giovedì 28 febbraio 2019

Il castello di giovedì 28 febbraio



UGENTO (LE) - Torre Carlo V in frazione Torre San Giovanni

La torre rappresenta il sito più antico dell'intero villaggio e costituisce, oltre che un punto di riferimento terrestre e marittimo di grande utilità e importanza, anche una tangibile testimonianza dei fasti ricoperti da Ugento e dal suo territorio nel passato. Voluta da Carlo V nel XVI secolo (1563) come sito di difesa contro i saraceni, si trova su un piccolo promontorio proteso in mare che divide idealmente a metà la costa ugentina. A nord infatti, si estende la parte rocciosa, piuttosto bassa quasi ovunque, mentre a sud, oltrepassata la zona del porto, iniziano le celebri coste sabbiose, bianche e fini, che attirano i turisti da tutta Italia e dall'estero. Nel corso dei secoli, la sua funzione è mutata. Da torre di vedetta è diventata faro, per il sollievo dei naviganti che da sempre incappano nelle pericolosissime secche, situate proprio in prossimità del segnale luminoso. La sua pianta ha base ottagonale con sette metri per ogni lato ed è lievemente strombata fino al cordolo. Sulla sommità termina con dei beccatelli ed un coronamento leggermente sporgente, con la presenza di una caditoia centrale per lato. Molto distintivo è l’aspetto estetico odierno. Le piastrelle disposte a scacchi bianchi e neri se da un lato consentono ai naviganti di farla facilmente individuare, dall’altro permettono al turista di realizzare un ricordo più forte. Nelle acque nei pressi della torre vi è un piccolo porto adibito all’attracco sia di imbarcazioni turistiche che di pescherecci. Nei secoli è stata notevolmente trasformata da grosse sovrastrutture e altre costruzioni laterali aggiunte, così come ne è stato stravolto anche l’interno originario. Vi si accede per mezzo di una scala in pietra realizzata in tempi più recenti, così come la torretta del faro stesso, attualmente in funzione. Faceva parte del cordone di torri costiere difensive del sud-ovest salentino, collegandosi a vista con Torre Mozza a sud e con Torre Mammolina (andata distrutta) a nord. Attualmente è di proprietà della Marina Militare in quanto è sede della Guardia Costiera. Ai suoi piedi, oltre alle mura messapiche di cui si è detto, ogni anno a Natale viene allestito un piccolo presepe all'aperto che costituisce un'inusuale attrattiva. Nel periodo estivo invece, nella piazzetta sottostante, si tengono i vari festeggiamenti che caratterizzano l'estate ugentina: in particolare, si tiene la Festa dell'Emigrante (generalmente la prima settimana del mese di agosto).

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Torre_San_Giovanni#La_Torre, http://www.nelsalento.com/guide/torre-san-giovanni-marina-di-ugento.html

Foto: la prima è presa da http://www.salentoviaggi.it/salento/offerte-vacanze-torre-san-giovanni.htm, la seconda è presa da http://www.salento.info/42-cera-una-volta-torre-san-giovanni/

mercoledì 27 febbraio 2019

Il castello di mercoledì 27 febbraio




ROTONDELLA (MT) - Torre Sanseverino

L'origine del nome deriva da "Rotunda Marinis", che molto probabilmente sta ad indicare la posizione del paese di fronte al mare Jonio. Il territorio è stato abitato in tempi remoti, come testimonia il rinvenimento di tracce risalenti al 1500 a.C. Le origini dell'attuale centro risalgono al Cinquecento, quando si stanziò un primo nucleo sul colle Limpidina. Nel XV sec. la città fu distrutta dai Saraceni e poi fu ricostruita. Agli inizi del Settecento Rotondella divenne la residenza di un nutrito gruppo di albanesi che qui si trasferirono. Il centro è stato dominato da vari signori tra cui i Sanseverino e i Calà Ulloa duchi di Lanza. Nel corso dell'Ottocento e del Novecento, Rotondella, grazie alla sua posizione geografica e agli insediamenti commerciali e artigianali, ha sempre avuto una certa importanza. Nel cuore del suo centro storico si erge la torre di avvistamento, denominata anche "torre del carcere", fatta costruire dal principe di Salerno, Ferrante Sanseverino, tra il 1508 e il 1522 insieme al palazzo baronale, dove vivevano gli ufficiali del principe e intorno al quale si raccolsero i primi abitanti attratti dalla possibilità di ottenere un pezzo di terreno da coltivare. Oggi nella sua integrità resta solo la torre, a ricordo del ruolo medievale dell’insediamento, poichè il resto della costruzione è stato abbattuto e ricostruito nei primi anni del ‘900. I primi abitanti furono tre ufficiali che riscuotevano le fide e diffide dei pascoli delle difese di Rotunda e Trisaia. Dal principe di Salerno passò alla famiglia Agnese del Cardinale e poi al duca di Ielsi della famiglia Carrafa. È stata sede del carcere fino a pochi anni fa, all’inizio del 1800 fu trasferito al convento. Nel 1900 è stato carcere mandamentale, dove i detenuti scontavano le pene minori o gli ultimi mesi di detenzione. Il carcere era diviso in due parti, una destinata alle donne e un’altra per gli uomini e poi una parte per il custode. Vi sono stati detenuti appartenenti alla mafia locale, alla mafia siciliana e molti altri. L’ultimo detenuto, di Stigliano, vi è stato nel 1997. Recentemente restaurata, è ora adibita a biblioteca comunale ed archivio storico, ed è possibile ammirare dalla cima della torre uno splendido panorama,con visione a 180° della costa ionica. Altri link suggeriti: http://www.aptbasilicata.it/Galleria-Immagini.1550+M5273ab542fe.0.html#gallery (altre foto), http://www.comune.rotondella.mt.it/Rotondella_Storia_1700.aspx (storia paese)

Fonti: http://www.avmstudio.it/lucusnet/basilicata/provincia-di-matera/84-rotondella.html, https://www.basilicataturistica.it/territori/rotondella/, http://www.basilicatanet.com/ita/web/item.asp?nav=rotondella, http://www.materainside.it/rotondella-torre-carcere/, http://www.comune.rotondella.mt.it/passeggiando.html

Foto: la prima è presa da https://www.basilicataturistica.it/territori/rotondella/, la seconda è presa da http://www.sassilive.it/wp-content/uploads/torre-restaurata.jpg

martedì 26 febbraio 2019

Il castello di martedì 26 febbraio



PIEGARO (PG) - Castello di Oro

Piccolo borgo fortificato posto a 305 metri s.l.m., a breve distanza da Castiglion Fosco, a cui è stato sempre unito e sotto la cui ombra ha sempre vissuto. Sconosciuta la sua origine ma riferibile molto probabilmente al secolo XII, a quel periodo cioè in cui nel contado perugino sorsero molti villaggi, la maggior parte dei quali rimasero aperti (ville), mentre alcuni si circondarono di mura e torri, divenendo castra, cioè castelli. II primitivo nome della località sembra sia stato “Loro”, poiché sotto tale voce appare nel “Liber impositionis bladi” del 1260: villa Auri (in italiano volgare divenne Loro). Nelle elencazioni successive non compare, per cui non solo è sconosciuta la sua consistenza demografica ma il termine “Castrum Auri”, castello di Oro, che la tradizione le attribuisce, non è confermato da nessuna fonte storica. E se tuttora permangono importanti ruderi, come una porta discretamente conservata, un tratto di cinta muraria e una torre d’angolo, catastalmente non esiste alcun accenno in base al quale si possa stabilire con sufficiente sicurezza che Oro sia stato un castello, centro di un territorio. Al massimo si può considerare la località un insediamento più o meno compatto e accentrato, ma senza avere le caratteristiche del castrum. La località pertanto non ha memorie storiche proprie, per cui i rari avvenimenti che hanno contrassegnato la sua esistenza si disperdono o si confondono con quelli del castello vicino più importante, cioè Castiglion Fosco, nel cui distretto era compresa. La circoscrizione territoriale di tale castello era infatti molto ampia e si spingeva fino al torrente detto Cestola, comprendendo anche le parrocchie di Collebaldo, Oro e Colle S Paolo. Della struttura, come detto, rimangono ben conservati: una porta, una torre angolare e un tratto di cinta muraria ed alcuni edifici con mura sostenute da contrafforti. Una parte del castello, comprendente anche la vecchia chiesa di Santa Lucia è stata recentemente acquistata da persone degli Stati Uniti che stanno provvedendo al recupero, alla ristrutturazione e al consolidamento di una buona porzione di castello. Altri link: https://it.wikipedia.org/wiki/Oro_(Piegaro), https://www.comune.piegaro.pg.it/c054040/zf/index.php/servizi-aggiuntivi/index/index/idtesto/14

Fonte: http://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-oro-piegaro-pg/

