26 marzo 2019

Il castello di martedì 26 marzo




SALICE SALENTINO (LE) - Castello Monaci

E' un castello del XVI secolo situato all'incrocio tra le province di Lecce, Brindisi e Taranto. Fu fatto costruire da Ramoindiello Orsini del Balzo e dalla moglie Maria d’Enghien. Nel territorio sanpancraziese vicino sono presenti tracce concrete del passaggio dei monaci basiliani, in fuga dall'Oriente. I Basiliani, per scampare alle persecuzioni bizantine, furono costretti a nascondersi in luoghi solitari come grotte e foreste, che divennero luogo d'alloggio e di preghiera. A volte, quando non potevano adattare le grotte naturali, scavavano nella roccia più friabile, dove creavano dei rifugi simili a pozzi. Ritroviamo in contrada Torrevecchia la Grotta dell'Angelo, finemente affrescata con immagini di santi, raffigurati secondo l'iconografia bizantina; altre grotte con altari, giacigli e pozzi sono in contrada Caragnuli e in contrada Caretta. Un nuovo nucleo abitativo, un casale, sorse fra il X e l'XI secolo attorno a una chiesetta dedicata al martire, la "venerabilem ecclesiam S. Pancratii" menzionata in un atto di donazione del 1063 all'Arcidiocesi di Brindisi ed eretta probabilmente con l'aiuto dei monaci basiliani. Un documento del catasto onciario di Salice Salentino menziona la creazione del castello nel XVI secolo. I Monaci Basiliani utilizzarono il castello come luogo di culto, meditazione e rifugio per i bisognosi. Dapprima luogo di culto, l'edificio fu acquistato da diverse nobili famiglie (dai Martino ai Parry Graniger fino ai Provenzano di Ugento, la cui ultima discendente, coniugata Memmo, ne detiene attualmente la proprietà) che lo trasformarono in residenza privata. Fu soggetto a svariati rimaneggiamenti; il più consistente fu la costruzione di una nuova facciata nel XIX secolo. Al suo interno si conservano opere d'arte di notevole interesse artistico e storico. Attualmente è di proprietà privata ed è stato convertito in lussuosa struttura ricettiva. Nella proprietà sono siti l'omonima azienda vinicola ed un "museo del vino" (https://www.castellomonaci.com/). Il cuore del castello è in stile cinquecentesco. La facciata è caratterizzata dai possenti torrioni angolari ricoperti insieme alle pareti laterali di verdi e lussureggianti rampicanti. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=oPK9tm9kkrU (video di Territori Coop), scheda di Silvia Grasso su http://www.sali-ce.it/sport/item/2341-castello-monaci.html, https://www.youtube.com/watch?v=ZEdS3A96HpM&feature=youtu.be (video di Frederick Wildman and Sons, Ltd)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_Monaci, https://it.wikipedia.org/wiki/Salice_Salentino#Castello_Monaci, https://www.castellomonaci.com/ricevimenti-matrimonio-puglia-lecce/storia/, http://www.salentoviaggi.it/comuni/salice_salentino/castello__monaci__222.htm

Foto: la prima è di Jiel su https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_Monaci#/media/File:Jiebea_Castello_Monaci_Salice_Salentino_2018_09.jpg, la seconda è presa da http://www.mediterraneantourism.it/site/en/notizie/208-salento-mon-amour-a-paris-il-vino-di-salice-salentino-l-olio-e-il-mare-di-melendugno-in-campo-per-incantare-i-francesi

lunedì 25 marzo 2019

Il castello di lunedì 25 marzo



BIBBIANO (RE) - Torrazzo Matildico

È solo con l’età medievale che la storia di Bibbiano si precisa attraverso una prima aggregazione urbana lungo la strada che portava alle fortificazioni affacciate sull’Enza, e di cui rimane la massiccia costruzione fortificata detta "Torrazzo". Al secolo XI risalgono le prime notizie che si hanno di Bibbiano. In una bolla di Papa Stefano IX dell'anno 1057 in favore del Monastero di San Prospero in Reggio si parla di "Bubianum" e in una successiva bolla di Papa Alessandro II del 1072 si cita "Bibbianum". L'origine etimologica della parola Bibbiano non è certa: la forma più antica è "Bubianus" alternata anche a "Bibianus". Gli storici reggiani fanno risalire il termine "Bibianus" al personale latino "Baebius"; i "Bebii" erano una famiglia di coloni romani ai quali, all'epoca della colonizzazione romana, erano state assegnate le terre che presero il nome di "ager Baebianus". Il fatto che due poderi situati nella frazione di Barco, conservino la denominazione di Bebbi Grande e Bebbi Piccolo, rende molto probabile questa ipotesi. Dunque, l’origine del toponimo è verosimilmente legata all’occupazione romana del I secolo e prese il nome dell’assegnatario di quelle terre. Bibbiano, già castello, faceva parte del territorio Matildico. Nel secolo XII la storia di Bibbiano si lega indissolubilmente alle vicende dei Canossa, come ricorda anche lo stemma comunale (cane con un osso in bocca). Il territorio fu concesso in feudo alla famiglia Canossa (nel 1155 il borgo venne definitivamente incorporato nel feudo canossiano di Bianello, mentre un’altra località bibbianese, Piazzola, era già in precedenza compresa nel medesimo) che lo conservò finché nel 1757 passò poi in feudo alla casata dei marchesi Gabbi di Reggio Emilia. A breve distanza dalla stazione ferroviaria di Bibbiano sorge una interessante casa-torre della famiglia Manzotti. E' una costruzione tardo-medievale, sviluppatasi in periodi successivi, forse sulle basi di un più antico edificio. La tradizione locale identifica nel "Torrazzo" ciò che resta di quel "Castello di Bibbiano" ricordato nel XI secolo e distrutto dai parmigiani nel 1296. Non rimangono tuttavia elementi tali da potere confermare tale supposizione. La casa-torre ha subito rimaneggiamenti in varie epoche che non ne hanno tuttavia alterato la struttura. Si possono notare due fasi costruttive distinte. La prima caratterizzata da una muratura a pietra rasa ad opera incerta con utilizzo di blocchi squadrati in arenaria , quindi sulla diroccatura dei primitivi resti si è sviluppata l'edificazione successiva con impegno del laterizio. Tra gli elementi compositivi rimane un cordolo a diversi motivi, con mattonatura a dente di sega, i posatoi per i colombi a mensola su due filari sovrapposti, due feritoie a doppia strombatura e sguancio attribuibili al XV-XVI secolo, finestre ad arco ribassato e le tracce di un portale ad arco tamponato.

