venerdì 28 febbraio 2014

Il castello di venerdì 28 febbraio






VERNIO (PO) – Rocca

Nel XII secolo il feudo di Vernio passò in eredità dai Cadolingi ai conti Alberti di Prato, dopo il 1113, quando i castelli di Vernio e di Mangona toccarono in eredità alla contessa Cecilia, vedova di Ugo dei Cadolingi, che sposò in terze nozze il conte Bernardo Tancredi detto Nontigiova degli Alberti di Prato. Passata nel XIII secolo ai Bardi, la rocca fu dimora estiva per i ricchi banchieri fiorentini che si trasferivano nei loro possessi per una parte dell'anno. Fu assediata varie volte: nel 1341 il conte Piero dei Bardi capitolò sotto l'assedio portato dai soldati della Repubblica Fiorentina e da 200 fanti mandati dal Comune di Pistoia. Il Castello gli fu restituito nel 1342 dietro versamento di un'ingente somma di denaro. La Rocca venne a più riprese manomessa da lavori di fortificazione, come quelli effettuati da Sozzo dei Bardi nel 1438, nel timore di essere assalito dalle truppe di Niccolò Piccinino, condottiero del duca di Milano. Sappiamo che nel 1482 fu assalita, espugnata e saccheggiata dalle bande armate al servizio di papa Sisto IV, nonostante la fiera difesa fatta dal conte Filippo Bardi. Zona di brigantaggio e contrabbando in quanto confinava a nord con lo Stato Pontificio, Vernio subì scorribande e saccheggi da eserciti stranieri. Famosa è rimasta l'invasione spagnola del 1512, che provocò una grande carestia a causa della quale i Conti Bardi distribuirono alla popolazione stremata dalla fame farina di castagne, stoccafisso, baccalà e aringhe. Da qui nacque la "Società della Miseria" che rievoca ogni anno questo avvenimento la cui ricorrenza era il mercoledì delle ceneri, da qualche anno spostata alla prima domenica di Quaresima. Famoso personaggio di Vernio è Vitale da Rimochi, soprannominato il "Diavolo di Rimondeto"; sospesa tra realtà e leggenda, la sua storia parla della difesa di una coppia di giovani sposi costretti dal Conte all'osservanza dello jus primae noctis finita con l'uccisione del Conte e la fuga a Roma del Diavolo di Rimondeto al servizio dell'antipapa. Si dice sia morto da vecchio nella Badia di Montepiano dove aveva vissuto gli ultimi anni della sua vita come fra Pietro. Nel 1778 il conte Flaminio dei Bardi fece costruire nella rocca angustissime carceri, alte appena due braccia, a scopo intimidatorio per debellare la rivolta popolare del 1777. La contea rimase indipendente fino al 1798, quando venne abolita da Napoleone. Dopo il Congresso di Vienna passò sotto il Granducato di Toscana. Prerogativa della Contea di Vernio, una volta passata sotto il dominio dei Conti Bardi fu l'autonomia amministrativa rispetto a Firenze in quanto le tasse venivano pagate direttamente all'Imperatore a Vienna, questa autonomia decadde soltanto con l'Unità d'Italia. Nella prima metà dell'Ottocento il Palazzo con i resti delle fortificazioni della Rocca fu concesso dall'Opera Pia di S. Niccolò di Bari in enfiteusi a Carlo Gualtieri che dopo averne curato il restauro, ne fece la sua dimora. La Rocca di Vernio (350 m.) è raggiungibile da una comoda strada che si stacca dall'abitato di Sasseta, che conduce alla zona nord del castello, dove rimangono le tracce di una porta demolita nel dopoguerra. Ma il suo naturale accesso è da uno stradello medievale che parte da San Quirico, nei pressi del Casone, e che risale il Poggio di Mezzana. Fu la sede comitale del Feudo di Vernio, prima di proprietà dei conti Alberti poi dal Trecento dei Bardi, noti mercanti fiorentini. In origine il castello era vasto e ben strutturato per la difesa, ma successivamente la parte militare fu distrutta a più riprese durante quelle lotte che afflissero il territorio di Vernio nel XIV e XV sec. I ruderi sono ancora visibili e da questi si può valutare la vastità del complesso originale. Attualmente di questa struttura fortificata non restano che le tracce, anche se si continuano ad indicare come Rocca il Palazzo Comitale ed il gruppo di case circostanti, all'interno del castello. E' rimasto intatto e ben conservato il borghetto medievale costituito dalla residenza dei feudatari e da una Cappella dedicata a Sant'Agata, datata 1556 e notevolmente rimaneggiata nel 1706 per problemi causati soprattutto dall'umidità. Attualmente nella cappella si trovano le tombe dei componenti della famiglia Gualtieri. Oltre il vasto cortile che si apre a fianco della cappella era il cassero - nella zona più alta del colle - concluso nell'angolo settentrionale della cinta dal robusto torrione del Maschio, detto il Roccacino, inizialmente occupato dall'abitazione signorile, dall'archivio e dalle prigioni, andato progressivamente in rovina tra Settecento e Ottocento. Si notano anche alcuni elementi fortificati di epoca quattro-cinquecentesca come una feritoia da arma da fuoco posta nella cortina muraria che guarda la frazione di Sasseta, costituita da una pietra squadrata con una fessura particolare che permetteva l'appoggio della canna e la mira. In periodo rinascimentale, intorno al XV-XVI secolo, al cassero si collegò una nuova ampia residenza per i conti Bardi, in forme di Palazzo, che si addossò al tratto occidentale della cinta muraria. Più difficile è ipotizzare l'evoluzione costruttiva dell'edificio, anche se bisogna ricordare le numerose opere interne (scala, cornici, solai, affreschi) di epoca settecentesca e ottocentesca. Ancora oggi la residenza si può ammirare in tutta la sua bellezza, al piano terra si trovano le cucine e alcune sale, al primo piano un salone con pareti decorate da tempere con paesaggi e figure che si possono far risalire al primo ottocento mentre al piano interrato si trovano due locali senza alcuna apertura sull'esterno, che probabilmente sono i resti delle prigioni dei conti Bardi e tracce di un camminamento di guardia che forse univa il Palazzo al cassero. Nel Seicento i Bardi trasferirono il potere comitale nel più comodo ed elegante Casone, detto dei Bardi, nella piazza di San Quirico. La Rocca è privata ed è stata oggetto di recenti notevoli restauri. Per la visita è necessario prendere accordi con i proprietari.