Foto: la prima è di LigaDue su https://it.wikipedia.org/wiki/Oro_(Piegaro)#/media/File:OroPiegaroCastello1.jpg, la seconda è presa da http://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-oro-piegaro-pg/

lunedì 25 febbraio 2019

Il castello di lunedì 25 febbraio



CASTELVECCANA (VA) - Rocca di Caldè

Notizie della Rocca, anticamente conosciuta anche con il nome Travaglia, si hanno a partire dal X secolo quando, a seguito delle lotte dinastiche tra Berengario d'Ivrea e Ottone I di Sassonia per il trono d'Italia, essa fu donata da Ottone all'Arcivescovo di Milano Valperto. Da allora appartenne alla chiesa ambrosiana come bene arcivescovile. Nel XIII secolo membri della nobile famiglia Sessa ne furono investiti in qualità di castellani. La rocca, che per la sua posizione dominava il lago Maggiore, fu espugnata e demolita dagli Svizzeri nel 1513. Oggi ne rimangono solo alcuni resti, tra i quali alcune parti del muro di recinzione e un antico fossato di protezione. Nel luogo dove prima si innalzava il castello è presente una torre faro come monumento ai caduti di tutte le guerre. Da qualche anno è stato costruito il nuovo Parco della Rocca di Caldè che ha ristrutturato la prima parte della fornaci della Rocca di Travaglia. All'interno del parco è stata recuperata una cappella dedicata a San Genesio. Per raggiungere la rocca va seguito un sentiero che porta agevolmente sulla sommità ed è percorribile da chiunque in poco più di quindici minuti: il percorso è assai panoramico e premia ogni passo della salita con vedute sempre più ampie sul lago e sui monti circostanti. Il punto di partenza è S.Pietro, una frazione di Castelveccana situata più a nord: nella piazzetta adiacente alla chiesa è possibile parcheggiare l'automobile per poi proseguire a piedi. Costeggiando il fianco destro della chiesa di San Pietro si raggiunge la fine della strada Capitano Barassi: qui ha inizio il sentiero pedonale. Durante la passeggiata si incontrano alcune croci che, come l’obelisco finale, sono stati dedicate ai Caduti di tutte le guerre, il sentiero è altresì fiancheggiato da dimore signorili circondate da ampi giardini privati. Altri link suggeriti: http://www.comune.castelveccana.va.it/c012045/zf/index.php/servizi-aggiuntivi/index/index/idtesto/130, https://www.youtube.com/watch?v=yngHli5uS2s (video de Il Mondo dal drone), https://www.youtube.com/watch?v=kK-_Wm3_WWU (video di m15 alien), https://www.youtube.com/watch?v=8USjI8yY-gQ (video di Terra Acqua).

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Rocca_di_Cald%C3%A9, http://www.lagomaggiore.net/40/rocca-di-calde.htm

Foto: la prima è un fermo immagine del video https://www.youtube.com/watch?v=kK-_Wm3_WWU di m15alien, mentre la seconda è un fermo immagine del video https://www.youtube.com/watch?v=yngHli5uS2s de Il Mondo dal drone

venerdì 22 febbraio 2019

Il castello di venerdì 22 febbraio






BELMONTE SANNIO (IS) - Palazzo baronale Caracciolo e Torre Longobarda

Belmonte del Sannio è il “BELLIS MONS” dei Regesti Angioini. Monte di Bellezza o monte di guerra? Data la sua altitudine, ambo le ipotesi sono ammissibili: la prima per l’esteso e vario panorama che vi si gode della valle del Sente - il ripido fiume confinale tra l’Abruzzo ed il Molise e la seconda, perché il luogo doveva essere inespugnabile o quanto meno sicuro. Lo stemma del Comune – un leone dorato con una corona argentata, con la lettera “B” sul colle più alto, su tre colli verdi e con cielo azzurro, pare propendere per l’ipotesi bellica. Nei tempi Normanni e Svevi fu dominio dei Borrello. Dall’avvento della Monarchia Angioina in poi le vicende sono alquanto oscure. Dal secolo XIII - al XIV il feudo fu dei Cantelmo e dei Filangeri. All’inizio del XV secolo divenne feudo dei Sangro. Nel 1436 fu concessa a Giacomo Caldora. Nel 1443 Alfonso I d’Aragona assegnò Belmonte ai germani Marino, Tiberio, Galeazzo e Giovanni Caracciolo, ai quali venne riconfermata da Re Federico nel 1498. Belmonte fu tenuta in signoria dai Caracciolo fin’oltre la prima metà del secolo XVII, ed in tale arco di tempo venne da essi venduta a Carlo Tappia. Nel 1648 alla morte di questo titolare Belmonte tornò in possesso dei Caracciolo che la tennero in dominio fino all’abolizione della feudalità. Possiamo dedurre che un castello vi doveva essere e che il suo antico impianto sia nascosto all’interno dell’attuale palazzo baronale che occupa la parte più alta del paese. Un palazzo che ha perso molto del suo carattere originale e delle sovrapposizioni rinascimentali che oggi si vedono malamente sopravvivere tra infissi di alluminio che andrebbero sicuramente eliminati. A ciò si aggiunge che, per una damnatio memoriae, anche lo stemma della famiglia che lo trasformò radicalmente (probabilmente i Caracciolo) è stato abraso con cura sicché sul portale rimane uno scudo anonimo. Su una facciata secondaria, invece, sopravvive una pietra dall’incomprensibile blasone con un campo a due fasce, caricato di tre stelle, con l’epigrafe POST FATA RESURGO (Dopo la rovina risorgo). Il palazzo Caracciolo, dimora dei baroni Lemmis, oggi adibito ad abitazione privata, si sviluppa su tre livelli e conserva due portali in pietra sormontati dallo stemma.

La Torre Longobarda, dominante il versante di confine dell’Abruzzo, ricorda la torre di difesa del primo agglomerato urbano.

Fonti: https://www.fondoambiente.it/luoghi/belmonte-del-sannio?ldc, testo di Franco Valente suhttp://molise.francovalente.it/2011/10/belmonte-del-sannio/, http://www.laterra.org/old/CAM_edizioni/Cam_07/Cam_07_4tappa.htm

Foto: la prima, relativa alla torre longobarda, è presa da https://mapio.net/pic/p-5955228/; la seconda e la terza, relative al palazzo Caracciolo, sono prese risepttivamente da https://mapio.net/pic/p-14393499/ e da https://www.mondimedievali.net/castelli/Molise/isernia/belmontpal01.jpg

giovedì 21 febbraio 2019

Il castello di giovedì 21 febbraio




SICIGNANO DEGLI ALBURNI (SA) - Castello Giusso

Una prima attestazione documentaria di Sicignano risale al 1086 in un atto di donazione in cui si legge che il normanno Asclettino conte di Sicignano e signore di Polla, dona ai Benedettini dell’Abbazia della S.ma Trinità di Cava dei Tirreni il monastero, la chiesa parrocchiale e il casale di S.Pietro a Polla. Ad Asclettino successero Giacomo Teodoro, e Riccardo Marchiafava che perse Sicignano e i feudi limitrofi in seguito alla sua partecipazione alla congiura di Capaccio contro Federico II il quale fece avocare il castello alla Curia obbligando i comuni di Cosentino, Petina, Buccino, San Mauro, San Gregorio e Ricigliano a provvedere ad eventuali restauri. Nel 1250 e nel 1270, prima e dopo Riccardo Marchiafava, signore di Sicignano fu Giovanni Scillati, poi gli successero Guglielmo Porcellotto e nel 1271 Matteo d’Alena o d’Alagno il quale è ricordato per essersi appropriato indebitamente del casale dei Vignali di proprietà del monastero di Venosa, e per aver turbato il libero possesso dei mulini del monastero di S. Benedetto di Salerno, presenti sul territorio, impedendo ai contadini di macinare. Tali controversie vennero risolte grazie a Carlo II d’Angiò che intervenne con ben tre ordinanze. Per paura la popolazione iniziò ad abbandonare i casali per radunarsi in luoghi più sicuri come Sicignano e Terranova fondata nel 1419. Dal 1273 si successero Baldovino d’Alena, il figlio Giovanni e il nipote Pietro che perse il feudo che fu assegnato a Petraccione Caracciolo, e a tale famiglia restò fino alla metà del XVII secolo. Nel 1561 il feudo di Sicignano attraversò una fase di declino demografico e socio-economico dovuto alle carestie, alle ingenti tassazioni con le gabelle e al terremoto, che portarono il Comune ad indebitarsi fortemente. Nel 1729 il territorio venne diviso in due parti con l’istituzione del Comune di Galdo con incluso Castelluccio. La carestia del 1764 iniziò con la fine delle provviste del raccolto dell’anno precedente, e sfociò in furti e delitti: fatto eclatante fu l’uccisione a Zuppino di tre bambini da parte di un diciassettenne che se li mangiò. Gli effetti della rivoluzione francese in Italia furono molto forti. L’esercito francese, dopo aver conquistato tutto il Nord e Roma, arrivò anche a Napoli dove si instaurò un governo repubblicano, dall’orientamento filo-giacobino, che portò alla nascita della Repubblica Napoletana. Il Castello di Sicignano Degli Alburni, noto come Castello Giusso, ha origini longobarde in quanto fu fatto costruire durante i primi decenni dell’anno 1000 su commissione dei Principi di Salerno. Passò poi sotto il dominio dei Normanni come si evince da un atto di donazione datato 1086 in cui si fa riferimento al normanno Asclettino, conte di Sicignano Degli Alburni. Tra il 1300 e il 1400 venne completamente ricostruito. Ha una pianta poligonale irregolare dalla planimetria semicircolare nella parte che si affaccia su Galdo, un sistema di tre torri quadrate con beccatelli in sequenza ravvicinata che avevano sia una funzione di difesa “piombante” che di decoro. E proprio questa forma poligonale rendeva possibile una visione della valle sottostante, da tutti i lati. Ecco perché era detto il “Castello inespugnabile”. Tutto il borgo e il castello erano circondati da una cinta muraria, ancora integra alla fine del ‘600, con annesse sei porte, cinque delle quali denominate della Croce, di S.Nicola, del Castello, della Terra e porta Nova. Tutte caratteristiche che lo rendono unico nella provincia di Salerno. Inizialmente l’ingresso era collocato ad un’altezza di 8 o 9 metri, corrispondente ad un lato delle mura, e vi si accedeva tramite corda o scala retrattile. Presenti anche dei passaggi segreti. Nel 1806 in seguito all’invasione delle truppe francesi che distrussero Sicignano Degli Alburni, il castello subì molti danni, ma tutto fu ricostruito da Ferdinando IV. Per la sua storia rappresenta l’unico esempio di architettura Svevo-Normanna nella provincia di Salerno. Nel 1851 la struttura, con tutti i beni compresi nel territorio di Sicignano degli Alburni, venne acquistata da Luigi Giusso, da cui il nome Castello Giusso. Recentemente è stata ristrutturata la roccaforte. Si narra che due giovani innamorati volessero sposarsi, ma che la fanciulla si sia rifiutata di trascorrere la prima notte di nozze (Ius Primae Noctis) con il Signore locale. Per non subire questo ricatto si lanciò da una delle finestre del Castello Giusso. Ancora oggi, si dice che la sua anima voli nei cieli di Sicignano degli Alburni. Altri link consigliati: http://xoomer.virgilio.it/analfin/sicign5.htm, https://www.youtube.com/watch?v=8wRxStPe3HM (video con drone di Angelo), https://www.youtube.com/watch?v=cdpShnFnLIw (video di Latino Inedito), https://www.youtube.com/watch?v=RaTt7zEij8E (video di Francesco Todini), https://www.youtube.com/watch?v=fRxYzsy8p-Y (video di Vincenzo Tortorella), https://www.youtube.com/watch?v=5XuWbka_dpQ (video di viva sicignano).