Fonti: http://www.comune.bibbiano.re.it/servizi/Menu/dinamica.aspx?idSezione=616&idArea=27515&idCat=16757&ID=16757&TipoElemento=categoria, http://www.4000luoghi.re.it/luoghi/bibbiano/bibbiano.aspx

Foto: la prima è presa da http://www.comune.bibbiano.re.it/servizi/Menu/dinamica.aspx?idSezione=616&idArea=27515&idCat=18126&ID=18126&TipoElemento=categoria, la seconda è di Roberto Federici nel gruppo Facebook https://www.facebook.com/groups/560443220713249/ ("Castelli Rocche e Fortezze....")

venerdì 22 marzo 2019

Il castello di venerdì 22 marzo




MONTANARO (TO) - Castello

Il Castello di Montanaro nel 1164 fu infeudato dall’imperatore Federico Barbarossa al marchese Guglielmo IV di Monferrato, che vi pose suoi vassalli parenti canavesani. All’inizio del XIV secolo l’intera Montanaro risultava sottoposta giurisdizionalmente agli Abati di Fruttuaria che esercitarono quasi sempre le loro competenze con umanità, equità e senso della misura. L’Abbazia cluniacense di Fruttuaria era stata costruita intorno all’anno Mille e posta sotto la dipendenza diretta del papato. Gli Abati permisero alla comunità montanarese di munirsi di torri, mura, fossati e ricetto (1300) per difendersi da scorrerie e saccheggi. Il castello medievale è citato nel 1395 fra le proprietà del monastero di San Savino di Piacenza, nel 1465 un decreto dell’Abate stabiliva che nessun nobile potesse acquistare o affittare beni a Montanaro. Nel 1475 Galeazzo Sforza prese possesso del castello e rinforzò le mura. I legami fra comunità e abbazia continuarono senza turbamenti e in seguito furono rafforzati con la nomina, nel 1526, del Cardinale Bonifacio Ferrero Vescovo d’Ivrea ad Abate: egli provvide a ricostruire il castello semidistrutto nel 1515 dalle soldatesche francesi e, in una torre appositamente alzata, a installare le zecca (Torre della Zecca – XIV / XVI su permesso di Papa Clemente VII). Rifatto in parte nel secolo scorso, il maniero conservava della struttura cinquecentesca le torri settentrionali, le prigioni, la torre delle zecca in cui il Cardinale coniava monete. Il complesso, a pianta rettangolare, presenta ancora ben evidenti i caratteri legati all'originaria funzione difensiva: mura possenti e robuste torri squadrate agli angoli. Un timpano triangola movimenta la facciata sul lato dell'ingresso. Su una delle torri (torre del Dongione) è ancora oggi visibile lo stemma del casato Ferrero: un leone azzurro con lingua ed unghie rosse in campo d’argento, ornate dal cappello verde. In seguito appartenne a diverse famiglie nobili: Cossadoca, Da Rizzolo, Dal Pozzo. Portapuglia. Fu parzialmente ricostruito nel 1692 dai conti Marazzani e in seguito fu trasformato in villa residenziale. Nel 1799 fu utilizzato dalle truppe austro russe del gen. Suvorov. Il Castello abbaziale fu acquistato e restaurato nel 1800 dai conti Frola che affidarono i lavori di restauro anche all’architetto Camillo Boggio. Alcuni personaggi della famiglia Frola contribuirono all’Unità d’Italia: il conte sen. Secondo Frola, sindaco di Torino e fondatore del Museo del Risorgimento di Torino. Attualmente dell'edificio, di proprietà comunale, è visitabile solo la parte a piano terreno ed il parco, il degrado è particolarmente evidente nei piani superiori, le coperture presentano i danni causati dagli agenti atmosferici e dalla mancanza di manutenzione. Altri link per approfondimenti: https://castlesintheworld.wordpress.com/2015/05/11/castello-di-montanaro/, https://www.youtube.com/watch?v=x3E3QH7OXN8 (video di Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino), http://www.amicidellarteedellantiquariato.it/castello-montanaro-univoca/

Fonti: https://www.comune.montanaro.to.it/it-it/vivere-il-comune/cosa-vedere/castello-di-montanaro-6359-1-558f1cda6ae4a1dfae00943af6f5f981, https://www.fondoambiente.it/luoghi/castello-dei-conti-frola?ldc, https://artbonus.gov.it/116-19-c.html

Foto: la prima è presa da https://www.latitudeslife.com/2018/12/natale-a-montanaro-il-borgo-piemontese-che-suona-lorgano/, la seconda è presa da http://www.amiciabbazia.it/castello-abbaziale-di-montanaro/

giovedì 21 marzo 2019

Il castello di giovedì 21 marzo




FINALE LIGURE (SV) - Torre Giannuzzi (o Torre di Belenda) in frazione San Bernardino

La casa fortificata, nota come Torre Giannuzzi, è posta sulla pendice occidentale della Valle di Pia. Rappresenta un interessante esempio di edilizia medievale. Venne costruita presumibilmente per ospitare truppe carrettesche che avrebbero dovuto costituire un avamposto di guardia e di avvistamento ad integrazione delle difese della dimora signorile, il maestoso Castel Govone edificato sin dalla fine del XII secolo sull'altura del Becchignolo, immediatamente al di sopra di Finalborgo, capitale del Marchesato del Carretto per quasi mezzo millennio. L'analisi stratigrafica delle murature ha dimostrato la presenza di una fase antecedente alla costruzione della "torre". La torre è legata ad una fosca vicenda: il Marchese Alfonso II del Carretto, signore del Marchesato nella seconda metà del XVI secolo, si sarebbe invaghito di Belenda, avvenente figlia del mugnaio dell'Acquaviva, che avrebbe fatto rapire dai suoi "bravi" e rinchiudere nei sotterranei della torre stessa. Dopo aver fatto uccidere il padre della fanciulla (trovato stritolato negli ingranaggi del suo mulino) avrebbe lasciato morire di fame Belenda (che non aveva voluto cedergli) nel sotterraneo della torre, ove il fidanzato Medaro la trovò priva di vita dopo la fuga del Marchese. Sicuramente Alfonso II Del Carretto (uno degli ultimi Signori di Finale) fu un vero tiranno, il Don Rodrigo dei Promessi Sposi del Manzoni: i suoi atteggiamenti dispotici avevano provocato a più riprese sommosse e ribellioni tra gli abitanti del Marchesato. Il minuscolo stato finalese cessò praticamente di esistere pochi anni dopo (nel 1598), quando Andrea Sforza Del Carretto (l'ultimo Marchese) vendette al Re di Spagna gli Stati del Finale per 104.000 ducati di rendita e si ritirò in una città del Regno di Napoli con il titolo di Principe. La Torre Giannuzzi viene oggi denominata Torre Belenda a ricordo della triste vicenda di cui fu testimone nella seconda metà del XVI secolo. Si tratta di un edificio a pianta rettangolare che si sviluppa in verticale con aperture distribuite su vari livelli. Le facciate sono impreziosite da archi in pietra di Finale e bifore. L'interno presenta tre livelli di cui il primo è un vano voltato a botte e pavimento in terra battuta. Al piano terreno spicca un camino (quasi distrutto dal tempo e dai crolli) mentre sul muro del piano superiore si fa notare una cavità rettangolare che contiene una sorta di sedile in corrispondenza ad una sporgenza esterna che fa pensare ad un w.c. dell'epoca che "scaricava" direttamente sul prato sottostante..... L'interno, aggredito dall'edera che gli conferisce tuttavia un tocco suggestivo, è invaso da calcinacci, travi di legno e rifiuti di poco educati visitatori, che coprono completamente il bel pavimento a mattoni rossi. Portoncino d'ingresso, bifore e finestre ad arco tondo sono inseriti in una struttura rettangolare: su uno dei lati lunghi si intravede ancora una traccia triangolare dei sostegni di una tettoia (forse di un porticato o di un loggiato del quale ora non si scorge più traccia). Facilmente raggiungibile da San Bernardino, la torre sorge in mezzo ad ulivi secolari (purtroppo in stato di abbandono) che lo nascondono alla vista delle rare persone che transitano per la zona. Lo studio dell'edificio ha messo in luce diverse fasi di occupazione a partire da una costruzione ad uso residenziale privato già in uso alla fine del XII secolo. Alle fine del XIV secolo venne costruita la casaforte che si distingue per una tecnica muraria particolarmente curata. Ulteriori trasformazioni e l'aggiunta di edifici addossati alla casa forte rappresentano l'evoluzione delle strutture per un uso rurale probabilmente legato alla produzione di olio. Alla fine del XVII secolo si assiste ad un ripristino strutturale e statico delle murature: l'edificio rimane isolato rispetto allo sfruttamento rurale e a partire dal XIX secolo viene percepito come torre fomentando leggende popolari. Altri link consigliati: http://www.sentieridelfinale.altervista.org/belenda/index.htm, http://luoghidasogno.altervista.org/Montagna/Finalese/Belenda.htm

