sabato 30 luglio 2011

Il castello di domenica 31 luglio



MANDELA (RM) – Castello Del Gallo

Solo dal 1601 si hanno le prime notizie del podium del Burdella come territorio appartenente agli Orsini. Dal 1650 il paese passò ai Palazzolo e poi fu venduto a Francesco Nunez che ne divenne marchese. Durante il XIX secolo il paese ormai fortificato fu ceduto ai Prosperi e poi ai Del Gallo di Roccagiovine (1835) che attualmente sono proprietari del castello. Il maniero venne trasformato in palazzo baronale nel XV secolo. Dell'antico edificio rimane una torre a pianta quadrata, che si ipotizza possa risalire al 1100. Il giardino all'italiana del castello è posto appena al di fuori dal paese ed è divenuto un parco comunale. All'interno del castello sono conservati affreschi, dipinti e mobilio del '700. Ho potuto visitare dall’esterno questo monumento lo scorso 16 luglio e realizzare alcune foto tra cui questa, di accompagnamento alle notizie storiche di Mandela e del suo castello.

venerdì 29 luglio 2011

Il castello di sabato 30 luglio





VIVARO ROMANO (RM) - Rocca Borghese

Il Castello di Vivaro Romano nell'anno 1012 era feudo dell'Abbazia di Santa Maria in Farfa che lo tenne fino al XIII secolo. Nel 1297 quando Bonifacio VIII confiscò i beni ai Colonna, tolse loro anche Vivaro per darlo agli Orsini, i quali nel 1440 costruirono un nuovo e più solido castello, munito di con due alte e belle torri quadrate poste a segnacoli di vedetta, che per cinquecento anni sfidò gli assalti degli eserciti. Dopo gli Orsini l'ebbero, tra gli altri, i Brancaleoni, i Vitelli, i Ceuli e i del Drago finché, nel 1609 il papa Paolo V Borghese l'acquistò per il nipote Marco Antonio. Durante l’insorgenza contadina antifrancese del 1799 Vivaro subì un saccheggio e il suo Castello fu distrutto. Nel 1902, il cardinale Angelo Di Pietro, riscattando tutti i possedimenti sui quali gravava un oneroso canone in favore del principe Borghese, liberò dal secolare servaggio il paese natìo. Attualmente la rocca è oggetto di una vasta opera di recupero da parte del Comune che l’ha acquisita: suggestivo è il teatro all’aperto realizzato nei giardini interni; in allestimento è il museo di tradizioni locali all’interno della Torretta; in attuazione anche un recupero archeologico. Ho visitato di recente le rovine del maniero, avente una muratura molto compatta con grossi conci di pietra locale, e ho potuto ammirare il magnifico panorama che si può vedere stando seduti sulle tribune dell’arena interna. Le foto sono state scattate dal sottoscritto in occasione della visita dello scorso 16 luglio.

Il castello di venerdì 29 luglio



Cigognola (PV) - Castello Sannazzaro-Visconti Aicardi-Arnaboldi

Il paese è citato nel diploma federiciano del 1164, con cui il territorio dell'Oltrepò settentrionale e centrale venne posto sotto la giurisdizione di Pavia. Da questo si deduce che doveva essere una località fortificata sotto un proprio signore locale (dominus loci). Fu successivamente signoria della potente casata pavese Sannazzaro, principale esponente di parte guelfa in Oltrepò, qui rappresentata da uno dei principali rami della famiglia (i de Cigognola). La costruzione del castello viene fatta risalire al secolo XIII, ad opera proprio dei Sannazzaro, in una posizione strategicamente importante, a guardia della Valle Scuropasso. Il castello possedeva anche due cerchia di mura atte, l'una, meno fortificata,ancora oggi ben visibile sul versante della Chiesa parrocchiale, a dar rifugio al popolo in caso di attacco. L'altra, più robusta, corrispondente al manufatto volto a sud, nel quale fu ricavato il portale d'ingresso al cortile del castello a difendere l'edificio stesso. La costruzione era anche dotata di un ponte levatoio che serviva ad attraversare uno scavo, detto "falsa braza", posto fra le due cerchie murarie e completamente diverso dai tradizionali fossati dei castelli di pianura. La parte più antica della costruzione si presenta verso nord- est, ed è contrassegnata da mattoni di cotto a vista e pietre di notevole dimensione. Nel 1406 i Sannazzaro furono estromessi, per gli intrighi dei Beccaria di Pavia, che si impadronirono del feudo. Nel 1415 però i Beccaria, coinvolti in una congiura contro Filippo Maria Visconti, conte di Pavia e duca di Milano, ebbero confiscato il feudo, che fu concesso allo scopritore della congiura, Giorgio Aicardi, e ai suoi famigliari, che per il privilegio concesso dai Visconti di assumere il loro cognome, diedero origine alla casata dei Visconti Aicardi, detti anche Visconti Scaramuzza da un soprannome. La rocca si accrebbe materialmente, adeguandosi alle esigenze difensive, ma la sua posizione la pose al centro delle continue lotte locali che lo danneggiarono seriamente visto che, tra il 1444 e il 1447 la famiglia Astori, investita dallo Scaramuzza Visconti della terra di Cigognola, fece "riparare il castello che andava in rovina". La parte di edificio volgente a sud dovrebbe risalire al 1663, come testimonia una lapide in pietra bianca infissa nella muratura; la sua formazione fu certamente dovuta alle mutate esigenze d'uso del castello che, da prettamente difensivo si fece, col trascorrere dei secoli, residenziale. Nel cortile del castello è presente un finto pozzo con una sottostante cisterna, usata un tempo per la raccolta dell'acqua piovana, nella quale, durante il periodo nazifascista, venivano gettati, dopo averli torturati, i partigiani. Il vero pozzo si trova a poca distanza e forniva acqua potabile per gli abitanti del castello. I Visconti Aicardi tennero il feudo di Cigognola, fino all'estinzione nel XVIII secolo, dopodiché passò a Barbara d'Adda e al figlio di lei, Alberico XII Barbiano di Belgioioso, ultimo feudatario di Cigognola. Il feudalesimo infatti fu abolito nel 1797. I feudatari avevano estesissimi beni a Cigognola, comprendenti anche il castello: in epoca napoleonica furono acquistati dai Gazzaniga e passarono per eredità agli Arnaboldi-Gazzaniga e agli attuali proprietari, Brichetto-Arnaboldi. Ad essi si deve una serie di lavori alla fine dei quali il castello fu definitivamente trasformato in una dimora di villeggiatura. L'intervento, svoltosi in tempi differenti, riguardò inizialmente il ripristino dell'immagine medievale della rocca: le mura vennero ornate alla ghibellina e venne innalzata l'imponente torre quadrangolare conclusa alla sommità da beccatelli coronati da merli ghibellini. Sotto a tanto coronamento vennero aperte, su ogni lato, due finestre ogivali. Per la costruzione della torre ci si ispirò alle forme di quella superstite della rocca di Stradella. Alla fine dell'800 il conte Bernardo Arnaboldi proseguì l'intervento, occupandosi del cortile e di alcune sale interne che vennero ornate con decori di gusto medievaleggiante. Labili tracce di queste decorazioni sono ancora visibili dopo l'incendio del 1982 che distrusse completamente l'interno del castello. Per approfondire la ricerca su questo edificio si può visitare il seguente sito: www.castellodicigognola.it