Fonti: https://www.scoprisicignano.it/, http://incampania.com/location/castello-giusso-sicignano-degli-alburni/, http://www.michelesantarsiere.it/sicignano-degli-alburni/

Foto: la prima è presa da https://www.homify.it/progetti/54317/castello-medievale-giusso, mentre la seconda è di Felice Scala su https://magazine.geniuscamping.com/monti-alburni-in-camper-parte-2/. Infine, la terza è presa da http://incampania.com/location/castello-giusso-sicignano-degli-alburni/

mercoledì 20 febbraio 2019

Il castello di mercoledì 20 febbraio



LENOLA (LT) - Castello Baronale (a cura di Piero Labbadia)

Il castello baronale di Lenola è ubicato sulla parte più alta del centro storico di Lenola denominato “Terra Vecchia” o “ngoppa a terra” dal dialetto locale, sull'area dell' acropoli romana, e in adiacenza alla preesistente chiesa di San Giovanni Evangelista. La prima notizia del castrum Inule, inquadrato nella diocesi di Fondi, risale al 1072/73, quando fu donato dal duca di Fondi Littefredo all’abbazia di Montecassino. Nel 1149-1142 entrò a far parte della contea normanna di Fondi, concessa alla famiglia normanna dei dell’Aquila, e ne seguì le vicende passando sotto la signoria dei Caetani (secc. XIII-XV) poi dei Colonna (1494-1570) dei Gonzaga (1570-1591) e dei Carafa (1591-1689). La contea di Fondi devoluta al fisco per la morte di Nicola Carafa Guzman senza eredi, nel 1690 fu assegnata ai conti Mansfeld, che nel 1720 la vendettero alla famiglia di Sangro fino all’abolizione della feudalità (1). Due vicende in particolare ne segnarono la storia:
verso la fine del 1437 il castello venne affidato a Francesco Caetani di Maenza dal Cardinale Vitelleschi e fu occupato dalle milizie per sbarrare l'accesso verso Frosinone ad Alfonso d'Aragona che aveva invaso la marittima e si era mosso contro Sermoneta;
nel febbraio del 1438 il Caetani, inviò a Lenola il capitano di ventura Riccio di Montechiaro a proteggerla dall'avanzata delle milizie regie. L'edificio subì l'assedio da parte di queste ultime.
Probabilmente nel 1534 il castello ospitò la contessa Giulia Gonzaga in fuga dal corsaro turco Khayr al-Din detto in ambiente italico Ariademo detto Barbarossa che invase Fondi per rapirla e per farne dono al sultano Solimano II. Giulia Gonzaga la cui bellezza era nota in tutta Europa era sposa di Vespasiano Colonna, feudatario di Fondi e, durante la sua permanenza, aveva reso la corte di Fondi un piccolo ma raffinato circolo intellettuale, meta ambita per personaggi illustri, letterati e artisti tanto da valergli l'appellativo di “Piccola Atene d'Italia”. Il barone Manfredi, castellano della Rocca, messosi a capo di parte dei cittadini riuscì a disperderli. Non più utilizzata per la sua funzione di struttura difensiva e militare, già all’epoca dell’Apprezzo (1690) la struttura era affittata ad uso abitativo. Dal 1800 assunse prevalentemente la funzione di residenza patrizia che attualmente conserva e divenne proprietà della famiglia Boccia che ancora oggi ne è proprietaria. Il castello baronale che domina l’abitato “terra vecchia”, si impianta con molta probabilità intorno al IX secolo, con il conseguente incastellamento delle abitazioni che vengono cinte da una cinta muraria e da torri, ancora oggi in parte leggibile. Successivi rimaneggiamenti hanno alterato l'aspetto primitivo della rocca parzialmente assorbita dall'abitato, ma lo schema urbanistico conserva ancora la matrice originale concentrica intorno al nucleo dell’edificio. La conformazione del fabbricato risulta per successiva aggregazione di più corpi di fabbrica disposti intorno a un cortile a pianta triangolare a ridosso della torre centrale a base quadrata costituita da quattro piani coperti a volta (2). Il muro perimetrale del castello e il muro del terrazzamento si raccordavano alla torre semicircolare che è oggi assorbita dall’edificio comunale moderno costituendo il primo perimetro fortificato del Borgo (3). Il prospetto principale è caratterizzato dai portali di accesso ai diversi corpi di fabbrica nel basamento e da una fila di finestre con balconcino al piano nobile. La parte superiore del corpo di fabbrica è caratterizzato da un doppio ordine di arcate a formare dei loggiati (4). L’edificio è oggi di proprietà privata è adibito ad uso abitativo, quindi non aperto al pubblico.

1) Angeloni – Pesiri Apprezzo dello stato di Fondi fatto dalla Regia camera nell’anno 1690
2) Già l’Inventarium del 1491 evidenziava questa torre come la sua caratteristica principale: “(…) in castro Ynole (…) lo castello con li soy membri et hedeficii et una torre in medio terre Ynole (…)” (24 giugno 1491) inventarium 1491, p.111)
3)Virginia Bernardini “Lenola. Castello Boccia: la difesa del confine, in Rocche e castelli del Lazio cit., pp 64-67”
4)per una descrizione più completa vedi Bernardini, pp 64-67

BIBLIOGRAFIA
Virginia Bernardini “Lenola. Castello Boccia: la difesa del confine, in Rocche e castelli del Lazio cit., pp 64-67”
Angeloni – Pesiri Apprezzo dello stato di Fondi fatto dalla Regia camera nell’anno 1690
Francesco Antonio Notarianni “Viaggio per l’Ausonia” 1814
Giovanni Conte Colino “Storia di Fondi” 1901
Nazareno Terella “Lenola ed il Santuario del Colle” 1902
Giulio Domenichini “Storia e Cronistoria di Lenola e il Santuario del Colle. Dalle origini al nostro tempo.” 1998
Donatella di Biasio Giovanni Macaro Sandra Mazzucco “Per non dimenticare… Lenola…” 1999
Federica Savelli “I Caetani e la contea di Fondi tra XIV e XV secolo: la produzione artistica e le sue vicende conservative”

Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=5lIeIOileRM (video di Stefano Moschetti - minuto 3:18), https://www.latinamipiace.it/i-10-castelli-piu-belli-della-provincia-di-latina/?cn-reloaded=1

