mercoledì 31 luglio 2013

Il castello di mercoledì 31 luglio






ROZZANO (MI) – Castello Visconti di Cassino Scanasio

La presenza di un nucleo fortificato è attestata fin dall'anno Mille da documenti dell'epoca che citano, a proposito di passaggi di eredità, beni situati nel luogo di "casinae scanasane" e l'esistenza di un edificio rurale fortificato. L'aspetto attuale del castello, anche al netto dei restauri eseguiti nell'Ottocento, fa pensare ad un'origine più tarda, forse trecentesca. Un tempo era circondato da un fossato ora riempito occultando la base delle torri. Nel '400 il castello venne restaurato e l'intero borgo divenne una sorta di casale agricolo fortificato. Nei primi anni del XVI secolo, il complesso venne acquistato dalla famiglia Trivulzio che ne trasformò completamente l'immagine. L'edificio mutò da "castrum" in dimora di campagna con la costruzione delle torri cilindriche tuttora visibili. I Trivulzio cedettero il tutto nel 1836 ai Visconti di Modrone, interessati al controllo delle trasformazioni agrarie in atto del milanese, i quali promossero importanti lavori di ristrutturazione. Il castello presenta una struttura quadrangolare tipica dei fortilizi viscontei, anche se le quattro torri rotonde angolari costituiscono un'aggiunta successiva. Le possenti mura in laterizi racchiudono un vasto cortile a pianta quadrata, mentre la facciata è ornata da pregevoli finestre monofore ogivali, che richiamano lo stile gotico. L'accesso avviene attraverso un ponte in muratura con parapetto; sulla chiave dell'arco d'ingresso è scolpita la biscia viscontea. La muratura perimetrale portante in mattoni pieni; alla sommità corre la merlatura sostenuta da mensole in mattoni. La struttura portante del tetto è costituita da travatura lignea. Degne di nota sono le caratteristiche decorazioni a graffito. Ristrutturato a più riprese negli ultimi 150 anni ed altrettante volte abbandonato, il castello è oggi integrato nel parco di un quartiere residenziale. A pregiudicare gravemente (e irreparabilmente) l'antico e ormai scomparso ambiente rurale originario, è la presenza opprimente della Tangenziale Ovest di Milano, che con il suo traffico caotico e continuo si stende a poche decine di metri dal lato posteriore della fortezza. Una parte del castello, attualmente di proprietà privata, è stata ristrutturata sotto l'egida delle Belle Arti.
Fonti: Scheda di Giacomo Turco su http://www.icastelli.it, http://www.comune.rozzano.mi.it, http://www.lombardiabeniculturali.it, http://www.preboggion.it, http://www.parcoagricolosudmilano.it
Foto : da http://www.geoplan.it e http://www.lombardiabeniculturali.it

lunedì 29 luglio 2013

Il castello di martedì 30 luglio






AZZANO MELLA (BS) – Castello di Pontegatello

E' un borgo fortificato di epoca medievale, trasformato nella seconda metà del Cinquecento dalla famiglia Nigolini nell'attuale edificio residenzale. Dell'antica costruzione restano visibili una traccia del fossato sul lato est e una piccola torre, la cui loggetta è stata completamente rifatta. La facciata sul cortile evidenzia le due epoche di costruzione: la parte cinquecentesca, con porticato di colonne toscane a cinque luci, e il resto della costruzione, tutto del Settecento. In questo castello, tra gli altri ospiti, sostò anche Ugo Foscolo. La borgata di Pontegatello si costituisce di un gruppo di casette allineate a corte sull’incrocio tra la Quinzanese e la strada di Tortole.

Il castello di lunedì 29 luglio






AVIGLIANO UMBRO (TR) – Castello di Sismano

Il piccolo borgo medievale si trova a 13 km da Todi e 5 km da Avigliano, ad un'altitudine di 433 m s.l.m. Anticamente era indicato con i nomi di Susmano, Sosmano e Submano, forse derivanti dalla gens Sisimia. È sovrastato da una grande rocca fortificata con due torri semicircolari, le cui origini risalgono all'XI secolo, quando era solo una delle torri a guardia della città di Todi. Nel 1254, nei dintorni si svolse una sanguinosa battaglia tra i todini ed i perugini (con i loro alleati, una lega composta da Perugia, Orvieto, Spoleto, Narni, Firenze) e subì gravi devastazioni. Tra il 1281 ed il 1294, il Cardinale Benedetto Caetani trascorse lunghi periodi a Todi come mediatore nelle contese tra la lega delle città guelfe di Todi, Perugia e Spello e la città ghibellina di Foligno. Nel 1289, il Cardinale Caetani acquistò il castello di Sismano per 8.500 fiorini d'oro e vi abitò anche dopo la sua elezione al soglio pontificio col nome di Bonifacio VIII. Ancora oggi ai lati dell'arco trecentesco, che si trova all'interno del Borgo, possono essere ammirati i due stemmi dei Caetani che raffigurano due onde oblique su di uno scudo. Nel 1340 venne ulteriormente fortificato e fu al centro di contese tra gli Atti ed i Chiaravalle, famiglie del tuderte che combattevano per la supremazia. Fino al 1383 fu dominato dal Comune di Todi, poi Urbano VI lo cedette al guelfo Catalano degli Atti, morto decapitato nella rocca di Orte. Lo stemma degli Atti è collocato al centro del secondo arco nel Borgo ai cui lati si vedono gli stemmi della famiglia di Bonifacio VIII. Nel 1396 la moglie di Catalano riconquistò il castello che, poi, passò a Dolce I Anguillara, nel 1406 ne assunse la castellania il nobile Giacomo Guglielmi, per conto di Ludovico Migliorati. Nel 1462 fu occupato da Matteo Ulisse Chiaravalle e nel 1494 Ludovico e Giovanni I Atti, con l’aiuto dei Baglioni di Perugia, impiccarono a Sismano Onofrio di Matteo Chiaravalle, i cui parenti, per vendicarsi, incendiarono il Borgo di Fiore. Solo nel 1496 Papa Alessandro VI riuscì a imporsi e a porre fine a queste dispute, sconfiggendo definitivamente la fazione Ghibellina guidata da Altobello di Chiaravalle che fu trucidato nel 1500 ad Acquasparta. Tornato alla famiglia degli Atti, nel 1575 vi accadde un altro evento di sangue, con l'uccisione a pugnalate di Eleonora Atti da parte del marito Orso II Orsini. Successivamente venne ripreso dalla Santa Sede, che nel 1607 lo vendette, insieme alla tenuta circostante, alla famiglia fiorentina dei Corsini, che tuttora lo possiede con titolo di principato, sin dalla elezione a Papa di Clemente XII (Lorenzo Corsini, nato il 16 Aprile 1652, eletto Papa il 12 Luglio 1730, morto l'8 Febbraio1740). Bartolomeo Corsini, nipote del Papa, fu principe di Sismano (1731), Grande di Spagna (1732), Vicerè di Sicilia (1737), Presidente dei Ministri del Re Carlo a Napoli (1745). Probabilmente con i Corsini il castello ha subito notevoli interventi che sicuramente hanno modificato la precedente struttura medioevale, determinando quello che è l'assetto attuale, con l'edificazione di una nuova ala in stile prettamente seicentesco. Fino ai giorni nostri il castello è stato l'espressione preminente della vita e dell'economia della zona. Si pensi che ancora negli anni '50 erano in efficienza 34 casali con altrettante famiglie legate ai Corsini da un rapporto di colonia. Oggi dopo un attento recupero, le case coloniche all’interno del borgo medievale sono disponibili per l'ospitalità, mentre le antiche cantine e le stalle del castello, sono state trasformate in un tipico ristorante dove alle pareti si possono ammirare le originali "gigliare", grandi setacci rotondi che servivano un tempo a separare il grano dalla pula (la buccia esterna dei semi). Dalla porta del Borgo una strada semiellittica arriva al castello. L’edificio, posto su un terrapieno bastionato è a pianta rettangolare, di notevole altezza, cinque piani con ampi interpiani, si allarga in due torri semicircolari dagli angoli esterni. Per ulteriori notizie consiglio la visita del sito www.sismano.com.
Fonti: http://it.wikipedia.org, http://www.sismano.org, http://www.dimorestoricheitaliane.it, http://www.umbria.ws, http://www.umbriaonline.com
Foto da: http://www.worldrentvillas.com e di Dancos su http://en.wikigogo.org

