sabato 31 ottobre 2020

Il castello di sabato 31 ottobre




CIVEZZA (IM) - Torri difensive

Secondo le fonti storiche la fondazione del primitivo nucleo di Civezza avvenne nella seconda metà del XII secolo ad opera della comunità di Porto Maurizio che, stando ad una diffusa tradizione locale e probabilmente veritiera, inviò a colonizzare queste terre tre famiglie dalle origini veneziane: i Ricca, i Dolca e gli Arrigo. Da questa origine deriverebbe la disposizione a forma di gondola dell'abitato. Assoggettato al terziere di Torrazza e legato sin dalle origini al territorio portorino, e quindi alla Repubblica di Genova, il borgo di Civezza patì nel 1564 l'assalto dell'ammiraglio turco Dragut che saccheggiò e incendiò il paese. Proprio per contrastare il violento fenomeno furono erette le famose cinque torri d'avvistamento, alcune delle quali sono state inglobate nel tessuto urbano, riconoscibili ma completamente trasformate. La cosiddetta torre "degli Svizzeri" e la torre in via Dante, invece, non hanno perso la propria identità: la prima - nella parte alta del paese, in piazza Venezia - è praticamente intatta, salvo le aperture recenti, rese necessarie dal suo impiego come abitazione privata. È una robusta costruzione in pietre grezze a corsi orizzontali, a pianta quadrangolare e scarpa leggera senza cordolo. Il coronamento aggettante ha conservato le caditoie poggiate su beccatelli. Con la caduta della repubblica genovese sul finire del 1797, il territorio di Civezza, ora separato da Porto Maurizio, fu compreso nel cantone di Dolcedo, poi in quello di Porto Maurizio nella giurisdizione degli Ulivi. Dal 1805, con il passaggio della Repubblica Ligure nel Primo Impero francese, rientrò nel IV cantone di Santo Stefano, nel circondario di Porto Maurizio, del Dipartimento di Montenotte. Fu annesso al Regno di Sardegna nel 1815 dopo il congresso di Vienna del 1814, a seguito della caduta di Napoleone Bonaparte. Facente parte del Regno d'Italia dal 1861, dal 1859 al 1926 il territorio fu compreso nel VI mandamento portorino del circondario di Porto Maurizio facente parte della provincia di Nizza (poi provincia di Porto Maurizio e, dal 1923, di Imperia). Presso una piazza del centro storico civezzino - piazza Venezia - vi è la presenza di una torre d'avvistamento e di difesa denominata "degli svizzeri", edificata nel corso del XVI secolo in pietra a vista e a pianta quadrata. I resti di altre due torri sono individuabili nel borgo antico, oramai inglobate in edifici residenziali più recenti. Civezza sorgeva in origine sulla costa e leggenda vuole che il borgo fosse fondato da due esuli veneziani nel secolo XI: Tuttavia, a causa delle continue scorrerie barbaresche, gli abitanti cercarono rifugio in una zona più elevata e arretrata, sul pianoro di un contrafforte montuoso a circa 200 metri sul mare, sulla riva sinistra del torrente San Lorenzo. Pur in tale posizione più riparata, il paese fu ulteriormente difeso con cinque torri e ciò nonostante fu saccheggiato dalle orde del pirata Dragut nel 1564. Altro link suggerito: https://www.rivieratime.news/civezza-elegante-paese-gli-ulivi-video/ (video)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Civezza, https://www.mondimedievali.net/Castelli/Liguria/imperia/provincia000.htm#boscom, https://unagitafuoriporta.blogspot.com/2012/07/nasce-il-percorso-guidato-fra-torrazza.html

Foto: si riferiscono entrambe alla Torre degli Svizzeri. La prima è presa da http://turismovallesanlorenzo.com/wp-content/uploads/2015/11/Civezza-piazza-Venezia-casa-torre-del-Rivello-o-degli-Svizzeri.jpg, la seconda è presa da http://bigarella.altervista.org/civezza-im-torre-degli-svizzeri/?doing_wp_cron=1604143999.6947588920593261718750

venerdì 30 ottobre 2020

Il castello di venerdì 30 ottobre



BAJARDO (IM) - Castello

Il re longobardo Rotari occupò il territorio nel 643, così come fece ancora Carlo Magno re dei Franchi nella seconda metà dell'VIII secolo. Con la dissoluzione dell'impero carolingio tutta questa zona fu inserita nella Marca Arduinica - istituita dal re Berengario II d'Italia nel 950 - e sotto la giurisdizione del Comitato di Ventimiglia. Tra i secoli IX e X subì il ripetuto saccheggio da parte dei saraceni. Sottoposto al controllo dei conti di Ventimiglia, Bajardo e il borgo di Pigna conobbero un primo attacco militare delle truppe di Genova nel 1130. Il conte Oberto inviò sul territorio due squadre di armati che dovettero ben presto arrendersi: nello stesso anno, in una Bajardo occupata dai Genovesi, gli abitanti furono costretti a giurare fedeltà al comune e alla chiesa genovese. Tuttavia, di lì a poco, Genova restituì il territorio feudale al conte ventimigliese dietro pesanti condizioni. Con l'alleanza tra i conti di Ventimiglia e la Repubblica di Pisa nel 1170, in funzione antigenovese, il territorio dell'entroterra vide la frequentazione dei marinai pisani allo scopo di rifornirsi del legname per le imbarcazioni. Intorno alla metà del XIII secolo Veirana - figlia di Oberto, conte di Ventimiglia e Badalucco - si sposò con Pagano di Ceva, al quale, dopo la morte del padre, passò la quota ereditaria della moglie - metà della contea di Badalucco in condominio con il fratello Bonifacio di Ventimiglia - ovvero su vari paesi dell'entroterra, tra i quali pure Bajardo, che divenne così un possesso del Marchesato di Ceva. Le sempre più forti pressioni dei Genovesi indussero ben presto Pagano e sua moglie a cedere i loro possedimenti nell'estremo ponente al governo della Repubblica di Genova, che li acquistò ufficialmente con annessi i relativi diritti e prebende tramite un atto stilato a Genova il 24 novembre 1259 alla presenza del capitano del popolo Guglielmo Boccanegra al prezzo complessivo di 2.300 lire genovesi. Da quel momento Bajardo avrebbe seguito le sorti politiche della repubblica sotto la giurisdizione della podesteria di Triora. Nel 1282 la comunità baiardese inviò numerosi alberi per la costruzione di 50 galee nei cantieri navali genovesi e nei secoli uomini della comunità parteciparono alle attività, pure belliche, della Superba. Per un breve periodo, nel corso del 1625, Bajardo fu occupata dalle truppe sabaude di Carlo Emanuele I che furono poi scacciate dai soldati di Sanremo, quest'ultimi alleati dei Genovesi. Caduta la repubblica genovese sul finire del XVIII secolo, nel 1797 la municipalità di Bajardo fu inserita nel cantone di Castelfranco della giurisdizione delle Palme (con capoluogo Sanremo) nella Repubblica Ligure; nel 1803 venne aggregato nel cantone sanremese della giurisdizione degli Ulivi (Oneglia capoluogo). Con il passaggio nel Primo Impero francese, dal 1805 al 1814 fu inserito nel cantone di Perinaldo del Dipartimento delle Alpi Marittime. Il congresso di Vienna del 1814 decretò il passaggio del territorio ligure nel Regno di Sardegna: Bajardo fu compreso nel mandamento di Ceriana della provincia di Sanremo. Il 23 febbraio 1887 il sisma che colpì il ponente ligure provocò la semi distruzione del paese vecchio e il crollo del tetto della chiesa parrocchiale di San Nicolò per un totale stimato di 220 vittime. Tra i ruderi - recentemente recuperati e messi in sicurezza - si possono scorgere le vestigia dell'antico castello medioevale, delle colonne del tempio romano e una stele celtica. Nel giorno di Pentecoste, a memoria delle proprie origini celtiche, nel borgo di Bajardo si tiene ogni anno la “Festa della Ra Barca”, unica cerimonia non religiosa della provincia di Imperia. I giovani del paese, con la sola forza delle braccia, erigono un pino, abbattuto la notte precedente e portato in nel centro del borgo. Il fusto del sempreverde simboleggia l'albero maestro d'una nave. Terminato l'innalzamento viene intonato un antico, malinconico canto, che rievoca una tragica storia d'amore. Una settimana dopo la domenica di Pentecoste, il pino viene battuto all'asta come simbolo di fortuna e felicità. Questa rievocazione ha origini in un episodio risalente al periodo delle repubbliche marinare. La storia vuole che il Conte Rubino, signore del paese, avesse fiorenti scambi di legname del Toraggio e del Bignone con la Repubblica di Pisa. Tre dignitari pisani, arrivati a Bajardo per verificare le qualità del legname, si innamorarono delle altrettante figlie del Conte. Iniziarono le frequentazioni fra i sei che culminarono con l'allontanamento furtivo di Angelina, la più giovane, dalla casa paterna per incontrare nottetempo, in quello che ancor oggi è noto come il “Viale degli Innamorati”, il giovane amato che sarebbe salpato la mattina successiva per Pisa. I due decisero allora di fuggire ed appostarsi nella rada sanremese, dove le navi pisane stavano per salpare. Appresa la notizia, il conte Rubino li inseguì e dopo averli raggiunti al Pian Chissora sul passo Ghimbegna, decapitò la figlia con la sua spada. Gli abitanti di Bajardo allora raccolsero il corpo della giovane, lo avvolsero in un manto bianco e lo trasportarono fin sul piazzale del castello. Altri link consigliati: https://www.youtube.com/watch?v=DNeoa_MpGRY (video di zenazone), https://www.youtube.com/watch?v=Ovn94XZWiro (video di Riccardo Piazzalunga), http://www.catalogo.beniculturali.it/sigecSSU_FE/dettaglioScheda.action?[Soprintendenza%20per%20i%20Beni%20Architettonici%20e%20Paesaggistici%20della%20Liguria]&{Soprintendenza%20per%20i%20Beni%20Architettonici%20e%20Paesaggistici%20della%20Liguria=statoDove1=07&statoChi1=s20&}&keycode=ICCD13476079&valoreRicerca=&titoloScheda=castello&stringBeneCategoria=&selezioneSchede=&contenitore=&flagFisicoGiuridico=0

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Bajardo, scheda di Stefano Favero suhttps://www.mondimedievali.net/Castelli/Liguria/imperia/bajardo.htm, 

Foto: la prima è presa da https://www.bellitaliainbici.it/baiardo.htm, la seconda è di Pietro Buonsignore su https://www.liguriadiconfine.it/bajardo-im/

giovedì 29 ottobre 2020

Il castello di giovedì 29 ottobre



PIACENZA - Castello in frazione Mucinasso

Il nome della località Mocionassi appare la prima volta in un documento relativo ad una permuta di 200 pertiche di terra, poste appunto in Mucinasso, stipulata nell'anno 888 dal diacono piacentino Leone poco prima del suo trasferimento a Spoleto. Nel 1072 Mucinasso era di pertinenza dell'abate di San Savino e più tardi, dell'abbazia del monastero dei SS. Salvatore e Gallo di Val Tolla al quale, nel gennaio 1167, l'imperatore Federico Barbarossa concedette questi ed altri beni. Il castello, che ivi sorgeva da epoca imprecisata venne distrutto da Re Enzo di Svevia. Scarse sono le notizie dei secoli successivi relative al fortilizio; nel 1486 era feudo dei Radini Tedeschi, uno dei quali, Giovanni, nel 1503 chiese al Re di Francia, Luigi XII, licenza per poter ricostruire l'edificio che era pericolante. Nel 1696 il feudo di Mucinasso con il titolo di marchesato passò ai Novati; non però il castello, che rimase ai Radini Tedeschi sino al 1916 anno in cui la contessa Leopolda Radini Tedeschi, moglie di Camillo Marazzani Gualdi lo alienava al marchese Giuseppe Malvicini Fontana di Nibbiano, i cui eredi ne soni ancora proprietari. L'edificio, sottoposto nel corso dei secoli a molteplici trasformazioni, conserva poche strutture originarie. Il fossato che lo circondava è stato interrato alcune decine di anni fa.