Fonti: http://www.piazzascala.altervista.org/belenda/noheader.html, http://www.culturainliguria.it/cultura/it/Temi/Luoghivisita/architetture.do;jsessionid=C8DF68D0FBAF4B4DFEBB8D432D0F7B22.node2?contentId=28143&localita=2217&area=213, http://www.paesiabbandonati.it/2015/11/torre-belenda-finale-ligure.html

Foto: la prima è presa da http://www.sentieridelfinale.altervista.org/belenda/index.htm, la seconda è presa da http://luoghidasogno.altervista.org/Montagna/Finalese/Belenda.htm

mercoledì 20 marzo 2019

Il castello di mercoledì 20 marzo




TRAPANI - Torre di Ligny

E' un'antica torre costiera situata all'estremità occidentale della città di Trapani, tra il mar Tirreno e il canale di Sicilia. Fu eretta nel 1671 su ordine del capitano generale del Regno di Sicilia Claude Lamoral, principe di Ligne ( in Belgio) durante la dominazione spagnola della Sicilia, sugli scogli che formano la prosecuzione della stretta lingua di terra della città antica, chiamata anticamente Pietra Palazzo. Fu eretta a difesa della città dalle incursioni dei corsari barbareschi. Essa è impiantata su un basamento a gradoni formato da grandi blocchi di calcarenite mentre l’intera struttura fu costruita con il tufo proveniente dall’isola di Favignana. Nel 1806 fu reso praticabile il passaggio che la collegava con la terra. Fino al 1861 erano installati dei cannoni sul tetto. Durante la seconda guerra mondiale fu usata dalla Marina militare come postazione antiaerea. Costruita su progetto di Carlos De Grunembergh, la torre quadrangolare, che si restringe verso l'alto, fu munita di quattro garitte in muratura e anticamente provvista di fanali. Fu restaurata nel 1979. All'interno nel 1983 fu istituito il Museo di Preistoria e il Museo del Mare dal Prof. Francesco Torre, oggi denominato Museo civico Torre di Ligny, con al piano terra reperti archeologici (rinvenuti nel territorio trapanese e nelle sue rispettive acque, ma anche da altre parti del mondo come Sud Africa, Tunisia ed Algeria) e una sala archeologica marina. Tra i reperti di più prestigio si possono ammirare manufatti ed utensili che ricordano la preistoria, elmi risalenti al periodo della I guerra Punica, ancore ed anfore di epoca punica-romana ed ancora zanne di elefanti nani e denti di ippopotamo. Inolre, tramite ad una scala interna, si può accedere al suo terrazzo potendo così godere di un panorama spettacolare che incanta ogni visitatore. La Torre di Ligny si propone ora ai visitatori nella sua splendida veste di torre di deputazione, totalmente restaurata al suo interno. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=cZrfcmdU3WU (video di Storie Enogastronomiche), https://viaggi.fidelityhouse.eu/torre-di-ligny-trapani-59833.html, http://www.arkeomania.com/torrediligny.html, https://www.youtube.com/watch?v=9rI8B-qayTs (video di Bettotp), https://www.youtube.com/watch?v=yRtm5_FWC9E (video di Tp24).

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Torre_di_Ligny, http://www.trapanistruzioniperluso.com/wordpress/museo-torre-ligny/

Foto: la prima è di Michiel1972 su https://it.wikipedia.org/wiki/File:Trapani_-_Torre_di_Ligny.jpg, la seconda è presa da http://www.itineraridelgustotrapani.it/torri-e-tonnare/torre-di-ligny/, la seconda

martedì 19 marzo 2019

Il castello di martedì 19 marzo



SEZZE (LT) - Torre dei Pani

La bellissima ed imponente torre della nobile famiglia setina dei Pani si trova a circa 200 metri dalla curva di via Variante, solitaria tra l'abbondante vegetazione. La costruzione della torre risale al periodo medievale, tra il XIII e il XIV secolo, e fu progettata per la difesa dalle scorrerie dei briganti e dalle incursioni dei molti eserciti che vagavano per tutta Italia. Dopo questo primo periodo la torre perse la sua originaria funzione divenendo luogo di sorveglianza per le zone circostanti e l'intera valle di Suso. Sull'architrave monolitico della porta d'ingresso compare il nome di CARLO PANI insieme allo stemma gentilizio della famiglia. Per quanto riguarda la struttura, la torre presenta un basamento a tronco piramidale avente gli spigoli rafforzati da contrafforti e un superiore corpo quadrangolare separato dalla base per mezzo di una modanàtura di calcare. La torre è costituita da quattro piani, un piano terra e tre superiori, separati tra loro da un piccolo cordolo a sezione quadrangolare, ma ora i piani mancano quasi completamente dei soffitti, crollati nel corso degli anni. L'intemo, alquanto disadorno e costituito quasi esclusivamente dai soffitti, era formato da agili volte a crociera. Una leggenda popolare narra che un cunicolo sotterraneo mettesse in comunicazione la torre con Monte Trevi e che alcuni briganti lo usassero per portarvi un tesoro, dato che il luogo appartato e in posizione strategica rendeva l'edificio un ottimo rifugio; oggi, però, non possiamo dire con certezza se esso esistesse veramente perché, molto probabilmente, il crollo dei soffitti e delle volte deve averlo occultato. Finestre strombate, che terminano con una feritoia all'esterno, permettono di illuminare i vari piani. Sulla facciata esterna possiamo vedere i segni di grosse aperture rettangolari ricavate in un periodo successivo a quello della prima costruzione. Una merlatura di tipo guelfo, il cui merlo centrale è più grande rispetto ai due laterali, avente la funzione di proteggere i difensori della torre, corona la sommità della torre dei Pani. Altro link suggerito: https://www.ebay.it/itm/CARTOLINA-LAZIO-LATINA-SEZZE-TORRE-DI-PANI-/142586855471