domenica 28 luglio 2013

Il castello di domenica 28 luglio






FELTRE (BL) – Castello di Lusa in frazione Villabruna

E’ un antico fortilizio, in seguito adattato ad abitazione signorile, sito nel comune di Feltre. Si trova nell'omonima località a 405 metri d'altitudine. Il complesso sorge in posizione strategica: all'imbocco della valle di San Martino, è protetto a est e a sud dagli strapiombi scavati dai torrenti Stien e Arnaut, suo affluente. Le origini del complesso vengono fatte risalire tra i secoli VIII e X: dopo la caduta del Regno Longobardo alcune famiglie locali avevano eretto diverse costruzioni tra Feltre e Belluno, con lo scopo di controllare le principali vie di comunicazione e i corsi d'acqua. Il primo riferimento certo è del 982, quando il vescovo di Belluno Giovanni Tassina lo pose sotto il suo controllo. Al 1116 risale invece un diploma imperiale di Federico Barbarossa, vergato a Landriano, che sancisce la restituzione del Castello di Lusa al principe Vescovo Ottone di Belluno. Si sa inoltre che nel 1117 e nel 1348 il maniero fu gravemente danneggiato da due terremoti, ma venne sempre ricostruito. In quel periodo era compreso nei possedimenti dei Lusa, famiglia guelfa fedele al vescovo. All’inizio del Quattrocento, Castel Lusa presentava ancora una struttura prettamente militare, ma dal 1421 il governo della Serenissima, che controllava il Feltrino sin dal 1404, ordinò la demolizione delle fortezze o la loro conversione a residenze. In quest'occasione fu ridotto il perimetro delle mura, demolito il mastio (le cui fondazioni affiorano tutt'oggi al centro del cortile interno) e colmati i valli. Il bastione di sud-ovest fu arricchito di una colombaia, mentre alla costruzione orientale fu aggiunto un volume dotato di loggiato - si ritiene - ligneo al piano superiore. Al contempo, alcune stanze vennero affrescate (i dipinti sono oggi scomparsi). È della prima metà del Cinquecento l'intervento più significativo, commissionato dal bassanese Donato Villalta. Riguardò principalmente il già citato corpo orientale, il quale fu dotato di un loggiato in pietra ispirato al palazzo che lo stesso nobile possedeva a Cart e alla villa Tonello di Arten. Poco dopo il castello passò ai Bovio (i quali assunsero il cognome di Bovio Villalta): a loro, sembra, si devono alcuni interventi cinque-secenteschi, quali gli oculi dei bastioni e le mostre lapidee del loggiato, a cui si aggiungono le decorazioni interne dell'oratorio (resti di affreschi raffiguranti sant’Antonio da Padova e san Lodovico da Tolosa). Attorno al 1770, essendo proprietà Zambaldi, vi furono nuovi restauri: i lavori più rilevanti riguardarono l'apertura del loggiato al piano inferiore. Attualmente di proprietà della famiglia Velluti, il complesso si articola in un gruppo di edifici disposti attorno a una corte quadrangolare: il corpo padronale a ovest e alcuni edifici di servizio a est, mentre i lati nord e sud sono delimitati da due tratti di mura con un portale ciascuno. La costruzione si presenta più combatta a nord e a ovest, mentre la parte che dà verso valle è più aperta e monumentale. Il lato sud, inoltre, si articola attorno a un bastione posto a difesa dell'ingresso principale, entro il quale sorge una torre, che è la parte più antica del fortilizio. Poco più in basso, su un'area erbosa un tempo usata come camposanto, si trova la chiesetta di Santa Maria della Salute. Oggi Castel Lusa ospita la sede dell'Accademia del Melograno che cura anche le visite guidate al complesso e al centro di documentazione sulle arti antiche. Per approfondire vi consiglio una visita al sito dedicato al castello, http://www.castellodilusa.it, ma anche al seguente link: http://www.fondoambiente.it/upload/oggetti/Castello_Lusa_Feltre.pdf
Inoltre vi è il video di solovisioneHD su youtube, nel quale compare il maniero: http://www.youtube.com/watch?v=sAw54eu6Xhk
Fonti: http://it.wikipedia.org, http://audioguide.comune.feltre.bl.it, http://www.geoplan.it, http://www.comune.belluno.it
Foto di fanny71 su http://www.panoramio.com e di zai su http://rete.comuni-italiani.it

venerdì 26 luglio 2013

Il castello di sabato 27 luglio






RENON (BZ) - Castel Vanga-Bellermont

È l'antica dimora dei Wangen (in italiano Vanga) e sorge sopra un dirupo che domina la vecchia strada di Sarentino. La sua costruzione ebbe inizio nel 1208, per opera dei fratelli del vescovo di Trento, Federico von Wangen (in carica dal 1207 fino alla sua morte nel 1218), dopo che lui ne diede l'autorizzazione. Il castello fu terminato nel 1237. Le liti tra il vescovo trentino ed il conte tirolese Mainardo II, coinvolsero anche i Wangen. Fu così che Mainardo II, espugnò e diede alle fiamme il castello intorno al 1277, assumendone poi la proprietà. I conti del Tirolo, discendenti di Mainardo, lo ricostruirono completamente nel 1500. Oggi la struttura è proprietà privata e non può essere visitata.