Fonti: http://www.turismoapiacenza.it/castello_di_mucinasso.html, https://it.wikipedia.org/wiki/Piacenza#Architetture_militari, http://slodigia.tripod.com/storia/storiamain.htm

Foto: la prima è presa da http://www.turismoapiacenza.it/castello_di_mucinasso.html, la seconda è presa da https://www.naniimmobiliare.it/scheda/ita/193/

Il castello di mercoledì 28 ottobre



CALENZANO (FI) - Torre di Baroncoli

Così chiamata perchè ci si arriva tramite una deviazione di via Baroncoli, è la costruzione più visibile del versante del Monte Morello sul quale si affaccia Calenzano con il suo castello (http://castelliere.blogspot.com/2020/05/il-castello-di-venerdi-29-maggio.html) e si trova ad una altitudine di 220 metri s.l.m.. Costruzione incompiuta, fatta edificare da Carlo Ginori detto Il Vecchio (1473-1527) come dimora rurale. Date le caratteristiche l'edificio potrebbe essere stato disegnato da Baccio d'Agnolo, che per la famiglia Ginori svolse numerosi lavori. Secondo altre fonti invece, La Torre di Baroncoli o Torre Digerini-Nuti appartenne molto probabilmente in principio alla famiglia Da Sommaia, mentre nel catasto della zona del 1427, l'edificio risulta essere di Piero di Francesco di Ser Gino, uno dei capostipiti della famiglia Ginori. L'edificio divenne di proprietà della famiglia Digerini-Nuti in quanto parte di una dote, e nel 1913 venne dichiarato di notevole valore artistico. Oggi l'edificio è ingabbiato in strutture metalliche, che ne consentono la conservazione. All’interno della struttura si trovano numerosi architravi e capitelli decorati in pietra, e gli stemmi delle famiglie che vi hanno abitato, tra cui i Ginori e i Bartolini, cui apparteneva Cassandra, moglie di Carlo Ginori.

Fonti: http://www.atccalenzano.it/il-territorio/2009/torre-di-baroncoli/, https://www.mondimedievali.net/Castelli/Toscana/firenze/provincia000.htm#calenzantor

Foto: entrambe del mio amico, e inviato speciale del blog, Claudio Vagaggini suhttps://www.facebook.com/CastelliRoccheFortificazioniItalia/photos/a.10150270612390345/464245640344 e su https://www.facebook.com/CastelliRoccheFortificazioniItalia/photos/a.10150270612390345/464246160344

martedì 27 ottobre 2020

Il castello di martedì 27 ottobre



CAROVILLI (IS) - Castello in frazione Castiglione

A qualche chilometro da Carovilli vi è la frazione Castiglione che, come lascia trasparire il nome, vanta un’antica origine perché il suo feudo è elencato tra quelli che appartenevano a Berardo di Calvello sotto il nome di Castelionem (XII secolo). Nella prima metà del XVI secolo il Convento di S. Maria della Libera presso Cercemaggiore, tra i tanti feudi, aveva anche quello di Castiglione di Carovilli. Nel XVI secolo divenne feudo dei duchi d’Alessandro di Pescolanciano. I resti del castello di Castiglione di Carovilli si trovano su un dosso collinare dell’alta valle del Trigno nei pressi del vallone Pantano. Chiuso a est dalla Selva di Castiglione e a ovest dal massiccio del monte Ingotta (m 1185), la visuale è aperta a sud verso Carovilli e il tratturo Castel di Sangro-Lucera. Al vertice del colle si conservano resti delle mura perimetrali a scarpa di un piccolo fortilizio allungato in direzione nord-sud di metri 20x10 circa, direttamente impostato sul banco di roccia sottostante. All’interno, nella prima metà del XVIII secolo venne impiantata una chiesa, come indica la data del 1720 riportata in un’iscrizione murata sul lato occidentale del campanile dell’edificio religioso. Le strutture murarie del castello sono costituite da blocchi di calcare locale di dimensioni variabili, messi in opera con abbondante malta in filari piuttosto regolari. I materiali lapidei della fortificazione sono stati reimpiegati per la costruzione del successivo edificio religioso. L’abitato, che si trova a nord-est di un colle sul quale era originariamente posizionato l’apparato difensivo del nucleo più antico, fu definitivamente abbandonato, secondo la tradizione popolare, dopo la peste del 1656. Esso rappresenta, con i ruderi della sua antica chiesa di San Nicola, un punto di riferimento paesistico per chi attraversi il territorio comunale. Altri link suggeriti: https://feolasergio1966.myportfolio.com/castiglione-di-carovilli-is (varie foto), https://www.youtube.com/watch?v=vpxRNNyNVEA (video di velierone),

Fonti: https://www.movio.beniculturali.it/ascb/leeccellenzedelmolise/it/37/carovilli, https://www.riservamabaltomolise.it/i-nostri-comuni/carovilli.html 

Foto: la prima è presa da https://www.francovalente.it/2007/09/14/carovilli/, la seconda è di giovanni santini1 su https://it.wikipedia.org/wiki/File:Carovilli_(IS)_-_Fraz._Castiglione,_la_chiesa_ammond.jpg

lunedì 26 ottobre 2020

Il castello di lunedì 26 ottobre



MONIGA DEL GARDA (BS) - Castello

Tra i borghi fortificati sorti sulle colline gardesane nel X secolo, il castello di Moniga, è uno fra i meglio conservati, sia per quello che riguarda la pianta, sia per le strutture murarie. Poiché non vi è mai stata la presenza di un palazzo signorile e mai un signore del luogo vi ha abitato, è corretto definirlo un castello-ricetto (dal latino receptum = rifugio): una semplice aggregazione di case dove la popolazione del villaggio circostante si rifugiava in caso di pericolo, portando con sé quanto necessario al suo sostentamento. E' dunque una costruzione difensiva di tipo comunale, molto simile a quella di Padenghe e alle altre presenti in Valtenesi. Non solo: è proprio tra i vari castelli della zona che, nel periodo delle invasioni barbariche, si sviluppò un ingegnoso sistema di collegamento grazie al quale, attraverso l'uso di precisi segnali, era possibile avvisare del pericolo da qui fino alla città di Brescia. Il castello si trova nella parte occidentale dell'abitato, su una leggera altura coltivata a vigneto; non è, come altre costruzioni simili, sul ciglio di una scarpata, ma sulla strada che collega alcuni dei castelli del territorio. Ed è proprio la sua posizione ben poco strategica, grazie alla quale non ha mai subito assalti e conquiste significativi, che gli ha garantito una così buona conservazione, preservandolo da profonde trasformazioni architettoniche. Fu costruito, come gli altri, per far fronte alle invasioni degli Ungari nel X secolo. Gli Ungari o Magiari erano una popolazione originaria degli Urali che, per un periodo di circa sessant'anni, devastarono l'Europa centrale e del sud-est, durante le loro incursioni primaverili. Questi barbari non erano grandi guerrieri, ma solo dei predoni che, dopo l'inverno, intraprendevano grandi incursioni a danno dei popoli stanziali. La loro tattica era semplicemente quella di muoversi velocemente, razziando tutto quello che trovavano sulla loro strada senza fermarsi a combattere, per poi fare ritorno alle loro terre carichi di bottino. Anche se l'invasione degli Ungari (o Magiari) fu l'ultima invasione barbarica che subì l'Europa, i paesi che erano stati oggetti a quelle scorrerie restarono per molti decenni in preda alla paura che spinse la popolazione dei vari borghi a rinchiudersi in tante piccole comunità che cercavano di sopravvivere. La fine del mondo, predicata dai cristiani, in quell'epoca, sembrava veramente vicina e l'uomo cercava la propria salvezza individuale. Cessato il pericolo delle invasioni, il castello venne abbandonato e lasciato così al suo destino di decadenza. Nei secoli successivi venne utilizzato dagli abitanti e dai pastori come deposito e rifugio per gli animali, diventando una specie di bivacco e terra di nessuno, mentre il destino politico di Moniga rimaneva legato alle vicende della repubblica di Venezia di cui ha condiviso la sorte; Moniga, pur appartenendo alla provincia di Brescia, fa ancora capo alla diocesi di Verona. Il castello, nella forma e struttura come lo vediamo ora, con i merli ghibellini, orti e case all'interno, risale alle modifiche fatte fra il XIV ed il XV secolo, epoca deducibile dai materiali impiegati nella ricostruzione. Agli angoli della cinta muraria sono presenti quattro torri rotonde mentre nella metà dei lati sono visibili tre torri semicircolari. All'interno della cinta muraria, rettangolare con un perimetro di circa 280 metri, sono state costruite quattro file di abitazioni private, alcune con piccoli orti, mentre il portale d'ingresso, situato sulla parte settentrionale delle mura, è stato utilizzato come torre campanaria per la vicina Chiesa Parrocchiale. Il terreno agricolo che circondava il castello è stato trasformato dal Comune in un Parco Pubblico che costituisce una piacevole passeggiata in tutte le stagioni ed una piacevole zona di divertimento musicale in estate. Altri link suggeriti: https://www.preboggion.it/CastelloIT_di_Moniga-delGarda.htm, https://www.youtube.com/watch?v=9N9rnmVu-nw (video con drone di Global Video), https://www.youtube.com/watch?v=nA_vAC69QrQ (video di Simone Orio), https://www.facebook.com/Amici-di-Moniga-del-Garda-105703092440/videos/il-campanile-del-castello-di-moniga-esegue-il-canto-degli-italiani-conosciuto-an/186579222640864/ (video di Amici di Moniga del Garda), https://www.facebook.com/CastelliRoccheFortificazioniItalia/photos/?tab=album&album_id=10157984461780345 (foto varie)

Fonti: http://www.comune.moniga-del-garda.bs.it/Il_Castello.asp, http://www.comune.moniga-del-garda.bs.it/, https://www.tuttogarda.it/moniga/moniga_castelli.htm, https://www.comunitadelgarda.it/Castello-di-Moniga-del-Garda/1103-88-1.html