Fonti: http://www.setino.it/liceo-b6.htm

Foto: entrambe prese da http://www.setino.it/sc-film.htm

lunedì 18 marzo 2019

Il castello di lunedì 18 marzo






MONTALTO DORA (TO) - Castello

Il complesso si erge a 405 metri di quota sul monte Crovero e si rispecchia nel lago Pistono, nell'Anfiteatro morenico di Ivrea, risale alla metà del XII secolo. Esso ha subito nei secoli molteplici distruzioni, riedificazioni e ristrutturazioni, sino ad assumere, nel 1890, con il restauro progettato da Alfredo D'Andrade, l'aspetto che, grosso modo, ha conservato sino ad oggi. Di proprietà privata, il castello è parte integrante del borgo di epoca romana su cui sorge ed ha pianta quadrata irregolare con una doppia cinta. Un'alta torre domina la parte interna intorno al mastio, l'annessa cappella, gli ambienti in parte visitabili e il camminamento di guardia. Nell'antichità funzionava da fortezza a guardia della strada che da Ivrea conduce in Valle d'Aosta, lungo la via Francigena. Il castello di Montalto Dora risale alla prima metà del XII secolo (se ne fa cenno in un documento del 1140 circa che lo menziona come "castrum monsalti" di cui non si conosce che lo edificò) con una torre ed una cinta muraria, che avevano funzione di rocca difensiva, oltre ad una cappella dedicata a Efisio, Marco ed Eusebio. Annessa al castello c'era anche una chiesa intitolata a Sant`Egidio, che andò distrutta con il Castello stesso e molte case vicine durante la guerra tra Savoia e Monferrato. Nel corso del XIV e XV secolo il castello venne sottoposto ad ampliamenti e rimaneggiamenti volte a irrobustire le sue capacità difensiva che hanno condotto all'imponente struttura che ha poi mantenuto nel tempo. Molteplici furono le casate che tennero in possesso il maniero. Affidato in giurisdizione al vescovado di Ivrea che concesse in feudo l`intera valle di Montalto ai signori di Settimo Vittone nel XII secolo, di seguito il maniero nel marzo 1344 venne venduto al conte Amedeo di Savoia che già possedeva gli altri feudi della vallata di Montalto (Montestrutto, Settimo, Castelletto e Castruzzone). I Savoia nel 1403 lo infeudarono alla casa dei de Jordano di Bard che ne continuarono i lavori di edificazione. Il maniero subì, nel corso della sua storia molteplici attacchi, a volte devastanti. Tra essi va ricordato quello avvenuto durante l'assedio di Ivrea del 1641 da parte delle truppe francesi del marchese d'Harcourt, in guerra contro il ducato di Savoia: in quella occasione infatti l'interno dell'edificio venne smantellato, mentre rimasero in larga parte intatte le strutture esterne. All'inizio del XVIII secolo il castello passò in proprietà alla famiglia Vallesa che lo tennero sino al principio dell'Ottocento, quando la casata si estinse. Divenne poi patrimonio del conte Severino dei baroni di Casana che iniziò a restaurarlo ed a valorizzarlo. Per i lavori di restauro e recupero dell'intero complesso architettonico vennero interessati gli architetti Carlo Nigra e Alfredo D'Andrade, ideatori del borgo medievale di Torino. Questi interventi non intaccarono comunque le torrette d'angolo, le bifore, le finestre in cotto e la merlatura. Nel 1957 dopo una serie di passaggi di proprietà il castello è stato acquistato dalla Società Immobiliare "Castello di Montalto" per curarne i restauri e la valorizzazione. Posto in posizione strategica sul monte Crovero, il maniero si presenta in forma di quadrilatero irregolare (che si sviluppa lungo un perimetro di circa 175 metri con mura alte circa 14 metri), con torri angolari rotonde e con alte mura merlate lungo le quali si sviluppa il camminamento di guardia, con una lunghezza di circa 160 metri con 142 merli. L'attuale struttura architettonica del castello presenta una doppia cinta anche se della prima esiste solo qualche traccia. La massiccia torre quadrata (il mastio), posta all'interno delle mura, rappresentava il caposaldo difensivo: da essa era possibile esercitare il controllo della piana lacustre di Ivrea e della strada che conduce in Valle d'Aosta. Nel cortile del castello trovano posto una costruzione relativamente bassa, che presumibilmente costituiva il posto di guardia, e la cappella castrense con affreschi del XV secolo, tra cui una Madonna con bambino. Sulla facciata di quest'ultima, ad opera di Giacomino da Ivrea, è rappresentato un San Cristoforo, protettore dei pellegrini che percorrevano la via Francigena; altri affreschi (tra i quali una Santa Liberata sono conservati all'interno della cappella. Tra queste due strutture si erge un pozzo che abbisognava alla necessità d'acqua degli abitanti del castello. Gli ambienti della dimora nobiliare, risistemati ed arredati in stile d'epoca, comprendono, tra l'altro, la grande sala baronale ove il signore riceveva gli ospiti di riguardo. Ai piedi del castello c' è traccia anche di un castelletto del XV secolo, noto come "del Riposo", in quanto probabilmente era utilizzato dai signori che si recavano in visita. Probabile avamposto militare doveva invece essere la torre i cui resti si trovano nel parco della Villa settecentesca che si trova al piedi del maniero. È visitabile unicamente in occasione di aperture straordinarie, come per esempio le giornate F.A.I. di primavera, la Sagra del cavolo verza o durante eventi turistici programmati di anno in anno. Il castello è stato scelto, nel 2006, come location per la nuova edizione del popolare sceneggiato televisivo RAI, "La freccia nera", tratto dal romanzo di Robert Louis Stevenson, con la regia di Anton Giulio Majano le cui riprese furono effettuate nel Castello Ducale di Aglié. Il castello è stato utilizzato dal regista Dario Argento per le riprese del film Dracula 3D. Il castello ha un suo sito web che è il seguente: http://www.castellomontaltodora.com/. Altri link suggeriti: http://archeocarta.org/montalto-dora-to-castello/, http://www.mondimedievali.net/castelli/piemonte/torino/montalto.htm (scheda di Federica Sesia), https://www.youtube.com/watch?v=KWrqQ_waKCA (video di Luciano Natale), https://www.youtube.com/watch?v=rbKohvhZbz0 (video con drone di Max Rossi), https://www.youtube.com/watch?v=DUI_OZFXZUM (video di Torno Subito sono a scoprire il mondo), https://www.youtube.com/watch?v=HHqVe37CZVY (video con drone di m15alien), https://www.youtube.com/watch?v=GNKY45GuLa8 (video di Gianluca Cipolla)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Montalto_Dora, https://www.comune.montalto-dora.to.it/it-it/vivere-il-comune/cosa-vedere/castello-sec-x-xi-6354-1-261fd34cda8032a146be7028be1c17c2