Foto: per gentile concessione di Piero Labbadia

martedì 19 febbraio 2019

Il castello di martedì 19 febbraio




COLICO (LC) - Torre di Fontanedo

Alle pendici del monte Legnone, lungo la sponda destra del torrente Inganna, su un poggio a circa 500 metri d’altitudine, sorgono i resti di un complesso fortificato noto come Torre di Fontanedo.
Si tratta di un piccolo borgo che segue l’orografia rocciosa del luogo ed è disposto su due livelli, una parte alta su cui si trova la torre e una parte più bassa, verso Colico, con una serie di edifici in linea. E’ ragionevole ipotizzare che, a partire dalle costruzioni fortificate originarie, si siano poi succeduti diversi interventi. L’analisi tipologica individua infatti una serie di murature che definiscono il perimetro di un recinto di fronte all’ingresso della torre, sul lato sud-ovest, a cui si sono poi susseguiti nei secoli aggiunte e potenziamenti. Sulla base della scarsa documentazione finora disponibile, sappiamo che questa imponente fortificazione fu edificata per volere di Bernabò Visconti nel 1357, sulla linea difensiva dell’Alto Lario che comprendeva anche le due torrette del Montecchio Nord. Tuttavia, l’impianto planimetrico, alcuni particolari architettonici e il posizionamento geografico ne collocherebbero l’origine in epoca precedente, attorno al secolo XII. Si legge in un documento: “(I Milanesi) furono sforzati fortificare in Colico il Monteggio (Montecchio Nord, dove esistono ancora le due torrette medievali) ed il passo di Fontanedo con torri ed altre fortezze”. La fortificazione svolgeva il compito di controllo dell’antica strada a mezza costa del monte Legnone, che collegava la Valvarrone alla Valtellina (l’antica Scalottola ora nota come “Sentiero del Viandante”, che passa alla base dello sperone, in località Robustello), e mantenne la sua importanza strategica nei secoli successivi, quando venne ampliata e inglobata nel sistema difensivo del Forte di Fuentes (https://castelliere.blogspot.com/2018/11/il-castello-di-martedi-27-novembre.html), divenendone l’opera accessoria più elevata. Ragguardevole doveva essere la guarnigione che presidiava la fortificazione in epoca spagnola, a giudicare dalle dimensioni dei fabbricati per l'alloggiamento delle truppe, dai magazzini e dalle stalle. La tipologia di alcune murature conferma la datazione secentesca della costruzione. Il torrione è circondato e da edifici di supporto, ora abbandonati e diruti. Il borgo comprendeva anche una cappella da cui è stato staccato un affresco raffgurante la Madonna col Bambino, probabilmente risalente al XV secolo, attualmente conservato nella chiesa dei Santi Angeli Custodi a Curcio. La torre ha una pianta pressoché quadrata di circa 7,50 metri per lato e presenta, per motivi difensivi, un ingresso solo al primo piano (accessibile solo grazie ad una scala di legno che poteva essere ritirata all'occorrenza) con numerose feritoie disposte lungo le possenti mura. Ha la tipica struttura degli edifici difensivi medievali (es. Torri di Mello, Chiuro, Teglio). Nonostante sia stata leggermente abbassata durante un intervento di messa in sicurezza e consolidamento effettuato all’inizio degli anni ’80, con i suoi 15 metri d’altezza, la torre domina ancora oggi tutto l’alto lago e il vicino Pian di Spagna. La struttura interna dell'edificio era pure in legno: rimane visibile lungo il perimetro interno dei muri la mensola su cui si appoggiava l'impiantito. Il pianoro antistante offre infatti un vasto panorama, purtroppo in parte rovinato dalla presenza di una linea di alta tensione, che ripaga lo sforzo della breve salita. Il borgo fortificato era collegato all’abitato di Fontanedo, che si trova poco più a monte in prossimità della sponda, e a Colico, da diverse mulattiere. Oggi la fortificazione è inserita in una rete di sentieri ben segnalati e facilmente accessibili tra cui il noto Anello di Fontanedo del CAI di Colico che tra l’altro collega la torre con la vicina chiesa di Sant’Elena situata a quota 600 metri.Ai piedi dello sperone roccioso su cui sorge il borgo, in località Robustello, passa inoltre il tracciato dell’antica via oggi conosciuta come Sentiero del Viandante, un percorso molto frequentato che richiama ogni anno migliaia di escursionisti. Il toponimo Fontanedo deriva dalle abbondanti sorgenti di acqua fresca, ormai in gran parte perdute, che scendendo a valle originavano la roggia molinara che per quasi un millennio ha alimentato i mulini idraulici di Villatico. Altri link suggeriti: http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/RL560-00142/, http://www.montagnavissuta.it/viandante-fontanedo.htm, https://www.youtube.com/watch?v=38SWP3JTl9Q (video di Guder Productions Team), https://www.youtube.com/watch?v=RIeAL_sYzSs (video di Cinzia Bettiga), https://www.youtube.com/watch?v=Ye-MuntL0qc (video di Terra Acqua).

Fonti: testo di E. Fatterelli su http://prolocolario.it/index.php/2013/04/colico-torre-di-fontanedo/, http://www.turismocolico.it/jhome/mnu-luoghi-e-monumenti/mnu-torre-di-fontanedo.html

Foto: la prima è presa da http://resegoneonline.it/articoli/da-dervio-a-colico-passeggiando-sul-sentiero-del-viandante-20170612/, la seconda è presa da http://www.leccotoday.it/eventi/viandante-colico-fontanedo.html

lunedì 18 febbraio 2019

Il castello di lunedì 18 febbraio




MONTERIGGIONI (SI) - Castiglionalto in frazione Castellina Scalo

Nella zona meridionale dell'abitato di Castellina Scalo si possono trovare i resti del complesso castellano di Castiglionalto, un tempo detto Castiglion Ghinibaldi, in quanto fu possesso nel XIII secolo di Ghinibaldo dei Saracini, marito di donna Sapìa Salvani, ricordata da Dante Alighieri nel tredicesimo canto del Purgatorio. Almeno dall'XI secolo esisteva qui un castello con corte dei Lambardi, che sorvegliava la vicina via Francigena. Passato ai vescovi di Siena e poi ai monaci di Abbadia a Isola nel corso del XII secolo, fu distrutto dai fiorentini nel 1158 e riedificato nel 1265 con annesso ospedale per i pellegrini da Ghinibaldo dei Saracini. L'ospedale fu eretto con l'appoggio del pontefice Clemente IV, e la sua prima pietra fu posta nel 1265 dal vescovo di Volterra. Da qui la moglie di Ghinibaldo, Sapìa, avrebbe osservato la sconfitta dei suoi concittadini durante la battaglia di Colle di Val d'Elsa. Il Saracini aveva diritti signorili sul castello, e ne riceveva grandi profitti di mercatura, reinvestiti nell'acquisto di numerosi poderi circostanti. Dopo la morte di Ghinibaldo, i suoi fratelli Niccolò, Nuccio e Cino, nel 1269, rinunziarono le loro ragioni su Castiglion Ghinibaldi alla vedova donna Sapia, la quale nell'anno stesso insieme con donna Diambra, Raniera e Baldesca eredi di Ghinibaldo Saracini cedettero il detto castello al Com. di Siena, per di cui conto fu inviato costà nel 1271 un giusdicente dipendente dal Podestà di Siena nel tempo che l' ospedale Ghinibaldi fu messo sotto la protezione del grande ospedale della Scala di Siena. (ARCH.DIPL.SENES. CONS. della Campana, e dello SPED. della SCALA di SIENA.). Che Castiglionalto fosse un castello circondato di mura con antiporto lo dichiarano due pergamene della badia all'Isola. Una è un strumento del 18 dicembre 1430 fatto nell'antiporto di Castiglion Ghinibaldi, mentre l'altra è un breve del pont. Eugenio IV del 29 ottobre 1446, il quale accorda all'abate dell'Isola la riunione della cura di S. Ruffiniano fuori le mura del castello di Castiglion Ghinibaldi. L'edificio oggi si compone di elementi di varie epoche, con una prevalenza dei caratteri quattrocenteschi. Il complesso, in posizione rialzata su un colle (m 236) da cui si vede Monteriggioni, è circondato da una possente muraglia con bastioni cilindrici angolari, un articolato cortile centrale su cui si affacciano loggiati e i vani scale. Non lontano dal castello, si trova isolata una cappella cinque-seicentesca. Altro link suggerito: http://www.architettodurante.com/architettura/restauro/141-2010-castiglionalto-monteriggioni-si.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castellina_Scalo, https://it.wikipedia.org/wiki/Castiglionalto, http://ptc.provincia.siena.it/ptc_atlanti/Atlanti/pdf/9052016/9052016007.pdf

Foto: la prima è di robinguido su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/297931/view, la seconda è di Bruno Bruchi su http://www.monteriggioniturismo.it/it/cosa-vedere/castiglion-ghinibaldi/

venerdì 15 febbraio 2019

Il castello di venerdì 15 febbraio




CARISIO (VC) - Castello in frazione Nebbione

La località di Nebbione nel Medioevo fu feudo degli Avogadro di Carisio, un ramo dei quali ne prese il nome. Essi nel 1404 si sottomisero ai Savoia: nel 1568 il feudo fu alienato alla famiglia Caresana. Del castello, attestato sin dal 1100, restano rilevanti strutture. La costruzione è costituita da due parti totalmente differenti tra di loro: un fabbricato risale all’epoca barocca ed è essenzialmente una residenza patrizia di campagna; al di là di un cortile un altro fabbricato ha origini più antiche, come è provato da una torricella, dai resti del fossato, dalle tracce del vecchio ponte levatoio e dalle mura scarpate. Di preciso non si sa molto ma un tunnel, che partirebbe dal castello di Vettignè, dovrebbe raggiungere il castello di Nebbione, oppure quello di Carisio.