Foto: la prima è presa da https://www.gardalombardia.it/moniga-del-garda-idc18/, la seconda è presa da https://bimbinlombardia.com/pedonale-moniga-padenghe-bambini-passeggino-sul-lago-di-garda-bs/

domenica 25 ottobre 2020

Il castello di domenica 25 ottobre



ISOLA VICENTINA (VI) - Castel novo

Sorge su quello che nei documenti è definito grumo e che si può dedurre essere la piccola collina più esposta che dà sulla pianura sottostante e che doveva essere un ottimo avamposto per la difesa e il controllo della zona. L'appellativo novo al castello fu messo inizialmente per differenziarlo da una struttura militare che costituiva la prima fortificazione presente sul territorio di Castelnovo da inquadrare nel periodo delle scorribande ungare, che il Berlaffa chiama castrum vetus. Questa è ora inglobata nel campanile della chiesa di San Lorenzo ed è ancora visibile nella parte inferiore della struttura, dove la presenza di due archi nella muratura sta ad indicare che prima lì doveva essere presente un passaggio, che sicuramente non poteva esistere in un semplice campanile. Tale struttura doveva essere accompagnata da un recinto di legno o di pietra (un cui pezzo potrebbe essere la parete nord della chiesa) a cui era era addossata la chiesetta originaria. La prima citazione del Castel Novo nei documenti storici è in un atto della seconda metà dell'XI secolo, mentre in un documento del 1029 si trova già il toponimo Castronovo, ma non si fa nessun riferimento all'edificio. In realtà nel primo documento, con il termine castrum non si fa riferimento direttamente alla struttura, ma al villaggio che gravitava attorno al castello, che non era più una mera fortificazione, ma anche una sede giuridica. Il riferimento al villaggio e quindi necessariamente al castello che vi dominava, viene fatto anche in un documento del 1113. Nonostante Castelnovo fosse all'interno dei territori che vennero donati da Berengario al vescovo Vitale, in nessun documento successivo si fa mai riferimento a Castelnovo come uno dei possedimenti vescovili, nemmeno nei diplomi imperiali per l'esenzione dalla tassa del fodro, i quali contenevano sempre l'elenco completo dei castelli in possesso del vescovo. Appare quindi chiaro, visti i mancanti riferimenti ai possedimenti vescovili, che Castelnovo non fosse un feudo dominicale del Vescovo. I documenti, a partire dal 1308, ci permettono invece di affermare che il castello fosse sotto i possedimenti di un signore laico che veniva investito del diritto di decima da parte del Vescovo di Vicenza. Il castello, o parte di esso, andò sicuramente distrutto nel corso del Duecento, dopo la morte di Ezzelino III. La conseguente crisi dei ghibellini portò alla loro fuga da Vicenza nel 1263 e l'occupazione di Marostica, Malo, Thiene e Isola. Chiaramente la loro sconfitta causò anche la distruzione dei castelli in cui combatterono. Dopo questa disfatta è molto probabile che della residenza del signore non sia rimasto molto. In un documento del 1308 si trova scritto «turris et castellare» ed è un dettaglio importante per due motivi: con il termine castellare si intende, in latino medioevale, un castello in rovina (si sarebbe potuto descriverlo come castrum) e il fatto che sia citata dopo la torre ne indica una minore importanza, quasi sicuramente per il fatto di essere distrutta che per un reale ruolo minore. La conquista di Vicenza da parte di Cangrande della Scala non portò alla ricostruzione del sistema difensivo, dal momento che la zona a nord della città fu sempre controllata da signori fedeli agli scaligeri. La torre maggiore non fu quindi mai ricostruita, almeno fino al Quattrocento, quando il Pagliarino ne attestò lo stato di abbandono. La torre rimase integra e a testimonianza di ciò ci sono diversi documenti che ne attestano i passaggi di proprietà. Del castellare, invece, si perdono le tracce storiografiche fino al secolo XV, quando lo storico Pagliarino attesta che la costruzione è ancora distrutta. Nel 1452 la proprietà venne venduta a Marchioro per 4 ducati, passò ad una sua discendente che la vendette a Nicolò Loschi, il quale nel 1481 la lasciò al figlio Gerolamo tramite un lascito in cui specificava che la torre non dovesse mai essere distrutta e che rimanesse sempre all'interno della famiglia. Nel 1564 il Balanzon elenca fra i possedimenti di Nicolosa Loschi un castello sul monte in cui è possibile intuire che venne costruita la casa-torre ancora oggi visibile sulle fondamenta del vecchio mastio. La ristrutturazione coinvolse anche la torre minore che si vide sostituire le feritoie da grandi finestroni rettangolari. Il castello rimase nelle proprietà dei Loschi fino a Nicolosa Loschi che, alla sua morte nel 1581, lo passò al figlio Ippolito Fiocardi, il quale nel 1625 ne deteneva ancora la proprietà. Da questo momento, fino all'estinzione della famiglia a inizio del XIX secolo, il castello rimase in mano ai Fiocardi, pur con gli alti e bassi che la famiglia subì. Per tutto l'Ottocento passò a diversi proprietari e per vent'anni fu anche delle suore Canossiane di Vicenza, che lo usarono come luogo di villeggiatura per le suore e le alunne. Nel 1923 venne acquistato da Antonio Dell'Osbel, un bellunese trapiantato nel vicentino, e passò poi nelle mani del figlio, Giusto Dell'Osbel. Giusto possedette il castello fino al 1963, dopo che per molti anni il suo giardino fu ritrovo dei picnic domenicali organizzati da Giuseppe Dalle Molle, fautore e sostenitore della nascita della pro loco locale. L'idea di Dalle Molle era quella di usare il castello per i ritrovi e come fulcro della vita associativa e che quindi una società dovesse acquistarlo e gestirlo per i cittadini a nome della pro loco. Riuscì nell'impresa e dal 1963 divenne un luogo ad uso della comunità. Per molti anni venne usato per feste e ritrovi, ma l'entusiasmo alla fine scemò e già alla fine degli anni Ottanta entrò in decadenza. Nel 1993 venne messo in vendita e nel 1995 venne comprato dai coniugi Pierino e Marilisa Meggiorin, attuale proprietaria, che provvidero a restaurarlo tra il 1998 e il 2002. Non si sa molto della struttura del castello per mancanza di dati certi, ma la si può desumere da due documenti (uno del 1308 e uno del 1391). Nel complesso il castello doveva essere costituito da un edificio principale (il mastio, sito nel punto più alto della collina e che fungeva da abitazione), una torre (a scopo di controllo e di difesa) e da una fracta, termine antico per intendere una zona boschiva a scopo di difesa che doveva circondare tutta la proprietà per permettere l'entrata solo dalla zona vicino alla torre che aveva quindi uno scopo di controllo e di difesa. La torre maggiore del castello, che doveva essere l'edificio principale, non ha un nome preciso. Nelle fonti viene definito anche come torrione o mastio. Nel suo periodo più sventurato, la storiografia lo cita come castellare. Attualmente gli abitanti di Castelnovo lo chiamano anche Torón, ma con questo appellativo si riferiscono non solo alla costruzione, ma anche alla collina su cui è sito. Un tempo residenza del signore, fu la parte di castello che subì i maggiori danni nel XIII secolo e rimase un rudere per circa due secoli. Venne ristrutturata nel Quattrocento e nel Cinquecento in modo massiccio e restaurata senza porvi modifiche a cavallo fra II e il III millennio. Non si hanno documentazioni sui lavori, ma le tecniche costruttive suggeriscono appunto l'epoca della ricostruzione. I resti delle vecchie e spesse mura medioevali vennero recuperati e su di essi le pareti vennero innalzate mantenendo lo spessore fino a raggiungere un'altezza doppia. Per la costruzione della parte mancante delle pareti si utilizzarono i laterizi, frammisti a qualche pietra, in aperta contrapposizione con lo stile di sola pietra della parte inferiore, che trasuda invece, la medioevalità di quelli che erano i ruderi del vecchio mastio. Gli angoli vennero rinforzati con delle pietre squadrate che richiamano lo stile medioevale. All'interno si ottennero due stanze: un ambiente al pian terreno, piccolo, senza finestre e con una volta a botte, che tramite una scala che correva internamente sulla parete nord, si collegava ad un primo piano su cui si aprivano 5 finestroni rettangolari (2 nella parete occidentale e 1 su ciascuna delle restanti mura). Nel complesso la torre non doveva avere un aspetto di possente struttura militare dal momento che dopo la dedizione di Vicenza nella Serenissima nel 1404 ci fu un generale atteggiamento di disinteresse all'edilizia militare, sia per il periodo di pace sia perché, per ordine di Venezia, molte fortezze vennero distrutte perché collegate con la nobiltà ribelle. Nel Cinquecento furono due i momenti in cui la torre venne ritoccata. In un primo momento (che corrisponde al primo decennio circa) Antonio Maria Loschi, impaurito dall'imminente Guerra della Lega di Cambrai, decise di dare una fattezza più militare alla torre e la dotò, in modo molto rapido e approssimativo, di una serie di otto piccole arcate sulla sommità di ogni parete: tale costruzione permetteva di allargare leggermente la copertura per consentire di costruire una camminatoia di ronda. La sporgenza venne completata da 9 file di mattoni su cui poggia una decima fila di laterizi disposti a formare una cornice a dente di sega su cui si basa la parte finale della copertura. Il problema di tale aggiunta fu che l'urgenza impedì di sorreggerle con gli adeguati accorgimenti (come delle mensole lignee) e che nelle pareti nord e sud la costruzione intaccò le cornici delle finestre. Terminata la guerra (quindi dopo il 1516), vennero effettuati ulteriori e più consistenti lavori sulla struttura che ebbero maggior impatto all'interno piuttosto che all'esterno. I due grandi ambienti vennero divisi in quattro (un pian terreno, un piano rialzato, un primo piano e un solaio) a loro volta suddivisi da muri interni prima inesistenti. L'entrata principale, accessibile tramite una scalinata, venne ottenuta nella parete orientale e si apriva nel piano rialzato che, essendo privo di illuminazione, venne arricchito di una finestra nel muro meridionale che coincide all'interno con un nicchia scavata nella spessa parete per permette alla luce di entrare adeguatamente. L'originale scala addossata alla parete nord venne abbattuta per ottenere maggiore spazio nel piano rialzato. Per salire ai piani superiori si sfruttarono le pareti: venne ricavata una scala a due rampe nello spessore delle pareti est e nord e nell'angolo venne costruita una piccola feritoia per illuminare il passaggio. Il primo piano venne suddiviso in due, ottenendo anche un solaio sostenuto da travi in legno. Di conseguenza i finestroni vennero murati nella metà superiore e le nuove finestre vennero chiuse in alto con arco di laterizi. L'illuminazione del solaio fu ottenuta con la creazione di quattro aperture, una per lato, in corrispondenza di un'arcatella. La torre attuale si presenta di fatto come quella cinquecentesca, non essendoci stati nel frattempo cambiamenti sostanziali nella struttura. Nell'ultimo restauro avvenuto fra il 1998 e il 2002 venne effettuato un consolidamento generale della struttura che a causa del periodo di inutilizzo e abbandono stava andando incontro ad un collasso statico. Si intervenne maggiormente sulle fondamenta e sulle pareti esterne e interne. Venne rimessa la malta esterna, stando attenti ad utilizzare materiali simili a quelli esistenti. Nel piano interrato vennero tolti tutti i setti divisori, mentre al primo piano e nel sottotetto furono ricavati locali residenziali. Vennero inoltre restaurati la cinta muraria e l'area compresa all'interno di essa, compreso il giardino che venne sistemato il più simile possibile all'epoca di massimo splendore della torre. La torre minore di Castel novo doveva fungere da elemento di difesa (come testimonia la feritoia con strombatura interna rivolta ad est) e di controllo degli accessi al castello, vista la sua posizione ottimale per monitorare la strada che proveniva dalla pianura, da ovest e da nord. Con molta probabilità fungeva anche da collegamento a vista con il vicino castello di Isola. È un edificio di pianta quadrata (di base 9 m) e con un'altezza di 12 m. Fu costruita utilizzando pietre grezze disposte in una serie di file regolari, con pietre squadrate negli angoli. Dette pietre angolari vennero, a inizio Ottocento, utilizzate dai signori Antiga per ristrutturare la loro villa e risultano quindi essere mancanti. Le finestre, inesistenti in epoca medioevale, vennero aggiunte con la ristrutturazione quattrocentesca, che provvide a sostituire le feritoie (tranne quella a est) con tali imposte. Nel secolo XIX la facciata crollò parzialmente e con essa anche una loggia scandita da bifore, la cui traccia rimase nel muro interno che restò scoperto dopo il crollo. La torre è ancora ben visibile lungo via Torre sulla destra, inglobata in un complesso residenziale

Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Castel_novo

Foto: la prima (torre minore) è di Loris Missaggia su https://www.viaggiatoriweb.it/wp-content/uploads/2016/04/103785245.jpg, la seconda (con la torre maggiore in lontananza sulla sinistra) è di Dan1gia2 su https://it.wikipedia.org/wiki/Castel_novo#/media/File:Castelnovo_panorama_via_Terosse.JPG

sabato 24 ottobre 2020

Il castello di sabato 24 ottobre



PERLETTO (CN) - Torre

Il nome del paese deriva dal latino Perlaetum (già nominato con tale nome in un documento del 991): paese ridente e lieto. Già feudo del Marchese del Vasto nel 1090, passò a Bonifacio Minore di Cortemilia nel 1142. Il territorio prima di entrare tra i possedimenti dei Marchesi del Carretto fu sotto la giurisdizione del Monastero di S.Quintino di Spigno. Nel 1203 passò al Marchese di Ottone di Savona o del Carretto e nel 1209 al Comune di Asti. Nel secolo XIV fu sotto il dominio dei Visconti e quindi in feudo Scarampi. Subentrarono anche gli Spinola ed i Valperga. In seguito venne dato in marchesato ai Signori Gozzani di San Giorgio. Il Castello passò poi alla famiglia Toppia (signori del luogo) che ebbe anche un Vescovo ( Mons. Giovanni Francesco 1754-1828, vescovo di Vigevano). I nipoti lo affittarono poi a Vittorio Emanuele II il quale se ne servì come casa da caccia avendo una vasta riserva reale che si estendeva sino a Roccaverano (AT) (castello nel quale passava le sue notti d'amore con l'amante la Bella Rosin ). "Donnaiolo incorreggibile - scrive Domi Gianoglio -, il Re portò nel padiglione l'ultima delle sue conquiste, la bionda ballerina Sofia Keller, austriaca, e ve la tenne a lungo quasi in segregazione, estate ed inverno, salendo a farle visita da Pollenzo con faticose cavalcate una delle quali gli causò una polmonite portandolo sull'orlo della tomba. Guarito, riprese a frequentare la favorita, che si annoiava mortalmente in questo luogo solitario mentre la "Bela Rosin" si rodeva di gelosia, parendole che il capriccio diventasse, col passare del tempo, preoccupante; trovò un alleato in Rattazzi, ministro dell'interno con Cavour, andandogli ad insinuare di segreti di stato che la Keller poteva carpire al Re nell'intimità dell'alcova, quale probabile agente del gabinetto di Vienna. L'uomo politico alessandrino risolse la cosa con astuzia e senza scandalo facendo accompagnare la ballerina al confine del Lombardo-Veneto, non senza il viatico di un congruo numero di marenghi d'oro, tutti recante l'effigie del suo augusto protettore". Vittorio Emanuele II andò su tutte le furie per questo scherzo, ma finì per consolarsi presto: soltanto prese in odio Perletto e mai volle rimettervi piede. Dell'antico maniero (1200 circa) è rimasta una torre alta 36 metri (ma l'altezza originaria secondo alcune fonti doveva essere di circa 18 trabucchi, pari a 55.5 metri), quadrata, di pietra da taglio che denota la passata struttura di questo castello feudale molto fortificato con delle mura anch'esse austere, che lo circondavano tutto. Il castello, perché un castello sorgeva un tempo accanto ed intorno alla torre, che è poi sparito con i secoli senza lasciare molte tracce al di là dell'impostazione planimetrica dei fabbricati ancora oggi circondanti la torre stessa, sorse nel Trecento all'interno di quel sistema fortificato dei Del Carretto, a cui più volte si è accennato come ad uno dei più consolidati esempi di sistema fortificato a scala territoriale, di "scacchiere". La torre che sorge nell'abitato, coronata dalle sue caditoie e sormontata da una statua della Madonna di grandi dimensioni posta in opera negli anni Sessanta, è una delle più belle costruzioni che si possano ammirare nelle Langhe. Caratteristici della torre sono i suoi sotterranei interni, le "marche" (grafici) sui lati esterni che simboleggiavano la provenienza della pietra e ne indicavano l'artigiano autore dell'opera (visibili solo col binocolo) ed il bellissimo forno in pietra collocato all'ultimo piano del monumento. Dall'estate del 1999 la torre è visitabile al suo interno e permette a chi vi accede fino alla sommità di ammirare scorci panoramici suggestivi. E' dotata di illuminazione interna per permettere visite guidate notturne. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=ew40k2e9Il8 (video di Roberto Ezio Pozzo), https://www.youtube.com/watch?v=MTwyGjyt2M8 (video di Kiarissima100)

Fonti: http://www.comune.perletto.cn.it/Home/Guida-al-paese?IDPagina=33883&IDCat=5212, https://www.centrostudibeppefenoglio.it/it/articolo/9-11-857/arte/architettura/torre-di-perletto 

Foto: la prima è di danielegallo su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/162932/view, la seconda è di Edmond Kaceli su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/388620/view