Foto: la prima è presa da https://www.francigenasigerico.it/il-percorso-canavesano/storia-e-monumenti-2/montalto-dora/, la seconda è un fermo immagine del video https://www.youtube.com/watch?v=rbKohvhZbz0 (di Max Rossi)

venerdì 15 marzo 2019

Il castello di venerdì 15 marzo




MONTEGABBIONE (TR) - Torre

Il toponimo Montegabbione sembra derivare da “Mons Capionis“, cioè terra di conquista, feudo.
Il borgo era probabilmente in origine una rocca fortificata, come mostrato dalla sua configurazione viaria, dalle imponenti mura medievali che lo circondano e dalla sua struttura, con piazza al centro del paese, le sue vie dritte e parallele, le torri di avvistamento e soprattutto la presenza del castello, nel quale la tradizione locale vuole che esistessero celle di rigore e di tortura. Fanno parte di Montegabbione le frazioni di Castel de’ Fiori, Montegiove e Faiolo (di cui si è già parlato nel blog https://castelliere.blogspot.com/2014/03/il-castello-di-mercoledi-5-marzo.html e https://castelliere.blogspot.com/2017/10/il-castello-di-lunedi-30-ottobre.html). Il luogo risulta abitato da epoca remota, come testimoniato dalla presenza di castellieri databili all’età del bronzo e da ritrovamenti di epoca etrusca, romana e tardo imperiale. Non si hanno notizie certe sulla data di fondazione del castello e del borgo fortificato di Montegabbione, ma verosimilmente è da collocarsi all’XI secolo. È citato nel catasto di Orvieto del 1292 con il nome “Castrum Montis Guabionis“. Dal 1345 fu feudo dei Monaldeschi della Vipera e, nel 1354, fu occupato da Ugolino di Montemarte, condottiero del cardinale Albornoz. Nel 1370 fu conquistato da Guglielmo di Beaufort, in guerra contro Orvieto e poi venduto a Ugolino di Montemarte. Papa Gregorio XI, con una bolla del 1378 esortò i diletti figli di Montegabbione e Monteleone ad essere obbedienti nei confronti di Francesco Montemarte conte di Corbara. Nel 1387 fu teatro di varie incursioni ad opera dei conti di Marsciano. Nel 1443 Nicolò Piccinino, capitano che aveva combattuto a fianco di Braccio di Montone, a favore del Papa e della città di Orvieto assediò i castelli di Montegabbione e Monteleone difesi da Nicolò di Montemarte, figlio di Ugolino. Nello stesso anno terminò il possesso dei Montemarte del castello di Montegabbione con la vendita a Papa Eugenio IV; nel 1459 il Papa Pio II ufficializzò l’acquisizione di questo possedimento, confermando i privilegi concessi dai predecessori. Nel 1478 papa Sisto IV cedette il castello a suo nipote Bartolomeo della Rovere che nel 1480, con un atto stipulato proprio a Montegabbione, lo vendette ad Orvieto. Il castello restò per anni nell’orbita del Comune di Orvieto, del quale seguì le vicende politico amministrative all’interno dello Stato pontificio, e fu baluardo di difesa contro Chiusi. Durante il periodo della Repubblica romana fu unito al Cantone di Orvieto. Con la prima Restaurazione fu nel Circondario di Orvieto della Delegazione di Viterbo e al tempo di Napoleone fu nel Dipartimento del Trasimeno. Nel motu proprio di papa Pio VII del 6 luglio 1816 sull’organizzazione dell’amministrazione pubblica, è classificato come luogo baronale nell’ambito del Governo distrettuale di Orvieto, appartenente alla Delegazione di Viterbo, nella Provincia del Patrimonio. Nel “Riparto dei governi e delle comunità dello Stato Pontificio con i loro rispettivi appodiati” del 1817, risulta come comunità unita a Ficulle, comune di residenza di governatore, sempre nell’ambito del Distretto di Orvieto nella Delegazione di Viterbo. Alla vigilia dell’Unità, nel 1859, dipendeva ancora da Ficulle, nella Provincia di Orvieto; gli apparteneva l’appodiato di Castel del Fiore. Con il plebiscito del 1860 i 285 votanti montegabbionesi si espressero all’unanimità per l’annessione, entrò quindi a far parte del nuovo Stato unitario, nella Provincia dell’Umbria, Circondario di Orvieto e Mandamento di Ficulle. Nel 1871 fu annesso al territorio di Montegabbione anche quello del soppresso Comune di Montegiove. La Torre di Montegabbione risale probabilmente al secolo XV. Essa è di chiara impostazione architettonica militare, ha il basamento a tronco di piramide. E’ costruita con pietra viva martellinata e squadrata, con strette feritoie. Sul culmine della torre, una serie di merli isolati sembrano rivelare l’esistenza di un frontone aggettante ora scomparso. Tuttavia l’altezza e la merlatura della torre non sono probabilmente quelle originali, poiché rivelano un restauro eseguito ai primi anni del ‘900. La malta usata per la sua costruzione risulta durissima, a prova di scalpello, non soltanto per il normale processo chimico di disidratazione della calce viva, ma anche perché questa era impastata con una qualità di pozzolana arenaria altamente coibente, la cui cava doveva trovarsi verso il Pian di Faiolo, da non confondersi però con quella di arenaria gialla sfruttata ed abbandonata in epoca più recente. Il castello di Montegabbione mostra i segni di lavori di rifacimento che ne hanno alterato le strutture originarie, con apertura e chiusura di finestre sui muri esterni che recano tracce aperte e chiuse variamente. Da notare architravi di finestre e porte in pietra morta di Montarale, i resti di supporto di un balcone d’angolo guardante verso la Toscana, ed il calatoio, una sorta di condotto murale esterno, che, probabilmente, era un passaggio supplementare di sicurezza verso la macchia. I lavori di restauro hanno rimesso parzialmente in evidenza anche una specie cortile interno al castello. Al castello si affiancano costruzioni, oggi completamente rinnovate, che sono da considerarsi il suo naturale prolungamento, quali le case Vergari, Saravalle e il blocco che comprende l’attuale Municipio e le case tra le quali quella Frasconi che è prospiciente la piazzetta della torre e dove si può osservare un finestrone ed un portale che, probabilmente, sono di epoca tardiva (1700). All’interno dell’abitato vegeta un esemplare di Pino d’Aleppo di imponenti dimensioni. In questi ultimi anni la torre è stata oggetto di un nuovo restauro esterno ed interno, che ne consente la visita attraverso una scala metallica. Nel sottosuolo della torre é stata rinvenuta una profonda cavità, riempitasi nel tempo di detriti: potrebbe trattarsi di una cisterna per il recupero delle acque piovane o, ipotesi più affascinante ma al momento meno verosimile, di un passaggio segreto sotterraneo per uscire dalle mura castellane.