Foto di eternit e di dadipat su http://rete.comuni-italiani.it

Il castello di venerdì 26 luglio





TAVERNA (CZ) - Torre di Baiolardo o "Torrazzo"

Con l'avvento dei Normanni, nella seconda metà del XI secolo, Taverna fu conquistata dalle armate di Roberto il Guiscardo che la diede al nipote Baiolardo, il quale valorizzò la città con la costruzione di un imponente sistema difensivo, supportato anche dagli impervi pendii che circondano la zona. In questo periodo, presumibilmente nel 1064 circa, cominciò anche la costruzione del castello situato alle pendici della Sila Piccola, denominato "Torrazzo", a controllo di eventuali attacchi dal mare, e del castello di Sellia, che veniva utilizzato allo scopo di sentinella per eventuali invasioni dal mare. Dopo la rivolta feudale dei nobili catanzaresi e il successivo tradimento di Matteo Bonello al re Guglielmo I il Malo, Taverna ospitò nella sua fortezza la contessa Clemenza di Catanzaro e sua madre Segelgarda. Guglielmo I il Malo, quindi, nel 1162, pose sotto assedio la città di Taverna, che inizialmente resse l'attacco, tanto da spingere il re a spostare la sua attenzione alla rivolta pugliese. Sedati tutti i focolai di guerra nella Puglia, le armate che rientrarono sottoposero ad un secondo assedio Taverna che, avendo sopravvalutato le sue capacità difensive, fu espugnata e rasa completamente al suolo. La contessa Clemenza fu arrestata e la rivolta fu spenta nel sangue. Nel 1194, infatti, insorta la guerra tra Tancredi D´Altavilla e Enrico VI di Svevia, Taverna che aveva mandato a quest´ultimo armi ed esperti, fu ricostruita, ma si avviava al declino, tanto che la sua esistenza fu sempre più legata alla contea di Catanzaro, di cui fu una baronia. Soggetta alla dominazione Angioina e appannaggio della casa Durazzo, nel 1424 appartenne a Cubelia Ruffo, che, fortificatasi nel castello di Baiolardo, fu fatta prigioniera da Francesco Sforza nel 1426. A metà circa del XV sec., Taverna, dopo una sequenza di vicende alterne che, avevano provato i cittadini, rinacque non solo per lo spostamento dalla Valle Grande a Bompignano, ma soprattutto perché fu annoverata tra le 102 città delle 1150 abitate nel Regno di Napoli, a cui Alfonso d´Aragona concesse la demanialità nel corso del parlamento tenuto a Napoli nel febbraio del 1443. La città conservò il carattere demaniale fino al 1630, quando sotto Filippo IV fu venduta al Principe Ettore Ravarieschi, che la rese di nuovo libera, appena ricevuto il riscatto. Per tutto il sec. XVI Taverna fu centro di cultura. Nel sec. XVII, invece, cominciò il decadimento di Taverna, come ogni possedimento spagnolo; ad esso contribuì il pagamento al Ravarieschi e soprattutto la persistente litigiosità tra nobiltà, di cui esisteva un Sedile, clero e congreghe. L’opera militare di Taverna contava: un piano parapetto, due baluardi, una torre cilindrica, 42 merli; vi erano 16 soldati di guardia con falconetti ed archibugi, probabilmente dopo ebbe anche qualche pezzo di artiglieria. Gli uomini di servizio, deve credersi che li desse il battaglione di cui dispose sin dal 1700 la città. In occasione del sisma del 1783 la torre subì gravi danni e divenne, nel XIX secolo, un avamposto per le scorrerie dei briganti, di cui si tramanda a Taverna una viva memoria storica. I ruderi della cinta muraria e della costruzione cilindrica, ancora considerevoli nonostante i continui crolli succedutisi nel corso dei secoli, sono situati sul fianco del costone roccioso di fronte a Pesaca, a circa 3 Km dall’abitato, sono stati consolidati nell’ultimo decennio da un intervento di parziale recupero, promosso dal Comune di Taverna e curato dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici della Calabria. Altre notizie su http://www.repubblica.it/cronaca/2010/11/12/foto/monumenti_da_salvare_le_foto_dei_lettori_13-9030319/9/#


(a cura di Giuseppe Valentino) su www.mondimedievali.net

Foto di xavier60 su http://www.panoramio.com

Il castello di giovedì 25 luglio







RIONERO SANNITICO (IS) – Castello Ducale

L'abitato, dall'andamento tipico montano, sorge a 1051 metri s.l.m.; è attraversato dalla SS. n.17 e l'ambito dalla SS. n.652 "Fondovalle Sangro", utilizzata per gli spostamenti verso l'Abruzzo (Parco Nazionale, impianti sciistici di Roccaraso) o la Campania. Non abbiamo molte informazioni sull'origine di questo paese; anticamente si chiamava "Rivinigri", forse riferendo il nome al "Rio" che, generandosi nel suo agro, va a divenire un affluente del Volturno. La notizia più antica che si conosce del centro, almeno per quanto riguarda l'età feudale, è che il suo agro apparteneva alla Badia di S. Vincenzo al Volturno cui venne usurpato nel 1064. Si sa inoltre che, visto l'accaduto, l'abate di S. Vincenzo chiese l'intervento del papa Alessandro II che, però, lasciò le cose inalterate. Durante il dominio normanno, fu data in feudo ad alcuni signori del luogo e alla metà del XII secolo a Oderisio de Rigo Nigro che lo tenne insieme ad una parte di Montenero, Fara e Civitavecchia che complessivamente valevano una rendita che lo obbligava a sostenere due militi nell’esercito. Oderisio teneva anche i feudi di Collalto e Castiglione che oggi sono frazioni poco abitate di Rionero, mentre Montalto apparteneva in quel tempo a Berardo figlio di Ottone. Nel 1381 Rionero fu concessa ad Andrea Carafa conte di Forlì, non si sa molto della sua vita nel borgo, solo che lasciò il feudo al figlio Carlo il quale divenne intestatario restandovi fino al 1418. Nel 1443, Rionero passò in feudo alla casa di Sangro, casato piuttosto potente; i Sangro godevano, infatti, di titoli nobiliari a Napoli e in varie zone sia campane che pugliesi ed in seguito riuscirono a divenire anche signori di Casacalenda. Costanza di Sangro ebbe il feudo dopo il matrimonio con Antonello di Rionegro, in seguito decise di alienare l'ottava parte del feudo in favore di Luca Loffredo e di Giovannantonio e Troiano di Montaquila. Queste due famiglie, insieme a quella dei Sangro, tennero in dominio Rionero forse fino alla caduta della dinastia aragonese. Nel XVI secolo il feudo tornò sotto il dominio dei Carafa grazie a Bartolomeo. Pur se quest'ultimo iniziò anche la dinastia dei Carafa a Pietrabbondante, bisogna dire che a Rionero vi furono altri intestatari e che il dominio della famiglia durò molto di più. Nel 1514 passò nelle mani di Adriano Carafa che, dopo aver sposato Caterina della Marra, ebbe vari figli tra cui Andrea, suo successore. A quest'ultimo seguì Adriana, moglie di Andrea Severino, poi toccò al loro figlio Niccolò. Questi era certamente intestatario del feudo nel 1539 e dovette assegnarlo alla moglie Lucrezia Pignatelli in ipoteca a garanzia dotale. Il sesto intestatario dei Carafa fu Ferrante, duca di Nocera e conte di Forlì nel 1586; venne poi la volta di Giovannantonio. Quest'ultimo morì nel 1632, mentre suo figlio Adriano passò a miglior vita appena dieci anni dopo. Il feudo venne quindi alienato in favore di Alfonso Carafa, duca di Montenero, per 17000 ducati. Alfonso sposò Beatrice Bucca da cui ebbe Antonio. Della discendenza di quest'ultimo non si sa quasi nulla, solo che tra il 1764 e il 1781 il feudo venne  venduto all'asta e che poco dopo, però, divenne bene permanente del demanio. Nel 1807, in seguito alle riforme napoleoniche Rionero venne associato al distretto di Isernia. Oggi sono ancora visibili i ruderi del Palazzo Ducale costruito dai duchi Carafa nel Seicento con funzioni prettamente militari. Il castello evidentemente nacque da una esigenza strategica di controllare uno dei passi fondamentali tra la valle tirrenica del Volturno e quella contigua adriatica del Sangro. Ha un impianto piuttosto semplice che sembra generato da una originaria torre quadrata che aveva la funzione di mastio di protezione ad una modesta articolazione di ambienti attorno ad una piccola corte interna. Del mastio rimane la struttura originaria che ancora tiene nella sua parte interrata un cisterna che raccoglieva con un sistema di canalizzazioni tutte le acque meteoriche. I vari livelli sono ancora collegati da una pregevole, per quanto semplice, scala elicoidale tutta in pietra che molto probabilmente fu realizzata quando il maschio fu trasformato in una sorta di ingresso secondario con l’apertura di una porta a diretto contatto con lo spazio pubblico esterno. L’ingresso principale doveva coincidere con quella gradonata che ancora sopravvive sul lato orientale e che permetteva di raggiungere direttamente il livello superiore del complesso. Un grande ambiente parzialmente sotterraneo, con una volta a tutto sesto, permette di ipotizzare che al piano superiore si sviluppasse un salone che ebbe bisogno di un intervento di consolidamento mediante l’inserimento di due belle colonne che, essendo fin troppo raffinate per un ambiente sotterraneo, sembrano essere state prelevate da un altro luogo per essere utilizzate semplicemente come provvisorio sostegno della volta pericolante. Ormai tutto è crollato, ma le parti sopravvissute sono costituite da elementi che comunque dovrebbero sollecitare un intervento di restauro che permetta di recuperare il senso delle sua storia. Nell'area del castello sono degni di nota i ruderi della Chiesetta di S. Antonio di cui rimane un portalino neoclassico con due belle mensole a voluta che limitano la lapide che ricorda il suo restauro ottocentesco curato dai Laurelli che ne hanno mantenuto lo juspatronato fino alle vendite dell’intero complesso ormai ridotto ad un ammasso di rovine. Quando nel 1853 fu eseguito  questo restauro, all’interno della cappella ancora si conservavano le due tombe di Alfonso Carafa e di sua moglie Beatrice Bucca d’Aragona con l’epitaffio che ne ricordava i titoli. Di questa lapide non vi è più traccia.