giovedì 28 luglio 2011

Il castello di giovedì 28 luglio



EPISCOPIA (PZ) – Castello normanno-Sanseverino-Della Porta

L'attuale castello di Episcopia, che fu il riutilizzo di una fortificazione preesistente, assunse le caratteristiche di maniero sotto il regno normanno, intorno al 1090 dopo il consolidamento di questo popolo nell'Italia meridionale. Dalle poche notizie storiche disponibili si evince che Ruggero il Normanno di Sicilia istituì in Episcopia sin dal 1137 una baronia infeudata ad un certo Jacopo della Roma, il quale teneva la baronia anzidetta "de domino rege". Più fortunato fu questo feudo sotto Federico II, quando fu concesso unitamente a Lagonegro, Laino e Lauria, a don Ruggero Battaglia, di Lauria, marito di donna Bella Lancia e cognato di Bianca Lancia, amante di Federico II. Fu sotto la casa di Lauria o Loria che il castello venne ampliato ed abbellito con il riutilizzo della citata fortificazione, attraverso la ripresa della struttura muraria della torre al lato nord ed il completamento della costruzione dell'ala sud, comprensiva della torre quadrangolare, secondo l'architettura provenzale, ma di gusto svevo di Sicilia. Episcopia venne infeudata dalla casa di Lauria, potente famiglia ghibellina, fino al 1266, anno della definitiva caduta della Casa Sveva nell'Italia meridionale. C'è un periodo di oscurità durante il regno angioino e solo alla fine del 1300 troviamo il casale affidato alla potente famiglia Sanseverino, ad un certo Fabrizio, nobile di corte vicino ai reali di Napoli. I Sanseverino furono una delle famiglie più influenti del regno, ed Episcopia, loro feudo, divenne centro importante della zona. Nel 1365 Riccardo Sanseverino barone di Episcopia, morì, ed il feudo passò a Vencislao; nel 1403 i Sanseverino affrontarono in Calabria, al comando dello stesso Vencislao, il re Ladislao ma furono sconfitti e la famiglia fu decimata. I superstiti della famiglia, tuttavia, salvarono il possedimento di Episcopia e nel 1481 parteciparono, con molti feudatari alla congiura dei baroni nel castello di Miglionico, contro re Ferrante d'Aragona. I ribelli, però, furono sconfitti, privati dei beni ed i loro feudi, tra cui quello di Episcopia. Ai Sanseverino subentrarono nel 1500 i Della Porta i quali a loro volta, dopo avervi avuto incardinato il titolo di marchesi vendettero il feudo "retinenti titulo” alla famiglia Brancalassi. Il titolo di Marchesi di Episcopia finì per successione nella famiglia Amalfitani di Crucoli a seguito del matrimonio di Regale, ultima della famiglia della Porta. Il castello ha rappresentato sempre il fulcro della difesa, specie durante il brigantaggio, che, spesso, ha funestato con impudenti scorrerie queste zone; sono infatti, da ricordare gli assalti fatti al maniero, il quale fu di difesa in questo periodo cruciale, per la storia della valle dell'alto Sinni e al suo interno si riunirono all'indomani dell'unificazione dell'Italia i maggiori esponenti della corrente borbonica, per esaminare la situazione. Utilizzato fin dall'origine come fortezza, fu successivamente adattato alle esigenze dei vari dominatori, che nei secoli successivi si sono susseguiti (saraceni, bizantini, normanni, svevi, angioini), i quali hanno ampliato, modificato e riutilizzato le precedenti strutture. Tali rifacimenti sono leggibili tuttora sulle facciate esistenti, dove sono facilmente individuabili varie stratificazioni murarie ed interventi intesi a modificare l'uso degli ambienti. Ha due torri contrapposte e differenti per tipologia, epoca ed utilizzo ed era munito di un ponte levatoio ed opere esteriori che ne rendevano difficile l'accesso. Offre una bella prospettiva e domina non solo il paese, ma tutta la valle sottostante, poiché è impiantato sopra un alto sperone roccioso, e costituisce, con questo, una forte ed unitaria emergenza territoriale. All'ingresso del castello sono visibili affreschi raffiguranti uno stemma con la figura di un rettile ed un guerriero. La torre cilindrica, probabilmente preesistente anche alla dominazione normanna, ha subito varie trasformazioni. L'altezza originaria era notevolmente più bassa, come si evince dall'ordine di finestre, ora murate, che dovevano essere poste nella parte terminale della stessa e dalla brusca variazione dello spessore murario a quell'altezza. Le modifiche successive, non ultime quelle apportate dagli Angioini che la caratterizzarono con elementi tipici dell'epoca, hanno trasformato la struttura ed il rapporto con gli altri ambienti originari. La torre quadrangolare, costruita nel punto più elevato dello sperone roccioso e probabilmente sul basamento di una fortificazione preesistente, al lato sud (verso il borgo S. Croce), ha caratteristiche dell'epoca normanno-sveva. Alla base del camminamento che porta al ponte levatoio, forse una volta inserito nelle mura, è ubicata una grande costruzione adibita a stalla, nella quale sono ancora visibili le poste per gli animali, e nello slargo attiguo, sicuramente fino al 1912, c'era una chiesa dedicata a S. Anna, forse luogo di culto dei signori, che vi si recavano per "veder la messa". Tutto il castello si presenta in discreto stato di conservazione, anche perchè è stato sempre abitato, prima dai feudatari e poi, dopo l'eversione, da don Egidio De Salvo e dagli attuali proprietari. Un discorso a parte merita la torre che, semi diroccata in seguito ad un crollo avvenuto intorno al 1954, necessita di urgente restauro, se si vuole evitare che un ulteriore crollo ne cancelli l'esistenza.

mercoledì 27 luglio 2011

Il castello di mercoledì 27 luglio



SENISE (PZ) - Castello Sanseverino

Costruito nel 1200, fu ricostruito intorno al 1400 e si fregia di torri e merlature. La fondazione dell'attuale centro abitato di Senise è da farsi risalire al periodo normanno quando fu edificato un primitivo castello, dipendente dai Sanseverino di Chiaromonte, parte di un complesso sistema difensivo creato a difesa della valle sottostante. Col trasferimento del maniero, di cui sono visibili parti delle mura perimetrali e torri, in posizione più elevata, il tessuto urbano arrivò ad occupare tutta la collina formando un triangolo, definito a valle dal torrente Serapotamo ed ai lati da due profondi valloni, ottime difese naturali. I frati minori conventuali, giunti a Senise, inizialmente abitarono alcuni ambienti del Castello messi a loro disposizione da Margherita Sanseverino, contessa di Chiaromonte. Nel 1270 sorse il Convento di San Francesco d'Assisi. A fianco del castello i frati, nel corso dei secoli XIV-XVI, fabbricarono altre costruzioni attorno ad un chiostro che comunicava col castello e con il convento. Sostanzialmente, dalla metà del 1500 alla fine del 1800, l'impianto urbanistico di Senise rimase pressoché inalterato, tutto compreso nella cerchia delle mura, registrandosi semplicemente una crescita su sé stesso del centro urbano, con operazioni di sostituzioni edilizia o di accorpamento di più edifici, per la realizzazione, a partire dal XVIII secolo, dei palazzi nobiliari-signorili della borghesia agraria nata dal disfacimento e dall'abolizione dei privilegi feudali.

martedì 26 luglio 2011

Il castello di martedì 26 luglio



BELLARIA IGEA MARINA (RN) - Torre Saracena

Dopo le invasioni e le ruberie dei pirati turchi negli ultimi anni del XVI secolo, lo Stato Pontificio decise di costruire un serie di torri, lungo la marina, dal Tavollo fino a Bellaria, per difendere gli abitanti della costa. All'interno di esse, a quell'epoca altissime sulle dune e sulla spiaggia, si trovava una guarnigione di cinque soldati e un comandante, munita di "archibugi, spingarde, polveri e micce". Al suono della campana, in caso di pericolo, gli abitanti potevano "rifugiarvisi" dentro e organizzarsi per la difesa. Unica rimasta pressocchè immutata delle sei torri tuttora presenti, la torre di Bellaria era collocata all'epoca in prossimità della spiaggia (attualmente in posizione più avanzata) e con un ampio raggio di visuale, ospitava un piccolo gruppo di soldati ben armati con il compito di perlustrare il territorio di propria competenza e di dare l'allarme in caso di pericolo con il suono di una campana. Venuta meno l'esigenza militare, fu utilizzata in seguito come punto di vedetta contro il traffico di contrabbando e per accogliere in quarantena i marinai in sospetto di contagio di malattie trasmissibili. Più recentemente è stata utilizzata anche come caserma della Guardia di Finanza. E' composta da tre piani accessibili con una scala a chiocciola interna. Attualmente ospita nei piani superiori un un museo micologico con una ricchissima collezione di conchiglie e resti fossili di molluschi, invertebrati marini, crostacei, testimonianze di animali marini e scheletri provenienti da tutto il mondo e appartenuti ad ogni era geologica, ed è inoltre mostra di carta moneta.