Foto: di Fiorenzo Fallanti su http://www.comune.vernio.po.it

giovedì 27 febbraio 2014

Il castello di giovedì 27 febbraio






GAIOLE IN CHIANTI (SI) – Castello di Vertine

Il castello, o meglio il "borgo murato", di Vertine sorge alla estrema propaggine nord-orientale del Chianti, a ridosso di una serie di rilievi, detti Monti del Chianti, che costituiscono lo spartiacque con il Valdarno Superiore. Questa zona è particolarmente ricca di castelli in quanto corrisponde al territorio della medievale Lega del Chianti, baluardo Fiorentino ai confini con il territorio di Siena. Vertine faceva parte di una serie di castelli collegati a vista: Meleto, Barbischio, Montegrossi, Brolio. La prima testimonianza sicura su questo borgo risale ad un documento privato del dicembre 1013. Nel 1049 la chiesa, poi monastero, di S. Lorenzo a Coltibuono riceveva in dono, da un tale Pietro di Pietro, una parte del castello e della torre di Vertine, e beni fondiari nella circoscrizione castrense. Possedimenti di famiglie diverse in Vertine e nel suo territorio sono documentati nelle carte di Coltibuono dei secoli XI e XII. Nel 1202 si ha il primo accenno positivo all'insediamento in Vertine dei Ricasoli, che ne furono signori sino in epoca moderna. Alcuni loro esponenti compirono in Vertine (probabilmente con il concorso dei Senesi), nel 1312 e poi ancora nel 1351, atti di violenza e di ribellione all'autorità della Repubblica fiorentina e verso gli altri Ricasoli rimasti fedeli a Firenze, ma si trattò soltanto di episodi che peraltro non scalfirono l'autorità signorile della famiglia. Il castello di Vertine fu all'epoca delle guerre aragonesi (1452-1483) una delle residenze principali dei Ricasoli, allora commissari nel Chianti per la Repubblica, e un centro strategico di importanza primaria. Grazie ad una serie di circostanze non fu quasi mai al centro di eventi bellici come assedi o saccheggi, di conseguenza è giunto a noi senza tracce delle distruzioni/ricostruzioni che hanno portato allo snaturamento di molti altri borghi medievali. Verso la metà del '500 si ha notizia di lavori di restauro e potenziamento alle mura e alle porte. Il castello, di forma approssimativamente ovale, conserva ancora quasi tutte le costruzioni originarie, disposte attorno ad un anello interno di strade e di slarghi, oltre a molti resti delle fortificazioni. Anzitutto il bellissimo torrione-cassero, accanto all’unica porta d'accesso rimasta, costruito in accurato filarotto di alberese e che presenta a ciascun piano, sui tre lati esterni, belle finestre ad arco, nelle quali conci di arenaria scura sono alternati con altri di alberese; sul lato interno, oltre a tre finestrine, due ad arco ed una rettangolare, è presente una bella porta con gli stipiti in arenaria in cui gli ultimi due conci forgiati a mensola sorreggono un architrave in alberese sul quale poggia un arco acuto ancora in arenaria. Nella piazzetta principale è presente la Pieve di San Bartolomeo, un edificio ricostruito in forme neoromaniche negli anni trenta del XX secolo, la cui caratteristica principale è rappresentata dai due leoni xilofori del pronao. All'interno si conservano frammenti di affreschi quattrocenteschi di scuola fiorentina (Pietà, Vertine dalle sette torri, i Santi Sebastiano e Rocco, l'Angelo e la Vergine annunciata). Ma la chiesa è famosa perchè da qui proviene la splendida "Madonna dei raccomandati" attribuita a Simone Martini, oggi custodita alla pinacoteca di Siena. Delle mura del castello restano alcuni tratti e rimane anche una torre semicircolare, con una feritoia ed archibugiera alla base. Un accenno particolare merita il grande edificio all'estremità del complesso, che, seppur assai rimaneggiato, mostra ancora nella sua mole, nella sua esecuzione in filarotto, quale doveva essere la sua importanza originaria. Questa struttura incorpora un altro torrione, molto simile al cassero, e qui doveva sorgere la porta meridionale, oggi scomparsa. Le splendide pietre lavorate usate per la costruzione delle mura e del cassero le ritroviamo anche negli edifici interni, l'insieme conferisce a Vertine un'immagine tipicamente medievale e fa tornare il visitatore che percorre le sue strette strade a contatto con la realtà del passato. Il torrione principale ha subito recentemente un restauro integrativo. Il castello di Vertine ha un sito ufficiale: http://www.castellovertine.it


Foto: da www.eseta.cz e da http://www.lamiaterradisiena.it

mercoledì 26 febbraio 2014

Il castello di mercoledì 26 febbraio






FORIO D'ISCHIA (NA) - Torrione

A chi raggiunge Forio dal mare, il Torrione si presenta in tutta la sua imponenza, quasi a voler ancora proteggere con la sua ombra la gente di Forio che ne ha fatto il suo simbolo. Domina con la sua alta mole l'abitato foriano del lungomare, all'interno di un contesto urbanistico ed architettonico di notevole valore. La presenza delle "guarno" (guarnigioni) dislocate lungo le marine, si dimostrò insufficiente, specialmente nel territorio di "Furio" (oggi Forio), dove la piccola popolazione dovette abbandonare l'incantevole marina di Citara, per ripararsi in un luogo più alto e più sicuro, ove oggi nasce l'abitato di S. Vito, vero e proprio centro storico dell'attuale comune di Forio. La quiete del tranquillo casato di Forio, veniva troppo spesso infranta dalle continue incursioni delle flottiglie Saracene, alle quali subentrarono poi quelle dei Turchi e dei loro sudditi della Barberia (Marocco, Tunisia, Algeria). L'intervento dell'autorità civile e religiosa, ma anche quello delle nobili famiglie foriane, fu ingente e di vitale importanza, per salvaguardare l'incolumità della popolazione locale. Nel 1480 si concluse la costruzione della prima e più importante fortificazione presente sul territorio del comune di Forio: il Torrione. Realizzato con pietra di tufo verde, a spese dell'Università di Forio, è una costruzione a pianta circolare, realizzata su uno spuntone di roccia nel centro cittadino, strategicamente disposto per dominare dall'alto sulla calata del porto. La torre, con copertura piana a terrazzo, si sviluppa su tre piani, di cui, quello inferiore, a sostituzione del basamento, è scavato nel masso roccioso di tufo sul quale sorge. Il parametro esterno è realizzato in pietra tufacea e trachitica, rozzamente squadrata in blocchi uniti da malta. Il primo toro, in pietra trachitica, circonda il cilindro all'altezza del primo livello, ed il secondo funge da appoggio alle mensole che, collegate mediante archetti, sorreggono il coronamento merlato. I tre piani sono coperti da volte emisferiche di cui quella superiore lunettata. All'ultimo livello si accede mediante una scala esterna della quale la seconda rampa a sbalzo è delimitata dal parapetto spezzato, secondo un motivo in uso nell'architettura minore foriana. Una scala interna realizza il collegamento con il terrazzo di copertura. Il piano terra, anticamente inaccessibile dall'esterno, veniva usato come deposito per le scorte alimentari e per l'artiglieria, al suo interno era stata costruita anche una piccola cisterna, oggi in disuso ma in passato utilizzata per raccogliere le acque piovane. Il primo piano era il luogo ove alloggiava la guarnigione (circa dieci uomini) al comando di un torriere; che aveva il compito di avvistare le navi nemiche svolgendo il ruolo di "vedetta principale" e di dare l'allarme e quindi preparare la difesa. Il Torrione infatti, nella parte superiore, ovvero la terrazza difesa dalla caratteristica merlatura a parapetto pieno, era munito di quattro cannoni di bronzo che, sfruttando la pianta circolare della costruzione, garantivano una completa visuale e la difesa da tutte le angolazioni possibili. Come testimonia D'Ascia (1867), una volta cessato il pericolo delle incursioni piratesche, i cannoni furono utilizzati per sparare a salve durante le festività; questa usanza durò fino al 1788, anno in cui fu proibita, in seguito ad un incidente avvenuto durante la festa dell'Incoronata del 29 luglio 1787, costato la vita ad un artigliere della torre. Considerato che la poderosa fortificazione costituì un efficace metodo di difesa dalle invasioni turchesche, la popolazione foriana iniziò a costruire sul territorio numerose costruzioni similari al Torrione come si evince da una relazione redatta nel 1576: "in lo… Casale di Forio si vedono edificate sette torri …, ben munite d'arme, ne le quale se ponno salvare la gente…, quando è correria de Turchi." La costruzione di questi edifici, continuò fino agli inizi del '700, anche se molte erano ormai considerate vere e proprie case-torri, visto che la maggior parte di esse erano state costruite dalle nobili famiglie del luogo, che ne avevano fatto la loro dimora. In tutto, sono state edificate dal 1480 fino ai primi decenni del '700 sedici fortilizi strettamente collegati fra loro, a cui vanno aggiunti altri cinque costruiti nel casato di Panza, alcune a pianta circolare come il Torrione, altre a pianta quadrata. Molte di queste torri ancora oggi sono visibili e residenza di alcune famiglie. Nel 1800 il Torrione fu trasformato in carcere; seguì un periodo di abbandono, come testimoniano l'atto del 17 novembre 1844, in cui il Decurionato deliberò di stanziare venti ducati per "urgenti riparazioni bisognevoli allo antico torrione", e lo stesso D'Ascia, che lo dice inutilizzato ed in rovina. Tornò a nuova vita nel 1863, quando lo scultore e poeta Giovanni Maltese ebbe in enfiteusi perpetua dal Comune il monumento e lo trasformò in suo studio. La moglie, la pittrice inglese Fayrer Fanny Jane, lo restituì al Comune stesso prima di morire. Attualmente, dopo restauri effettuati negli anni Ottanta e volti ad assicurare la stabilità del Torrione (alcuni merli minacciavano di cadere), la sala inferiore è sede del Museo Civico del Torrione ed è utilizzata per mostre temporanee, quella superiore ospita il Museo Civico Giovanni Maltese, dove sono conservate le sculture e le pitture dell'artista locale. Altri link consigliati: http://www.icastelli.it/castle-1265639068-torrione_di_forio_dischia-it.php, http://www.ischia.campania.it/index.php/il-torrione-di-forio/
Fonti: http://www.isoladischia.net, http://www.ischia.it, http://www.larassegnadischia.it