mercoledì 24 luglio 2013

Il castello di mercoledì 24 luglio






MARTANO (LE) – Castello baronale Aragonese

Ubicato su un'altura a 90 metri sopra il livello del mare, Martano dista da Lecce circa 20 Km. Nel 1486, sotto il feudatario Antonello Gesualdo, Martano aveva il castello, le mura con sei torri di vedetta ed il fossato. Si suppone ci fossero quattro porte per poter accedere all’interno della città, ma si hanno notizie certe solo di due, una delle quali, Porta Grande o Portella, si trovava ad oriente mentre l’altra, chiamata Porta Piccola, era situata a occidente. Dentro queste fortificazioni si serrarono i martanesi alla notizia dell'assalto turco di Otranto nel 1480. Dopo la riconquista aragonese, del 1481, il castello venne ricostruito. Sorse a nord-est, attaccato alle case dell'antico abitato dal lato sud e, protetto da un fossato, si raccordava, con i suoi massicci volumi, alle mura cittadine, difese da cinque torri poste a presidio della Terra (il Borgo). Di questo fortilizio fatto realizzare da Ferdinando e Alfonso d'Aragona, per proteggere la città dalle invasioni dei Turchi, rimangono la torre di via Marconi e l'imponente torrione cilindrico del castello che presenta la base scarpata, il toro marcapiano ed, all'interno, tre feritoie ed una cannoniera strombata. Dalla superiore piazza d'armi, con falconetti, colubrine ed archibugi si sparava contro gli aggressori. Sotto i Trani, nella seconda metà del ‘600, venne trasformato da edificio militare in palazzo baronale dall'esimio architetto coriglianese Francesco Manuli che sostituì la vecchia facciata con l'attuale, inserendo il bel portale con l'originale motivo delle bugne inclinate. Pregevole la balaustra della scalinata, animata da foglie-volto con valenza apotropaica. Nei piani superiori sono interessanti alcuni pavimenti maiolicati e le volte a mattrotta dipinte con fiorami, trombe, pifferi, tamburelli, festoni, scene bucoliche e scorci di campagna. La facciata del castello in via Pomerio, nella seconda metà del ‘700, sotto i Gadaleta, venne rifatta integralmente dai maestri martanesi Donato Saracino e Tommaso Pasquale Margoleo, molto attivi nella Grecìa Salentina.Alla fine del secolo XIX il palazzo divenne di proprietà del barone Mario Comi che proseguì nell'opera di ammodernamento della struttura abbattendo il torrione destro della facciata principale. Attualmente il Palazzo Baronale, che è uno dei monumenti principali di Martano, ospita eventi culturali.
Fonti: http://it.wikipedia.org, http://www.comune.martano.le.it
Foto: entrambe di AIERVO su www.joinitaly.com