Fonti: testo di Alice Tabacchioni su http://www.prolocomontegabbione.org/montegabbione-torre/, https://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-montegabbione-montegabbione-tr/

Foto: la prima è di Paolo Menchetti su https://www.genteinviaggio.it/storia-sapori-nel-cuore-dellumbria-giornata-fra-montegabbione-castel-fiori/, la seconda è presa dahttps://www.iluoghidelsilenzio.it/wp-content/gallery/castello-di-montegabbione-montegabbione-tr/12-Torre.jpg

giovedì 14 marzo 2019

Il castello di giovedì 14 marzo





SAN LORENZO DI SEBATO (BZ) - Castello di San Michele

Con la fondazione della città di Brunico verso la metà del Duecento da parte del vescovo di Bressanone, da sempre politicamente attivi nell'area pusterese, i conti del Tirolo puntarono sulla creazione di un borgo concorrenziale da contrapporre all'iniziativa vescovile, individuandolo in San Lorenzo. Finché il potere tirolese non riuscì a imporsi anche a Brunico, San Lorenzo fu notevolmente sponsorizzato da esso. Sino al 1610, S. Lorenzo era anche la parrocchia di riferimento per Brunico. La separazione segnò il definitivo sorpasso di Brunico a svantaggio di San Lorenzo. Il castello di San Michele (in tedesco Michelsburg) è un castello che si trova a San Lorenzo di Sebato, ed è anche noto con il nome "Castello del Principe Vescovo Andrea". Il nome italiano, san Michele, è stato creato solo nel corso dell'italianizzazione ad opera del fascismo, ed è un'invenzione, riferendosi il nome originario, Michelsburg, non al nome proprio "Michele", ma all'aggettivo alto tedesco medio "michel" che significa "grande, maestoso" (il "grande castello"). Il maniero si trova sopra una collina a 956 m s.l.m., nei pressi del centro abitato di San Martino nel territorio comunale di San Lorenzo di Sebato. Questo castello fu costruito nel lontano 1091. Questo fatto non solo rende il castello uno dei più antichi della Val Pusteria, ma rappresenta una delle strutture più importanti della parte occidentale della valle. Nella storia il castello è stato un feudo dei principi vescovi di Bressanone. In seguito passò ai Conti di Andechs, ai Conti di Gorizia, ai Conti di Tirolo nel 1500 e successivamente nel 1678 ai Künigl von Ehrenburg cui rimase fino al 1955. Durante la sua vita, la fortezza ha subito alcune modifiche nella struttura, ad esempio fu costruita una seconda torre, e nel XVI secolo fu eseguito un completo restauro. Attualmente il castello si presenta con le mura che cingono la costruzione attorno ad un cortile centrale, caratterizzata da due torri ravvicinate. Recentemente è stata anche costruita una piattaforma d'atterraggio per elicottero. Nel 1538 due hutteriti anabattisti, Martin da Villgraten e Kaspar Schuster, rei di professare una fede diversa, vi furono reclusi per lungo tempo e alla fine furono uccisi con un colpo di spada. Spesso il castello si trova menzionato come luogo di detenzione: infatti dalla metà del XIV secolo la sua amministrazione era stata affidata dai Conti di Gorizia a giudici rurali, il cui tribunale aveva sede proprio nel castello. Si stima che almeno 24 persone furono messe a morte perché non vollero abiurare, tra cui il noto Jakob Hutter, e Jörg Wenger che invece fu catturato nel 1590 in val Pusteria ed imprigionato a San Lorenzo di Sebato; egli fu torturato al castello e morì nel 1591 a Bressanone. Vicino all'edificio si trova la chiesetta di Santa Maria di Sares (Maria Saalen), dove si venera la Madonna Nera. La strada che da San Lorenzo di Sebato passa per il castello, e poi Sares, fino ad arrivare a Pederoa, è la strada più antica della val Badia, che fu sostituita dalla nuova strada nel 1892. Oggigiorno il Castello di San Michele è di proprietà privata. Altri link suggeriti: https://castlesintheworld.wordpress.com/2014/05/16/castello-di-san-michele/, http://www.mondimedievali.net/castelli/trentino/bolzano/sanmichele.htm

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/San_Lorenzo_di_Sebato, https://it.wikipedia.org/wiki/Castel_di_San_Michele, https://www.val-pusteria.net/it/cultura-e-territorio/castelli/castello-di-san-michele/

Foto: la prima è di Llorenzi su https://it.wikipedia.org/wiki/Castel_di_San_Michele#/media/File:Michlsburg5.JPG, la seconda è di Mitch_sky su https://www.tripadvisor.it/Attraction_Review-g1050289-d8442091-Reviews-Castel_di_San_Michele-San_Lorenzo_di_Sebato_Province_of_South_Tyrol_Trentino_Alt.html#photos;aggregationId=&albumid=101&filter=7&ff=141282152

mercoledì 13 marzo 2019

Il castello di mercoledì 13 marzo




SALE SAN GIOVANNI (CN) - Castello

Verso l'anno 890 il territorio di Sale, come l'intera regione limitrofa, subì le incursioni saracene. Per i primi documenti scritti giunti fino ad oggi si devono attendere gli anni a cavallo del 1000, dove vien citato negli atti di donazione di Ottone III a favore del vescovo Bernardo. Nello stesso periodo venne anche edificata la prima pieve di san Giovanni Battista e la cappella di Sant'Anastasia, oggi nota come cappella di Sant'Anna. Attorno al 1135 il territorio di Sale entrò nei domini del Marchesato di Ceva, il quale concesse gli Statuti alla comunità nel 1330, con Guglielmo V. Questi statuti vennero poi rivisti e confermati decenni dopo da Cossano Doria. Nel 1380 la zona della pieve, detta Villa, divenne sede del capoluogo in quanto garantiva una migliore difesa. Nel 1531 il territorio di Sale passò sotto i domini di Casa Savoia per volere dell'imperatore Carlo V. Nel 1601 il marchese Alberto di Ceva, fattosi cappuccino, donò il castello di Sale San Giovanni al Santuario di Vicoforte, che lo vendette a sua volta a Gerolamo Germonio nel 1605. Passato nel 1684 alla famiglia Incisa-Germonio, restò in loro possesso fino la 1954, quando venne venduto all'ospizio di carità di Fossano. Nel 1992 e nel 2003 vi sono stati gli ultimi due passaggi di proprietà. Il 16 aprile 1796 Sale subì l'arrivo delle truppe napoleoniche con i relativi saccheggi e soprusi. A questa tragedia, seguirono anche calamità atmosiferiche che misero a dura prova gli abitanti della zona. Sale San Giovanni divenne comune autonomo solo nel 1948, quando venne distaccato da Sale Langhe di cui era frazione con il nome di Bricco. Il Castello dei marchesi di Incisa Camerana, edificato intorno all'XI-XII secolo, è sito sulla sommità di un poggio difeso su tre lati da dirupi. All'esterno è dotato di mura e di un parco, mentre all'interno è presente una scala monumentale che conduce al grande salone degli Alerami dove dodici affreschi raffigurano le gesta di Aleramo, marchese del Monferrato. Il salone è caratterizzato anche da un monumentale camino. Degne di nota sono anche una piccola cappella ricavata con un’apertura sulla parete ed una loggia vetrata che apre belle vedute sulla valle. La struttura, alla quale si accede attraverso un arco a forma di ogiva, è frutto di rifacimenti e modifiche in tempi diversi (nel Seicento e nel Settecento fu infatti residenza aristocratica) ed oggi è difficile riconoscerne i tratti medievali, complici le frequenti ristrutturazioni. L'odierna sistemazione dello stabile è da attribuirsi al marchese Gaetano Incisa di Camerana nel decennio 1820-1830. Il castello, oggi costituito da una torre cilindrica racchiusa da corpi di fabbrica a pianta irregolare, è attualmente una proprietà privata. Visitando questo sito si possono ammirare diverse foto del monumento: http://www.castellosalesangiovanni.it/