lunedì 25 luglio 2011

Il castello di lunedì 25 luglio



VILLAFRANCA DI VERONA (VR) – Castello Della Scala

La costruzione del primo nucleo fortificato è collocabile tra il 1199 e il 1202, pochi anni dopo la fondazione di Villafranca e successivamente alla battaglia di Ponti dei Molini (Mantova ), per opera di Salinguerra De' Garamenti. Situato nella parte sud dell'abitato e subito a nord del corso del fiume Tione dei Monti è posizionato idealmente sul corso della antica via Postumia. All'interno delle sue mura sono situate sette piccole torri dette "Torresine" e due torri "scudate" cioè con 3 soli spigoli. La torre maggiore ha alla sua base delle pietre con una iscrizione e si ipotizza siano provenienti da un arco (o altro edificio) dedicato all'imperatore Tiberio. Una curiosa particolarità del Castello Scaligero di Villafranca è quella di avere la merlatura della cinta muraria vera e propria di foggia guelfa, o piatta, mentre la merlatura del mastio e delle torri scudate è di foggia ghibellina o a "coda di rondine". Distrutto durante le guerre contro Mantova, fu ricostruito e rinforzato a partire dal 1243. Controllato dal comune di Verona, ospitava una guarnigione al comando di un castellano al soldo della città. Nel corso del Trecento, durante la signoria di Cangrande II della Scala (1345-1355), il corpo centrale fu rinserrato da una possente cortina muraria intervallata da torri mediane e angolari e circondato da un vallo, al cui interno fu fatto deviare il corso del fiume Tione. Gli Scaligeri fecero costruire la torre principale in un secondo momento e inserirono il castello in un imponente sistema difensivo che andava da Nogarole Rocca a Valeggio sul Mincio, conosciuto al tempo come “Serraglio” e costituito da un muro fortificato che collegava i dintorni di Nogarole Rocca a Valeggio sul Mincio. Di esso rimangono attualmente solo frammenti. Le guerre in epoche successive distrussero gran parte del castello che però fu ricostruito grazie all'impegno della Serenissima. Nel 1450 la fortificazione, perso la sua funzione militare, venne abbandonata e soltanto alcuni secoli dopo venne riacquistata da privati, tra cui ricordiamo ad esempio A. Alessandri o G. B. Simeoni, conte di Villafranca. Nel 1882 il mastio e le carceri vennero acquistate dal comune di Villafranca che vi installò la procura e le carceri. I primi interventi di restauro risalgono al 1890, anno in cui fu apposto anche l'orologio sulla torre principale. All’interno del corpo centrale, lungo il corridoio di accesso, è la piccola chiesa del Cristo Re, che ospita tre grandi tele settecentesche di G.B. Lanceni. Le decorazioni e gli stucchi della sacrestia annessa, con motivi della Passione, risalgono ai primi anni dell’Ottocento. Dal 1899, annesso al castello, è presente il Museo del Risorgimento. Vi sono esposte armi e stampe delle epoche degli eserciti che combatterono per l'indipendenza e per l'Unità d'Italia. Il castello di Villafranca richiama molti visitatori, soprattutto dalle zone limitrofe, poiché al suo interno vengono promosse manifestazioni quali la Sagra dei Santi Pietro e Paolo, la Giornata dell'Arte Studentesca, cinema all'aperto, concerti e spettacoli teatrali.

domenica 24 luglio 2011

Il castello di domenica 24 luglio



PALIANO (FR) – Fortezza Colonna

Il colle tufaceo dove sorge la poderosa costruzione era già fortificato in tempi antichi. Tracce visibili attualmente non sono rimaste, per via delle continue ricostruzioni effettuate nei secoli e definitivamente sepolte nel XVI secolo, quando il Forte venne eretto ex-novo dalle fondamenta. Un’ipotesi abbastanza sostenibile, scaturita da recenti studi e da considerazioni oggettive, vuole che essa sia stata il Capitulum Hernicorum, un fortilizio o oppidulum avanzato dei popoli ernici ridotto a colonia da Silla nel I secolo a.C. Nel 1051 sulla sommità o nei pressi della collina, detta fundus Petralata, vi sorgeva il monastero benedettino di sant’Angelo di proprietà dell’abbazia di Subiaco, di cui si ebbero notizie fino alla fine del XIII secolo. Nel 1232, quando Paliano entrò nella giurisdizione della Santa sede come castellanìa della Chiesa, papa Gregorio IX lo fece fortificare assieme alla rocca preesistente. Per secoli fu confiscato dai Papi, che lo concedevano a nobili famiglie legate alla Santa Sede. Nel tempo venne a crescere l’importanza politico-strategica del Castello per il controllo delle vie che collegavano lo Stato Pontificio con il meridione d'Italia e questo fattore determinò le continue lotte per aggiudicarsene il dominio. I vari possessori, tra cui i Colonna, pensarono bene di munire militarmente la Rocca organizzando intorno alla torre baluardi adeguati alle artiglierie, fossati, mura, ponti levatoi e terrapieni. Al 1556 risale la celebre contesa tra i Colonna e Paolo IV Carafa, che tolse la fortezza a Marcantonio Colonna e la concesse al nipote Giovanni Carafa, il quale fece erigere altre fortificazioni su disegno di Giovanni Sallustio Peruzzi. Gli interventi eseguiti fino a quell’epoca avevano reso inespugnabile Paliano. Dopo la sconfitta del Papato da parte delle truppe spagnole del Duca d’Alba, la città e la sua fortezza tornarono nelle mani dei Colonna nel 1559, a cui erano appartenute per circa un secolo. Definitivamente ultimata nel 1565, sotto la direzione del capitano Faustino da Camerino, la Fortezza fu restaurata nella prima metà del XVII secolo da Filippo I Colonna. Il 2 luglio 1799 Paliano fu presa dalle truppe napoleoniche, che demolirono in parte la Fortezza e razziarono i trofei e le armi antiche che vi si trovavano; gran parte di questi cimeli è oggi al Museo del Louvre a Parigi. Nel 1844 il principe Aspreno Colonna, in seguito all’abolizione del feudo, fece donazione della fortezza alla Santa Sede, che dopo opportuni lavori di adattamento e ristrutturazione, lo adibì nel 1870 a bagno penale e carcere duro per gli oppositori politici. Passata successivamente allo Stato Italiano, la Fortezza restò adibita a carcere ed oggi è un Istituto di massima sicurezza. Per questo sono state eseguite nuove opere adatte a tale funzione; innalzamento di alte pareti in cemento armato e nuovi edifici nelle corti interne. Tutto ciò ha fortemente alterato l’architettura originaria. Sulla Piazza d’Armi, in una loggia coperta, vi sono affreschi del Cinquecento e nella Sala detta del Capitano si trova il fregio del trionfo di Marcantonio Colonna dopo la vittoria di Lepanto, lungo ventiquattro metri e alto quaranta centimetri. Esso riporta i momenti più salienti della sua azione politica, diplomatica e militare quali gli accordi con Venezia, l’investitura papale e lo scontro navale con i turchi. A causa dell'attuale destinazione a penitenziario tale sala non è più visitabile.

venerdì 22 luglio 2011

Il castello di sabato 23 luglio



GIARDINI DI CORCOLLE (RM) – Castello Colonna-Barberini

La posizione della struttura sembra sia posta sui resti dell’antica città di Querquetula, prima casale ricordato nel 967 tra le proprietà del monastero di Subiaco, passò successivamente nel 1014 sotto i beni del monastero di S. Paolo grazie alla donazione dell’imperatore Enrico III. Nel 1111 il castello ospitò come prigionieri di Enrico V il papa Pasquale II ed alcuni dignitari della curia papale. Nel 1414 Corcolle apparteneva ai Colonna e seguì le vicende del vicino castello di Passerano. Nel XVII secolo passò ai Barberini che lo restaurarono. Il castello aveva una pianta trapezoidale con robusti torrioni angolari di forma quadrata ed era costruito con blocchetti di tufo ben squadrati e disposto secondo ricorsi regolari. Oggi rimane ben poco dell’antica struttura; nella parte antistante all’edificio tra un tratto di merlatura e la parte più alta dell’arco di un portale c’è lo stemma marmoreo dei Colonna. Verso sud visibili sono i resti di una cappella costruita dopo il XV secolo. Situato su una sporgenza alla confluenza di due valli, il castello di Corcolle è raggiungibile lungo la strada che dalla Polense gira verso destra in direzione Gallicano-Zagarolo fatte poche centinaia di metri presso un pino a sinistra c’è una stradina sterrata, che porta al castello dopo un paio di chilometri di tornanti. Il castello è una delle location pluriutilizzate dal nostro cinema, da diversi film del genere “spaghetti western” (“Le colt cantarono la morte e fu…tempo di massacro!”, “Texas, addio” ad altri come “Fiorina la vacca” o del genere poliziesco (“A tutte le auto della polizia”, “I corpi presentano tracce di violenza carnale”). Oggi è adibito ad agriturismo, come si può vedere dal sito www.castellodicorcolle.com.