martedì 23 luglio 2013

Il castello di martedì 23 luglio






GENOVA – Forte Sperone

E' un'opera fortificata compresa nelle "Mura Nuove" a difesa della città, costruita sulla cima del monte Peralto (m 489), nel punto d’incontro dei due rami della cinta difensiva. Proprio l’unione delle due mura, quella sul versante della Val Polcevera e quella sul versante della Val Bisagno, dà luogo ad un particolare bastione angolare, la cui forma assomiglia alla prua di una nave, dal quale deriva il nome del forte. Per la sua posizione dominante, era una delle strutture più importanti delle fortificazioni di Genova. Il forte ha una struttura complessa, su tre distinti livelli ad altitudini diverse. Il primo livello, quello in cui si apre l’ingresso principale, ospita magazzini, locali di servizio e cisterne; al secondo livello vi erano gli uffici e le camere per ufficiali e graduati, al terzo gli alloggiamenti per i soldati. La struttura ospitava una guarnigione di circa 300 soldati, che potevano arrivare a 900 in caso di necessità. L’importanza del forte era testimoniato dalla consistenza dei suoi pezzi d’artiglieria: 18 cannoni di varie dimensioni, nove obici e numerosi pezzi di dimensioni minori. La presenza sulla cima del monte o nei suoi pressi di una fortezza ghibellina, costruita inizialmente in legno e poi di pietre, chiamata “Bastia del Peralto”, è documentata dal 1319. Nel 1530 il Senato della Repubblica di Genova stanziò la somma di 7.400 lire per la ricostruzione di una piccola fortezza bastionata triangolare sul luogo della Bastia. Questa costruzione fu inglobata nelle Mura Nuove all’epoca della loro costruzione (1629-1633). Durante l’assedio austriaco del 1747, per difendersi meglio dagli attacchi, il Sicre decise di costruire all'interno dei bastioni il forte; fu eretta una struttura sopraelevata rispetto alle mura stesse, per aumentare la potenza di fuoco del bastione, e vennero quindi creati alloggi per i soldati, alcune cisterne ed una caserma. Nel 1796 erano ancora in corso i lavori per il completamento della caserma ideata dal Sicre, contemporaneamente a lavori di ordinaria manutenzione. Nello stesso periodo la caserma fu ampliata con l'inserimento di due ali con tetto a falde, perpendicolari ad essa. I progressivi ampliamenti si protrassero fino al 1830 e la struttura andò assumendo l’aspetto che ancora oggi possiamo osservare. Porta o Poterna Sperone, durante l'assedio del 1800 fu chiusa per ordine del generale Massena perché "mal difesa e facile a sforzarsi". Questo era, originariamente, l'unico percorso d'accesso al Diamante ed ai Due Fratelli. Alla Poterna è legata la storia dell'inesistente passaggio segreto collegante il Forte con il Diamante. In epoca napoleonica furono progettati una serie di bastioni rivolti verso l’interno delle mura, per la difesa del forte da eventuali sommosse popolari. Questa cortina, nella quale fu inserito il monumentale portale d’ingresso, fu poi costruita dal Genio Militare Sardo dopo il 1815. Il portale d’ingresso, sovrastato da uno stemma sabaudo in marmo di Carrara, è dotato di ponte levatoio, ancora presente con il suo meccanismo di sollevamento. Nel 1823 un’apposita commissione preparò lo studio per un progetto, mai realizzato (probabilmente a causa dei costi altissimi che avrebbe comportato), per integrare in un’unica cittadella le tre fortificazioni del Peralto (Castellaccio, Sperone e Begato). Nel marzo 1849, durante i moti, il Forte era occupato dalle truppe regie. Per ottenerne la consegna alla Guardia Nazionale, fu preso in ostaggio l'Intendente Generale; i forti Begato e Sperone furono prontamente ceduti agli insorti i quali alla fine però dovettero arrendersi e restituire il maniero alle truppe regie. La sera del 29 giugno 1857 fallì anche il tentativo d'impossessarsi del fortilizio da parte di una quarantina di sostenitori delle idee mazziniane. Questi giunsero a sfiorarne le mura, ma un grido d'una sentinella diede l'allarme; gli assalitori quindi fuggirono. Nell'ottobre 1862 a Forte Sperone vennero rinchiusi alcuni prigionieri garibaldini. Dopo la dismissione delle fortificazioni genovesi, decisa nel 1914, durante la prima guerra mondiale nel forte furono ospitati prigionieri di guerra di etnia croata e serba. Nel 1918 il carcere passò sotto la responsabilità di Francesco Calì. Dal 1958 al 1981 fu utilizzato come caserma della Guardia di Finanza e, successivamente, preso in consegna dal Comune di Genova, che vi organizza manifestazioni culturali nel periodo estivo. Dal 1991 a Forte Sperone si svolgono rappresentazioni teatrali e sono possibili, inoltre, visite guidate da marzo a novembre. La struttura è oggetto di continua manutenzione da parte del Comune di Genova. I locali, benché siano abbandonati, sono ottimamente conservati; talvolta vi si possono riconoscere ancora le antiche destinazioni d'uso, come il tempietto religioso. Del Forte esisteva anche una riproduzione in terracotta, purtroppo andata persa, inviata all'Associazione Nazionale Combattenti nel 1957 da un ex coatto austriaco rinchiuso nella struttura. Il complesso è raggiungibile dal Righi percorrendo via del Peralto, dalla quale si distacca una breve strada che porta all’ingresso principale. All'interno delle sue mura si aggirerebbero alcuni fantasmi: quello di un bruto, di un cane nero e di una pastorella. La loro storia è antica, tragica e sanguinaria. Nel VII secolo una giovane e bella pastorella portò il suo gregge a pascolare sui prati del monte Peralto. Lì si fece ingenuamente attirare in un luogo isolato da un misterioso individuo che scambiò per un cacciatore o un collega pastore: l'uomo infatti era accompagnato da un grosso cane nero. Una volta soli e appartati l'uomo si rivelò per il bruto che era: picchiò, violentò e uccise la ragazza squarciandole la gola con un morso.
Poi si dileguò nel nulla, sempre accompagnato dal suo fidato animale. Il corpo della pastorella venne trovato tempo dopo, straziato in modo orrendo, da alcuni contadini. Oltre mille anni dopo, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, nel corso di una seduta spiritica tra le mura di Forte Sperone, un fantasma "dal brutale aspetto" si rivelò ai partecipanti: era il violento assassino, che raccontò di avere da tempo in quei luoghi (gli stessi delle sue malefatte) la sua nuova dimora. Costretto a vagare lì attorno per sempre, non sarebbe solo in questo suo infinito tormento. Gli fanno "compagnia" lo spirito del suo vecchio amico a quattro zampe e il fantasma della ragazza assassinata. I tre spiriti vengono spesso visti alle prime luci dell'alba, più frequentemente nei periodi invernali. Un terribile cane, nero come la pece, un omone trasandato e dallo sguardo trucido, una ragazza pallida e vestita di stracci sporchi di sangue, col volto orrendamente sfigurato e la gola squarciata. A volte girano da soli, a volte in gruppo, tanto che potrebbero essere scambiati per amici o parenti anzichè vittima e carnefici. Altre notizie ancora al seguente link: http://www.fortidigenova.com/sperone.html
Fonti: http://it.wikipedia.org, http://www.icastelli.it, http://ww1.zenazone.it, http://www.forti-genova.com, http://www.caivercelli.it, Liguria Misteriosa di Valerio Lonzi http://blog.libero.it/genovaneiricordi/7543577.html
www.latelanera.com
Foto da: http://ww1.zenazone.it e http://it.wikipedia.org