Foto: una cartolina della mia collezione e da www.residencevillacristina.it

martedì 25 febbraio 2014

Il castello di martedì 25 febbraio



DOSOLO (MN) - Castello in frazione Villastrada

E' stato costruito nei primi anni del '900 (probabilmente tra il 1905-1910) dalla famiglia Chiericati che all'epoca era una delle famiglie più ricche del paese e che, proprio per la voglia di distinguersi dalla gente meno abbiente, volle edificare questa abitazione in stile liberty per poi trasformarla poco dopo in un finto castello aggiungendo i merli e la torre. Negli stessi anni e nella via vicina vennero edificate altre cinque case nello stesso stile liberty e il bellissimo teatro Sociale, recentemente ristrutturato e riportato agli "antichi" splendori. In seguito, pare per le ingenti spese sostenute per le modifiche dell'edificio, i vecchi proprietari dovettero o venderlo o lasciarlo in qualche modo (su questo passaggio nessuna delle persone interpellate ha saputo fornire notizie reali ma solo supposizioni) dopo di che vi abitò la famiglia Saccani e, a seguito della morte dei vecchi genitori, il figlio si trasferì nella campagna di Villastrada per coltivare la terra ed allevare i bovini. Da quel momento il "finto" castello rimase disabitato per molto tempo (si dice all'incirca dalla fine del '66-'67 fino a circa il 2000) quando una delle figlie si sposò e lo ristrutturò internamente e vi andò ad abitare con il marito e le figlie dove vivono tuttora. Gli eredi della famiglia Chiericati oggi vivono a Porto Mantovano, non sono più i proprietari e nessuno in paese li conosce.

Ringrazio la Sig.ra Maela Paini della Proloco di Villastrada per le informazioni su questo curioso edificio, da lei ottenute chiedendo ad alcuni abitanti della frazione.

La foto è una cartolina postale, che penso di procurarmi a breve :-)

lunedì 24 febbraio 2014

Il castello di lunedì 24 febbraio






FANO (PU) - Rocca Malatesta

Dopo alcuni secoli di dominazione dei Longobardi (726), dei Franchi di Carlo Magno, dei Vescovi (999), nel 1114 Fano fu Libero Comune. In seguito al dominio dei Malatesta (1357-1463), Fano, conquistata dalle truppe Pontificie, si sottomise alla giurisdizione del papa (Libertas Ecclesiastica). Nonostante la presenza del governatore pontificio, il Consiglio Cittadino, chiamato allora Magistrato, aveva di una certa libertà di azione per cui la città venne arricchita con fortificazioni, chiese e palazzi e, nel Seicento, Fano godette anche ad una gara di mecenatismo fra le famiglie nobili della città. La rocca, chiamata anche "fortezza", sorge all’estremità nord-orientale dell’antica cinta murata ed aveva al suo vertice angolare una severa imponente torre di vedetta, il Mastio, distrutta in seguito alla guerra del 1944. Alle massicce fondamenta della superstite base scarpata si riallaccia oggi quanto resta dell’antico camminamento merlato che corrisponde verso l’interno all’area occupata dalla cosiddetta Rocchetta; certamente la parte più antica del fortilizio, sorta sui resti di opere di difesa romane e medioevali e forse precedente all’intervento edificatorio iniziato nel 1438 per ordine di Sigismondo Malatesta che ne curò, molto probabilmente, anche la progettazione con la collaborazione dell’architetto Matteo Nuti (e anche del fratello Giovanni e di Cristoforo Foschi). L' intervento si concluse nel 1452 con l’innalzamento del ricordato mastio: ideale avamposto per la sorveglianza costiera e, all’occorrenza, anche faro per guidare la rotta del naviglio fanese e malatestiano che aveva i suoi approdi muniti di ‘palate’ proprio sotto il fortilizio. La costruzione subì poi, in relazione al mutare delle esigenze difensive e degli eventi storici, adattamenti e modificazioni, mantenendo peraltro nel suo complesso la fisionomia originaria di ampio rettangolo fortificato, delimitato da cortine scarpate con robusti torrioni angolari. Un doppio ponte levatoio munito di rivellino permetteva di superare il fossato e di accedere all’interno, là dove è oggi il doppio ponte in muratura che dall’alberato piazzale Malatesta raggiunge l’atrio, sfociante a sua volta nel vasto cortile a prato, delimitato dal muro di sostegno dei camminamenti e dal basso fabbricato che sul lato orientale ospita le vecchie celle e la piccola cappella. In origine terrazzato, quest’ultimo fu più tardi sopraelevato e coperto a tetto per ospitare una capiente stalla a cui si accedeva tramite la caratteristica rampa a mattoni posta sulla destra dell’ingresso. Da documenti di archivio risulta che l'ingresso del castello fosse protetto da una ulteriore fortificazione esterna al fossato, il rivellino, che attualmente non è visibile ed i cui resti potrebbero essere interrati. Nel sottosuolo gallerie e passaggi segreti mettevano in comunicazione la rocca con la città e l’esterno, ma oggi tale rete di comunicazioni è del tutto impraticabile, né esistono rilievi che ne permettano l’esplorazione. Nel 1500 il torrione Est venne rafforzato, probabilmente da da Antonio da Sangallo il giovane, aggiungendovi una bocca da fuoco puntata verso la porta di ingresso. La rocca subì ingenti danni nel terremoto del 1930 e fu restaurata e riutilizzata negli anni immediatamente successivi. La rocchetta ed il mastio furono minati e distrutti dalle truppe naziste in fuga nell'agosto del 1944 e ne rimangono oggi miseri resti. All'interno delle mura, che sono state oggetto di restauro in varie epoche e si presentano pressoché integre nella struttura, è possibile visitare le celle, la cappellina e, adibiti a spazio espositivo, gli ambienti che ospitavano le stalle e le stanze in uso alle truppe. Alla storia della rocca resta particolarmente legato il nome di Roberto Malatesta detto il Magnifico (figlio naturale di Sigismondo e della fanese Vannetta Toschi) che vi sostenne l’assedio del 1463 e vi firmò quei trattati e quegli articoli di pace che segnarono la fine della dominazione malatestiana su Fano. Ultimo avvenimento di rilievo la sosta di Giuseppe Garibaldi con la sua legione che nel 1848 vi trovò riposo e ristoro durante la marcia dalla Romagna verso Roma. All’estremità orientale di piazzale Malatesta ha inizio il percorso dell’antico camminamento delle mura malatestiane: mura che corrono parallele alla costa adriatica fino al largo della scomparsa Porta Marina (oggi piazzale Rosselli) e dai cui spalti era un tempo possibile far spaziare l’occhio sugli orti costieri e sul mare. Sotto la cortina, più volte risarcita in epoca pontificia e anche ai tempi nostri, è stato rimesso in luce un breve tratto di muro romano in opus reticulatum che gli esperti sono propensi a datare al periodo repubblicano. Ecco un bellissimo video che si può trovare in rete: http://www.youtube.com/watch?v=teuCx5kraCE
Fonti: http://oldsite.comune.fano.ps.it/pagina.aspx?pag=831, http://www.settemuse.it, http://www.riminibeach.it/visitare/rocca-fano, http://www.lavalledelmetauro.org (dove potete trovare altre foto interessanti)
Foto: da http://www.settemuse.it e di lcanest su http://rete.comuni-italiani.it