Il castello di venerdì 22 luglio



PIEVE EMANUELE (MI) – Castello d’Adda a Tolcinasco

Venne realizzato alla fine del XVI secolo dalla famiglia dei d'Adda, unico esempio di castello agricolo nella Lombardia dell’epoca. La sua struttura mostra una originaria destinazione a granaio, realizzata attraverso una struttura portante che si apre in un grande arco che consentiva il transito dei carri e la loro sistemazione in locali situati al piano superiore, con pavimento in pendenza per far scorrere il grano verso il basso. Da molti viene definito il più bell’esempio di cascinale fortificato della Bassa Milanese, al castello rurale si accompagna una corte agricola fortificata. Il complesso si compone di una “rocchetta” isolata e di un cascinale, munito di quattro torri agli angoli, tipico elemento utilizzato all’epoca per poter dare una continuazione visiva tra cascina e castello. Tale costruzione fa si che venga creata un’ampia corte rustica tra il cascinale e il castello, quasi per affermare l’intenzione di legare strettamente i due elementi architettonici, anche nell’ideale continuazione visiva e funzionale. La casata dei D'Adda lo utilizzava per i soggiorni milanesi come appoggio per le attività commerciali. Fino a pochi decenni fa il terreno circostante è stato utilizzato come risaia, successivamente venduto a privati è stato rifunzionalizzato per altre attività. Oggi appartiene al gruppo Aedes ed è stato trasformato in una struttura ricettiva privata, collegata ad un adiacente campo da golf creato attraverso la trasformazione della precedente area agricola. Il Golf & Country House è stato inaugurato nel 1993. Ha una struttura di mq. 1.796, con 18 sale disposte su due piani e un salone d'onore adatto per presentazioni aziendali, meeting, eventi culturali o ludici, congressi e feste private.

giovedì 21 luglio 2011

Il castello di giovedì 21 luglio



ORTONA DEI MARSI (AQ) - TORRE DEL CASTELLO FEUDALE

E' ciò che rimane, oltre a parte della cinta muraria, dell'antico castello, costruito in posizione dominante dell'abitato e di tutta la Valle del Giovenco. L'intero feudo di Ortona appartenne, nel corso del Medioevo, a differenti nobili casati: nel XII secolo fu di proprietà dei conti di Celano, nel XIV-XV secolo passò ai Cantelmo, per poi essere venduto, nel 1666, a Francescantonio Paolini di Magliano dei Marsi, la cui figlia lo portò in dote alla famiglia Massimi, alla fine del XVIII secolo. La torre non fa parte della struttura originaria ma venne aggiunta intorno al '500 dai feudatari dell'epoca, allo scopo di proteggersi non tanto dagli attacchi nemici, quanto da eventuali rivolte popolari interne o da infiltrazioni, all’interno della cinta muraria, di briganti che al tempo infestavano la Marsica. Ciò sembra dimostrare la posizione delle bocche da fuoco, tutte orientate verso l'abitato. Essa è di forma cilindrica con basamento a scarpa molto accentuato; a nord è posto, sopraelevato da terra, un ingresso a scala retraibile sormontato da un elemento monolitico triangolare; sul lato opposto si affaccia una piccola apertura, con una corrispondente feritoia in basso. I ruderi del castello sono attualmente visitabili. La torre, nonostante sia priva della parte superiore, andata in rovina nel tempo, appare discretamente conservata. Non sappiamo però quale grandezza potesse avere né se fosse merlata, mentre la porzione che oggi rimane ha un’altezza di circa sette metri, con un diametro alla base di circa dodici e la struttura muraria, rastremante verso l’alto, ha uno spessore di tre metri. Lungo il percorso della fortificazione s’incontrano quattro torrette semicircolari e tre torricelle quadrangolari, il tutto adattato alle irregolarità del pendio, come uso corrente negli apprestamenti ossidionali dell’epoca.

mercoledì 20 luglio 2011

Il castello di mercoledì 20 luglio



ZOPPOLA (PN) - Castello dei Conti Panciera

Fu probabilmente fatto erigere intorno all'anno Mille su un guado del Tagliamento, a difesa della strada che portava a Pordenone, e di esso si hanno documentazioni già nel 1103. In origine il maniero, di proprietà dei duchi d'Austria, sorgendo in un territorio pianeggiante era difficilmente difendibile; per questo fu munito fin dall’inizio di diversi sistemi difensivi, quali due fossati, tre cinte murarie, porte, torri. Dell'antico e articolato sistema difensivo si può ancora oggi vedere, seppure mozzata, la torre maestra, posta quasi al centro dell'attuale complesso castellano. Nei secoli successivi il castello passò di proprietà in proprietà (agli Zoppola, ai signori di Valvasone e a quelli di Mels-Prodolone) e nel Cinquecento venne parzialmente distrutto dalla sommossa popolare guidata da Antonio Savorgnan. Nel 1405 venne infeudato alla famiglia del patriarca d'Aquileia Antonio Panciera, già vescovo di Concordia e poi cardinale. I Panciera nei secoli successivi attuarono alcuni lavori di miglioramento delle strutture murarie e difensive. Nel 1567 lo storico Gerolamo da Porcia lo descrive come “Castello con tre giri di fosse, ma dentro quasi niuna casa, eccettuata quella dei magnifici Signori, i quali dimorano nell’ultimo circuito”. L’intervento di ammodernamento dei conti Panciera riguardò anche l’aspetto artistico e decorativo del castello, che fu arricchito con opere d’arte e mobili d’epoca. Particolarmente interessanti sono gli affreschi sulle facciate interne del cortile, opera di Pomponio Amalteo, che affrescò arcate, poggioli, mentre all’interno si conservano sale affrescate (esiste ancora il minuscolo, ma suggestivo studiolo del cardinale Antonio con un'antica stufa in maiolica e un soffitto ligneo dorato e dipinto, opera di Giovanni Battista Tiepolo e Pietro Longhi) e soffitti a cassettoni (in un salone sono decorati con gli stemmi delle casate parlamentari friulane), stipiti scolpiti attribuiti al Pilacorte o alla sua scuola, mobili e suppellettili. Il fronte principale del castello, all’interno del primo fossato che si supera con un ponte, appare piuttosto imponente perché molto sviluppato in lunghezza ed in altezza; non mancano gli elementi decorativi, tra i quali tre balconi cinquecenteschi con arco a tutto sesto e balconi in pietra (uno sostenuto da mensole con testa di leoncini), una linea di archetti pensili e tracce di affreschi nella linea di sottogronda. Fanno parte del complesso castellano anche degli edifici del XV-XVII secolo, che costituiscono il borgo castellano, ed un ampio parco realizzato a metà dell’Ottocento. Il maniero, in buono stato di conservazione, appartiene tuttora alla famiglia Panciera ed è sede di un'azienda agricola.

martedì 19 luglio 2011

Il castello di martedì 19 luglio





PALENA (CH) - Castello Ducale

E' posto su di uno sperone roccioso, sul punto più alto dell'abitato e spicca nel contesto del paese per la sua massiccia mole. Le sue origini vanno probabilmente rintracciate nel pieno medioevo dal momento che Palena, già dall'anno mille, viene ricordata come feudo di Matteo Di Letto. Durante il periodo svevo, il castello era signoreggiato dal conte Tommaso di Caprofico, ghibellino, che sebbene fosse stato un convinto sostenitore di Federico II, era un fervente religioso. Si vuole che fra le mura del suo Castello abbia ospitato San Francesco d'Assisi. Dopo la signoria di Bonifacio di Galiberto, il castello fu donato da re Carlo I d’Angiò al suo fedele e prode Cavaliere Trovatore Sordello di Goito nel febbraio 1266. In seguito la struttura passò nelle mani delle più importanti famiglie feudali della zona: dai conti di Valda, ai Conti Borrelli, dai Mallerius ai conti di Sangro, che apportarono notevoli modifiche alla struttura. Al XIV secolo risale il dominio dei conti di Manoppello, al XV quello dei Caldora e dei Conti di Capua, ed infine dei D'Aquino che ne rimasero proprietari fino al 1807. Intorno a questo storico maniero cupe notizie si diffondevano a terrorizzare i servi della gleba: tetre prigioni dove si torturavano esseri umani e si commettevano nefandezze inopinabili; ancora oggi nei due angusti sotterranei ove venivano rinchiusi i rei, si nota sul pavimento il telaio del triste “trabocchetto” che inghiottiva i condannati che venivano fatti precipitare dalla roccia da un’altezza di 40 metri. Oltre ad offrire ottima sicurezza di dominio, il castello era il centro residenziale della Contea omonima, l’antico Palatium in Domo, cioè terra dominicana. Questa antica roccaforte, chiamata un tempo Castel Forte, è in realtà giunta a noi in forme più riconducibili alla tipologia del palazzo fortificato che a quelle di un vero e proprio castello. La struttura nel corso dei secoli ha infatti progressivamente perso molti elementi caratterizzanti, come il coronamento merlato, i torrioni di rinforzo, il mastio e in ultimo il belvedere, distrutti dal terremoto del 1933. Subì anche ingenti danni dopo l'ultimo conflitto mondiale in seguito al quale fu ricostruito nel 1950. Oggi il palazzo è caratterizzato da una pianta rettangolare irregolare, che si rivela frutto di aggiunte e trasformazioni secolari. Esternamente le cortine murarie leggermente scarpate, sono l'unico elemento che ancora ne rivela l'origine militare. Delle finestre, anch'esse rettangolari, sono disposte su due livelli. Un loggiato con quattro arcate è sito su di uno dei lati più lunghi, mentre sul lato opposto vi è una serie di quattro archetti. L'ingresso al castello è possibile mediante una porta urbica che ha un unico fornice ad arco a tutto sesto. Sul lato opposto vi è un portale architravato con cornice modanata e disegni geometrici. I vari stabili del castello sono coperti con tetti a doppia falda realizzati con manto di coppi e cornici a romanelle su tre filari di tegole sovrapposte. Il castello Ducale, che appare dunque come una residenza nobiliare sobria ma elegante, è oggi sede del Museo Geopaleontologico Alto Aventino.