Il castello di lunedì 22 luglio







CIVITELLA DI ROMAGNA (FC) - Castello Guidi in frazione Cusercoli

La leggenda vuole che Chiusercoli o Chiuse d’Ercole sia stato eretto sullo sperone di roccia calcarea durante una delle fatiche di Ercole, famoso eroe mitologico. La storia della frazione dipende da quella del castello che la dominava. Esso fu costruito sul luogo dove prima esisteva un impianto tardo romano, di cui resta solo un imponente muro a secco. L'impianto medievale viene segnalato per la prima volta nel XII secolo, posseduto dagli Arcivescovi di Ravenna, soggetta all'Abbazia di Sant'Ellero e compresa nella contea di Giaggiolo (come risulta dalla bolla di Papa Innocenzo II datata 1213). Nel 1263 apparteneva a Paolo Malatesta di Giaggiolo, ma cinque anni dopo Beatrice Malatesta lo vendette a Ludovico delle Caminate; il castello tornò ai Malatesta nel 1303. Nel 1304 i Calboli lo assediarono e lo conquistarono, infatti G. Pecci scrive che i Calboli, alleati agli Orgogliosi, riuscirono ad attirare i ghibellini forlivesi e Zappettino degli Ubertini verso il loro castello di Cusercoli; intanto i Calboli occupavano Meldola e i Guelfi di Malatestino Malatesta si dirigevano su Forlì; Zappettino capì l’inganno e si diresse su Forlì senza passare da Meldola e riprese la città. Nel 1351 Ludovico Ordelaffi lo conquistò per conto del padre Francesco II. Probabilmente il castello passò alla Santa Sede grazie all’Albornoz (1359) e venne forse concesso in enfiteusi ai Malatesta; infatti nel 1371 apparteneva ancora a Nicola Malatesta di Giaggiolo, come riferisce il Cardinale Anglico, che descrive una rocca con un palazzo fortissimo che sovrasta la via che da Meldola va in Toscana e che nessuno può transitare senza la volontà del castellano; il castello al tempo possedeva 25 focolari (125 ab. ca.). Nel XIV secolo, i Malatesta, infatti, operarono un ampliamento per ricavare un palazzo fortificato accanto al castello, utilizzato come residenza del feudatario e venne aggiunta la seconda cortina di mura. Giacomo (jacopo) Salviati tentò nel 1404 di prenderlo con truppe fiorentine ma non vi riuscì. I Malatesta (ramo di Cusercoli) lo persero nel 1435 contro le truppe forlivesi capitanate da Francesco Piccinino che saccheggiò il castello per portare vettovagliamenti a Forlì. Nel 1462 lo occupò Astrogio Manfredi per conto della S. Sede, che lo concesse nuovamente ai Malatesta di Cusercoli; da questi il castello passò ai Conti Guidi. Caterina Sforza tentò di assediare il castello nel 1495 ma Guido Guerra di Bagno difese tanto bene la rocca che costrinse l’esercito assediante a ritirarsi. Ma un contingente sopraggiunse in aiuto delle truppe di Caterina e il castello fu preso. Tornò ai Malatesta di Cusercoli che lo tennero fino a quando venne preso prima dai veneziani e nel 1501 conquistato dal Borgia per conto della Chiesa. La Santa Sede lo infeudò nuovamente ai Malatesta di Cusercoli nel 1530 che lo vendettero ai Guidi di Bagno nel 1569, i quali lo detennero quasi ininterrottamente fino al XIX secolo. Questi ultimi operarono una profonda modifica alla struttura per adeguarla alle loro esigenze abitative e vi aggiunsero sia i giardini pensili sia la chiesa di San Bonifacio, frutto di una ricostruzione effettuata nella seconda metà del Settecento sulla precedente chiesa di Sancta Maria de Saxo, lesionata pesantemente da un'alluvione avvenuta nel 1750. I conti Guidi continuarono a trascorrere periodi dell'anno nel palazzo finché non lo abbandonarono completamente e lo lasciarono al degrado. Lo stato di abbandono fu tale che nel 1937 una parte della rocca crollò sulle case facendo 21 vittime; questo diffuse nella popolazione il terrore di frane del masso su cui poggia il fortilizio. Nel 1973 il Comune lo acquistò. I segni del grande degrado non sono stati arginati nemmeno dagli interventi di consolidamento operati negli ultimi anni. Lo stemma dei Guidi di Bagno è ben conservato sopra la cosiddetta “Portaccia”, antico ingresso al borgo da sud-est. L'altra porta invece non è più esistente. Il castello di Cusercoli conserva buona parte della cinta muraria (soprattutto incorporata nelle varie abitazioni). Della rocca, rimaneggiata nel XVIII secolo, rimangono alcune caratteristiche cinquecentesche anche se l’ala occidentale venne abbattuta per costruire la chiesa. All’interno dell’attuale palazzo, in un deplorevole abbandono, troviamo alcune stanze affrescate nel XVIII e XIX secolo. I conti Guidi erano proprietari anche possedevano il Castello di Montebello, sopra Rimini, tristemente famoso per l'anima di Azzurrina che ancora si aggirerebbe tra quelle mura turrite. Molti lo ignorano, ma la maggior parte delle suppellettili e del mobilio che oggi i turisti ammirano nelle stanze abitate un tempo dalla sfortunata bambina dai capelli blu prima si trovavano proprio nelle sale - ora mezze diroccate - di Cusercoli. Ma in questo castello gli incroci storici sono affascinanti: qui, nel XIII secolo, visse Paolo Malatesta di Giaggiolo, immortalato dal V canto dell'Inferno dantesco con l'amante Francesca uccisa insieme a lui; da queste parti, passò anche Caterina Sforza, che espugnò la rocca con le sue truppe nel 1495. Un luogo imponente ed inquietante, il posto ideale per immaginare strane presenze. E infatti, la gente di Cusercoli racconta da decenni di ombre avvistate dietro le grate delle sale disabitate e di musiche provenienti dall'adiacente chiesa di San Bonifacio, dove l'organo neppure c'è. Ad alcuni ricercatori di fenomeni paranormali sarebbe apparsa una bambina dalla storia straziante: abbandonata da piccola in quella chiesa e affidata dalla sua poverissima famiglia ai frati perché la accudissero, avrebbe invece subìto sevizie e soprusi, fino a morire, proprio in quel luogo consacrato. La piccola avrebbe chiesto preghiere e fiori da depositare in un luogo preciso della sacrestia. Inoltre, durante la perlustrazione notturna, si sono ripetuti episodi strani: rumori di passi, echi di lamenti, una scala crollata all'improvviso senza che nessuno la sfiorasse. Se cercate notizie in rete sul castello di Cusercoli, troverete diversi link dedicati a strani avvistamenti e fenomeni inspiegabili legati all'edificio.
Fonti: http://it.wikipedia.org, http://www.appenninoromagnolo.it, http://www.tartufodiromagna.it, http://scienza.panorama.it/spazio/extremamente/Viaggio-tra-gli-spiriti-del-Castello-di-Cusercoli, http://www.rd20.it
Foto : di Ziapina su http://www.flickr.com, da http://it.wikipedia.org e di Romina Berretti

domenica 21 luglio 2013

Il castello di domenica 21 luglio






BUTTRIO (UD) – Castello Morpurgo

La sua storia è legata alle vicissitudini della regione friulana, in particolare delle contese tra il Patriarca di Aquileia ed i Signori di Gorizia. Si iniziano ad avere notizie documentate sul castello intorno all'anno 1000, testimone e partecipe di molte vicende storiche. Per la sua posizione strategica fu più volte al centro di cruenti fatti d'arme. Tra questi, il più noto è forse l'assedio delle truppe patriarcali nel 1306, dopo che il castello era caduto nelle mani del Conte di Gorizia. La sua struttura attuale con le due torri è stata realizzata tra il 1600 e 1700 dai Signori Portis. Per il suo valore storico ed ambientale, è tutelato, insieme ai vigneti che lo circondano, dal Ministero dei Beni Culturali e dalla Regione Friuli Venezia Giulia. Tra il XVII ed il XVIII secolo il complesso subì forti rimaneggiamenti fino ad acquisire l'attuale conformazione. All’esterno è un edificio novecentesco con finiture liberty, sul fianco sud-est c’è la torre, che fa parte del complesso costruito nel XVII secolo mentre su un fianco, da un vecchio edificio agricolo, è stato ricavato un ristoro agrituristico. Situato a 140 metri sopra il livello del mare, il castello gode di panorami straordinari che spaziano a 360 gradi dalle Colline di Buttrio al Golfo di Trieste. L’edificio dispone di ampi spazi dedicati a matrimoni, riunioni, convegni e ricevimenti. Un salone per eventi con capienza massima di 130 persone e altre diverse soluzioni per eventi più intimi e cene private. Otto eleganti e ampie suite, una diversa dall’altra, completano l’offerta. Di fianco al Castello la chiesetta dei Ss Gervasio e Protasio, di origine duecentesca. Altre notizie su questo maniero le potete trovare al seguente link: http://www.mappafriuli.com/viaggi/3926/castello-di-buttrio/