Fonti: http://archeocarta.org/carisio-vc-resti-medievali/, http://web.tiscali.it/teses/places/vc/nebbione.html

Foto: la prima è presa da http://www.mondimedievali.net/castelli/piemonte/vercelli/nebb01.jpg, la seconda è presa da http://www.mondimedievali.net/castelli/piemonte/vercelli/nebb02.jpg (a sua volta di R. Malerba presa da www.academia.edu

giovedì 14 febbraio 2019

Il castello di giovedì 14 febbraio



SERRAPETRONA (MC) - Castello Da Varano

Serrapetrona è situata a 500 mt. sul livello del mare, fra verdi colline che si elevano fino a 1000 mt. Essa racchiude vestigia fin dall’alto medioevo (il termine stesso “Serra”, di origine longobarda, indica un abitato fortificato con funzioni di sbarramento a difesa dell’inizio di una valle “Petrona” di pietra). Secondo la tradizione riportata in antichi documenti, Serrapetrona avrebbe avuto il suo nome da un certo Petronio, ricco e valoroso cittadino romano, qui rifugiato per sfuggire a persecuzioni. Le sue origini, tuttavia, sono ancora più antiche; infatti, nel suo territorio, sono state ritrovate tracce di insediamenti che risalgono alle epoche paleo e neolitica. Difendono Serrapetrona due cinte murarie medievali con quattro massicce porte. Fin dai primi anni del ‘200 il paese era tutto stretto attorno alla chiesa di San Clemente e al palazzo pubblico già sede del feudatario. Fu aggregata come libero comune al distretto di Camerino dalle autorità papali nel 1240 durante la lotta tra guelfi e ghibellini,e ne divenne poi parte integrante della Signoria. Di quell’epoca resta il ricco patrimonio di pergamene del comune, e opere pittoriche di Lorenzo D’Alessandro. La vita politica e sociale dei suoi abitanti fu quindi regolata dagli statuti dei quali ammiriamo l'unica raccolta esistente del 1473, gelosamente custodita nell'Archivio comunale. E' chiaro che sotto il dominio del Comune di Camerino, ma specialmente più tardi con la signoria dei Da Varano, le magistrature di Serrapetrona, pur conservando le vecchie denominazioni, subirono riduzioni di potere, come avvenne anche per gli altri piccoli comuni, già antiche pievi (Feliciangeli), dotati di statuti propri ed assegnati a Camerino con giurisdizione vicariale per cui ebbero la definizione di terre raccomandate. Su di esse infatti pendeva la rivendicazione del Rettore della Marca perché non propriamente considerate pertinenti a Camerino, ma piuttosto terre confinarie del medesimo, che mantennero spirito autonomistico mai spento, semmai sminuito dal podestà o vicario che la città o i Da Varano vi nominavano. Le caratteristiche di queste terre raccomandate sono definite in un documento notarile del 6 gennaio 1362 così traducibile: "Stabiliamo ed ordiniamo che gli uomini dei castelli di S. Anatolia, di Serra e di Sefro e degli altri luoghi raccomandati del distretto non osino eleggere o chiamare alcuno a loro podestà, vicario, rettore, giudice o notaio da altra città all'infuori di Camerino o dei borghi della città; e il podestà, il capitano, come i signori Priori della città di Camerino, siano tenuti a chiedere ed ordinare per lettera che i comuni e gli uomini della terra di S. Anatolia e degli altri luoghi suddetti osservino le dette disposizioni". Con l'ascesa al potere della signoria dei Varano, dopo la distruzione di Camerino guelfa nel 1259, ad opera delle truppe di Federico II, Serra e numerosi altri castelli entrarono a far parte dei loro possedimenti. Per trecento anni quindi condivisero nel bene e nel male tutte le vicende di quel turbolento periodo storico. Poi passarono definitivamente alle dirette dipendenze della sede apostolica fino al 1861. Dall'arduo culmine (m. 494) di uno sperone roccioso del monte, che dalla sua conformazione prende il nome Schiena, contrafforte in direzione NE del monte Letegge, precipita lungo il E-SE un ventaglio di abitazioni che via via si allarga a gradinate e terrazze sorrette da robuste muraglie. Poderosa fortezza a guardia minacciosa delle due valli che si incontrano ai piedi del caseggiato: quella che scende tra i Prati e la Costa, solcata dal rio Caburro, e l'altra del Cesolone rumoreggiante lontano nella profondissima tortuosa forra. Due cinte di mura, ad emiciclo quella più in basso, di epoca medievale segnano il perimetro delle due terrazze più alte appoggiate in parte sulla nuda roccia a filoni grigi inclinati trasversalmente. La muraglia che cinge più da vicino l'antico castello conserva una massiccia porta ad angolo con un arco ogivale a monte, a tutto sesto quello a valle, attraversata da gradoni consunti. Anticamente sosteneva una poderosa torre merlata di avvistamento e difesa. La seconda cinta conserva anch'essa una modesta porta arcuata. Entro le due cerchie, segno del graduale dilatarsi della popolazione dal piccolo nucleo originario all'ombra del maniero feudale, si aprivano quattro porte denominate Castello, Farina, Calma, Morico; da esse scendevano 4 strade da, nomi ancora in uso: del castello, San Francesco, del Serrone, Capolarave. Quattro erano anche le fontane di acqua sorgiva: di S. Maria, quella ancora in fondo alla piazza, delle Conce, della Vena, di Saletta, che prendevano il nome dalle quattro contrade, o rioni, in cui era suddiviso il paese, e che portarono anche i nomi di Pianello, Valle, Portale, Castello. Gli Statuti accennano anche una divisione in terzieri. Già sulla fine del '200, ma certamente ai primi del '300, le abitazioni avevano sciamato fuori delle cinte murarie. Da un atto di vendita del 28 dicembre 1346 si ricava infatti l'esistenza del Borgo della Valle, del quale costituiscono testimonianza non poche comici di porte e finestre di mattoni centinate, caratteristiche di quel secolo. L'abitato scendeva dunque allargandosi verso l'antica chiesina-edicola oggi ampliata in S. Maria di Borgo, esistente fin dal '200, come dimostra l'originaria porticina architravata su mensole a sinistra del portale cinquecentesco della nuova chiesa. La posizione di Serrapetrona risulta nell'insieme delle più privilegiate: protetta a nord dalle propaggini del M. Colleluce e tutta protesa al sole a levante e a mezzogiorno. Entro la cinta muraria più alta, scandita da poderosi torrioni che dobbiamo immaginare merlati, erano i simboli delle libertà comunali che avevano preso il posto della più antica residenza feudale: il palazzo pubblico, pur'esso turrito, e la chiesa di S. Clemente, il santo protettore chiamato dagli Statuti difensore e capo del castello di Serra. Dell'uno e dell'altra restano notevoli vestigia incorporate nella proprietà della famiglia Peda. Entriamo nel palazzo comunale attraverso un portale cuspidato a conci di calcare. Il vano abbastanza ampio dovette essere l'antica sala del Consiglio: sulla parete dirimpetto all'entrata, tra le due finestre, sono dipinti in affresco dal carattere cinquecentesco e di un modesto artista una Madonna in trono col Bambino, a sinistra S. Clemente ed un santo vescovo, a destra S. Martino di Tours a cavallo (m. 1,70x3). Al di sotto corre una didascalia con forse i nomi dei soggetti, ormai illeggibile. Pensiamo trasferito qui da altrove ed in tarda epoca il bellissimo portale classico di marmo architravato all'ingresso della parte inferiore del palazzo, affiancato da due colonne con capitelli a fogliame di acanto e stilobati lavorati a scalpello. La soglia è monolitica. Adiacente al palazzo pubblico era l'antica chiesa di S. Clemente a unica navata orientata. Il vano a cielo aperto ha l'abside come una grande nicchia semicircolare a ponente. Una piccola nicchia (il battistero?) si apre a destra dell'ingresso con residui di affreschi del tardo '500 analoghi a quelli della sala consiliare: al centro il Battesimo di Gesù, ai lati sono riconoscibili i SS. Venanzio, Ansovino e Clemente. Sulla sinistra dell'altare un'edicola rivestita di arenaria destinata forse agli olii santi e alle reliquie. Nella parte superiore dell'abside è ancora una nicchia con cornice di pietra e sul fondo i resti di una Crocifissione dipinta ad affresco, coeva e di qualità analoga a quelli già ricordati. L'arciprete Senesi nella sua descrizione del 1726 ricorda tre altari ed altri dipinti oggi perduti. Oggi l'antico castello è un rudere solitario. Il Servanzi Collio nel 1884 vi contò dodici famiglie. Non abbiamo nulla in contrario per collocare le strutture esterne della parte originaria del castello circa l' XI secolo. Ci mancano tuttavia notizie sul periodo feudale e sulla famiglia che ebbe in feudo Serrapetrona, sia essa da identificare con quel Petronio e suoi discendenti (ricordiamo però che il loro nome appare unito a quello del castello solo nel 1240), sia piuttosto che si debba considerare la medesima famiglia continuata per discendenza di sangue, o comunque per successione dinastica, dai conti Del Chiostro di Statte, castello situato sul declivio meridionale del monte Letegge. A questa famiglia feudale appartenevano un Enrico ed un Gentile, appunto detti di Statte, che compaiono testimoni in atti notarili del 1198 e del 1201. Dei figli di Monaldo di Statte sappiamo che possedevano beni nei pressi di Carpignano, nel bacino del Cesolone, dalla sentenza arbitrale che il vescovo di Camerino Atto pronunciò nel 1218 per dirimere una contesa tra Tolentino e San Severino. Questo possesso di terre a nord di Statte il Feliciangeli giudica indizio di signoria feudale e ricorda come il castello di Statte nel 1212 fu venduto da Rodolfo e Giovanni, presumibilmente della famiglia Da Varano, a un cittadino camerinese, Bonifazio di Corrado dei nobili del Chiostro, con la cessione della piena giurisdizione stendentesi all'ampio circuito del Monte Letegge, cioè da Statte a Serrapetrona, a Borgiano e al Chienti. L'insigne storico camerinese non esclude che i Del Chiostro fossero un ramo collaterale dei signori della Rocca di Varano che da quel Bonifazio prese il patronimico di Bonifazi. Altri link suggeriti: http://www.beniculturali.marche.it/Ricerca.aspx?ids=68027, http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/geo/043051/page/2, http://bbsanpaterniano.blogspot.com/2015/02/da-cingoli-serrapetrona-from-cingoli-in.html (altra foto)