Il castello di venerdì 23 ottobre




PIETRAPERZIA (EN) - Castello Barresi Branciforte

La storia del Castello di Pietraperzia prende inizio dall’anno 1060, quando al seguito del conte Ruggero il Normanno, arrivò in Sicilia Abbo Barresi, conquistata l’intera isola, il conte volle ricompensare il suo fedele alleato donandogli alcune terre tra cui territorio di Pietraperzia e Sommatino. La famiglia Barresi ebbe cariche e ruoli assai importanti nel corso della travagliata storia di Sicilia. Quando Pietro d’Aragona sbarcò a Trapani (1282) per rivendicare la corona in nome della moglie Costanza, i Barresi Enrico e Giovanni divennero suoi alleati. Alla morte del re Pietro d’Aragona (1296), tra i suoi due figli, Giacomo e Federico, scoppiò una cruenta lotta per il potere; in questa occasione i Barresi, si schierarono con Giacomo dalla parte degli Angioini, mettendo a disposizione dei Francesi i propri castelli tra cui anche il castello di Pietraperzia, che si dimostrò un baluardo imprendibile. Federico d’Aragona mandò contro i Barresi i migliori capitani del suo esercito, ma il castello di Pietraperzia resistette egregiamente a tutti gli assalti fino a quando venne espugnato per fame da Manfredi Chiaramonte; i Barresi allora furono mandati in esilio e le loro terre confiscate. Con la pace di Caltebellotta ebbe termine la guerra; con questo trattato la Sicilia fu lasciata a Federico II il quale sposò Eleonora, figlia del re Angioino che divenuta regina, fece riabilitare i Barresi che ottennero la restituzione dei loro beni. Cosi nel 1520, Abbo Barresi, figlio di Giovanni entrava di nuovo nelle grazie di Federico II rimpadronendosi del castello e delle terre che erano state confiscate al padre. Abbo Barresi abitò con la moglie a Pietraperzia ed iniziò la ricostruzione del castello. Alla morte di costui, l’edificio passò nelle mani del suo primogenito Artale , questi a sua volta lo diede al fratello Ughetto e cosi via di generazione in generazione. Lo sviluppo del castello avvenne in tre fasi successive, e completato nel 1526 dal marchese Matteo Barresi. I Barresi abitarono il castello sino al 1571. Si può considerare epoca d’oro per Pietraperzia tutto il sedicesimo secolo che vide i Barresi trasformarsi da baroni in marchesi con Matteo III Barresi (fondatore di Barrafranca nel 5129) e poi in prìncipi (1564) con Pietro Barresi. Il castello diventò allora ambìto ritrovo di gente amante della cultura e della politica. Lo steso Pietro Barresi fu esperto astronomo e la sua corte apprezzò anche composizioni di madrigali. Egli partecipò anche alla lotta contro i Turchi, che si concluse con la vittoria di Lepanto nel 1571. Alla sua morte, non avendo eredi diretti, gli successe la sorella Donna Dorotea, la quale andò sposa in prime nozze a Giovanni Branciforti quarto conte di Mazzarino. Dorotea Barresi, avendo sposato in terze nozze il Vicerè di Napoli, Giovanni Zunica, fu durante la vita anche Viceregina ed essendo, per sue virtù, in stima presso il papa del tempo, Gregorio XIII, fu scelta del re Filippo II di Spagna come attenta custode dell’educazione di suo figlio; figlio che poi sarebbe divenuto re Filippo III. Alla morte di Dorotea subentrò il figlio, Fabrizio Branciforti, signore di molte terre, che abitò a Butera, a Mazzarito, a Militello fino a trasferirsi definitivamente a Palermo, lasciando il castello di Pietraperzia nelle mani prima del Governatore, poi in quelle del Capitano, del Cappellano ed infine anche nelle mani di persone che facevano solo parte della sua corte. Come conseguenza si assistette ad un lento decadimento culturale ed una grande crisi sociale del paese di Pietraperzia, del suo castello e del suo territorio; fino alla tragica costituzione di una banda armata capitanata da un certo Antonio Di Blasi detto Testalonga che, in soli due anni di banditismo (1765-1767), con i suoi sequestri e i suoi ricatti usati per colpire ricchi commercianti e nobili potenti, seminò il terrore in tutta la Sicilia. Testalonga, a causa di una delazione, fu catturato ed impiccato a Mussomeli. Negli ultimi due secoli del secondo millennio fu come se una forza oscura spingesse a cancellare il grandioso, monumento e a ridurlo quasi ad un cumulo di macerie. Il fronte nord della fortezza, di 122 metri ed alto quattro piani, era suddiviso in tre distinte parti che rispecchiavano le diverse epoche di costruzione normanna, sveva e catalana. Numerosissime erano le finestre, alcune delle quali offrivano all’interno, accanto agli stipiti, due sedili in pietra che invitavano a sedersi ad osservare lo stupendo panorama delle valli sottostanti. L’edificio in origine racchiudeva un’area di circa 20.000 metri quadrati. Le mura si estendevano per 1.150 m ed in alcuni punti raggiungevano oltre 4 m. Lungo di esse si elevavano diverse torri e bastioni di cui non e rimasta traccia, ad eccezione dei resti di un torrione merlato detto “Corona del Re” e della Torre quadrangolare dell’ingresso (andata distrutta per far posto al serbatoio dell'acqua potabile nel 1938), nonchè di alcuni bastioni a sud e a nord. Al centro, accanto alla “Corona del Re”, si erge il “mastio”. Questa struttura doveva servire come ultima difesa, era situato sopra la cima del colle ed in parte era stato ricavato nella viva roccia, costituendo così un inespugnabile baluardo di eccezionale robustezza . La porta d’ingresso al castello era rivolta a mezzogiorno, quella del mastio a nord-ovest; ad esse si poteva accedere dal cortile interno tramite gradini ritagliati nella roccia. Sotto al “mastio” sono ancora visibili i gradini, ritagliati nella roccia, che portavano alle prigioni sotterranee, ed alla torre della “Corona del Re”a base ottagonale. Una leggenda vuole che le stanze del castello fossero 365, quanti sono i giorni dell’anno; elevate su quattro piani, quante le stagioni dell’anno, esso aveva 12 torri, tanti quanti sono i mesi. Con la caduta del feudalesimo nel 1812 la struttura cadde nell'oblio, soffrendo una contesa (secondo il Guarnaccia) tra il Comune di Pietraperzia e Donna Caterina Branciforte, la quale aveva concesso l'affitto al comune, con l'intento di quest'ultimo di adibirlo a carcere mandamentale fino al 1906. La struttura divenne famosa non più per la sua possenza, bensì per le sue condizioni disumane in cui i prigionieri venivano tenuti e per le torture che venivano loro afflitte; nelle sue celle non era possibile stare né in posizione eretta, né coricati, anche perché le prigioni non erano altro che una serie di antiche piccole caverne. Mancati pagamenti e mancati interventi di manutenzione da ambo le parti furono complici della distruzione del castello, oltre a un terremoto avvenuto tra 1883 e il 1885 e l'incuria delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali che seguirono; senza trascurare lo sciacallaggio della popolazione lasciata libera di agire; esso inoltre fu adibito a lazzaretto per i colerosi e rifugio dei senza tetto fino agli anni del secondo conflitto mondiale. Il maestoso Castello è costruito su una rupe calcarea del Terziario antico (50-60 milioni di anni fa), collocato a metri 549 sul livello del mare. La rocca su cui sorge il castello fece parte fin dall'età del Bronzo di una fascia di fortificazioni di cui si conoscono quelle di Capodarso, Sabucina Gibil Gabib, situate sulla sponda sinistra del Halicos (Salso). Nel caso di Pietraperzia si può dire con certezza assoluta, grazie ai ritrovamenti archeologici venuti alla luce nei pressi del castello, che le prime fortificazioni risalgono al periodo siculo. Il castello fu largamente usato per scopi bellici, soprattutto nelle lunghe e sanguinose lotte tra Angioini ed Aragonesi. Numerose erano le merlature sia sulla facciata esterna sia sul cortile; molte erano le statue che adornavano il castello e spesso riproducevano, nelle sembianze degli eroi, la famiglia Barresi. Questa vera e propria reggia, che ha rappresentato il più ricco e fascinoso castello feudale della Sicilia, offrì nei decenni a seguire una comoda resistenza ai successori. Il portone d’ingresso della struttura trovatasi a mezzogiorno, con una larghezza di m 2.20 ed una altezza di m 3.20; un tempo, al di sopra d’esso, era posto lo stemma dei Barresi: una scrofa che allatta i suoi piccoli. Di fronte all’ingresso era una nicchia dove pare fosse posizionato un affresco con l’immagine della Madonna delle Grazie, molto onorata dalle fanciulle del borgo. Sulla destra del portone si apriva un camminamento che conduceva ai sotterranei ed iniziando la seconda rampa di scale sulla sinistra, si scopriva una scaletta ricavata nella roccia la cui volta era sostenuta da due grandi archi; probabile sito di un posto di guardia. La seconda rampa di scale, decorata con segni zodiacali, conduce al cortile d’ingresso del castello dove era situato un portone con un ricco portale. Di fronte al portone la torre quadrangolare che ospitava, nel piano sotterraneo le sepolture dei principi, al primo piano la cappella di Sant’Antonio Abate ed al secondo piano, proprio sopra la cappella, l’abitazione del cappellano. Un portale di marmo bianco, decorato con foglie e figure (che molti studiosi attribuivano al Gagini e di cui oggi rimane solo memoria storica), immetteva alla cappella, la quale era ad una sola navata ed aveva una finestra a feritoia da cui filtrava una luce che illuminava degli affreschi. Sull’altare della cappella era dipinta la Madonna della Catena e pare che il soffitto fosse realizzato a cassettoni con travi dorate e dipinti raffiguranti scene della Genesi. Resti di pavimento si hanno vicino all’altare, dove era anche una botola che conduceva alle sepolture dei signori; stupendi sarcofagi realizzati in marmo. Un maestoso portale di fronte alla cappella, immetteva al “gran cortile”; in origine di straordinaria bellezza per la ricercatezza architettonica ed il largo impiego di armi che producevano scene in basso rilievo, capitelli, pilastri, colonnine, finestre e sculture a tutto tondo. Una parte di esso era coperta e delimitata da portici, mentre una scalea portava ai vari piani. Il “gran salone” merita di essere ricordato: distrutto dal terremoto del 1883; si affacciava sul cortile e alle pareti erano collocati dipinti che riproducevano gli stemmi delle famiglie nobili con le quali i Barresi erano imparentati; facevano mostra di sé anche arazzi di notevole fattura; le travi del soffitto, invece, erano dipinte con scene campestri e di caccia. Sotto al salone era collocata la sala d’arme; ricca d’armature per cavalli e cavalieri, oltre che da elmi, spade, alabarde, mazze e lance. Si sa di un’armeria ben provvista e con l’avvento delle armi da fuoco le difese del castello furono rafforzate da rivellini e da numerosi cannoni, che pare non fu mai necessario usare. Altri link suggeriti: https://www.turismoenna.it/il-castello-barresi, http://www.virtualsicily.it/Monumento-Castello%20Barresi%20-EN-168, https://www.gnuni.com/IT/punti/sicilia/castello-barresi-di-pietraperzia, https://www.youtube.com/watch?v=3Z2k-dyn-L8 (video di Enrico Petrantoni), https://www.youtube.com/watch?v=ZF5Lz0C9Fok (video di Archeoclub Pietraperzia)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Pietraperzia, https://www.comune.pietraperzia.en.it/ente/castello-barresio/, https://www.fondoambiente.it/luoghi/castello-barresi?ldc, https://www.ilcasalediemma.it/eventi-archeologia-sicilia/sicilia-castello-pietraperzia/

Foto: la prima è di Salvatore Pirrera su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/390260/view, la seconda è una cartolina della mia collezione. Infine la terza è un fermo immagine del video di Enrico Petrantoni su https://www.youtube.com/watch?v=3Z2k-dyn-L8