lunedì 18 luglio 2011

Il castello di lunedì 18 luglio



GREVE IN CHIANTI (FI) - Castello di Mugnana

Fu costruito (torre e mura) poco prima dell'anno 1000 dai Longobardi, in posizione strategica tale da essere considerato fortificazione di vitale importanza prima per la Lega di Cintoia e poi per la stessa Firenze. Nella vallata sottostante infatti passava la strada romana della val di Cintoia, dal Valdarno verso Arezzo, che aveva molta viabilità per la presenza del ponte romano vicino a Ponte agli Stolli e su cui i castelli come quello di Mugnana e di Sezzate controllavano il transito. Nei saloni del castello nel 1198 si raggiunse l'accordo che dette vita alla Lega Toscana. Nel 1200 il feudo di Mugnana pasò sotto il controllo prima degli Alamanni, poi dei Bardi di Vernio, che dettero al castello la sua struttura attuale, aggiungendo il corpo, i loggiati e la corte. Sotto le proprietà successive degli Strozzi, Ginori Lisci e Degli Alessandri furono apportati alcuni abbellimenti, come il muro di cinta esterno e la cappella, situata nel parco ed elemento architettonico più recente di tutto il complesso (1600). Il castello fu danneggiato dagli Aragonesi alleati di Siena nella guerra contro Firenze (1530) e, nel 1890, a causa di un terremoto. Le sue mura, al centro delle quali c'è il cassero hanno avuto molti restauri. La torre era alta in origine circa sessanta metri, ma poi fu ridotta per motivi militari. Mugnana rappresenta il caso tipico di trasformazione di un castello, inteso come villaggio fortificato (dotato anche di una chiesa parrocchiale, intitolata a San Donato), in residenza privata monofamiliare. Intorno al portale di accesso in pietra serena molto rimaneggiato, per esempio, il paramento murario è caratterizzato dalla presenza di una serie di pietre di medie dimensioni di alberese con tonalità rossastra, disposte su filari regolari e paralleli che daterebbero al pieno XIII secolo l’edificazione di questa cortina muraria.
La tipologia del paramento della torre sembra piuttosto simile a quella della cinta e, in effetti, il suo perimetro e la presenza di alcune aperture su tutte e quattro le facciate dell’edificio con archi a sesto leggermente ribassato in arenaria, datano la struttura almeno alla seconda metà del Duecento, mentre la merlatura delle mura ed il ballatoio ad esse connesso nella parte alta, sono frutto di un rimaneggiamento recente, probabilmente ottocentesco. Assai suggestivo è infine il cortile del palazzo, chiuso da ben tre corpi di fabbrica tra i quali un loggiato con pilastri ottagonali in pietra serena che sorreggono una muratura molto regolare, costituita da pietre squadrate di arenaria ben lavorate che potrebbero essere databili alla prima metà del Duecento ed un altro con volte a crociera in laterizio ricostruito con tipico gusto ottocentesco. Il Castello di Mugnana ed i suoi dintorni sono stati oggetto di numerose pubblicazioni, che ne hanno sempre esaltato il valore architettonico, la pregiatezza dei suoi vini, ed i dintorni, dove sorgono alcune chiese perlopiù in stile romanico. Il Castello deve la sua fama anche per la sua secolare produzione di vino e olio. Oggi, grazie anche alla sua vicinanza con Firenze, è adibito ad attività recettiva sia per soggiorni turistici che per ricevimenti. Per approfondire si può visitare il sito www.castellodimugnana.it. E' inoltre anche presente su Facebook con un suo gruppo dedicato.

domenica 17 luglio 2011

Il castello di domenica 17 luglio





RIOFREDDO (RM) – Castello Colonna-Del Drago

Posto su un’altura domina l’intero borgo, venne eretto intorno all’XI secolo e originariamente aveva una forma quadrilatera e quattro torri cilindriche agli angoli, successivamente ridotte a due. Solo al 1157 risale la prima citazione scritta del borgo insieme al suo signore di allora Berardus de Rigofrigido. Le dinastie più importanti che tennero Riofreddo come feudo furono sicuramente i Colonna ed i Del Drago. I primi stanziavano costantemente nel Castello di Riofreddo, mentre i secondi vi risiedevano solo per brevi periodi, preferendo dare il feudo in affitto. Con la figura di Landolfo Colonna inizia una documentazione puntuale di questo ramo della nobile famiglia romana, i cosidetti "Colonna di Riofreddo", che furono legati al paese, tra alterne vicende, fino alla fine del XVI secolo. In tutto questo periodo essi parteciparono direttamente o indirettamente ai grandi eventi storici, talvolta insieme alla loro potente famiglia, talvolta divisi da essa. Infatti nella controversia tra i Colonna e Bonifacio VIII, si schierarono con il Papa; ciononostante, quest'ultimo, senza alcun apparente motivo, confiscò loro Riofreddo e lo assegnò agli Orsini, che lo possedettero quindi per un breve periodo. Inoltre nel 1500 Papa Alessandro VI affidò Riofreddo, seppure per un tempo limitato, a Cesare Borgia, Abbate Commendatario di Subiaco. Il paese era, però, ancora sotto i Colonna nel 1550 quando fu stilato lo statuto, documento per altro mai approvato dal Pontefice, e che scomparve a soli cinque anni dalla sua formulazione, sostituito da una copia di sospetta autenticità. Gli ultimi anni della presenza dei Colonna in Riofreddo, furono infine caratterizzati da lunghe vertenze fra una numerosa schiera di coeredi. In seguito, con due atti separati, uno del 1554 e l'altro del 1560, monsignor Paolo del Drago, protonotaro apostolico, acquistò il castello di Riofreddo, che fu eletto a marchesato nel 1621 da Papa Grgorio XV. E' importante ricordare, quale avvenimento eccezionale, l'epidemia di peste che nel 1683 colpì molto duramente il paese, in quanto rese necessaria l'immigrazione di forestieri per ripopolarlo. I nuovi signori non furono bene accetti ai Riofreddani in quanto incominciarono ad imporre tasse, gabelle e pagamenti vari che gravavano particolarmente su quei generi necessari ad un sostentamento già precario di una popolazione povera; rivendicavano inoltre i diritti feudali quali il diritto fondiario e quello di succedere all’eredità di coloro che morivano senza figli: titoli tutti questi che non potevano aver acquistato dai Colonna in quanto essi non ne godevano. I trecento anni che videro protagonisti i del Drago si caratterizzano quindi in lunghe e costose controversie giudiziarie che terminano solo nel 1795 e trovarono una definitiva soluzione nel 1804, grazie ad un accordo con il quale i Riofreddani riconoscevano ai del Drago la proprietà della vasta estensione della macchia di Sesera e questi, dal canto loro, rinunciavano a tutti i privilegi baronali. Alla fine dell’800, il castello venne ereditato dai Marchesi Pelagallo ed è con questo nome che è attualmente conosciuto. Al centro del castello si erge un alto torrione quadrangolare, il primitivo mastio. Attualmente tutto il recinto risulta tagliato nella sua altezza e privo di una qualsiasi traccia di beccatelli o merlature che impedivano la messa in opera di un tetto che per lungo tempo ha ricoperto completamente il recinto. Sabato 16 luglio ho visitato Riofreddo e ho potuto vedere dal vivo il rudere fatiscente di questo castello che comunque mantiene un certo fascino anche in queste drammatiche condizioni. Le due foto sono state scattate dal sottoscritto in occasione di questa visita, sono perciò recentissime ! Per approfondire si può visitare il seguente sito: http://www.castellocolonnadeldrago.com.