Fonti: http://turismo.comune.serrapetrona.mc.it/alla-scoperta-del-comune/conoscere/, http://turismo.comune.serrapetrona.mc.it/alla-scoperta-del-comune/la-storia/, http://www.tuttoserrapetrona.it/citta/storia.asp?p=citta&s=storia, http://www.tuttoserrapetrona.it/citta/arte/il-castello.asp?p=citta&s=arte

Foto: la prima è una foto di cui non ricordo l'origine ma che conservavo nel mio archivio (se qualcuno la riconosce come sua citerò il suo nominativo senza alcun problema...), la seconda è presa da http://www.themarcheexperience.com/2017/11/a-serrapetrona-mc-nella-terra-della.html

mercoledì 13 febbraio 2019

Il castello di mercoledì 13 febbraio




GIULIANA (PA) - Castello di Federico II

Fino al 1185, sul monte dov'è adesso il paese, sorgeva un casale, che apparteneva alla «gens Julia» (da qui il nome). Proprio quell'anno l'imperatore Guglielmo il Buono lo cedette, insieme ad altri casali, al vescovo di Monreale. La sua identità urbanistica, invece, si sviluppò a partire dal XIV secolo, quando Giuliana fu prima dei Ventimiglia e poi dei Peralta. Nel 1543, l'imperatore Carlo V elevò la cittadina al grado di marchesato. Nel 1640 il paese passò dai Cordona ai Gioeni, fino al 1812, quando venne abolito il sistema feudale. Proprio con la rievocazione storica dello «Status Julianae», avvenuta il 3 agosto 1997, l'intera comunità giulianese ha provato a riappropriarsi della sua memoria, facendo rivivere la solenne cerimonia che, nel 1543, l'elevò da Contea a Marchesato. «Paradigma della manifestazione - dice lo storico giulianese Antonino Giuseppe Marchese - è stato senz'altro il castello federiciano, appena finito di restaurare, seppure parzialmente, dalla Soprintendenza ai beni Culturali ed Ambientali di Palermo, nell'ambito degli interventi in favore dei monumenti svevi, o ad essi correlati, operati dalla Regione Siciliana in occasione dell'ottavo centenario della nascita di Federico II di Svevia (1194-1994)». Era stato inaugurato il 29 giugno 1997, "a cantiere aperto", questo singolare monumento dell'area corleonese, che Federico II volle per il suo alto valore strategico. La città, infatti, posta nell'estrema parte meridionale della provincia di Palermo, rappresentava - col suo castello svettante sulla Rocca - un ottimo osservatorio per dominare l'ampia vallata fino al mare della costa agrigentina. Non è solo il castello, ma l'intero centro storico che fa ancora rivivere l'epoca normanno-sveva. Dopo aver perso la sua funzione militare, il castello di Giuliana divenne residenza dei signori che si susseguirono nel dominio del feudo, quali i Peralta, De Luna, Cardona e i Colonna di Paliano. Il Castello di Giuliana si erge a 736 m. sul livello del mare; un lato si affaccia sulla vallata del fiume Sosio; l’altro con la torre, si volge verso il centro abitato, in asse con la strada che collega il castello alla chiesa madre del paese. La fortezza federiciana di Giuliana, in stile gotico, presenta una forma irregolarmente trapezoidale ed è costituita da due corpi di fabbrica rettangolari che si uniscono ad angolo ottuso rafforzato da un torrione a base pentagonale. Il corpo di fabbrica sottostante di forma semicircolare (ricalca fedelmente l’andamento dei muri esterni, posti a difesa della fortezza), invece, dovette essere edificato nel Seicento per ospitare un convento di monaci olivetani, dipendenti dalla vicina abbazia di Santa Maria del Bosco. La pianta della torre pentagonale è quasi un unicum in Sicilia e ha un parallelo solo nel Castello federiciano di Augusta. Si accede al castello da un atrio rettangolare con un arco a sesto ribassato,costruito con conci tufacei posti di taglio. Dall’atrio si accede al salone principale che comunica con altri vani, in uno di questi sul pavimento si trova un’apertura (buca della salvezza) che mediante un cunicolo sotterraneo forse arrivava fino a valle del fiume Malottempo (leggenda ?!?!?). Al centro dell’impianto si erge la torre a pianta pentagonale che fa da cerniera alla composizione architettonica dell’edificio e probabilmente costituì il nucleo originario della costruzione al quale, in un momento poco successivo, si addossarono le due ali a pianta rettangolare. La torre, ha tre elevazioni, possiede la forma planimetrica di un pentagono regolare, ed ha un’ altezza di metri 18,80 e lati di metri 7,20. Le mura hanno uno spessore di 2 metri e sono realizzate a doppio paramento con conci di calcare bianco, disposti con una certa regolarità e con un riempimento centrale di pietra e malta (acqua e sabbia), gli spigoli del mastio sono rifiniti con conci di arenaria e le cornici delle finestre e delle feritoie con conci tufacei, che formano un motivo ornamentale. Nel muro ovest della torre si trova una caditoia a protezione dell’ingresso. Tutti i vani presentano coperture a volte ogivali formati da conci tufacei posti di taglio; analogamente i vari portali che comunicano i vani interni. Nel muro ovest della torre vi si trovano monofore con sagoma poligonale. In alcuni vani nello spessore dei muri sono ricavate delle cellette e una riporta una iscrizione graffita di due carcerati datata 1591. Dalla terrazza, cui si accede mediante una scala di costruzione posticcia ricavata nello spessore del muro di destra dell'atrio, il panorama che si riesce a dominare è di grande suggestione e spazia in tutte le direzioni: a sud all’orizzonte si vede il mare, a est il vicino centro di Chiusa Sclafani e a nord l’abitato di Giuliana con la chiesa Madre in asse con il mastio pentagonale. A sud dell’edificio una terrazza si affaccia a strapiombo sulla valle del fiume Sosio. Già a partire dal periodo aragonese il castello aveva mutato la sua originale funzione militare divenendo residenziale. La struttura si è mantenuta pressoché integra nel tempo fino ai primi del ’900 quando, per evitare il crollo, la torre fu privata della parte superiore e della merlatura senza porre rimedio al progressivo deterioramento dovuto alla incuria dei secoli precedenti; solo recentemente la Soprintendenza ai Beni Culturali di Palermo ha provveduto al consolidamento statico delle parti rendendo agibili e fruibili anche i piani superiori della torre. Il restauro è stato ultimato e adesso il Castello di Federico II si presenta in tutta la sua spettacolare bellezza. Altri link suggeriti: https://www.unionevalledelsosio.it/giuliana_castello.html, https://www.youtube.com/watch?v=5-aKhAmDimU (video di Lillo Virone), https://www.youtube.com/watch?v=3InlWjLhYrs (video di Regnodelledue sicilieeu).

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Giuliana, https://www.icastelli.it/it/sicilia/palermo/giuliana/castello-di-giuliana, http://www.comune.giuliana.pa.it/giuliana/zf/index.php/musei-monumenti/index/dettaglio-museo/museo/1, https://www.vivasicilia.com/itinerari-viaggi-vacanze-sicilia/castelli-in-sicilia/castello-di-federico-ii-giuliana

Foto: la prima è presa da https://www.fondoambiente.it/luoghi/castello-di-federico-ii-giuliana?ldc, la seconda è presa da http://www.comune.giuliana.pa.it/zf/index.php/storia-comune

martedì 12 febbraio 2019

Il castello di martedì 12 febbraio




CASTELLARANO (RE) - Castello di Gavardo

Il castello fu venduto nel 1364 da Neri da Roteglia a Feltrino Gonzaga. Nel 1421 venne ceduto dal Duca di Milano Filippo Maria Visconti a Nicolò III d'Este, il quale lo affidò nel 1432 a Jacopo Gilioli. Nel 1445 fu concesso alla famiglia Sacrati di Ferrara con il Feudo di S. Valentino, cui appartenne fino alla fine del Settecento. Il Ricci ne riporta la popolazione, alla fine del XVIII secolo, in 221 abitanti. La chiesa di S. Martino di Gavardo o Meleno è riportata nell'elenco delle Decime del 1302 come dipendente della Pieve di S. Eleocadio, cessando il culto alla metà del Seicento. Nella località si trovava anche un oratorio dedicato a S. Francesco diroccato nel XVII secolo. Attualmente rimangono alcune rovine del castello e, nel borgo, una casa-torre di modesta fattura, adibita ad usi rurali, in parte rimaneggiata, forse riferibile al XVII secolo. Altri link suggeriti: http://geo.regione.emilia-romagna.it/schede/castelli/index.jsp?id=3422, http://www.comune.castellarano.re.it/Sezione.jsp?idSezione=59&idSezioneRif=397