giovedì 22 ottobre 2020

Il castello di giovedì 22 ottobre



ROVERETO (TN) - Castello

Il castello (uno dei migliori esempi di fortificazione alpina tardo-medievale), che sorge su un dosso roccioso sulla riva destra del Torrente Leno e sovrasta l'odierna piazza Podestà, dove ha sede il palazzo del municipio, trova le sue origini nel XIV secolo, come risulta dalle prime fonti che lo citano. La rocca è menzionata come "Casteljunclum de novo edificatum" e risultava di diritto vescovile. Risale al 1354 la notizia che vede Marcabruno di Castelbarco sottoscrivere un contratto feudale nella sala del camino della fortezza roveretana. I Castelbarco restarono nel capoluogo lagarino fino al primo decennio del 1400 quando, per volontà testamentaria, cedettero ai veneziani il controllo di tutta la valle. La Repubblica di Venezia si espanse, infatti, anche in Trentino per controllare i commerci lungo l'Adige. Nel 1411 occupò Ala, Avio e Brentonico, e nel 1416 Rovereto. Nel 1416 i veneziani assediarono e presero Rovereto e, a seguito di accordi diplomatici, ad Aldrighetto Castelbarco vennero consegnati il Castello di Nomi e una pensione annua in cambio del castello di Rovereto, del suburbio e di castel Pradaglia. Il castello, che ricevette l'attuale forma pentagonale all'epoca della dominazione veneziana, inglobando la preesistente rocca dei Castelbarco, era posto a presidio della valle dell'Adige in una posizione che permetteva il controllo del passaggio del Leno e delle vie che arrivavano a Rovereto, la Vallagarina e la Vallarsa. In epoca medievale le sue mura erano costruite con dei sassi ed erano più sottili e prive di feritoie per far sparare ai cannoni e di torri angolari a base quadrata. Nel 1487 la Serenissima si espanse in Valsugana e nelle Giudicarie. I veneziani istituirono i podestà che avevano il compito di governare i territori trentini annessi. Rovereto diventò il più importante centro militare, politico, amministrativo e commerciale della Repubblica veneziana tra il porto adriatico e i mercati centro-europei. Il castello di Rovereto fu occupato dalla Serenissima nel 1416, che ne mutò completamente l'assetto medievale; ai veneziani (e in particolare agli architetti Giacomo Coltrino e Bartolomeo d'Alviano) dobbiamo infatti l'odierna forma poligonale e i suoi prevalenti tratti militari, i camminamenti per il servizio dei cannoni, la cinta muraria e bastioni muniti di decine di cannoniere, il fossato, il pozzo per resistere agli assedi (profondo 57 metri) e i grandiosi torrioni Marino, Malipiero e Coltrino. I veneziani aumentarono lo spessore delle mura che vennero da quel momento costruite con sassi e malte. Questo tipo di scelta architettonica fu legata ad un motivo militare ed in particolare all'utilizzo dei cannoni come arma principale. Costruirono anche tre torrioni, a forma poligonale, diversa dalla forma quadrata della prima torre medievale. Questi torrioni, per rafforzarli, venivano di prassi riempiti di terra. Nel 1487 il sito fu espugnato dalle truppe arciducali d'Austria, guidate da Sigismondo d'Austria (conte del Tirolo) e dotato di un esercito composto da circa 8000 uomini, di cui facevano parte anche mercenari svizzeri e un contingente tirolese e bavarese: il castello subì dal 23 aprile un durissimo assedio durato ben 37 giorni e venne inoltre incendiato. Si dovette arrendere dopo che le artiglierie lo ebbero gravemente danneggiato. Fu ripreso rapidamente dai veneziani dopo che Venezia ebbe raccolto un esercito di 4200 fanti, tra cui numerosi provenienti da Thiene, e circa 3000 cavalieri guidati da Roberto di Sanseverino che liberò la città. In seguito i veneziani ricostruirono il castello mediante nuovi e moderni criteri. La battaglia di Calliano fu una guerra combattuta nella Vallagarina causata da motivi di tipo commerciale, scoppiata nell'anno 1487. Da un lato combatterono le truppe veneziane guidate da Roberto di Sanseverino, dall'altro le truppe austriache, guidate dal comandante Friedrich Kappler. A quest'ultimo si deve la vittoria della battaglia del 10 agosto 1484, che costrinse la ritirata dei veneziani, seppure numericamente superiori. In questa battaglia morirono 10.000 veneziani tra cui il Sanseverino stesso. Il conflitto terminò nel novembre del 1487 con la pace sottoscritta a Venezia. L'edificio rimase sotto il controllo veneziano fino alla fine del suo dominio in Trentino nel 1509, anno in cui fu ceduto agli Asburgo divenendo sede dei capitani imperiali e della guarnigione. L'imperatore Massimiliano la elevò al rango di città. Dopo la sua morte venne proposto di annettere la città al Tirolo, ma l'idea incontrò l’opposizione dei cittadini, timorosi di perdere privilegi ed autonomia. Nel 1564 la città venne nuovamente occupata dalle truppe imperiali, che costrinsero i cittadini a giurare fedeltà a Ferdinando I. L´imperatore aggregò la città ai territori tirolesi, privandola dell’autonomia concessa da Massimiliano. Nella seconda metà del XVII secolo la fortezza perse importanza, subendo pesanti rimaneggiamenti e incendi (l'ultimo di questi nel 1797). Nell'Ottocento il castello fu utilizzato come ricovero di mendicità, casa di pena e, dal 1859 al 1918, come sede di due compagnie del 3º reggimento Kaiserjager. Nel corso della prima guerra mondiale, dall'evacuazione di Rovereto del maggio 1915 al novembre 1918, il castello e la città, rimasti sotto gli austro-ungarici, subirono gravi bombardamenti da parte dell'artiglieria italiana. L'edificio è stato restaurato nel corso degli anni venti, e tuttora è interessato da un progetto di restauro che renderà identificabili le diverse stagioni della sua storia monumentale. Dal 1921 ospita al suo interno il Museo storico italiano della guerra (https://www.museodellaguerra.it/visita/castello/), uno dei più rappresentativi in Italia. Il museo ospita armi, divise, manifesti e reperti della guerra, tra cui un esemplare di Nieuport-Macchi 10, un velivolo usato per l’addestramento militare nel 1918. Numerose le sale dedicate alla memoria di eroi e luoghi bellici. In seguito, dalla fine degli anni '90 la sovraintendenza ai beni culturali della provincia autonoma di Trento ha deciso di rivitalizzare la fortificazione dando in mano il progetto all'architetto Giorgio Micheletti. Le forme della rocca rivelano le sue prevalenti funzioni strategico-militari. Infatti agli angoli sorgono i due torrioni, e tra questi un bastione con annesso sperone, da dove le artiglierie potevano ben difendere il castello e il territorio circostante. Nel 1492 il governo della Repubblica di Venezia incaricò l'ingegnere militare Jacopo Coltrino per il potenziamento delle difese del castello. Fu così che venne costruita una torre circolare sull'angolo est della fortificazione, chiamata Torrione Marino. Esso è alto circa 25 metri con un diametro alla base di 16 metri. La sua particolare struttura permetteva l'uso di 4 cannoniere; mentre i due livelli inferiori erano destinati alla difesa da vicino. Deve il suo nome a Gerolamo Marino, podestà di Rovereto. Nelle due sale del torrione Marino sono esposte le armi dei cavalieri e dei fanti tra il 1500 e il 1700. Il torrione Malipiero si trova sull’angolo nord-ovest della struttura e deve il suo nome al podestà veneto Paolo Malipiero che lo fece costruire nel 1489. La sua struttura venne pensata per resistere ai colpi di artiglieria del periodo ed è organizzata con tre livelli di cannoniere. Essa poggia su una base di diametro pari a circa 20 metri. Dal 1925 al 1961 la sommità del torrione ospitò Maria Dolens, la celebre campana dei Caduti, oggi collocata sul colle di Miravalle, che suona a ricordo dei caduti di tutte le guerre e di tutte le nazioni. Recentemente restaurato, è stato ricostruito il tetto distrutto da un incendio alla fine del '700. Nel torrione Malipiero sono esposte armi dalla preistoria al Medioevo. Alla fine del Quattrocento, per proteggere le mura del castello dall'artiglieria nemica, gli architetti militari decisero di realizzare un terrapieno, ovvero la fortificazione veniva rivestita da terra contenuta nella cinta muraria in modo tale da assorbire l'impatto dei proiettili. Qui furono stratificati migliaia di metri cubi di terra compatta in profondità, ghiaia legata alla calce in mezzo e materiale di scarto edilizio nella parte superiore. Quest'opera creò così un collegamento tra i due torrioni. A metà Novecento venne inoltre sovrapposta una copertura per poter consentire l'accesso alla campana dei caduti, che ai tempi era posta sul torrione Malipiero. Ciò è visibile meglio grazie ai restauri recentemente condotti. Altri link di approfondimento: https://web.archive.org/web/20110926063836/http://www.icastelli.it/castle-1246893417-castello_di_rovereto_o_castel_veneto-it.php, https://www.youtube.com/watch?v=1WIFxaegKDE e https://www.youtube.com/watch?v=b2UVvfazWeM (entrambi i video di Museo della Guerra Rovereto), https://www.youtube.com/watch?v=0hy4l1S1DTM (video de Il magico mondo di Himegami), https://www.youtube.com/watch?v=G357No01ZGk (video di FerdinandoGonzaga)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Rovereto, https://www.visittrentino.info/it/guida/da-vedere/castelli/castello-di-rovereto_md_2629, http://www.castellideltrentino.it/Siti/Castello-di-Rovereto

Foto: la prima è presa da https://www.cultura.trentino.it/Luoghi/Tutti-i-luoghi-della-cultura/Castelli/Castello-di-Rovereto, la seconda è una cartolina della mia collezione. La terza, infine, è presa da https://www.emozioniinviaggio.net/tag/castello-rovereto-museo-storico-italiano-della-guerra

mercoledì 21 ottobre 2020

Il castello di mercoledì 21 ottobre


OLEVANO LOMELLINA (PV) - Castello

Nulla si conosce delle vicende del borgo sotto la dominazione dei Longobardi e dei Franchi. Nel 1014 lo ritroviamo citato in un diploma di Enrico II col nome di Olivolum, nell'elenco delle terre concesse al Vescovo di Vercelli. Nel corso dell'XI secolo entrò a far parte della Contea di Lomello, che, sotto la guida di Ottone, conte del Sacro palazzo di Pavia, si andava estendendo su tutto il territorio dell'attuale Lomellina. Nel 1164 l'imperatore Federico Barbarossa concesse il feudo ad Uberto de' Olevano, ammiraglio, giurista ed abile negoziatore dell'impero, capostipite della nobile famiglia Olevano, che pur perdendo i diritti feudali, conservò le numerose proprietà, dominando ininterrottamente dal poderoso fortilizio olevanese fino al XIX secolo. Con l'avvento della signoria Sforzesca il feudo fu concesso nel 1467 agli Attendolo Bolognini che condivisero i redditi del feudo camerale con la famiglia Beccaria (del ramo di Santa Giulietta) fino al 1630, quando, estinti questi ultimi, poterono riunire nelle loro mani le rendite del feudo. Nel 1688 fu acquistato interamente da Lorenzo Taverna, conte di Landriano e signore di Cilavegna, ed i suoi discendenti rimasero Signori di Olevano fino alla fine del feudalesimo (1797). Per quanto riguarda l'istituzione comunale, i delegati di Olevano parteciparono alla congregazione del principato di Pavia tenutasi a Pieve del Cairo nel 1566 in cui venne definito il corpo amministrativo delle comunità del Principato di Pavia. Una nuova congregazione si svolgerà a Pavia tra il 4 e il 6 gennaio 1567, sono presenti tutte le 20 comunità già precedentemente riunitesi, compresa Olevano, che hanno diritto di voto. A seguito della guerra di successione spagnola, nei primi mesi del 1707 (ma ufficialmente con il trattato di Utrecht, del 17 aprile 1713), l'Austria consegnò a Vittorio Amedeo II la Lomellina ed il 18 marzo Olevano e le altre comunità prestarono giuramento di fedeltà e omaggio al nuovo signore, entrando a far parte del regno sabaudo. In tale anno conta 525 abitanti. Nella compartimentazione territoriale sabauda del 1723 il comune entra a far parte della provincia Lomellina e dipende dalla prefettura di Mortara. Nel corso del Settecento Olevano cambiò volto: i marchesi Olevano trasformarono l'antico castello (di cui avevano mantenuto il possesso nonostante non fossero feudatari del luogo) in una comoda villa, ricostruirono con l'aiuto di tutta la popolazione una nuova chiesa ed intrapresero importanti opere di bonifica e canalizzazione, estendendo la coltivazione del riso. Un punto di inizio per la visita di Olevano è il Castello Medievale che sorse, come la maggior parte degli altri fortilizi lomellini, verso il Mille per far fronte alle invasioni degli Ungari, ben presto fu ulteriormente fortificato, dotato di alte torri e di un fossato ad acqua corrente, che in parte sussiste anche oggi. Fu più volte distrutto o danneggiato ma sempre ricostruito e riparato. Gli assalti più noti cui venne sottoposto sono quelli del Barbarossa verso la metà del XII secolo, di Facino Cane nel 1404, delle truppe francesi nel 1557 e degli austro-piemontesi del 1745. Nel 1758 Gerolamo III de Olevano affidò al suo architetto di fiducia, il pavese Lorenzo Cassani, il compito di sistemare il castello trasformandolo in comoda abitazione. L'artista, seguendo la moda del tempo, la cosiddetta poesia delle rovine, venuta dall'Inghilterra, seppe fondere gli antichi edifici medievali con la nuova costruzione realizzata secondo le forme del barocchetto. Numerose integrazioni stilistiche vi vennero aggiunte ancora nel 1912. Il romantico complesso, con pianta a "C", è immerso in un caratteristico parco ben curato: a sud ha l'aspetto di una bella villa settecentesca mentre a nord presenta l'originaria fierezza delle fortificazioni medievali. Il corpo murario è del Quattrocento ma l'alta torre a pianta rettangolare e base scarpata risale al XII secolo: è alta 23 metri, coronata da una merlatura ghibellina ed ornata da una cornice seghettata e da due finestrelle in cotto, una monofora ed una bifora. In prossimità della torre è posto un oratorio settecentesco. Un'altra torre, più bassa, sorge sul corpo edilizio posteriore. L'accesso avviene attraverso un massiccio portone carraio, ai piedi della torre; sotto l'androne una lapide marmorea rievoca le vicende storiche del castello. La facciata meridionale segue le forme tranquille ed armoniose delle ville piemontesi dello stesso periodo: ampie finestre incorniciate ed una doppia rampa di scale ne costituiscono gli elementi principali e si armonizzano perfettamente con il romantico giardino ottocentesco.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Olevano_di_Lomellina, http://www.comuneolevanolomellina.it/castello.html, http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/1A050-00193/