venerdì 15 luglio 2011

Il castello di sabato 16 luglio




FALVATERRA (FR) - Castello Colonna

Tracce storiche del paese in forma documentale esistono solo a partire da dopo l'anno Mille quando il borgo era soggetto al potere della famiglia dei de Ceccano, legati alla potente Abbazia di Montecassino. Intorno al 1100 Falvaterra faceva parte del feudo del vescovo-conte di Veroli che la cedette alla famiglia Pagani nel 1178. Nel 1301 Adenolfo Pagani la vendette a Pietro Caetani, nipote del Pontefice Bonifacio VII. La famiglia Caetani governò, con alterne vicende, Falvaterra sino a quando, nel 1504, Re Ferdinando il Cattolico tolse ad Onorato Caetani ed affidò a Prospero Colonna le terre appartenenti allo Stato della Chiesa comprendenti anche Falvaterra. La famiglia Colonna la governò per molto tempo con un intermezzo sotto la corona spagnola. Nel 1549 Ascanio Colonna, che era molto amato dal popolo di Falvaterra, si dimostrò così favorevole a questa terra che, oltre a tante donazioni, le concesse, per privilegio, la nobilissima insegna della sua Casa. Il popolo di Falvaterra si gloriò di tanto favore e subito aggiunse all’incudine, sua antica impresa, la colonna, sia per dimostrare la saldezza dell’affetto della casa Colonnese verso di esso, sia per significare la costanza della sua servitù verso di essa. Il pessimo rapporto dei Colonna con il Papa costituì uno dei motivi scatenanti della guerra del 1556 tra il Papa ed il Re di Spagna, intervenuto in loro difesa. Nel novembre di quell'anno le truppe spagnole al comando del Duca d'Alba penetrarono negli Stati del Papa ed assediarono ed occuparono i Castelli del territorio papale tra i quali quello di Falvaterra che, unico, aveva resistito per nove giorni all'assedio e solo a seguito della completa disfatta delle milizie papali si arrese spontaneamente. Nel 1801 il Pontefice Pio VI rientrò in possesso del suo Stato e Falvaterra tornò sotto la Signoria dei Colonna. Altro intervallo si ebbe con l’Impero Napoleonico tra il 1809 ed il 1815; infine, nel 1816 i Colonna rinunciarono ai diritti feudali e Falvaterra rientrò sotto il diretto dominio dello Stato della Chiesa. Del castello attualmente rimangono pochi e manomessi resti, tra i quali un tratto di cinta muraria merlata ed una torre semicircolare, restaurata purtroppo ad intonaco. Il portale meridionale dell’antica città conserva i cardini con i battenti che alla sera impedivano ai malintenzionati e ai briganti di entrare nel sicuro maniero. Sorpassato l’arco si arriva subito al Ponte, in corrispondenza del quale, con ogni probabilità, doveva esserci il ponte levatoio che immetteva al castello, ma il fossato è del tutto scomparso. All’interno del castello gallerie e sottopassaggi interrotti costituivano ancora un ulteriore sistema di difesa e di contrattacco.

Il castello di venerdì 15 luglio



SCALETTA ZANCLEA (ME) – Castello Rufo Ruffo

Il paese è dominato dalla squadrata mole del castello, fatto costruire verso l’anno 1220, da Federico II di Svevia. L’arroccato complesso fu dato in custodia dall’Imperatore a Matteo Selvaggio. Nel 1240 fu signore del castello e delle terre di Scaletta Giovanni Selvaggio, padre di Matteo junior e della bella Macalda, andata successivamente in sposa ad Alaimo da Lentini. Dal 1278 passò in mano agli Angiò e per tutto il periodo della loro dominazione fu castello demaniale. Nel 1325 esso venne concesso da Pietro II d’Aragona a Peregrino di Patti, cancelliere del Re, che divenne primo Barone di Scaletta. Nel 1397 il Castello e le terre di Scaletta furono concesse a Salimbene Marchese, resosi famoso per la sentenza di morte pronunziata contro il Vicario del Regno Andrea Chiaramonte. Nel 1535 vi fu ospite l’imperatore Carlo V d’Asburgo, reduce dalla strepitosa vittoria ottenuta contro i musulmani a Tunisi. Nel 1672 il Castello e le terre circostanti furono vendute da Francesco Ventimiglia ad Antonio Ruffo Spadafora. Dal 1674 al 1676 Scaletta fu teatro di continue battaglie tra la flotta spagnola, aiutata da navi olandesi, e la flotta francese di Luigi XIV. Fino al 1812 Scaletta fu città feudale, indipendente dal governo centrale ed appartenente al Principe Ruffo, ultimo feudatario, che governava sulla popolazione. Dopo il 1812 il feudalesimo fu abolito e Scaletta divenne “Comune”. Il castello è piantato sul vertice di una collina, circondata da valli inaccessibili. Nel solo lato orientale, che guarda sullo stretto, il pendio è meno ripido ed è in esso che è stata ricavata, con paziente lavoro umano, la faticosa mulattiera, che tuttora congiunge, come nel medioevo, "la marina" (fraz. Scaletta Marina) al castello. È in questo lato, infatti, che, sfruttando le maggiori accidentalità venne costruita su una breve spianata che interrompe la foga dell’ascensione, la fortezza avanzata, dove vennero installate, nel Seicento, numerose bocche da fuoco che resero invulnerabile la costa. Il profondo mutamento, apportato dall’introduzione delle artiglierie, rese necessaria, anche nel sistema difensivo del castello di Scaletta, una serie di opere integrative, di cui restano tuttora autorevoli avanzi. I maggiori danni sono derivati dal quasi totale abbandono in cui è stato lasciato il fortilizio nell’ultimo secolo. Esso non fu eretto con un preciso piano architettonico, bensì dovette piegarsi alle inderogabili esigenze topografiche che hanno imposto soluzioni obbligate. La pianta dell'imponente fortezza è trapezoidale, con i due assi principali che misurano 18 per 20 metri circa. Per quanto la pianta non sia esattamente rettangolare, il modello di Scaletta sembra ricalcare i dongioni normanni di Paternò, Adrano, Motta S. Anastasia. L'edificio è diviso, infatti, in tre livelli. La muratura è caratterizzata da pietra calcarea non sbozzata, tenuta insieme da malta, esclusi i cantonali e le finiture decorative eseguiti con blocchi calcarei ben squadrati. Sul prospetto di nord-ovest vi è l'ingresso principale, caratterizzato da una porta ogivale, rimasta integra, costituita da blocchi di arenaria. Il piano terreno del dongione presenta tre ambienti coperti da volte a botte, più un quarto modulo più piccolo e riservato, che si eleva per tre piani e offre un ambiente intermedio coperto da volta a crociera, sorretta da costoloni poggianti su mensole. Gli ambienti del pianterreno servivano gli armigeri e per il personale addetto alla difesa del castello; il superiore, rispondente al piano nobile, era destinato al castellano e alla sua famiglia, l’ultimo – piano ammezzato – accoglieva probabilmente la servitù.Oggi, nei diversi piani, sono soltanto rilevabili numerose edicolette murali, disimpegnanti l’ufficio di armadi, e, nel piano nobile, il taglio di un grande camino. La presenza di finestre e porte indirizzate verso orizzontamenti mancanti, potrebbero denunciare l'esistenza, un tempo, di solai lignei oggi del tutto scomparsi. La sommità della fortezza possiede un piano terrazzato, accessibile da una scala in pietra non coperta, presente presso l'angolo ovest del quadrilatero. All’interno del castello è stato allestito un museo, costituito da bacheche e recinzioni allestite nelle varie sale e recanti documenti cartacei (specie iconografici) ma anche araldici, che riguardano il territorio e la famiglia Ruffo. Di vivo interesse culturale sono le medaglie, gli oggetti artigianali, le armi di guerra e le armature, disposti ad arte nei vari ambienti. Un’ulteriore attrazione culturale volta ad accrescere le conoscenze riguardanti il territorio di Scaletta Zanclea.