Fonti: http://www.4000luoghi.re.it/luoghi/castellarano/gavardo.aspx

Foto: le prime due sono di Nigel Voak su https://nigelvoak.blogspot.com/2012/01/, mentre la terza è di Roberto Federici sulla pagina Facebook "Castelli rocche e fortezze...." https://www.facebook.com/groups/560443220713249/

lunedì 11 febbraio 2019

Il castello di lunedì 11 febbraio




MEDOLE (MN) - Castello Gonzaga

La torre scudata è la più imponente costruzione militare integra, rimasta dell'antico castello di Medole, presumibilmente costruito verso la metà del X secolo, durante il periodo dell'anarchia feudale, allo scopo di difendere l'abitato dalle incursioni degli Ungari. Il primo documento che lo cita è un atto di donazione del Conte Bonifacio di Verona, del 1020. All'epoca il castello comprendeva gli alloggi degli armigeri, dei funzionari e delle loro famiglie, le scuderie, la cappella dei santi Fedele e Giusto, il torrione circolare nell'angolo sud-est, oltre alle abitazioni dei villani, poste in centro su due schiere parallele. A difendere la cinta muraria il fossato perimetrale esterno che offriva unico accesso mediante il ponte levatoio posizionato nella rocca centrale al lato nord, ora torre civica. Successivamente, come riportato da una bolla di Papa Alessandro II del 1072, si apprende che il castello era divenuto proprietà del conte Uberto di Parma, cugino della grancontessa Matilde di Canossa, il quale nel 1090 donò la cappella interna dedicata a San Giusto ai Benedettini clunacensi del Polirone. Durante la lotta tra papato e impero dell'era Federiciana, il castello fu una delle roccaforti dell'alleato imperiale Ezzelino da Romano. È di quell'epoca il nuovo quartiere militare esterno", prospiciente il ponte levatoio, nelle cui mura perimetrali sono tuttora leggibili le forme primigenie con merlatura ghibellina. Dopo la sconfitta di Ezzelino, nella Battaglia di Cassano d'Adda del 1259, il castello di Medole passò rapidamente sotto vari domini, seguendo le alterne vicende che caratterizzarono il nord Italia nel bellicoso periodo tra la seconda metà del XIII secolo e la fine del XIV. Fu dominio dei Visconti, scalzati dagli Scaligeri e poi nuovamente dei Visconti, forse intervallati da un breve protettorato della Repubblica di Venezia. Agli albori del XV secolo, il castello e il territorio di Medole vennero ceduti dai Visconti ai Gonzaga, probabilmente in ricompensa all'appoggio ricevuto nella Battaglia di Casalecchio e degli altri servigi resi dall'alleato mantovano. L'atto di cessione tra la duchessa di Milano Caterina Visconti, vedova di Gian Galeazzo, e il capitano di ventura Francesco Gonzaga fu perfezionato nel 1404. Il casato dei Gonzaga, decise di ristrutturare il castello di Medole, all'inizio del XVI secolo, rinforzando le mura e costruendo l'avancorpo della torre con l'adiacente ampliamento del quartiere militare, sul cui ingresso è ancora visibile l'arme gentilizio del conte Evangelista Melone, probabile stretto parente del più celebre condottiero cremonese Antonio Melone, ingegnere militare e colonnello al servizio di Ferrante Gonzaga, al tempo viceré in Sicilia di Carlo V. Fu nella rocca così fortificata e ristrutturata che, il 28 giugno 1543, l'imperatore Carlo V incontrò il fidato Ferrante Gonzaga, il cardinale Ercole Gonzaga e Margherita Paleologa, per legittimare al figlio di quest'ultima, il decenne Francesco, la duplice investitura nei titoli di Duca di Mantova e Marchese del Monferrato, oltre a statuire le sue future nozze con Caterina, nipote dell'imperatore, confermando quanto era stato concordato con la famiglia Gonzaga durante le trattative dei giorni precedenti, svoltesi nel Castello di Canneto sull'Oglio. Nel 1629 le mura del castello di Medole offrirono un provvidenziale riparo alla cittadinanza durante la calata dei 36.000 Lanzichenecchi, inviati all'assedio di Mantova, senza tuttavia poter fermare il contagio della peste, portata dalle truppe di Albrecht von Wallenstein, che l'anno successivo decimò la popolazione. Durante la prima fase Guerra di successione spagnola, tra il finire del XVII secolo e l'inizio del XVIII, il castello di Medole fu vicendevolmente occupato sia dalle truppe imperiali, sia dagli avversari gallispani, con i quali l'ultimo duca di Mantova Ferdinando Carlo si era imprudentemente alleato. Nel 1706 la fortezza venne occupata, in rapida successione, dal principe Federico d'Assia-Cassel, futuro Re di Svezia, e dal Conte Médavy, le cui truppe si diedero battaglia nella piana di Medole, l'8 settembre di quello stesso anno. In seguito alla destituzione del duca Ferdinando Carlo, decisa dalla Dieta imperiale di Ratisbona, i territori del ducato di Mantova e del marchesato del Monferrato furono separati, gli uni assorbiti dall'Impero austriaco e i secondi conferiti al Ducato di Savoia con il Trattato di Utrecht del 1713. Dato il nuovo assetto politico, che aveva stabilmente inserito Medole nei territori imperiali, venne meno l'utilità difensiva della guarnigione e delle mura del castello che, nel corso del XVIII secolo, furono parzialmente demolite e sostituite da costruzioni civili, poggianti sulla porzione inferiore delle mura stesse. Anche l'avancorpo della torre fu modificato ad "uso civile", ingentilendolo con un frontale tardo barocco ed eliminando il ponte levatoio, sostituito con un ponte in muratura, in modo da dare libero accesso, pedonale e carrabile, alla piccola piazza d'armi, ora piazza Castello. A sostituire la meridiana sulla rocca, fu inserito un orologio meccanico. Nella seconda metà del XIX secolo la sconsacrata e pericolante cappella del castello venne demolita e al suo posto fu costruito un piccolo teatro privato, edificato a spese delle locali famiglie nobili o notabili. Tale costruzione fu demolita nel 1946 per dare spazio al più ampio teatro comunale che ora comprende anche la zona del torrione sud-est, utilizzandolo come fondamenta. L'ultimo tratto del fossato perimetrale fu interrato nel 1911, al fine di consentire la costruzione delle scuole pubbliche. Nella prima metà degli anni ottanta, l'Amministrazione comunale operò un importante restauro conservativo delle strutture della torre, dell'avantorre e dell'annesso quartiere, ricavandone un complesso multifunzionale, denominato Torre civica, ora destinato ad area espositiva per la civica raccolta d'arte, oltre alla sala convegni e mostre. Davvero sorprendente è la sopravvivenza dell'antico nucleo abitativo a doppia schiera interno al castello che, costantemente abitato e progressivamente manutenuto, è giunto fino ai nostri giorni nello stesso impianto e con le millenarie strutture murarie d'origine. L'assetto edilizio del castello si presenta con un recinto murario poggiato su un dosso e difeso da almeno due torri, una di forma circolare ancora parzialmente visibile nel giardino retrostante il tetro comunale, e l’altra quella di accesso al castello composta per buona parte da soli tre setti murari, successivamente dotata di un l'elegante avancorpo settecentesco. Il castello, che in planimetria ha una forma a quarto di cerchio, affaccia il suo accesso a nord verso il centro abitato, ed era fino ai primi anni del ‘900, come già detto, circondato da un fossato.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Medole, https://medoledavedere.jimdo.com/arte-e-cultura/il-castello-la-torre-civica/

Foto: la prima è presa da https://medoledavedere.jimdo.com/arte-e-cultura/il-castello-la-torre-civica/, la seconda è presa da https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Medole#/media/File:Medole-Quartiere.jpg. Infine, la terza (che mostra in basso la conformazione dell'antico castello) è presa da https://www.e20oggi.it/eventi-fiere-feste-e-sagre-oggi/castelli-medole-musica-celtica/