Foto tratte da: www.tripadvisor.com e dal profilo Facebook

sabato 20 luglio 2013

Il castello di sabato 20 luglio






ISOLABONA (IM) – Castello Doria

Isolabona è un antico borgo fortificato che si adagia dolcemente alla confluenza di due fiumi: il torrente Nervia e il rio Merdanzo. Il suo nome ha origine proprio da questa particolare posizione di insula, posta tra due corsi d’acqua. La seconda parte del nome, bona, deriva invece dalla riconosciuta cordialità degli abitanti della zona. Un insediamento di età romana imperiale dovette essere presente a giudicare dai ritrovamenti di reperti effettuati nel territorio circostante Isolabona. Se ne persero quindi le tracce nella storia fino al 1220, anno in cui il borgo venne citato in un documento con riferimento al suo castellum. Nel 1287 il genovese Oberto Doria assunse il potere in tutti i centri della val Nervia e Isolabona fu messa sotto la giurisdizione di Apricale. I Doria, di parte ghibellina, si scontrarono a lungo con i Grimaldi di Monaco, di parte guelfa. La lotta culminò il 22 agosto 1523 nell'uccisione di Luciano Grimaldi da parte di Bartolomeo Doria e nella devastazione di Dolceacqua, Apricale e Isolabona da parte delle truppe dei Grimaldi. Isolabona passò ai Grimaldi per alcuni mesi finché s'inserirono nello scontro i Savoia riportando al potere i Doria. Nel 1573 Isolabona ottenne l'indipendenza amministrativa da Apricale alla quale era unita fin dal XIII secolo. Nel secolo successivo Carlo Emanuele I di Savoia s'impossessò del borgo spodestando Carlo Doria (1627) ma il figlio Francesco riuscì a farsi riconoscere pochi anni dopo (25 gennaio 1652) la signoria di Isolabona e degli altri centri della val Nervia. Il Settecento fu un secolo caratterizzato da carestie, epidemie di peste ed alluvioni che misero in ginocchio l'economia del borgo. La discesa di Napoleone Bonaparte in Italia produsse delle scosse politiche non indifferenti e Isolabona finì nel Dipartimento delle Alpi Marittime facente capo a Nizza (1805). Dopo la restaurazione dei Savoia al potere (1815) Isolabona confluì nella provincia di Oneglia (oggi Imperia) rimanendovi per tutto il periodo risorgimentale e passare in seguito alla provincia di Porto San Maurizio, oggi anch’essa Imperia (1860). Nel 1944 i Tedeschi occuparono il castello acquartierandovisi, e il borgo fu teatro di alcuni fra i più importanti moti resistenziali dell'intera Riviera di ponente. Il castello, costituito da un corpo di fabbrica esagonale con un magnifico portale e da una torre quadrangolare in pietra arenaria, è stato oggetto di restauri qualche anno addietro e al suo interno oggi si svolgono le più importanti manifestazioni estive del paese, tra cui spettacoli teatrali.
Fonti: scheda di Stefano Favero su http://www.mondimedievali.net, http://www.initalytoday.com
Foto di Fiore Silvestro Barbato su http://www.flickr.com e da http://www.comuneisolabona.it
Altre foto a questo link: http://www.comuneisolabona.it/castello.html

venerdì 19 luglio 2013

Il castello di venerdì 19 luglio






ARCEVIA (AN) – Castello di Nidastore

Il castello di Nidastore – "nido degli astori", ossia dei falchi che venivano usati per la caccia nel Medioevo – è il più settentrionale dei nove di Arcevia, ai confini con la provincia di Pesaro. Nidastore sorse verso la metà del XII secolo e fu da sempre conteso tra il Vescovo di Fossombrone e Rocca Contrada. Nel 1232 entrò nella sfera di potere di Arcevia, tuttavia Nidastore non volle mai assoggettarsi completamente e i documenti d'archivio testimoniano di continue ripetute ribellioni, tra cui quella del 1430 che portò alla completa distruzione del castello, poi ricostruito a spese di Arcevia. Nel 1408 il castello venne concesso al nipote del Vescovo, Raniero di Taddeo dei Ranieri di Pesaro, che venne ucciso da fuoriusciti da Rocca Contrada. A questa vicenda è legata la tradizione secondo cui il Ranieri sarebbe stato ucciso dagli stessi abitanti di Nidastore, guidati da Cecco di Tocco, in seguito alla pretesa dello stesso di esercitare lo jus primae noctis sulle loro spose (dopo la cerimonia e il banchetto, arrivava la carrozza del conte per prelevare la sposa e portarla nella sua alcova). La testa del conte venne gettata nel pozzo del castello e il vescovo di Fossombrone, pur biasimando quell'omicidio, riconobbe la proprietà dei beni del conte agli uomini di Nidastore, sia come risarcimento dei gravi affronti ricevuti sia come naturale diritto alla successione; infatti alcuni giovani nidastoresi erano figli del conte. Nel 1460 Sigismondo Malatesta, signore di Rimini e nemico acerrimo della Chiesa, si impadronì di Nidastore dopo aver messo in fuga le truppe papali comandate dal vescovo di Corneto, Bartolomeo Vitelleschi. Nel 1462 il castello fu definitivamente riconosciuto a Rocca Contrada da Pio II. L’abitato attuale risale alla seconda metà del ‘400, quando Rocca Contrada, dopo varie distruzioni, ebbe l’obbligo di riedificare il castello: da notare la cinta muraria ben conservata su cui poggiano direttamente le abitazioni e alcuni palazzi con portali cinquecenteschi e seicenteschi in ottimo stato di conservazione.