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Sale_San_Giovanni, http://www.langamedievale.it/monumenti-medievali-langhe/castello-di-sale-san-giovanni/, http://archeocarta.org/sale-san-giovanni-cn-pieve-di-san-giovanni-battista-e-castello/, http://www.comune.salesangiovanni.cn.it/Home/Guida-al-paese?IDPagina=22357&IDCat=3466, testo su pubblicazione "Castelli in Piemonte" di Rosella Seren Rosso (1999)

Foto: la prima è di mpvicenza su https://www.flickr.com/photos/36102477@N04/30694821685, la seconda è presa da http://www.langamedievale.it/monumenti-medievali-langhe/castello-di-sale-san-giovanni/

martedì 12 marzo 2019

Il castello di martedì 12 marzo




ZERI (MS) - Castello

La storia di Zeri si lega alle vicende che interessarono la vicina città di Pontremoli e il resto della Lunigiana. Alcune fonti attestano che un Diploma di Federico I del 1164 concesse ai Malaspina i privilegi su Zeri. In seguito il territorio passò a Pontremoli e ad esso legò i propri destini e vide succedersi il dominio di Castruccio Castracani, degli Scaligeri, dei Fieschi, degli Sforza e dei Visconti. Zeri ebbe sempre una forte identità, con confini ben definiti che la portarono spesso a controversie territoriali. Nel 1502 iniziò una disputa con gli abitanti di Torpiana di Zignago, che si protrasse per molti anni e scaturì nel 1574 in un conflitto armato. Un'altra contesa, che durò secoli e vide il susseguirsi di scontri armati e momentanei accordi, fu quella sorta a partire dal 1526 tra Rossano (oggi frazione del Comune di Zeri) e Suvero (oggi frazione del comune di Rocchetta di Vara), che si risolse solo nel 1783 quando si stabilirono i confini definitivi. Zeri impugnò nuovamente le armi, questa volta contro Pontremoli, dopo la Battaglia di Pavia, perché rifiutava di concorrere alle spese di mantenimento delle truppe spagnole venute in Lunigiana. Dopo un periodo di dominazione Spagnola, nel 1647 Pontremoli assieme a Zeri fu ceduta alla Repubblica di Genova, che tre anni dopo la rivendette al Granduca di Toscana. Il dominio fiorentino durò sino alla fine del Settecento e costituì un periodo di grande sviluppo economico e mercantile grazie alle agevolazioni fiscali concesse dal Granduca ad alcune famiglie pontremolesi. Nel 1777 fu sciolto il consiglio generale del comune di Pontremoli e furono istituiti i comuni di Caprio e di Zeri. Il 25 maggio 1799 la popolazione insorse contro un reparto Napoleonico di circa 300 soldati, affrontò il nemico e lo respinse fino a Borgotaro. Poco sopra Patigno, in frazione Castello sull’altura a nord dell’abitato, fino alla fine dell’Ottocento esistevano mura e tracce dell’antico castello. In età medievale il castello, in posizione centrale rispetto alla vallata, esercitava un controllo diretto sui percorsi che collegavano la Toscana alla Liguria ed ai territori piacentini. Infatti le valli zerasche potevano costituire una valida alternativa, per il transito transappenninico, alle valli pontremolesi sulle quali sia Pontremoli, sia Parma e Piacenza praticavano, in concorrenza, un serratissimo controllo viario di carattere fiscale e militare. Per questo motivo il castello fu oggetto di tentativi di demolizione da parte dei Piacentini che, alleati dei Malaspina, nel 1229 (secondo altri autori 1228) sotto il comando di Guglielmo Saporiti assediarono la fortificazione. Secondo alcune fonti le valli di Zeri furono attraversate dall’esercito di Corrado di Svevia nel 1267, sotto il comando di Federico Duca d’Austria. La collocazione geografica di Zeri spinse la comunità ad intrattenere, nel tempo, spontanei rapporti con le popolazioni di Val di Vara, con le quali giurò fedeltà, nel 1299, ad Azzo VIII d’Este. Il rapido declino del dominio estense in Val di Vara favorì il ritorno di Zeri tra i territori pontremolesi con i quali condivise la dipendenza, agli inizi del XIV xecolo, dai Fieschi e successivamente dai Visconti. Franceschino Malaspina di Mulazzo, che vantava probabilmente antichi diritti sul castello, occupò nel 1313 Zeri, Rossano e Teglia, grazie all’aiuto fornitogli da i da Correggio di Parma. L’occupazione malaspiniana fu breve e nel 1319 Franceschino dovette riconsegnare Zeri ai Pontremolesi e quindi ai Fieschi. Alla fine del secolo XIV Zeri, come altri feudi imperiali della Lunigiana, venne assegnata ai Visconti, sotto i quali rimase nel secolo XV. Per ordine di Filippo Maria Visconti, Duca di Milano, fu ucciso nel 1433, nell’Appennino zerasco, il capitano dell’esercito fiorentino in Lunigiana, Niccolò da Tolentino. La documentazione scritta testimonia una certa attività nel castello di Zeri fino agli inizi del secolo XV, quando al suo interno è documentata l’esistenza del beneficio di San Marco. E’ incerto se il toponimo Zeri possa ricollegarsi al toponimo Cerri, ricordato nel 1164 tra i possedimenti assegnati dall’imperatore Federico I ad Obizzo Malaspina. Dell’antica fortificazione, indicata come rudere dai viaggiatori del Settecento, sopravvivono oggi i resti del basamento di una torre quadrangolare ed alcuni tratti di murature perimetrali, oltre ai massi di colore verdastro che sono rotolati ai piedi del colle nella cosiddetta "Aravecchia". Insolita doveva apparire l’immagine del castello che, unico tra i castelli lunigianesi, si presentava con un particolare colore verde scuro dovuto alla muratura ottenuta dalla sovrapposizione di filari di pietre di serpentinite, durissima roccia locale. Una leggenda racconta che il maniero era abitato dai Malaspina e che l’ultimo di loro fu ucciso con una fucilata dal padre di una ragazza della famiglia degli Osti, in rivolta allo "ius primae noctis", del quale il Malaspina voleva godere. Il padre aspettò che arrivassero le undici di mattina, ora in cui il signorotto si affacciava ad una delle finestre del castello per prendere un po’ di sole, e lo uccise sparando.