domenica 23 febbraio 2014

Il castello di domenica 23 febbraio






LACEDONIA (AV) – Castello Pappacoda 

La prima notizia storicamente fondata circa l'esistenza del Borgo di Lacedonia - sviluppatosi intorno ad una fortezza longobarda - risale al 1059 ed è riportata nella Cronaca di Leone Ostiense. Al tempo dei Normanni, il feudo di Lacedonia apparteneva a Riccardo Balbano: questi volle fornire un suo contributo alla Terza Crociata, inviando sessanta fanti e sessanta cavalli. Potentissimi sotto Federico II, i Balbano governarono il feudo di Lacedonia fino all'avvento di Carlo d'Angiò, che lo tolse a questa prestigiosa famiglia feudale. Lacedonia passò poi alla Famiglia Orsini, Principi di Taranto. Uno di essi, tale Gabriele Orsini, ricostruì la città ridotta in macerie dal terremoto del 1456, chiudendola in una cinta muraria con fossato e quattro porte. Nella notte tra il 10 e l'11 settembre 1486, i baroni ribelli si radunarono nella Chiesa di S. Antonio e congiurarono contro il Re Ferrante I d'Aragona ed il figlio di questi - Alfonso, Duca di Calabria. L'avvenimento, narrato dallo Storico napoletano Camillo Porzio, coinvolse Papa, Principi e Sovrani e mise a rischio il dominio aragonese sull'Italia meridionale. Durante la "Congiura dei Baroni", il castello fu spesso luogo di convegno dei ribelli. In quell'epoca, ne era feudatario Pirro del Balzo, che aveva sposato una figlia di Gabriele Orsini. Nonostante Pirro fosse stato tra i congiurati, il sovrano non confiscò il feudo in quanto, essendo beni dotali della moglie furono ereditati dalla figlia Elisabetta che sposò Federico d'Aragona. Quest'ultimo, ereditato il trono nel 1497, diede Lacedonia in usufrutto ad un Cardinale e, dopo la sua morte, la vendette a Baldassarre Pappacoda, suo amico e consigliere, che - nel 1500 - costruì , fuori dell'abitato ed ad occidente di esso, un castello munito di tre torri, che si chiamò Nuovo per distinguerlo dall'altro, più antico degli Orsini. Infatti, del vecchio fortilizio di Lacedonia - edificato agli inizi dell' XI secolo, rifatto in epoca Normanno-Sveva e trasformato in castello-residenza agli inizi del Quattrocento dagli Orsini, non resta più nulla. Esso fu raso al suolo dal disastroso sisma del 1456. Il castello “Nuovo” fu all'origine una vera e propria fortezza, perché munito di merli, bocche per cannoni, cammino di ronda, feritoie, fosse e passaggi sotterranei. Anch'esso però, nei secoli passati, è stato più volte danneggiato dai terremoti e di conseguenza ha subìto modifiche coi lavori di restauro, in modo particolare la parte anteriore all'esterno e all'interno, quasi tutto il piano superiore. Comunque conserva ancora tutti i merli della torre sul lato Sud, molte feritoie e l'antico pozzo. Il Castello fu dimora dello stesso Ferdinando Pappacoda, che morì in Lacedonia con la moglie Cornelia D' Accio. La Famiglia Pappacoda rimase in possesso di Lacedonia fino al 1566, quando castello e feudo andarono in eredità ad una suora del Monastero di Pietrasanta in Napoli, che li vendette ( con i feudi di Rocchetta S.Antonio e Candela ) successivamente, nel 1700 circa, al Principe di Genova, Andrea Doria Panfili. I Doria possedettero il Castello di Lacedonia fino al 1806, anno in cui Napoleone Bonaparte abolì il Feudalesimo. Successivamente, il Castello fu acquistato dalla Famiglia Onorato e censito al catasto urbano. La struttura fu abitata fino alla metà del XIX secolo. Posto su un lato della piazza centrale del paese, questo palazzo-fortezza mantiene una sola delle originarie tre torri e parte del corpo di fabbrica, poichè i terremoti che si sono succeduti nei secoli arrecarono danni consistenti alla costruzione. Anche se gli eventi tellurici lo hanno danneggiato, il maniero oggi presenta ancora elementi architettonici che risaltano le originarie caratteristiche di luogo fortificato: oltre alla già ricordata torre (con una serie di finestre e aperture utilizzate come cannoniere) sono ancora in piedi cortine murarie costituite da pietre calcaree di medie dimensioni. Al seguente link potete trovare alcune belle foto del monumento: http://www.irpiniateca.com/component/content/article/126-cosa-visitare/555-lacedonia-castello.html
Foto: da http://www.lacedonia.com e da http://www.mondimedievali.net