venerdì 8 febbraio 2019

Il castello di venerdì 8 febbraio



ROCCASCALEGNA (CH) - Castello

E' una struttura difensiva posta sulla cima di una sporgenza rocciosa, in posizione dominante sull'abitato di Roccascalegnae della valle del Riosecco (affluente di sinistra del Sangro), di fondazione molto antica e che subì numerose aggiunte fra il Cinquecento e il Seicento. Dopo i restauri compiuti negli ultimi anni del Novecento, l'edificio è di nuovo visitabile. Fu costruito verso l'XI-XII secolo quando fu ampliata una semplice torretta da guardia di origine longobarda. La prima menzione del castello risale al 1525 quando si narra di restauri della costruzione stessa. Nel XVI secolo le mura risultano riedificate più alte delle precedenti ma senza merlature. Durante la signoria degli Annecchino vennero rafforzate le torri esistenti e ne venne aggiunta una di forma circolare. Tuttavia gli interventi maggiori vennero realizzati durante la baronia dei Carafa, che durò nel paese tra il 1531 ed il 1600: venne eretta nel 1577 la cappella del Santissimo Rosario e venne migliorato l'approvvigionamento di acqua piovana. Durante la signoria successiva dei Corvi, che durò tra il 1600 ed il 1717, si videro altri interventi, in particolare dopo il 1705 quando si distrusse il ponte levatoio e vennero edificati la garitta dell'ingresso ed il muro di protezione della rampa d'accesso, ristrutturazione annotata in un documento notarile. Negli anni successivi il castello, dopo anni e anni di abbandono nei quali è stato preda delle intemperie e dei saccheggi della popolazione locale, vide vari crolli tra cui nel 1940 quello della "Torre del Cuore" (così chiamata per lo stemma sulla porta principale). Nel 1985 gli ultimi proprietari, i Croce Nanni, donarono il castello al comune che ne decise il restauro partito negli anni novanta del XX secolo e terminato nel 1996. Attraverso una erta gradinata che si diparte dal piano di San Pietro e ricavata mediante terrazzamenti inclinati sulla roccia, si giunge all'ingresso dove rimangono i resti del ponte levatoio. Alla sua destra vi è una torre detta Torre di Sentinella. Il cortile porta ad altre torri: la torre del carcere e la torre angioina nonché alla cappella con una grondaia per la raccolta di acqua piovana che confluisce in una cisterna realizzata con materiali di risulta. Una ulteriore rampa porta alla torre di guardia costruita con muratura in pietra sbozzata e mattoni con aperture ai quattro lati. Le mura del castello cingono lo sperone roccioso a strapiombo. Le mura sono alte come le torri e sono realizzate in pietra leggermente sbozzata, ciottoli e frammenti di laterizi. La cappella era ad aula unica e priva di ogni ornamento. Secondo una tradizione popolare - ripresa in chiave surreale anche nel film "Sottovoce" del 1993 - nel corso del XVIII secolo uno degli ultimi esponenti della famiglia Corvo-De Corvis si sarebbe trasferito dalla Corte di Napoli ai suoi possedimenti di Roccascalegna, dove avrebbe cercato di ripristinare lo Ius primæ noctis. Ciò avrebbe naturalmente suscitato una ribellione tra i suoi sudditi, e uno sposo, non disposto a cedere alla barbara usanza, mascheratosi da donna si sarebbe nottetempo introdotto nel Castello e sostituito alla consorte, uccise il feudatario accoltellandolo nel talamo nuziale e mettendo fine a questa prepotente pratica. Il Barone, morente, pare abbia lasciato la propria impronta della mano insanguinata su di una roccia della torre e benché si provasse a lavare il sangue dalla roccia, esso continuava a riaffiorare e ci sono tutt’oggi persone anziane che sostengono di aver visto la “mano di sangue” anche dopo il crollo. Per approfondimenti sul castello suggerisco questi link: https://www.castelloroccascalegna.com/, https://www.youtube.com/watch?v=geS89WgSVJs (video con drone di Strada dei Parchi), https://www.castellodiroccascalegna.it/, https://www.youtube.com/watch?v=I_iw6wXigTg (video di Paesaggi d'Abruzzo), https://www.youtube.com/watch?v=ZC7NDr2LuHU (video di Jonny Wild), https://www.youtube.com/watch?v=spWySiNSpH4 (video di EURASIA NEWS TV), http://www.tesoridabruzzo.com/il-castello-di-roccasacalegna/#sthash.bSPXQM9m.dpbs

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Roccascalegna, https://it.wikipedia.org/wiki/Roccascalegna, http://www.stradadeiparchi.it/il-castello-di-roccascalegna-e-la-sua-leggenda/

Foto: la prima è presa da http://www.tesoridabruzzo.com/il-castello-di-roccasacalegna/#sthash.bSPXQM9m.dpbs, la seconda è presa da http://www.stradadeiparchi.it/il-castello-di-roccascalegna-e-la-sua-leggenda/

giovedì 7 febbraio 2019

Il castello di giovedì 7 febbraio



CASTEL D'AZZANO (VR) - Villa Violini Nogarola ( detta anche "Il Castello")

Rimane ancora ben visibile la mole maestosa dell'antica principesca residenza dei conti Nogarola, che acquistarono il fondo di Azzano e i diritti sulla campagna circostante dagli Scaligeri. Il castello era circondato da ampi porticati, folti boschetti, viali ombrosi, peschiere, fiumicello e ponte, come ricorda nel 1820 Giovan Battista da Persico. La residenza venne elogiata da numerosi scrittori dell'età umanistica, che avevano in essa un ameno luogo di incontri e di raffinate conversazioni. La villa fu particolarmente amata da Isotta Nogarola, fine poetessa, che in essa trascorse gran parte della sua vita e che della dimora immortalò le lodi in un elegante poemetto in distici elegiaci latini. In quel poemetto Isotta Nogarola rievoca le visite di uomini illustri che onorarono con la loro presenza la dimora dei conti Nogarola. Il castello si presentava con una planimetria a struttura rettangolare, a breve distanza dal laghetto pure di proprietà dei conti Nogarola e circondato interamente da un largo fossato recinto da alti pioppi. Vi si accedeva dal fianco sud-orientale mediante un ponte. Esso si presentava con quattro torri d'angolo, una torricella all'ingresso, il mastio e due case di abitazione. Evidentemente, come tutte le residenze feudali, anche il castello dei Nogarola, sorto in origine con un prevalente scopo difensivo, con il trascorrere del tempo era stato riconvertito in sontuosa dimora della nobile famiglia. Nel secolo XIX il grande maniero subì un radicale restauro, nel corso del quale l'edificio venne ancora ingrandito e decorato da statue scolpite da Pietro Muttoni, ma oggi scomparse. Fu il conte e generale Dinadano Nogarola a commissionare i lavori, quasi certamente all'architetto ticinese Simone Cantoni. Il rinnovamento della residenza era in corso attorno al 1820, anno in cui il da Persico, già menzionato, pubblicò la sua Descrizione di Verona e della sua provincia: l'edificio venne rifatto, a quanto pare da quella testimonianza, in stile neoclassico; particolare maestosità fu conferita alle due facciate del corpo centrale della fabbrica. Al piano inferiore tre grandi archi a tutto sesto aprono ancora la vista sul verde giardino retrostante; al piano superiore un loggiato, che ripete il motivo dei tre archi terreni, separati da semi-colonne a capitelli ionici; il tutto dominato da un frontone a timpano triangolare, ornato da bassorilievi con decorazioni ispirate a tematiche militari e a figurazioni mitologiche. Lo stesso vescovo di Verona, monsignor Innocenzo Liruti, nella visita pastorale compiuta nel 1812, rimase colpito dall'amenità e dall'eleganza del luogo, tanto da annotare nel suo diario: "Nogarola: sessanta campi chiusi entro un muro di tre miglia di giro... Nel recinto di tre miglia canali d'acqua, viali coperti di salici marini, pioppe cipressine e piante esotiche, statue, Peschiera, tutto disposto senza apparenza d'arte, come all'inglese". All'interno della residenza spiccava il grandioso soffitto a copertura del salone centrale: oltre centosedici metri quadrati di superficie interamente affrescati da Domenico Mancanzoni, il quale si ispirò alle pitture di analogo soggetto che si trovano nella loggia del Seminario vescovile di Verona (quello antico di Via Seminario), opera del suo maestro Marco Marcola. Sullo sfondo di un cielo azzurro e di stelle dorate vi si ammiravano una sessantina di costellazioni, tra cui spiccava quella del Toro, eseguita con abile tecnica illusionistica. La conservazione della storica dimora rimase legata nei secoli alla discendenza della nobile famiglia dei Nogarola. Ultimo discendente diretto fu il conte Antonio Nogarola, il quale, dopo l'annessione del Veneto al Regno d'Italia, ricoprì l'incarico di sindaco di Castel d'Azzano tra il 1871 e il 1889. Da quell'anno al 1917 fu sindaco colui che ne aveva raccolto l'eredità, il conte Ludovico Violini Nogarola. Alla sua morte incuria e uso militare - siamo nel periodo più critico e cruciale della prima guerra mondiale - precipitarono la residenza in uno stato deplorevole: adibita a carcere per prigionieri di guerra, essa conobbe lo sfogo vandalico dei reclusi. Analogamente fu la fine del lago di Vacaldo che si trasformò in pantano ed acquitrino. Attualmente solo una minima parte della villa è restaurata. Dal 1997 è diventata proprietà comunale. Ospita il municipio e tutti i suoi uffici, la sede della polizia municipale e la biblioteca. Di recente sono iniziati i lavori per il suo completo recupero. Altri link suggeriti: http://www.accademiafabioscolari.it/villa-nogarola-storia-del-castello-di-castel-dazzano/, http://www.larena.it/territori/villafranchese/castel-d-azzano/prigionieri-nel-castello-ce-ne-furono-40mila-1.5351146, https://www.youtube.com/watch?v=S78scgRHPLA (video di Diemmegrafica Pubblicità per Crescere)

Fonti: http://guide.travelitalia.com/it/guide/verona/castel-d-azzano-il-lago-di-vacaldo-e-il-castello/, https://it.wikipedia.org/wiki/Castel_d%27Azzano

Foto: la prima è presa da http://www.accademiafabioscolari.it/villa-nogarola-storia-del-castello-di-castel-dazzano/, la seconda è di teozanca70 su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2012/164479/view