giovedì 14 luglio 2011

Il castello di giovedì 14 luglio



TRESIGALLO (FE) - Palazzo Pio

Situato ad 1 km dal centro del paese, precisamente in località “Palazzi”. La costruzione di Palazzo Pio risale esattamente fra il 1517 e il 1531 ed il suo committente fu il Conte Messer Alessandro Faruffini, magnifico e generoso cavaliere nonché, Capitano delle milizie del Duca di Ferrara e Modena Alfonso d'Este. Egli partecipò coraggiosamente alla famosa battaglia di Polesella del 1509, nella quale fu sconfitta la squadra navale inviata da Venezia contro Ferrara; per questa impresa, venne ricordato nell' Orlando Furioso da Ludovico Ariosto, che aveva assistito alla battaglia. Prima di procedere alla costruzione del palazzo, il nobile Alessandro aveva sposato Caterina Macchiavelli Della Frutta, originaria di Firenze e che a Ferrara era entrata nella Corte Estense. Il palazzo prese l'attuale nome intorno alla metà del 1600; la diocesi della città estense era guidata dall' Arcivescovo Cardinal Carlo Pio la cui famiglia, quella dei Principi Pio di Savoia, proveniente dal Principato di Carpi ed entrata a far parte della nobiltà estense, acquistò l'edificio. Per entrambe le nobili famiglie, il palazzo rappresentava una "delizia" extraurbana, probabilmente adibita a punto di partenza per scorribande e puntate di caccia e pesca nelle valle attigue. Verso la fine del Settecento, alla morte del principe Giberto Pio, il palazzo venne ereditato da una famiglia appartenente alla più alta nobiltà spagnola, i Valcarcel Pastor, che poi acquisì anche il nome di Falcò. Nei decenni dal 1870 al 1890, l'edificio fu proprietà della Società Bonifica dei Terreni Ferraresi; successivamente passò alla famiglia Monesi, che vi installò un apprezzato mulino. Ultimi proprietari furono i fratelli Matteucci di Ferrara. Al di là delle modifiche strutturali e architettoniche che sappiamo aver via via accompagnato la trasformazione del fabbricato da deliziosa sede residenziale in semplice abitazione del fattore e più ancora magazzino dei prodotti e degli attrezzi della tenuta, il palazzo di fatto non ha visto compromessa né l’imponenza né tanto meno l’eleganza che i grandi volumi avevano originariamente assegnato alle diverse sue componenti, a partire dalla grande torre di scolta che da sempre svetta su tutto il complesso. Essa è formata da due piani oltre il piano terra, si basa su di un nucleo quadrangolare che però, per i volumi che vi vengono aggiunti in corso d’opera, finisce per concludersi nella grande pianta rettangolare che ancor oggi presenta. All’interno della quale, eccezion fatta per l’ultimo piano e nonostante alcune tramezzature successivamente innalzate, risulta appunto evidente quanto ampie e ariose fossero in origine le sale d’onore e i saloni di rappresentanza. Una lunga scala, agganciata a spirale nei quattro muri portanti della torre (parte integrante del palazzo in quanto sua ala destra), permetteva (e permette) di raggiungere comodamente i due piani superiori e la sua stessa sommità. Fin dall’inizio caratterizzato dai diversi ordini di finestre che ne abbellivano i tre piani e dal lungo porticato a colonne che, al piano terra, separava l’entrata principale dall’antistante cortile-giardino, è soprattutto dalla malasorte toccata a questi ultimi elementi architettonici che l’antico palazzo evidenzia i segni più appariscenti delle ferite subite. Il palazzo conserva ancora all'interno tracce di alcuni affreschi cinquecenteschi; negli ultimi anni è rimasto in stato di abbandono e conseguentemente in pessime condizioni e non accessibile al pubblico. Finalmente nel maggio del 2009, l’Amministrazione Comunale di Tresigallo ha finalmente concluso le trattative per l’acquisto dell’antico palazzo dai Fratelli Matteucci. Ora è in programma un intervento urgente, con le prime opere per la messa in sicurezza della struttura che interesseranno la copertura dell’edificio e una parte dei solai. Fatto ciò si potrà poi ragionare ed intervenire sul suo recupero e sulle modalità di utilizzo del prestigioso monumento.

mercoledì 13 luglio 2011

Il castello di mercoledì 13 luglio



SIROLO (AN) - Castello

Ha origini molto antiche, si presume nel VII secolo, quando un signore d'origini teutoniche ne volle la costruzione, conquistato dalla posizione strategica della odierna Sirolo, ben protetta da falesie a strapiombo sul mare. Verso l'anno 1000 Sirolo era dei conti Cortesi, antica famiglia di origine germanica, i quali nel 1225 sottoposero tutti i loro castelli ad Ancona in cambio dell'iscrizione alla nobiltà anconetana. L'accesso al castello era consentito da una scala a pioli che veniva poi ritratta nei momenti di pericolo. Nella seconda metà del duecento, eventi naturali distrussero una buona parte del castello di Sirolo che tuttavia rimase inespugnabile sia per la posizione naturalmente difesa sia per la possente cortina muraria. Infatti nel 1354 il maniero fu assediato dal capitano di ventura Fra' Morreale, inviato dal cardinale Albornoz per sedare le intemperanze di varie città contro il potere papale. L'assedio non riuscì, e così Sirolo resistette allo stesso modo anche all'assedio dei Malatesta nel 1413. Libero da oppressori il castello si diede statuti di autogoverno sin dal 1465 e tale libertà durò fino alla fine del '600. Seguì la dominazione pontificia e francese fino all'annessione al regno italico di Napoleone. Caduto quest'ultimo, Sirolo tornò sotto il dominio papale fino all'unità d'Italia. Di quel bel maniero antico restano oggi solamente due torri, la prima sulla quale sorge oggi la torre campanaria della chiesa di San Nicolò, edificata nel 1732 per volere del vescovo Arnolfo. La seconda, ancora integra, è chiamata Torrione dai Sirolesi e domina il centro storico. Unico esemplare, dei tre esistenti, scampato ai sismi ed alle frane che distrussero il resto delle fortificazioni. Sulla destra l’antica porta, e subito dopo un’altra ancora più possente di stile gotico, una volta collegata con l’esterno da un ponte levatoio, danno l’idea della cura con la quale la popolazione provvedesse alla propria difesa. Una pietra incastonata sul lato della seconda porta, recante a rilievo una croce, sembra sia stata posta, come segno di riconoscimento, da alcuni crociati in partenza per la Terra santa, dopo aver caricato sulle navi ancorate nel porto di Numana le provviste alimentari da utilizzare durante il viaggio. Dopo la metà del 1800 il torrione subì profonde ristrutturazioni. In quel periodo all'interno esisteva ancora una modesta armeria composta da 2 cannoncini e 7 fucili ad avancarica. Venne utilizzato successivamente come magazzino di grano e farine,fabbrica artigianale e scuola elementare.

martedì 12 luglio 2011

Il castello di martedì 12 luglio



MARINA DI GIOIOSA JONICA (RC) – Torre Galea aragonese

Sarebbe forse più corretto considerarla un castello. Questa bellissima torre è una residenza feudale che si trova nell'omonima località, a circa due Km dal centro del paese; la contrada Galea in origine era chiamata Abbate Henrico; essa prese il nome attuale intorno al 1534, quando il Marchese di Castelvetere e signore di Motta Gioiosa, Giambattista Carafa fece costruire una imbarcazione per l'imperatore Carlo V. La Torre fu costruita fra il 1483 ed il 1490 da Cola Iacopo Romano, nobiluomo di Sorrento, investito del titolo di barone di Abbate Henrico dal re di Napoli Ferrante I d'Aragona. Assieme a Torre Vecchia e a Torre dei Giardini costituiva un sistema di difesa contro le incursioni dei turchi, il più potente sistema difensivo e di guardia che abbia mai avuto la Calabria. Torre Vecchia e Torre dei Giardini sono andate distrutte. Secondo alcuni studiosi essa apparterrebbe al sistema di torri erette per ordine del Viceré D. Pietro di Toledo, durante la metà del XVI secolo, per vedetta e difesa della zona costiera. In ogni modo, è certo che il fortilizio vada sicuramente escluso dalle torri costiere costruite dagli Spagnoli a metà del 1500, benché sia stato poi incluso nel piano generale e nel dispositivo di difesa attuato contro le incursioni turche. L'edificio è a pianta quadrangolare con due torri semicilindriche situate agli spigoli Nord e Sud, con beccatelli in pietra alla sommità e una terza a pianta quadrata, munita di ponte levatoio, proprio in conformità al tradizionale schema dei castelli. L'interno presenta tre ambienti sovrapposti, con altrettanti ambienti minori nel corpo della torre Sud ed una scala a chiocciola nella torre Nord; è accessibile da un ponte di legno, che un tempo doveva essere mobile. La conformazione del monumento è sicuramente unica in tutta la regione; essa si avvicina allo schema architettonico del Castello Aragonese di Gioiosa Ionica, e ciò ne ha permesso la collocazione storica. Si potrebbe pertanto ipotizzare che la torre sia stata concepita dagli stessi architetti di quel castello e su iniziativa dello stesso Conte D. Vincenzo Carafa, che ne volle la costruzione. Nel corso del tempo l'edificio ha subito notevoli rifacimenti, come intuibile dalla diversità dei materiali impiegati; il complesso è stato anche oggetto di restauri a cura della Soprintendenza. Di recente, nel corso dell'Amministrazione guidata dal Sindaco Rocco Femia, la Torre - di proprietà di un privato - è stata acquisita al patrimonio architettonico del Comune di Marina di Gioiosa Ionica.