venerdì 21 febbraio 2014

Il castello di sabato 22 febbraio





ROCCABERNARDA (KR) – Castello

Abitato di origine medievale, per alcuni storici cambiò più volte nome. Dapprima fu Targe, o Targine, poi Rocca dei Pagani, quindi Rocca di Tacina. Secondo una leggendaria tradizione seicentesca il toponimo Rocca di Tacina cambiò in Rocca di Bernardo, in onore di Bernardo del Carpio, che lo ricostruì e lo popolò, dopo avere cacciato i Saraceni, che occupavano la rupe. Per altri si chiamò “Vernauda” perché esposto all’aria primaverile oppure, forse con qualche ragione in più, dal nome del ladrone Bernaudo, che vi aveva fatto il suo covo e luogo obbligato di sosta e di passo, dove depredava i malcapitati viandanti. Altri ancora legano la sua origine alla ribellione di Abelardo, figlio di Onfroi, uno dei fratelli di Roberto il Guiscardo. Il ribelle tra il 1070 ed il 1076 si rinchiuse nella Rocca di Santa Severina, dove fu assediato dapprima dalle truppe di Ruggero, alle quali poi si unirono anche quelle del fratello Roberto il Guiscardo. Nell’occasione fu posto il blocco al ribelle, costruendo nelle sue vicinanze tre "castelli". Roberto il Guiscardo affidò il primo a Hugo Falloc, il secondo a Rainaldus (Renaud) de Simula ed il terzo a Herbertus Falloc, fratello di Hugo, e ad Custinobardo (Tustinus le Barde), fratello di Rainaldus de Simula. Secondo alcuni storici i tre castelli sarebbero Rocca Bernarda, Rocca di Neto e Belvedere Spinello. Questa ipotesi non è condivisa da altri per i quali almeno uno dei castelli sarebbe stato Catanzaro, a convalida di ciò portano il fatto che il normanno Hugo Falloc, al quale sarebbe stato assegnato la custodia di uno dei tre castelli, fu conte di Catanzaro. Qualunque sia la verità, le versioni situano l’origine della fortezza sulla rupe, in un periodo compreso tra la fine dell’occupazione bizantina e l’inizio di quella normanna. Periodo storico in cui compaiono nei documenti le tre rocche di Rocca Bernarda, Rocca Santa Severina e Rocca San Petro de Cremastro. La prima a controllo del passo sul fiume Tacina, la seconda sulla via che collega le vallate del Tacina e del Neto, la terza dominante il passo sul Neto. Risulta evidente da queste considerazioni che l’origine e lo sviluppo di Rocca Bernarda fu legato alla sua particolare posizione sulla via che collegava i pascoli della marina con quelli della Sila e gli abitati della contea di Crotone con quelli della contea di Catanzaro. La rocca venne sempre più assumendo importanza dopo che la decadenza e la distruzione degli antichi centri costieri, situati sul golfo di Squillace, a causa delle devastazioni dei saraceni e dei pirati, portò anche all’abbandono della antica via romana che li univa. Dal 1292 fu feudo dei Ruffo e quindi di Antonio Centelles, che la trasformò in una specie di fortezza. Inglobata nel Regio Demanio da Ferdinando d'Aragona nel 1480, fu affidata dopo pochi anni ai Carafa, dai quali passò ancora ai Ruffo, nel 1482, e poi ai Filomarino, passando dai Galluccio (1683), che governarono fino all’eversione della feudalità, nel 1806. Poco o niente si sa sul castello. Per le credenze e le dicerie nella popolazione della zona è diffusa l'idea che sul posto dove sorgeva il maniero si nascondono tesori, ed in particolare una chioccia con i pulcini d'oro protetta da una terribile maledizione che colpirebbe chi riesca a venirne in possesso. A seguito di queste dicerie esiste una paura atavica a violare la integrità della timpa.
Mai nessuno, infatti, nel corso dei secoli passati, ha osato o solo pensato di metterci mano, di spianare la rupe o effettuare degli scavi. C'è da dire inoltre (storia o leggenda?) che nel castello (il castello del Re Pagano) assieme al re ed alla regina vivevano anche tre sorelle che, si dice ancora, fossero "magare". Anche su questo la fantasia popolare ha creato la leggenda che il re venne ucciso da un certo Leonardo di Montalbano e che poi fu seppellito nel castello con la sua ricca armatura ed il suo tesoro compresa la chioccia con i pulcini d'oro. Il re dispotico e crudele, assecondato dalle diaboliche idee della regina e delle sorelle, faceva valere il suo potere sui sudditi con il privilegio delle "ius primae noctis". Il popolo dell'allora Rocca di Pagania (questa tesi sarebbe avvalorata dal fatto che un tempo Roccabernarda si chiamava Rocca di Pagania) ma tollerava l'abuso di strapotere però mai nessuno aveva osato ribellarsi. A questo pensò Leonardo di Montalbano, giovane coraggioso e di nobile famiglia, che decise di rovesciare la situazione e porre fine al potere stravagante del re. Dovendo egli stesso celebrare il matrimoni, il giorno delle nozze, si presentarono, a conclusione del banchetto nuziale, due guardie del re per prelevare la novella sposa.
Ma ecco la sorpresa delle guardie per il rifiuto e di tutti i convitati per l'ardire coraggioso del suo gesto. "Fate sapere al vostro re che la mia sposa non gli sarà mai concessa e se ne avrà il coraggio ditegli di venirla a prendere personalmente e se lo vorrà dovrà battersi in duello con me". Ciò avvenne all'indomani: Leonardo di Montalbano ebbe la meglio e da quel giorno il popolo fu libero e sovrano. Queste conoscenze storico - leggendarie dovrebbero contribuire a suscitare una serie di indagini e di ricerche in larga parte del tutto ignorate.
Il castello sorgeva sia sulla via della transumanza che in estate portava le greggi e gli armenti dalle coste agli altipiani silani, sia sulla strada che collegava con Catanzaro. Il maniero assunse sempre più importanza strategica con il progressivo abbandono delle coste per motivi difensivi. Fu purtroppo danneggiato dai terremoti del 1783 e del 1842 e venne spianata parte di quanto rimaneva dal comune, negli anni ’50, in seguito alla morte di un giovane a causa del crollo di una parete. Oggi purtroppo restano quindi solamente alcuni ruderi a testimonianza della gloriosa storia di questa fortezza.

Fonti: http://www.archiviostoricocrotone.it/doc/storia_roccabernarda.htm (se visitate questo link troverete molte altre informazioni storiche), http://www.roccabernarda.net/castello/castello.htm, http://atlante.beniculturalicalabria.it/schede.php?id=119
Foto: da http://www.roccabernarda.net

Il castello di venerdì 21 febbraio






OZZERO (MI) - Castello

Provenendo dalle campagne di Morimondo e alzando gli occhi al cielo nelle vicinanze di Ozzero, all'orizzonte si nota la bianca torre poligonale del Castello. Il termine "Castello" è improprio, anche se utilizzato dai residenti, perché di fatto si tratta della Villa Bianchi Calvi, la cui origine è antica e sicuramente antecedente il 1034, anno in cui venne inserita nel testamento dell'arcivescovo Ariberto d'Intimiano, che aveva fatto fortificare Abbiate e Ogialo (antico nome di Ozzero) con un castello e con mura di difesa. L'edificio di origine viscontea, che nel corso del tempo ha subito numerose variazioni, è posto su un'altura di forma circolare prospiciente la valle del Ticino, ai margini Nord-occidentali del centro storico del paese, a dominio del borgo. Della fortificazione primitiva sono ancora visibili i resti della muratura perimetrale quadrangolare e dei basamenti delle due torri meridionali sporgenti. Nei secoli successivi, venendo meno la necessità difensiva che lo aveva originato, fu trasformato in un palazzo residenziale di stile barocco. Il complesso, caratterizzato da un portale scenografico che sottolinea l'ingresso dal paese alla corte, si articola intorno ad un cortile sagomato trapezioidale, affacciandosi verso la valle attraverso una serie di archi. Incorporata nel lato orientale si trova la cappella della famiglia realizzata nel 1726. Nel Novecento venne infine aggiunta, sul lato settentrionale, la torretta esagonale con belvedere di gusto neogotico. La villa è oggi di proprietà privata e pertanto non visitabile. Alle volte però, ad esempio in occasione di eventi come "Cori in Castello" o delle "Giornate del Fai", l'edificio viene aperto al pubblico.

Fonti: http://www.parconaviglio.com, http://www.proloco-ozzero.it, http://www.lombardiabeniculturali.it, http://www.comune.ozzero.mi.it

Foto: da http://www.comune.ozzero.mi.it, mentre la seconda è una cartolina postale