Foto: la prima è di Silviastro su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/342324/view, la seconda è di Solaxart 2012 su https://www.preboggion.it/CastelloIT_di_Olevano_Lomellina.htm

lunedì 19 ottobre 2020

Il castello di martedì 20 ottobre



VELO D'ASTICO (VI) - Castello di Velo

Pare sia sorto nel X secolo per ostacolare le scorrerie degli Ungari ed è registrato in tutti i diplomi imperiali a partire dall'anno Mille. La costruzione nel corso dei secoli fu sempre più imponente e fortificata. Il Pagliarino, ad esempio, ricorda che nel 1184 Viviano, figlio di Tomaso di Velo, "fece restaurare la sua casa et habitazione nel castello di Velo", danneggiata dalla guerra. Circa una cinquantina di anni dopo (1230), il castello fu diviso fra alcuni membri della famiglia, che tuttavia trovarono conveniente mantenere indivisa la torre "per la difesa delle sue persone contro le insidie de' suoi nimici". E tra questi va appunto ricordato Ezzelino III il Tiranno, con il quale i Velo, pur riconoscendo l'autorità imperiale, non scesero mai a patti. La famiglia dei Conti Velo era molto importante e già dall’inizio del 1200 apparivano nella classe nobiliare dei Castellani. Il loro dominio si estendeva su tutta l’alta Valle dell’Astico e la Val Posina. Copriva le montagne intorno, l’altopiano di Tonezza e poi su fino a Lavarone e Folgaria. Questo castello - come riporta il Maccà - era fortissimo, ben fornito di munizioni e di vettovaglie. E ivi con quelli "della famiglia Velo... molti altri loro amici erano... ridotti, non tanto per la difesa del castello, quanto per fuggire la rabbiosa crudeltà de' Vicari Imperiali". In quegli anni Velo era difeso da "Castellano Giudice" che ripetutamente e invano era stato invitato dal tiranno alla sua corte. A ogni invito aveva risposto "che sempre sarebbe fedelissimo all'Imperatore ma che dal suo castello non voleva uscire". Per cui vedendo che "né per forza né per frode poté venir da lui superato... disperato Ezzelino si partì". Nel 1288 però, caduto in mano ai padovani, il castello fu distrutto. Se l’informazione è corretta, l’ultimo proprietario fu Olderico di Velo. Venne successivamente ricostruito e alla fine del Cinquecento dominava ancora la valle. Attualmente, cadute da tempo le torri di cinta e l'ampio perimetro di mura, forse utilizzate per innalzare la sottostante villa e la chiesa, di esso rimane soltanto una parte della torre circolare e un tratto di mura lungo una decina di metri. Nonostante il suo utilizzo durante le due guerre mondiali, il castello rimase abbandonato a sé stesso per diversi anni. Fu solo nel 1974 che Alberto Campolongo decise di contattare il Gruppo Alpini di Velo. Campolongo aveva acquistato la proprietà nel 1951 ed era deciso a donarla perché venisse trasformata in un luogo sacro ai Caduti di tutte le guerre. Suo fratello era infatti morto in Africa. Dopo il passaggio di proprietà, lo studio del progetto venne affidato all’architetto Pietro Marconi. Nel 1975 venne eletto il Comitato per il restauro del castello di Velo, con Gildo Ceribella presidente. Sabato dopo sabato, nel tempo libero, gli alpini si diedero da fare: resero sicura la strada di accesso e caricarono il materiale di cui avrebbero avuto bisogno. 2.750 ore lavorative a costo zero. 74 volontari, per la maggior parte alpini. Un capolavoro di sacrificio ed entusiasmo! Per trasformare il castello in luogo sacro vennero inserite delle lapidi. Inoltre, lungo il sentiero, venne aggiunto il Calvario degli Alpini: 19 stazioni per ricordare i luoghi in cui caddero le penne nere. All’interno della torre vennero posizionati alcuni oggetti, tra cui il cappello emblema degli alpini, un cartiglio in rame a ricordo dei caduti, un dipinto di Gemmo Lanfranco di Thiene e il busto ligneo della Madonnina Mutila (recita la targa: “Madonna Mutila, venerata fin dal 1812 nella chiesa di Velo, raccolta da Don Innocente Stella tra le macerie della guerra 1915-18, affidata da Don Bevilacqua a Isetta Dal Bianco che in questo sacrario la volle regina di pace.”). Dal Castello si può godere di una vista panoramica che domina tutta la vallata del fiume Astico. Altri link suggeriti: https://sites.google.com/site/famigliavelo/06-castelli-di-velo, https://www.facebook.com/lovevelodastico/videos/il-castello-di-velo-dastico/1988132777880895/ (video di lovevelodastico)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Velo_d%27Astico#Architetture_militari, testo di Martina Polelli su https://www.lovevelodastico.it/castello-di-velo-dastico/, testo di Chiara Signorini su https://www.minube.it/posto-preferito/castello-di-velo-a874741

Foto: entrambe di MAURY54, su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/240830/view e su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/240898/view

Il castello di lunedì 19 ottobre





SAN GIMIGNANO (SI) - Castelvecchio

Su una rupe isolata, delimitata da due torrenti, sorgeva, presumibilmente attorno ad un tempietto etrusco, un'antica comunità agricola. Colonizzata in seguito dai romani venne dotata, in epoca longobarda, della cinta muraria "castrum vetus" da cui presumibilmente deriva il nome. In seguito, nel XII secolo, Castelvecchio assunse l'attuale aspetto urbanistico e si costituì in libero comune. Pur essendo situato vicinissimo a San Gimignano, Castelvecchio era sottoposto, più o meno liberamente, all'autorità del vescovo di Volterra. Questo stato di fatto era determinato dalle mire che San Gimignano aveva sul borgo. Per evitare di essere conquistati gli abitanti del borgo accettarono il protettorato volterrano. Non era solo un interesse militare, Volterra infatti aveva mira egemoniche nella zona ed era ben disposta ad aiutare militarmente ed economicamente un castello così strategico, per contrapporsi all'emergente potenza di San Gimignano. Questo stato di fatto durò fino al 1227. Nonostante la pesante ingerenza volterrana al comune era garantito l'autogoverno. Il fatto di essere di fatto l'ago della bilancia tra Volterra e San Gimignano portò il comune nel 1208 a dotarsi di un nuovo cassero e di una nuova cinta muraria. Dopo questi lavori Castelvecchio divenne una vera e propria cittadella fortificata con una struttura difensiva composta da un mastio e una cinta muraria di forma vagamente ellittica dal perimetro di circa 600 metri. All'interno delle mura erano ospitati vari edifici militari e religiosi. Le frequenti tensioni tra le due potenze vicine videro Castelvecchio al centro di conflitti ma la sua cittadella non venne mai espugnata tramite azioni militari ma solo dietro tradimenti. Le mura avevano due bastioni e, a protezione dell'unica porta, si ergeva il mastio (sostituito poi dalla torre costruita verso il 1450). Nel 1250 vi fu un conflitto con gli abitanti di Camporbiano a causa di confini non rispettati. I Camporbianesi , aiutati da San Gimignano, ingannarono le sentinelle presentandosi come truppe guelfe, il partito a cui aderiva Castelvecchio, e penetrarono nel borgo mettendolo a ferro e a fuoco; della situazione ne approfittò San Gimignano prendendo possesso del borgo. Una seconda conquista Castelvecchio la subì nel 1308. In quell'anno scoppiò un nuovo conflitto violento tra San Gimignano e Volterra e i volterrani erano decisi a strappare il castello ai nemici. Il castello venne cinto di assedio ma il borgo e le truppe Sangimignanesi non solo resistettero ma costrinsero i nemici a spostarsi in capo aperto dove si tenne una battaglia che li vide prevalere. Nei trattati di pace successivi il confine tra i due si attestò a tre chilometri dal colle, sancendo ufficialmente il passaggio di Castelvecchio nel territorio Sangimignanese. Per Castelvecchio fu l'inizio della fine. Tutta la sua ricchezza derivava dal fatto di essere al confine tra i due contendenti; facendo da ago della bilancia riusciva a guadagnare da tutti e due. Tra il 1310 e il 1320 venne costruita la nuova fortezza di Castel San Gimignano che divenne il nuovo motivo di scontro tra i due contendenti lasciando Castelvecchio al suo destino. Fatale fu la peste del 1348 che decimò la popolazione. Nel 1353 vivevano nel borgo solo poche decine di boscaioli e pastori. In un tentativo di rivitalizzare il borgo nel 1450 venne ricostruita la torre del mastio ma neanche questo salvò il paese. Nel 1452 la zona fu sconvolta da un terremoto che fece alcuni danni persino a Firenze, distante 40 chilometri in linea d'aria. All'inizio del XVII secolo Castelvecchio era ormai totalmente abbandonata. I ruderi di Castelvecchio sono ormai immersi nei folti boschi di cerri, querce e lecci. Le strade per raggiungerlo divenute ormai dei sentieri sono ricoperte di erbe e di muschi. Tutte le rovine sono circondate dal silenzio. Di questo borgo un tempo vitale oggi rimangono le fondamenta di diversi edifici che, da alcuni decenni, sono sottoposti a interventi di scavo non a carattere scientifico (con sistemi non stratigrafici). Sono così state rese visibili molte abitazioni, i resti di due mulini con le grandi macine in pietra, i magazzini e i forni. L'accesso al borgo avviene dalla torre del mastio dove un tempo era collocato il ponte levatoio e la porta di accesso. Il Mastio si presenta fortemente lesionato ed è costituito da un massiccia torre a pianta quadrata. Dal mastio inizia quella che doveva essere la via principale del castello. Su di essa si affacciavano un po' tutte le abitazioni. La via culmina presso la chiesa di San Frediano. La chiesa di San Frediano è l'unica struttura del borgo ad aver conservato in piedi i muri perimetrali. È ancora in piedi l'abside in cui è possibile vedere le tracce degli affreschi realizzati nel 1275. Nei pressi della chiesa è anche una monumentale cisterna per la raccolta dell'acqua capace di contenere fino a 60.000 litri. Tutto il borgo è ancora racchiuso nelle mura del 1208. Le mura furono realizzate con la locale Pietra di Castelvecchio, che veniva cavata nei pressi del paese; la pietra di Castelvecchio veniva esportata anche nei centri vicini. Delle torri facenti parte la cinta muraria restano in piedi la Torre Nord , inglobata nel mastio e la Torre Sud. Sia la Torre Nord che la Torre Sud sono state squarciate dai fulmini e dal passare del tempo. Nella parte sud-ovest del poggio è ancora presente una torre che si è conservata quasi intatta. Altri link suggeriti: http://www.castelvecchiodisangimignano.it/, https://irintronauti.altervista.org/castelvecchio/, https://www.sangimignano.com/it/cosa-vedere/nei-dintorni-di-san-gimignano/, https://www.youtube.com/watch?v=Tn2baSGxlWg (video con drone di Ente Cambiano), https://www.youtube.com/watch?v=E9H5twLNY9A (video di Marco Bucciarelli), https://www.youtube.com/watch?v=Cn4l3a9n5-4 (video di Castelli & Rovine etc), https://www.facebook.com/CastelliRoccheFortificazioniItalia/photos/a.10150137814410345/10150167533515345 (foto varie)