giovedì 18 luglio 2013

Il castello di giovedì 18 luglio





GRUMENTO NOVA (PZ) – Castello Sanseverino

Tra il VI e il V sec. a.C. alcuni popoli osco-sabellici invasero da nord le valli lucane e fra questi (come attesta Plinio) i Grumentini. E’ probabile che, prima ancora che venisse fondata dai Romani la colonia militare di Grumentum, esistesse un centro indigeno con lo stesso nome. Distrutta la città romana dai Saraceni, in più fasi, sul finire dell’anno 1000, la parte più consistente dei superstiti trovò rifugio sull’antistante colle di Saponara. Infeudato dai Normanni intorno al 1060, conobbe quale primo Feudatario Roberto d’Altavilla, Conte di Montescaglioso. Tolto al figlio Guglielmo, per la ribellione contro il Re Ruggiero II, venne assegnato alla famiglia dei Fasanella. In epoca sveva (1246) troviamo Saponara sotto il dominio di un Tommaso di Fasanella che, a sua volta, avendo partecipato alla congiura di Capaccio, si vide confiscato il Feudo da Federico II. Anche Manfredi fece saccheggiare la cittadina da bande di Saraceni perché i Sanseverino, che ne erano venuti in possesso nel 1254, parteggiavano per gli Angioini. Carlo I d’Angiò restituì nel 1267 Saponara a Ruggero Sanseverino, Conte di Marsico. Con i Sanseverino, che lo tennero ininterrotamente sino al 1806, il Feudo conobbe periodi di grande splendore ma anche di decadenza. Il ramo dei Sanseverino di Saponara raggiunse la massima potenza nel 1622, allorquando divennero, con Luigi, Principi di Bisignano, primo Principato del Regno di Napoli. Agli inizi del 1700 raggiunse una certa notorietà Aurora Sanseverino,  poetessa dell’Arcadia romana, andata sposa a Niccolò Gaetani d’Aragona, Principe di Laurenzana. Cessata la Feudalità nel 1806, Tommaso di Saponara fu nominato da Giuseppe Bonaparte, Ministro del Regno di Napoli. Il castello venne edificato dai Normanni nell’undicesimo secolo, e restaurato agli inzi del 1700 dal principe di Bisignano e Conte di Saponara Carlo Maria Sanseverino che lo ampliò facendogli raggiungere la dimensione di oltre 100 ambienti. In questa fortezza, tipico esempio di dimora principesca, morirono per avvelenamento i fratelli Jacopo, Sigismondo e Ascanio, figli di Ugo Sanseverino e di Ippolita Monti. Ugo aveva avuto, per la sua fedeltà a Federico d'Aragona, il feudo di Saponara l’1 maggio 1497 e la giurisdizione civile e criminale di Castel Saraceno; suo fratello Girolamo iniziò per questo ad odiarlo e particolarmente per aver avuto tre maschi, che gli toglievano la successione di Saponara. Trovandosi i tre figlioli di Ugo in Taranto, furono invitati da Girolamo ad una caccia a Montalbano e, nella cena che seguì, da un fiasco sigillato fu dato da bere del vino avvelenato ai tre fratelli. Questi, giunti nel castello di Saponara, si ammalarono e, nello spazio di sette giorni, morirono. La madre Ippolita Monti fece erigere ai tre figli i noti monumenti nella chiesa dei SS. Severino e sono a Napoli. Il castello, dopo il tragico avvenimento, rimase per un lungo periodo di tempo abbandonato, finché nel 1523 ne fecero il loro covo alcuni briganti, il cui capo Chiachio era molto temuto nella zona. Ma, dopo qualche anno, nacque discordia tra Chiachio ed un suo luogotenente, che si era stancato di quella vita, e ne seguì ben presto una lotta, combattuta nello stesso castello, alla fine della quale il capo brigante solo e ormai vecchio dovette allontanarsi per sempre dalla zona e la storia ne perse le tracce. L'avvenimento però fu risaputo fin nella capitale del Regno e fu fatto oggetto di un poema da parte di uno sconosciuto autore del tempo; il poema, andato perso purtroppo, forse aveva un titolo del tipo "Chiachio di Saponara ovvero la vera Istoria della triste fine di un brigante e la punizione delle sue malvagità". Con l'avvento del nuovo capo il castello di Saponara vide delle profonde trasformazioni e perse a poco a poco la sua cattiva fama, fino a diventare uno dei più importanti centri, oggi si direbbe mondano-culturall della zona. Amavano soggiornarvi principi e signori, artisti e letterati e le numerose sale del castello ben potevano ospitare quella folla di personalità: una tradizione, tuttavia non confermata, vuole che durante la seconda metà del settecento il castello di Saponara venisse chiamato "Gioiello del Regno", ma i tempi cambiarono e anche Saponara perse il suo splendore. Passato alla famiglia dei Giliberti, venne quasi completamente distrutto dal violento terremoto del dicembre 1857; oggi è visibile un salone, la scuderia, dove sono dipinti in trentasei nicchie angeli e putti reggistemma del diciottesimo secolo dei pittori Perrone e Altobella. Dal castello si dirama allora anche la cinta muraria del XI e XII secolo. Quest’ala del castello è stata di recente rilevata dal comune di Grumento Nova, che ha iniziato i lavori di restauro che ne consentiranno in seguito la fruibilità. Altre notizie su http://www.grumentum.net/it/il-castello-e-il-ciclo-pittorico

Foto tratte da http://www.sarconiweb.it e da http://eneragria.altervista.org (veduta delle scuderie)

Il castello di mercoledì 17 luglio






POLLINA (PA) – Castello Ventimiglia

Secondo alcuni storici, Pollina sembra essere la moderna erede di Apollonia, una città della Magna Grecia. La città sembra fosse protetta dagli Dei e consacrata rispettivamente al dio della luce, della divinazione e della poesia. Vari scrittori antichi, quali Primo Cicerone, Diodoro Siculo e Stefano Bizantino, parlano di una certa Apollonia ubicata tra Motta e Gangi. Non vi sono tuttavia reperti che avvalorino questa ipotesi. Le prime notizie documentate di Pollina risalgono ai Normanni. Nel 1082, per disposizione di Ruggero I Conte di Sicilia, il casale di Polla fu compreso nella diocesi di nuova istituzione, con sede a Troina fino al 1096 e a Messina negli anni successivi. Nel 1131 Ruggero II fondò la diocesi di Cefalù nella cui giurisdizione fu inclusa Pollina che rimase feudo dei Vescovi di Cefalù fino al 1321 per poi essere donata ai Ventimiglia, famiglia nobile di origini messinesi, che gestì tutto il territorio madonita, a partire da quell'anno. Nella località chiamata "Pietrarosa" si può ammirare la Torre quadrata e i resti del Castello Medievale, la cui costruzione è certamente anteriore al sec. XIII. Di esso si fa menzione in un diploma dell'imperatore Federico II di Svevia dell'anno 1201. Appartenne ai vescovi di Cefalù fino al 1321, anno in cui fu ceduto, con tutto il casale di Pollina, a Francesco Ventimiglia. Da questo castello faceva le sue osservazioni astronomiche Francesco Maurolico (1494-1575), ospite dal 1548 al 1550 del Marchese Giovanni II Ventimiglia. La torre è stata notevolmente danneggiata dal tempo, dagli agenti atmosferici e dal terremoto del 26 giugno 1993. Si possono ancora vedere molte feritoie e un arco, che costituiva l'antico ingresso al castello, nei resti della cerchia delle mura antiche. I Ventimiglia mantennero il possesso del territorio di Pollina fino all'abolizione della feudalità (1812). Ai piedi dell’antica torre sfruttando il pendio roccioso, è stato costruito recentemente (1978), su progetto dell’architetto Antonio Foscari, un meraviglioso teatro che presenta le caratteristiche sostanziali del teatro greco, l'insieme è reso suggestivo dal colore delle pietre per metà dicolore rosato e per metà bianche: durante l'es­tate vengono rappresentati spetta­coli e commedie di grande valore artistico-culturale.