giovedì 20 febbraio 2014

Il castello di giovedì 20 febbraio






PASTURANA (AL) - Castello Spinola

I primi rudimenti storici di Pasturana risalgono al 969 quando, "Pastoranium" è menzionata in una donazione della Regina Adelaide al monastero di San Salvatore di Pavia. Tale possesso viene confermato con un Diploma di Ottone II dell'11 ottobre 981 a favore dello stesso Monastero, dove il paese era compreso nell'antico Contado di Tortona. In seguito, con l'atto convenzione stipulato a Gavi il 15 agosto 1172 tra gli Alessandrini e Alberto Marchese di Gavi, i primi si obbligarono a custodire e difendere in caso di guerre i castelli e le terre di proprietà dl secondo, ossia Pastoriana, Gavi, Montaldeo, Aimero e Tassarolo. Nel 1192 Pasturana si trovava già sotto la Repubblica Genovese, e vi rimase, subendo alterne vicende che videro coinvolti i Marchesi di Gavi, gli Spinola ed i Marchesi del Monferrato, fino al 1313, anno di investitura di Enrico VII, imperatore di Germania che, per dimostrare la sua benevolenza a Opizzino Spinola di Luccoli, gli concesse in feudo alcuni luoghi della Valle Scrivia e Lemme comprendente anche "Castrum et Burgum Pastoranae". Morto a Serravalle, nella battaglia dei Gavi nel 1335, senza eredi maschi, Opizzino Spinola lasciò alcuni feudi tra cui Pasturana, al suo grande amico Giovanni, marchese di Monferrato. Nel 1400 Pasturana subì le scorrerie ed i saccheggi di Facino Cane. In seguito Pasturana fu venduta da Paleologo, figlio bastardo di Giovanni a Bongiovanni Trotti e il 30 gennaio 1430 il Duca Filippo Maria Visconti, per meriti acquisiti nella difesa di Forlì, lo nominò con il figlio Franceschino " Signore di Pasturana". I Trotti regnarono a Pasturana fino al 1601 quando Baldassarre e Giulio Trotti la vendettero ai fratelli Angelo e Vincenzo Lomellini. Con regio diploma datato 5 ottobre 1636 Pasturana venne infeudata al conte Filippo Spinola. Sui ruderi di una precedente fortificazione, proprio Filippo Spinola fece erigere un palazzo residenziale con bertesche sugli spigoli. Secondo alcune ricerche storiche tale costruzione fu da lui voluta per Massimiliano, suo prediletto fra gli altri dieci figli, nato nel 1626, al quale lasciò enormi ricchezze. Da quel momento Pasturana fu la residenza stabile dei marchesi Spinola per quel ramo che si era ormai diviso dagli Spinola tassarolesi. Rimasero ininterrottamente a Pasturana fino al 13 giugno 1933 quando, per difficoltà economiche, il castello di Pasturana fu ceduto, insieme ad altri terreni e cascine, da Carlo e Bendinelli Spinola alla nobildonna Emilia Balduino, moglie del marchese Gavotti le cui figlie sono le attuali proprietarie. Il castello sorge su un terrazzamento di alluvioni sedimentarie dal quale domina la campagna sottostante. Rispetto ai castelli che pure si trovano nel novese che evidenziano tutti opere di fortificazione, quello di Pasturana, pur integrato da qualche opera di difesa, mostra le caratteristiche architettoniche destinate a uso residenziale. Presenta, infatti, un corpo unico all’esterno semplice che, però, nasconde la bellezza degli interni studiati per ospitare il signore e la sua corte. Circondato da uno splendido giardino e boschi, l'edificio conserva l’importanza di una imponente residenza, cinta ancora in gran parte da un muro, ingentilita dalle belle logge della facciata principale. Superato il cancello di ingresso, sulla destra si scorgono una costruzione ottocentesca formata da una serie di porticati ad archi tricentrici di mattoni in cotto con pilastri rastremati alla base e la casa dei contadini. Subito dopo ci si imbatte nella bella torre feudale che reca lo stemma degli Spinola, unica testimonianza del luogo dove probabilmente all’epoca del potentissimo Opizzino Spinola sorgeva il maniero pasturanese. Senza dubbio meriterebbe una visita ma, essendo di proprietà privata e adibito ad abitazione, viene aperto solo in occasione di un annuale concerto e di qualche intrattenimento mondano.


Fonti: http://www.comune.pasturana.al.it, testo di Gianfranco Bergaglio su http://www.ilmonferrato.info, http://www.alessandrianews.it/cultura-spettacolo/turisti-casa-nostra-gita-fuori-porta-42661_p.html, pubblicazione "Castelli in Piemonte"
Foto: entrambe di naldina47 su http://rete.comuni-italiani.it

mercoledì 19 febbraio 2014

Il castello di mercoledì 19 febbraio




LA SALLE (AO) - Castello in frazione Ecours

Detto anche Torre di Lescours o di Les Cours, venne fatto costruire sul finire del XII secolo dalla famiglia Lescours (de Curiis, o Les Cours), di origine notarile e una delle più in vista della Valdigne, che già dal 1430 infeudò una parte dei propri possedimenti alla famiglia Châtelard, incluso il castello. Secondo la tradizione, nel 1224 vi nacque Papa Innocenzo V, nato Pierre de Tarentaise e appartenente alla nobile famiglia Les Cours, ma alcuni studiosi, tra cui Pierre Frutaz, disconfermano questa ipotesi. Nel 1551 il castello venne definitivamente venduto alla famiglia Bozel e nello stesso secolo pervenne poi come cosignoria alle famiglie Gal e Malliet. Nel Seicento il feudo fu riunito dalla famiglia Passerin che la mantenne tale sino al 1730. Della struttura originaria, risalente all'epoca dei Lescours, si è conservata oggi la principale torre a pianta quadra e un breve tratto dell'antica cinta muraria del complesso. Il popolare nome di Torre di Lescours, infatti, deriva proprio dal fatto che la parte più evidente è ancora oggi l'antica torre medioevale. La frazione omonima in cui sorge la torre si trova a 1090 m s.l.m. Nel Settecento, all'epoca dello storico Jean-Baptiste de Tillier era parzialmente in rovina. Il de Tillier ipotizza che, come altri manieri valdostani, venne fatta distruggere per la cattiva condotta dei proprietari. Fino a pochi anni fa si conservavano alcuni affreschi nella sala che fu probabilmente la cappella interna del castello signorile. Secondo Mauro Cortellazzo che riprende il Lange, la Torre di Lescours presenta alcune importanti analogie costruttive con altre torri valdostane costruite in piano, come le mura spesse 2 metri e il fatto che siano state state edificate in zone che non presentano alcun elemento morfologico che possa facilitare la difesabensì spazi pianeggianti, aperti e non sempre in prossimità di percorsi viari. Le mura dai 2 metri della base si vanno assottigliando verso il tetto, fino a raggiungere uno spessore di 80 cm. La torre, completamente vuota, è coperta da un tetto in lose.
Fonti: http://it.wikipedia.org, http://www.lovevda.it
Foto: entrambe di postcrosser su http://it.wikipedia.org

lunedì 17 febbraio 2014

Il castello di martedì 18 febbraio







CASTELBOTTACCIO (CB) – Palazzo Baronale dei Cardone

Castelbottaccio sorge sulla riva sinistra del Biferno; viene a trovarsi in un territorio molto vario per la vegetazione presente e per la sua morfologia. È possibile godere di bellissimi panorami, dai Monti del Matese sino, addirittura, alla costa. Il vecchio nucleo urbano è di origine medioevale e conserva quasi intatto il caratteristico ambiente planimetrico originario. Non si hanno notizie attendibili che possano far chiarezza sull'etimologia del nome, tuttavia in un documento del 1148 appare la denominazione "Calcabuttaccio" e in documento del 1767 appare per la prima volta il nome attuale. È certo che, per lungo tempo, fece parte della Contea del Molise e che, poi, durante il regno di Roberto D'Angiò fu sotto il dominio della famiglia Sangro; a questa, poi, si successero diverse famiglie che esercitarono il loro potere sino all'eversione della feudalità. Un personaggio noto nella vita di Castelbottaccio è Donna Olimpia Frangipane, giovane moglie dell anziano barone di Castelbottaccio don Francesco Cardone. Donna attraentissima e molto colta aprì la sua casa agli intellettuali della zona promuovendo con matura responsabilità un circolo giacobino, un centro clandestino dove si tenevano animate conversazioni sulla democrazia, sulla libertà, in avversione all’opprimente governo borbonico. Fra i giovani intellettuali che frequentarono il circolo spiccano i nomi di Marcello Pepe e Vincenzo Cuoco, che nell'opera "Platone in Italia" ne tramanda la memoria adombrando se stesso in Cleobulo e donna Olimpia in Mnesilia. Nel centro abitato vi è il Palazzo baronale dei Cardone, a testimonianza del passato. La struttura risale all’epoca normanna, allorchè si consolidò l’incastellamento delle alture, con terre murate, cinte di torri, col castello del feudatario, la chiesa madre, le case della gente. Una facciata del palazzo baronale dà su via Vittorio Emanuele, con una caratteristica scalinata in pietra, che conduce all’ingresso principale, sormontato da un portale lavorato in pietra, che reca un pregevole fregio. All’inizio della scalinata vi erano due bellissimi molossi in pietra (“corsi”), venduti a famiglie del posto, che li custodiscono ancora nelle proprie case. Al piano terra vi sono i locali una volta utilizzati dalla servitù. Sul lato opposto vi era un’entrata segreta, che conduceva alle prigioni, e all’occorrenza serviva come scappatoia in caso di attacchi. Intorno al palazzo vi era un giardino circondato da mura, fossato per le acque e ponte levatoio. Oggi l’edificio è in parte diruto e in parte adibito ad abitazioni private. Link consigliato: http://www.donnaolimpia.org/attachments/256_inserto_frangipane.pdf
Foto: di mario-quici su http://www.panoramio.com la prima, le altre due da http://www.mondimedievali.net