Fonti: testo di Nicola Gallo su https://blogzeri.wordpress.com/tag/castello-di-zeri/, https://www.terredilunigiana.com/castelli/castellozeri.php, https://it.wikipedia.org/wiki/Zeri

Foto: la prima è di Ivo Coduri su https://blogzeri.files.wordpress.com/2010/09/5019366361_7fcf04ed92_o.jpg, la seconda è presa da https://www.terredilunigiana.com/castelli/castellozeri.php

lunedì 11 marzo 2019

Il castello di lunedì 11 marzo





CASTEL D'AIANO (BO) - Il Monzone in frazione Rocca di Roffeno

Rocca di Roffeno è l’antica villa di Musiolo, che faceva capo al castello dei Roffeni, vassalli di Matilde di Canossa. Nei dintorni si trova la romanica Pieve di San Pietro (>Pieve di Roffeno), una delle meglio conservate in tutto l’Appennino, e la chiesa di San Martino. Presenti anche diverse case torri, tra cui il trecentesco nucleo del Monzone, che ospitò il pittore Giorgio Morandi durante alcune villeggiature estive tra il 1934 e il 1938 (qui trasse ispirazione per i soggetti di alcuni suoi lavori). Leggende e storia si fondono alla ricerca del castello dove Azzo Roffeno cercò di resistere all'assedio dei bolognesi, probabilmente collocato nell'attuale casa torre del Monzone. Altro link suggerito: https://www.youtube.com/watch?v=JhO6QXewsKI (video di LAB051)

Fonti: http://www.roccadiroffeno.it/davedere.htm, https://www.piccolacassia.it/luogo/rocca-di-roffeno/, https://www.fondoambiente.it/luoghi/rocca-di-roffeno-e-chiesa-di-san-martino?ldc

Foto: la prima è di Claudio Leoni su http://www.montefenaro.com/castel-daiano-ed-i-suoi-paesaggi/rocca-di-roffeno/#jp-carousel-2703, la seconda è di michele-mik su https://mapio.net/pic/p-22123547/

venerdì 8 marzo 2019

Il castello di venerdì 8 marzo




CASERTA - Palazzo Cocozza di Montanara in frazione Casolla

Lungo la strada che sale da Casolla verso Piedimonte si eleva il palazzo Cocozza di Montanara del XVI secolo. L'insigne monumento, oggi curato dall'architetto Nicola Tartaglione, ha la facciata a tre livelli, con portale arricchito da decorazioni in piperno e stemma gentilizio. Presenta due finestre ed una torre angolare con elementi architettonici catalani, forse collocati in sito durante i restauri seguiti alle devastazioni del 1860; l'attuale facciata, pertanto, data appena 140 anni. Le restanti finestre hanno cornici settecentesche simili al portale della chiesa di San Lorenzo; tutte sono arricchite da candelabri, a testimonianza dell'importanza politico-sociale della famiglia nel complesso nobiliare casertano e napoletano. Alle spalle del palazzo si estende per 1000 metri quadri un grande giardino all'italiana. L'edificio originario è della fine del Quattrocento (appartenne alla famiglia dei d'Amico, successivamente passò ai Tomasi), semidistrutto nel 1860, nel corso degli scontri fra borbonici e garibaldini. Alla fine dell'Ottocento la marchesa Luisa Cocozza di Montanara adattò il palazzo per trasformarlo in una residenza di villeggiatura, importando a Casolla il tipico gusto eclettico dell'epoca. Il palazzo ha una pianta ad U, con corte centrale. Elemento significativo della corte è la scala settencentesca in piperno, che da un lato è addossata alla dimora e dall'altro presenta una teoria di arcate che va a congiungersi con un'ampia loggia. Fanno parte della proprietà anche un frantoio e la cappella di famiglia, collocati nel piazzale che precede l'ingresso al palazzo. Quest'ultima, chiusa al culto da molti anni, ripete in facciata i caratteri architettonici dell'edificio, con una finestra in stile catalano che sormonta il portale. Nella ricostruzione ottocentesca furono salvati gli elementi quattrocenteschi della facciata: il portale e le finestre al pian terreno, ornate alla catalana, che si estendono anche alla torretta difensiva a nord della facciata. Su questa torre sono ancora visibili i danni arrecati da un incendio avvenuto nel 1860, durante un’occupazione dell’esercito garibaldino. Alla regolare sequenza delle modanature che incorniciano le bucature, d'ispirazione classica, fanno da controcanto alcune bifore, inserite nel registro murario, forse rapportabili a modelli angioini, mentre del tutto singolare è la presenza di una scultura zoomorfa, sicuramente precedente alla costruzione dell'edificio, incastrata nella muratura alla base della torretta angolare. Il maestoso portale è in piperno, e reca in alto lo stemma di famiglia diviso in due parti. Quella in basso presenta una zucca fogliata, sormontata al centro da una stella ad otto raggi, quella in alto un leone rampante sormontato dal motto "Vis Est potens" a sinistra, e le due F sovrapposte, che sono l'acronico del motto Fidelis Famiglia a destra. Alle spalle dell'edificio un imponente giardino all'italiana, articolato sul pendio naturale del colle, si estende per circa un ettaro; al giardino è possibile accedere da due ingressi distinti, che propongono due visioni singolarmente diverse dello spazio verde. Al primo ingresso si giunge attraversando il cortile, chiuso sul fondo da un muro di contenimento, rivestito da glicine, gelsomino, plumbago e vite. Qui si apre un portale di tufo, coronato da un'originale merlatura seicentesca sempre in tufo, che tramite una gradinata immette al livello inferiore del giardino, definito anche "aranceto di sotto". L'altro accesso al giardino passa, a causa dei dislivelli, attraverso un cancello posto sul terrazzo del piano nobile. Esso conduce ad un piccolo giardino all'italiana - con aiuole in tufo dallo schema barocco - superato il quale, appare la prospettiva centrale del viale degli aranci, definito da due filari di aranci lunghi all'incirca 80 metri, che conducono ad un boschetto di lecci, lauri, aceri e ligustri. La bellezza di questo giardino non si affida soltanto alla qualità della vegetazione, composta sia da piante tipicamente mediterranee che da altre esotiche, ma alla felice fusione dell'elemento naturale con l'opera dell'uomo: il disegno dei viali e delle aiuole, la presenza di antiche olle, di frammenti archeologici, di marmi settecenteschi e neoclassici, accanto ad arredi in conglomerato o in pietra, come pozzi, sedili, statue allegoriche, conferiscono all'insieme quel fascino sottile, proprio di tanti giardini eclettici, cui concorrono simultaneamente la storia, l'artificio e la natura, e che è sempre il frutto di una profonda cultura e di una grande passione. Furono queste caratteristiche, insieme a quelle dell'abitato circostante, a indurre Pier Paolo Pasolini, nel 1970, ad ambientarvi alcune scene del suo film "Decameron" e ad adottare il giardino Cocozza come scenografia della novella di Caterina e Riccardo, dove si riconosce il tempietto circolare, col suo giro di sei colonnine, ancora intatto, prima che la caduta di un pino lo riducesse ad un povero rudere, ormai preda della vegetazione. Di particolare interesse è il sistema di irrigazione originariamente adottato per il giardino, oggi in buona parte in disuso e distrutto. Partendo dal vicino acquedotto Carolino, una derivazione alimentava una cisterna addossata al muro di cinta, posizionata nel punto di quota più elevata. Dalla cisterna partiva un sistema di irrigazione per scorrimento, tramite canaline di tufo a cielo aperto che, seguendo il declivio naturale del terreno, portava direttamente l'acqua ai piedi degli alberi del boschetto. Le canaline proseguivano poi collegandosi in rettilineo ad alcune vaschette lungo il viale degli aranci, costituendo così piccole riserve d'acqua.

Fonti: http://sit.comune.caserta.it/progettobuonarroti/01_cocozza.htm, http://www.casertanews.it/eventi/cultura/art_20081103122026.html, https://caserta.italiani.it/palazzo-cocozza-decameron/

Foto: la prima è presa dahttps://caserta.italiani.it/palazzo-cocozza-decameron/, la seconda è di TCampan su http://lacittadelsale.blogspot.com/2010/11/palazzo-detto-della-coccozza-casolla.html