Fonti: https://it.m.wikipedia.org/wiki/Castelvecchio_(San_Gimignano), http://www.toscanatura.it/pages/itinerari/itinerario?id=2#.X43OHtAzbIU

Foto: la prima è presa da https://www.rosolaccio.com/Novit%C3%A0-e-Attivit%C3%A0/Parco-Naturale-e-Cittadella-di-Castelvecchio/, la seconda è di Cna Siena Food & Tourism su https://it-it.facebook.com/cnasienafoodandtourism/photos/a.876677012537558/1290032164535372/?type=3&theater

sabato 17 ottobre 2020

Il castello di domenica 18 ottobre



SEQUALS (PN) - Castello in frazione Solimbergo

Il castello sorge su una protuberanza nord del Col Palis in Comune di Sequals. E’ possibile raggiungere il sito castellano da una strada comunale che si imbocca a sinistra della S.S. del Monte Rest poco dopo l’abitato di Sequals. Da questa, subito dopo il passo del Col Palis, si devia a sinistra per una strada forestale di recente costruzione che si innesta, in prossimità del castello, all’antico sentiero.
Si può salire al castello anche per la strada comunale, partendo dall’abitato di Solimbergo, prendendo la Via Vecchia in prossimità del monumento ai Caduti e deviando a destra, prima di salire al passo, percorrendo tutto l’antico sentiero castellano. L’originale via di accesso parte da un pianoro dove in passato esisteva un vecchio pozzo, che è stato demolito e interrato negli ultimi decenni. Il percorso antico sud non si riconosce quasi più in quanto, in più parti, è sommerso dai dilavamenti dei crinali ed ora è ridotto ad una semplice traccia. In ogni caso, per questa via, stando a quanto rimane di muri a secco nei punti più larghi, si poteva accedere al castello solamente a piedi o con l’uso di cavalli o muli. Un’altra antica via partiva a nord dall’attuale Via del Castello e arrivava al sito da due sentieri.
Dal sito, posto a 303 m di altitudine, lo sguardo spazia a nord sullo sbocco del fiume Meduna, che esce dalla val Tramontina fra il massiccio del Monte Ciaurlec e il monte Raut, e sulla piana alluvionale delimitata a sud dalla catena dei colli di Sequals-Travesio. Il castello, stranamente, non è situato nel punto più alto del Col Palis (m.373). Quel punto, sarebbe stato strategicamente migliore non solo per la sua difesa, ma anche per funzioni di controllo totale del territorio del feudo. Le prime notizie del castello di Solimbergo risalgono al 1196, quando il vescovo di Concordia investiva Almerico di Castelnuovo e donna Vigland della metà di un colle (Col Palis) affinché vi completassero la costruzione di un castello dal nome Sonemberg. Successivamente in prossimità o all’interno del castello venne edificata una cappella dedicata a S. Daniele. Nel secolo XIII il castello passò a nobili signori probabilmente d’oltralpe. Nel XVI secolo vi si insediava una famiglia della Carintia superiore, detta dei signori di Flascheberg, che assunsero il nome di Belgrado. In seguito il castello passò ai Flagogna, i quali lo vendettero nel 1384 a Waterpertoldo ed Enrico di Spilimbergo. Dopodiché il maniero non cambiò più proprietari sino alla sua rovina, non a causa di assalti di nemici, bensì perché lasciato progressivamente in abbandono. Del castello rimangono solo poche rovine, tanto che non si riesce a ricostruirne neanche la struttura originaria. Delle mura di cinta, con paramenti murari realizzati in conci di pietra accuratamente sbozzati e connessi tra loro, che formano un quadrato è rimasto molto poco. Rimane ancora in piedi solo una parte del muro di cinta munita di una porta ad arco che costituiva uno degli ingressi principali al castello. Questa si unisce alla torre-mastio i cui muri sono spessi ben 1 metro e mezzo, più di quanto sia spazioso il vano interno della torre. Considerate le dimensioni dell’edificio appare probabile che il castello avesse una funzione di difesa piuttosto che abitativa, così come la torre servisse probabilmente solo da vedetta. Altri link di approfondimento: https://www.sequalstorie.it/solimbergo/, https://www.youtube.com/watch?v=pQUM2PxfkPo&feature=emb_logo (video di Ecomuseo Lis Aganis)

Fonti: https://www.archeocartafvg.it/portfolio-articoli/sequals-pn-castello-di-solimbergo/, https://consorziocastelli.it/icastelli/pordenone/solimbergo, http://www.pordenonecastelli.com/castello-di-solimbergo/

Foto: la prima è presa da https://camminabimbi.com/2017/03/22/castello-di-solimbergo-sentiero-cretroi/, la seconda è di ASDRUBALE su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/231784/view

Il castello di sabato 17 ottobre


MADRUZZO (TN) - Castel Toblino

Il Castel Toblino è un raro esempio di castello lacustre. Situato nella valle dei Laghi tra Padergnone e Sarche nel territorio comunale di Madruzzo (TN). Fin dal 1100 il castello fu proprietà di vassalli del principe vescovo di Trento. Nel XIII secolo i Signori di Toblino vennero esautorati dai Signori di Campo, dell’omonimo castello giudicariese. In seguito, il castello fu incamerato dalla Chiesa di Trento (1459) e il cardinale Bernardo Clesio lo fece rifabbricare (1536-37) secondo il gusto proprio delle residenze castellane del Rinascimento. Passati i secoli di lotta e di contrasti tra le varie famiglie nobili del principato, il castello conobbe gli anni della tranquilla gestione clesiana e madruzziana, periodo al quale sono ascrivibili i maggiori lavori di restauro e trasformazione. Dal XVI secolo Toblino divenne sede periferica della corte trentina. Qui soggiornarono gli illustri ospiti del principe vescovo, si incontrarono i legati pontifici giunti a Trento per il Sacro Concilio e dimorarono molti facoltosi personaggi della corte vescovile. Nell'aprile del 1848 fu assediato dai Corpi Volontari Lombardi nel corso del tentativo di marciare sulla città di Trento. La struttura è arroccata su una piccola e protetta penisola bagnata dall'omonimo lago. La sua collocazione ha evidenti motivi di strategia difensiva che qui sfrutta sia le condizioni naturali del terreno, sia la presenza dell'importante nodo stradale di collegamento tra Trento e le valli del Sarca e del Chiese. Dell’impostazione medioevale si individua la muratura a ponente e la torretta a nord ovest dell’attuale perimetro. La forma quadrangolare del complesso trova uno dei segni di maggior interesse nel grande mastio di forma circolare, alto venti metri, certamente la più evidente delle preesistenze medievali. L'ampia cinta merlata che circonda l'intero complesso e il grande parco circostante la residenza aggiungono un ulteriore carattere distintivo. Attualmente il castello è proprietà privata. È possibile la visita, previa prenotazione, nonché il pernottamento e la ristorazione (http://www.casteltoblino.com/). Il castello deve la sua fama, oltre che alla bellezza dell'ambiente, alle numerose leggende che ha suscitato. Secondo una di esse, questo luogo, ancor prima di avere un ruolo strategico o di rappresentanza, pare avesse una funzione magico-religiosa. Bisogna tornare indietro di circa 2000 anni, quando il livello del lago era più alto di circa due metri e il lembo di terra, su cui oggi sorge il castello di Toblino, era un'isola nel mezzo del lago. Gli antichi abitanti del luogo credevano che quel luogo fosse sacro. Nel III secolo infatti lì venne edificato un tempietto dedicato al culto dei Fati, antiche divinità romane capaci di predire il destino. Lo "certifica" una lapide murata nel portico del castello che l’archeologo Paolo Orsi definisce "unica nel suo genere nella realtà epigrafica romana". Vi è poi un'altra leggenda, di origine letteraria e non nata dalla fantasia popolare, per la quale Toblino sarebbe stato nel XVII secolo luogo di delizie per Claudia figlia di Lodovico Particella, oriundo di Fossombrone, con Carlo Emanuele Madruzzo, principe vescovo di Trento e ultimo dei Madruzzo. Risultate vane le suppliche al Papa onde ottenere lo scioglimento dei voti sacerdotali, il prelato si sarebbe abbandonato ad una peccaminosa relazione con Claudia. La suddetta relazione fu scelta da Benito Mussolini come soggetto del suo romanzo storico "L'amante del Cardinale. Claudia Particella", scritto nel 1910. Un insieme di leggende relativamente recenti create per stimolare la fantasia dei visitatori, vedono Carlo Emanuele cospiratore della morte di Claudia e del fratello Vincenzo, entrambi annegati tragicamente nel lago. Un'altra storia narra il contrastato amore di Aliprando di Toblino con Ginevra, la bella castellana di Stenico. Una notte, mentre Aliprando rincasava cavalcando lungo un sentiero fu ucciso da Graziadeo di Castel Campo suo rivale in amore. Tra le numerose fantasticherie si narra dell’esistenza di un tunnel che collega il maniero fino a Castel Madruzzo e di un incredibile tesoro nascosto sul fondo del lago. Come si confà ad un castello di questa bellezza e pregio, molte personalità illustri hanno soggiornato nelle sue sale e molti intellettuali ne hanno scritto: Von Sheffel ne tessé le lodi nel suo “Toblino Amore Mio”, Ada Nigri gli dedicò nel ‘33 la poesia “Luna sul Lago di Toblino”, Antonio Fogazzaro ne rimase colpito, ed altri ancora lo ammirarono, anche grandi statisti come Giuseppe Saragat e Antonio Segni. Altri link per approfondire: http://www.castellideltrentino.it/Siti/Castel-Toblino, https://www.youtube.com/watch?v=FRIQUQ1haow (video con drone di Leonardo Angelini), https://www.youtube.com/watch?v=SOTNcZZ8keI (video con drone di Paolo Esposito), https://www.youtube.com/watch?v=9s9yfhtb24E (video di Discoveryhotels), https://www.youtube.com/watch?v=M2lvWhHduNw (video di Renzo Manganotti)

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castel_Toblino, https://www.visittrentino.info/it/guida/da-vedere/castelli/castel-toblino_md_2454, https://www.trentino.com/it/cultura-e-territorio/castelli/castel-toblino/, https://siviaggia.it/idee-di-viaggio/castel-toblino-storia-bellezze-antico-castello/248099/, https://www.ostellorovereto.it/castel-toblino/, https://www.trentinofilmcommission.it/it/locations/detail/castel-toblino/

Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, la seconda è presa da https://www.trentinofilmcommission.it/it/locations/detail/castel-toblino/