Il castello di lunedì 17 febbraio






SASSOFERRATO (AN) – Rocca in frazione Rotondo

Le prime notizie della castello e della fortezza di Rotondo si hanno in un documento del 1078. Nel 1365 il cardinale spagnolo Egidio Albornoz, inviato nelle Marche dal Papa per ripristinare il potere temporale della Santa Sede, allontanò gli Atti e con i beni ad essi confiscati fece costruire la Rocca nel Capoluogo e probabilmente anche quella di Rotondo. Nel 1552 per ordine di Giulio III la fortezza fu armata. Nell'alto Medio Evo, il luogo di sicuro rifugio e di riparo degli abitanti del Castello, in caso di incursioni nemiche, era senza dubbio la massiccia ed impenetrabile dimora del feudatario, sorvegliata da uomini armati e dotata dei modesti mezzi di offesa dell'epoca. Col tempo la rocca ha subito aggiornamenti e trasformazioni tecniche di degna nota, che la migliorarono sia dal punto di vista militare, sia sotto l'aspetto monumentale ed estetico. In seguito a incursioni nemiche effettuate nel passato, però, la rocca ha iniziato il suo lento degrado. Fu restaurata nel 1954 dalla Soprintendenza ai Monumenti, ma poi in seguito a un fulmine che squarciò la parte superiore pochi anni dopo, il monumento non fu più riparato e le parti fatiscenti e pericolanti che sovrastavano il fabbricato furono gettate all'interno del medesimo: errore gravissimo poiché il materiale inglobato lacera progressivamente le pareti esterne. La rocca di Rotondo, mutilata, fatiscente e ridotta in pessimo stato, merita di essere salvata e di farne uno studio approfondito, per la sua complessa e non comune struttura. Eseguendo lavori sistematici con urgenza, la torre centrale ed i vani sottostanti potrebbero essere salvati, facendo riaffiorare le fondamenta delle mura di cinta e delle parti abbattute, ora ricoperte di terra e di vegetazione erbacea. Non è da escludere che vi siano anche dei sotterranei o cunicoli, ora ricolmi di macerie, che un tempo venivano utilizzati per collegare le varie zone del paese. Resta oggi porzione di fabbricato dove è visibile, sopra la porta di ingresso, lo stemma della famiglia degli Atti. Per vedere altre illustrazioni della fortificazione suggerisco il seguente link: https://plus.google.com/photos/117693712091321236557/albums/5815409953913761889?banner=pwa

Fonti: http://www.sassoferratocultura.it/rocche_rocca_di_rotondo.htm, https://sites.google.com/site/rotondomarche/la-storia-1/la-rocca
Foto: sono state entrambe scattate dal mio amico e "inviato speciale" del blog Claudio Vagaggini nel mese di agosto 2019

sabato 15 febbraio 2014

Il castello di domenica 16 febbraio






ORISTANO – Torrione a Marina di Torregrande

Inizialmente chiamata Torre del “puerto de Oristan” (1639), solo in età sabauda assunse la denominazione attuale: “Grande de Oristan”, Torre d’Oristano e Gran Torre. È la torre costiera più grande in Sardegna fra tutte le 105 presenti lungo le coste dell’isola, poiché pensata già in origine come "torre de armas", cioè come torre "gagliarda", atta alla difesa pesante. Pur iniziato nella prima metà del '500, il torrione è di concezione aragonese, come testimoniano i caratteri dell'architettura di transizione: dalla garitta in muratura sulla porta d'ingresso alla posizionatura delle bocche da fuoco. Costruita con blocchi lavici, è dotata di cannoniere superiori in barbetta, cioè la batteria scoperta, e di troniere inferiori, le feritoie, posizionate in casamatta cioè la camera coperta a prova di bomba. Di forma cilindrica con un diametro di oltre 20 metri e mura spesse oltre 3 metri, si sviluppa su due livelli: il primo è a circa 8 mt. dal terreno, destinato quasi tutto a una grande camera, voltata, dove avevano posizione quattro grossi pezzi d'artiglieria, puntati in varie direzioni, sia verso il mare sia verso la foce del fiume Tirso, per contrastare la risalita del suo corso sino alla città da parte di navi nemiche. Il piano superiore è circoscritto a forma di ballatoio per contenere, attraverso varie troniere, altre armi da fuoco manovrabili manualmente. La costruzione iniziò nel 1542, dopo le disposizioni di Carlo V nel 1535, con l'impiego di denaro della città di Oristano, ma ancora nel 1553-54 il Parlamento si lamentava della lentezza dei lavori della torre. Venne quindi ultimata dopo il 1555 grazie alle entrate legate al diritto di ancoraggio che la città di Oristano ottenne dal Viceré. L'ultimazione dell'opera è, comunque, da porre prima del 1572, anno della relazione del capitano Camos, in cui venne censita la torre. Nonostante fosse di grandi dimensioni e in grado di ospitare una guarnigione di 20 venti soldati e di sostenere un assedio di qualche giorno, nel 1637, in piena Guerra dei Trent'anni, 42 bastimenti a vela francesi, comandati dall'ammiraglio Carlo di Lorena, duca di Hancourt, riuscirono a sbarcare e a depredare la città di Oristano per cinque giorni. Quindici anni più tardi, nel 1652, il governo spagnolo si liberò del gravame amministrativo della torre, cedendola insieme alle peschiere di Cabras e Santa Giusta a Girolamo Vivaldi. Nel 1684 vennero compiute opere di restauro e altre nel 1692. Secondo la relazione del Ripol, inviato del re sabaudo, nel 1767 la torre era servita da una guarnigione composta da un alcaide (capitano), un artigliere e sei soldati; un numero pari, all'epoca, alla sola torre di Bosa. Nel 1786 sono documentati lavori di restauro e per tutto il XIX secolo si hanno notizie di opere di manutenzione, che hanno garantito ottime condizioni architettoniche e statiche. Dalla cima della torre si poteva osservare tutto il Golfo di Oristano e tenere i contatti con le torri di San Giovanni (Cabras), di Marceddi e Capo Frasca (Terralba) nonchè con la città di Oristano e borghi limitrofi. La torre venne utilizzata dal La Marmora e dal De Candia come punto geodetico per la realizzazione di carte topografiche. Accanto al fortilizio vennero costruiti dei magazzini, che custodivano svariate mercanzie. Dopo lo scioglimento dell'amministrazione delle torri nel 1842 continuò ad essere presidiata come stazione semaforica dal demanio militare. Nel XIX secolo, nella piazza d'armi, a 17 mt dal suolo, fu edificata un'abitazione civile in stile neoclassico per il personale “farista”. Di proprietà della Regione Autonoma della Sardegna, la costruzione, posta di fronte alla spiaggia a due metri sul mare, è soggetta a vincolo storico culturale ex Codice Urbani.
http://www.torregrandeventi.it, http://www.lamiasardegna.it

Foto: la prima è una cartolina postale, la seconda è presa dal sito www.sardiniaovest.it

venerdì 14 febbraio 2014

Il castello di sabato 15 febbraio






TURI (BA) – Palazzo Marchesale Venusio

Ha origini che risalgono al Medioevo, più precisamente al periodo del normanno Tommaso da Frassineto (XI-XII sec.), primo dominus di Turi, e presenta alcuni elementi architettonici risalenti ai tempi di Goffredo, nipote di Roberto il Guiscardo. È stato sicuramente un castello medievale per la sua posizione al margine dell'abitato, e per il grande fornice d'accesso alla piazza interna ed è situato a più di 270 m. sul livello del mare. Il castello si ampliò con gli Svevi e gli Angioini, ma probabilmente solo con l'insediamento, nel 1547, del nuovo feudatario Francesco Moles (originario di Gerona, Spagna), l'edificio dovette assumere le fattezze di una fortezza-palazzo, con nuove torri e nuovi corpi di fabbrica. Nel 1741, il passaggio del feudo dai Moles a Ottavio Venusio di Matera (che in seguito fu elevato al titolo di Marchese da Ferdinando IV di Borbone), comportò una profonda trasformazione dell’edificio che venne in parte demolito per assumere l'aspetto di fastosa dimora barocca che ancora oggi possiamo ammirare, con il monumentale ingresso nella bella piazza cap. Colapietro, le balconate, i finestroni e le artistiche ringhiere. Il Palazzo Marchesale è costituito da un piano terra, con tracce di epoca normanna (XI secolo), un primo piano con caratteristiche dell’antico castello baronale dei Moles (XVI secolo) e un secondo piano che riflette la trasformazione del castello cinquecentesco nell’attuale palazzo di aspetto barocco, ad opera dei marchesi Venusio. In questo periodo al piano terra ci dovevano essere le carceri, la legnaia, le stalle, le cantine, il magazzino, la neviera, un giardino murato ed un cortile con una scala per accedere al piano superiore dove si trovavano invece un magazzino con quattro cisterne per conservare vettovaglie, gli appartamenti, la dispensa ed una libreria. L’edificio ha due corpi laterali, appena accennati, e un'altra zona basamentale in blocchi di pietra. Il prospetto su Largo Marchesale, rivestito a bugnato nella parte inferiore, è caratterizzato, sul corpo centrale, da un lungo balcone su mensoloni con porte-finestre timpanate. Spicca iI maestoso portale di gusto napoletano presenta lateralmente delle lesene ruotate in fuori e presentava, fino a qualche anno addietro, sulla trabeazione uno stemma lapideo araldico dei Marchesi Venusio in fregio. Il piano nobile presenta ampie finestre aperte su balconi di stile barocco corredati da ringhiere bombate in ferro battuto. Al cortile interno, di notevole decoro, si accede da un grande androne. Negli ultimi anni del '900 la dimora feudale, fatta oggetto di ampi lavori di restauro, è stata destinata a struttura turistico-alberghiera. Oggi il Palazzo, che è “Monumento Nazionale”, presta i suoi oltre 3000 mq. di splendidi ambienti in pietra viva, con volte a botte e a crociera, a ricevimenti, banchetti, congressi, concerti e manifestazioni culturali di vario genere. Gli spazi esterni, la corte e il giardino, nelle serate estive, sono ambienti ideali, ad esempio, per splendidi buffet e aperitivi. Vi è un sito web ufficiale: Sito ufficiale: http://www.palazzomarchesalevenusio.com
Fonti: http://it.wikipedia.org, http://www.comune.turi.ba.it (testo di Giovanni Lerede, del Centro Studi di Storia e Cultura di Turi), http://www.turismo-puglia.eu, http://www.viaggiareinpuglia.it
Foto: la prima è una cartolina postale, la seconda è di wildshark Raffa su http://www.panoramio.com

Il castello di venerdì 14 febbraio






SOMMARIVA PERNO (CN) - Castello di Mirafiori

Si erge sulla sommità del paese, circondato dal profumo dei cespi di capperi che costituiscono una diffusa originalità botanica della zona. A sud-est del concentrico, è citato sin dal 1153, quando papa Eugenio III lo infeudò ai potenti "domini de Summaripa". Questi acquistarono ben presto preminenza nella zona, con ruoli di importanza nei contrastati rapporti di Alba con Asti. Fedeli sin dall'inizio ai Marchesi di Saluzzo (ai quali fecero omaggio all'inizio del '200 di parte di Baldissero d’Alba), spostarono il loro interesse verso le terre del Marchesato. Nel 1270 iniziarono le vendite per i feudi di Sommariva Perno e Tavoleto, con la cessione della sesta parte ai Piloso di S. Vittoria mediante 1000 lire astesi. Nel 1282 una quota di feudo - già venduta dai de Summaripa ai De Brayda - venne assegnata da Asti agli Isnardi, assieme al castello e a parti di Tavoleto. Pochi anni dopo (1295) gli Isnardi, in possesso della quota maggiore di feudo, si accordarono con la Comunità per l'esazione delle decime. L'imperatore Arrigo VII donò nel 1313 città e contea di Asti ad Amedeo V di Savoia che, a sua volta, assegnò alcuni feudi, (fra questi Sommariva Perno) a Filippo d'Acaia, che l'anno seguente vi si recò per ricevere il giuramento di fedeltà dai capi di casa. Nel 1329 Asti sottrasse il feudo agli Acaia. Con la spartizione di terre che seguì alla caduta degli Angioini, Sommariva Perno passò ai Visconti, continuando a dipendere in loco dagli Isnardi. Questi figurano nel 1387 (nell'elenco delle terre date in dote a Valentina Visconti) come i maggiori feudatari di Sommariva, la cui "rocca" è definita forte. Alla fine del '300 parteciparono alla signoria di Sommariva Perno anche i Roero, del ramo di Calosso che, agli inizi del '600, giunsero a possedere l'intero feudo nella persona di Conreno Roero, il quale, nel 1623, nominò erede il duca Carlo Emanuele I ed usufruttuaria la moglie Caterina Asinari. Tre anni dopo il duca eresse Sommariva a marchesato per la stessa Caterina Asinari, vedova di Conreno. Nel 1629 il feudo - non senza strascichi giudiziari - passò a don Felice di Savoia, figlio naturale del Duca, alla cui morte, nel 1644, venne assegnato al marchese Francesco Guglielmo Carron di St-Thomas-de-Coeur, consigliere di Stato e primo segretario sabaudo, che lo ristrutturò e lo ingrandì. All'epoca gli Isnardi conservavano ancora possessi feudali. A metà dell'800 castello e possessi vennero acquistati da Vittorio Emanuele II per farne dono alla moglie morganatica Rosa Vercellana, contessa di Mirafiori, nota come la "bela Rosin", da cui discendono gli attuali proprietari. La contessa arrivò nel 1859 nel castello, riedificato per volontà reale e fatto diventare un austero palazzone ottocentesco, anche residenza di caccia. In questo palazzo, che il re visitò più volte, si scrissero importanti pagine del Risorgimento italiano ed è a Sommariva Perno che è conservato il testo originale, datato 1859, del discorso del re Vittorio Emanuele II con il celebre Grido di Dolore. All'interno del castello si trovano sale con trofei di caccia, bandiere e cimeli ottocenteschi, specialmente riferiti al Re e al ministro Cavour. Circondano il castello terrazze bastionate e un vasto parco. Attualmente è di proprietà dei marchesi Gromis di Trana e non è aperto al pubblico

Fonti: http://it.wikipedia.org, http://www.comune.sommarivaperno.cn.it, http://www.visitterredeisavoia.it

Foto: di danibert su http://rete.comuni-italiani.it mentre la seconda è una cartolina postale