lunedì 11 luglio 2011

Il castello di lunedì 11 luglio



VINZAGLIO (NO) - Castello Sella

La sua storia è legata a quella del castello di Borgovercelli. Si dice infatti che il signorotto di Bulgaro fosse stato l'amante di Caterina di Vinzaglio e che la raggiungesse dal proprio castello grazie ad un tunnel segreto. Il castello risale al XII secolo ma le prime notizie di un castrum sono del 1215 a proposito di una convenzione tra Aicardo di Robbio e Vercelli. I signori di Robbio ricevettero il castello dai Bulgaro, proprietari anche di quello di Borgovercelli. Il feudo passò poi ai signori di Palestro, imparentatisi con i Visconti. Infatti la figlia di Martino di Palestro, la famosa Caterina di Vinzaglio, sposò Leonardo Visconti, che, a sua volta, era il figlio naturale dell'arcivescovo Giovanni. Leonardo si alleò con Giovanni II del Monferrato che nel 1356 combattè contro i Visconti. Fu quindi Galeazzo Visconti che lo cacciò appena riuscì a rioccupare il novarese. Caterina si ritirò a Orta ed il castello, nel 1387, venne concessodai Visconti ad Antonio Posso conte di Pollenzo e poi venduto ai Crotti nel 1432. Nei secoli successivi passò ad altre famiglie tra cui gli Arconti. Il castello sorge su un dosso alluvionale del fiume Sesia, ai margini dell'abitato. Dell'antico fortilizio del XIII secolo rimangono soltanto i resti di tre torri e parte di murature, nei pressi dell'attuale edificio rinascimentale. Ad un primo recinto a forma triangolare, nel XV secolo ne fu aggiunto uno più vasto quadrangolare. Nel corso del XIX secolo il maniero divenne proprietà della potente famiglia Sella che lo restaurò e modificò secondo i canoni e la funzionalità di una residenza aristocratica di campagna. Attualmente la maestosa dimora, privata, si presenta in avanzato stato di degrado. Cercando su internet sui motori di ricerca potrete facilmente trovare annunci immobiliari risalenti al 2010 che si riferiscono proprio a questo antico castello. Per approfondire si può visitare il seguente link: http://www.100castellinovara.it/castle?id=43

sabato 9 luglio 2011

Il castello di domenica 10 luglio



NAZZANO ROMANO (RM) - Castello Savelli

La prime notizie sul castello di Nazzano si hanno da una bolla di papa Gregorio VII tra il 1073 ed il 1085 in cui è citato il passaggio del Castellum Nazanum dai monaci benedettini dell’abbazia di Farfa a quelli di San Paolo di Roma. In seguito alle lotte causate dagli scontri tra le truppe di Enrico V e quelle di papa Pasquale II avvenne probabilmente una parziale devastazione del primo nucleo del castello, parzialmente ricostruito dal 1198 da papa Innocenzo III. Dal 1332 il feudo di Nazzano passò a Jacobo de Sabellis, la cui famiglia ne mantenne il controllo fino alla metà del Quattrocento quando, a seguito dell’assassinio da parte delle milizie di Giacomo Savelli del luogotenente dei monaci di San Paolo, il castello viene confiscato da papa Nicolò V. Alla morte di Nicolò V il castello fu venduto dal nuovo pontefice Callisto III ai monaci di San Paolo per finanziare la crociata contro i turchi e rimase di proprietà dei monaci fino alla metà del XX secolo. Il fortilizio sorge nella parte più alta del borgo, addossato direttamente alla roccia viva tufacea, ampiamente scavata per ottenere un fossato perimetrale. Le fasi costruttive del castello sono chiaramente riscontrabili in due epoche storiche, quelle del ‘300 e del ‘400, pertinenti alla proprietà Savelli la prima e la seconda ai monaci. Il castello ha una pianta irregolare con cortile centrale e due torri esterne situate a due angoli opposti, una verso l’abitato con funzione di guardia e l’altra aperta invece verso la valle del Tevere di avvistamento a controllo del fiume. L’accesso al castello avviene attraverso un massiccio rivellino che anticamente comprendeva un ponte levatoio in legno, oggi scomparso. Le robuste mura esterne di spessore variabile in pietra locale precedute da un breve fossato, presentano una scarpa verso il basso e culminano con profonde merlature nella sommità. Sono presenti lungo il paramento esterno delle mura oltre ad uno stemma in travertino dei monaci di San Paolo anche delle feritoie tre-quattrocentesche e delle aperture per bocche da fuoco del XVI-XVII secolo. All’interno si trova una cappella realizzata sotto papa Callisto III, dove sono ancora visibili resti di affreschi. Di fronte alla base del castello si trova il Museo del Fiume ad ingresso gratuito, la cui parte più bella è costituita dalle sale dedicate ai fossili nell'arenaria che sono ricavate nei sotterranei, in una grotta scavata proprio nell'arenaria di Nazzano.

venerdì 8 luglio 2011

Il castello di sabato 9 luglio



MORLUPO (RM) – Castello Orsini

Fondato forse nel X secolo da una colonia di Capenati fuggiti alla distruzione della loro città, il castrum Morilupo nel 1038 apparteneva all’Abbazia di San Paolo. Divenuto feudo nel 1293, venne assegnato in dote ad Anastasia figlia di Guido di Montfort. Il castello attuale fu ricostruito dopo che quello precedente andò distrutto nel 1433 per volere di Papa Martino V, intenzionato a punire il ribelle Ulisse Orsini che si era rifugiato. L’edificio si trova in fondo alla Via del Corso ed è posto come sbarramento di protezione dell'ingresso al Rione Mazzocca, in quanto detto rione è naturalmente protetto dagli altri lati da profondi e scoscesi dirupi. Esso era certamente munito di un mastio, dalla cui sommità si poteva scorgere il sistema di Torri di vedetta verso la Flaminia e la Tiberina. Nel XVI secolo Antimo Orsini volendo lasciare un segno evidente della sua signoria sul paese fece eseguire dei lavori di trasformazione del castello. Tali lavori terminarono nel 1598, il prospetto principale domina completamente la piazza castellana e su ciascun architrave è inciso il nome Antimus Ursinus. Secondo il progetto di una residenza principesca rinascimentale, troviamo una pianta con un lessico architettonico di derivazione sangallesca ampiamente diffuso nel Lazio. Gli ambienti, perfettamente simmetrici, sono disposti intorno ad un cortile quadrato con un lato porticato dal quale si accede alla scala principale. Anche gli ingressi sono simmetrici e rivolti l'uno verso la piazza principale (Piazza Giovanni XXIII), l'altro verso il borgo. Con il rifacimento della Porta Romana venne anche attuata la ristrutturazione della torre, unica testimonianza dell’antico castello, di forma poligonale a sperone verso l’esterno ed ellittica dalla parte che guarda la corte interna. Essa venne definitivamente unita al castello mediante la creazione di un passaggio coperto. Sul nuovo portale vennero raffigurati il leone rampante degli Orsini-Aldobrandeschi ed il lupo che tiene fra le fauci un gallo, simbolo della comunità di Morlupo. Pochi anni dopo, nel 1613, gli Orsini vendettero il feudo alla famiglia Borghese e da questo momento il Palazzo perse la sua importanza, non più abitato dal feudatario, divenne la residenza del Governatore e fu in gran parte utilizzato come granaio. Nel 1652 venne realizzata la scala sulla Piazza, a destra dell'ingresso principale.

Il castello di venerdì 8 luglio



FAEDIS (UD) - Castello di Cucagna

I suoi resti domininano il paese sottostante. Già in epoca romana erano qui presenti delle opere difensive, costituite da torri di avvistamento con il compito di segnalare eventuali mosse ostili. Fu costruito nel 1027, quando il patriarca di Aquileia Popone diede incarico a Odorico di Auspergh, nobile carinziano, di edificare un castello, all'interno di un progetto più complesso detto "colonizzazione aristocratica", che prevedeva la fortificazione del Friuli per renderlo più sicuro contro le invasioni barbariche. Egli scelse un colle sopra Faedis, un “cuc” da cui deriva Cucagna. Il castello viene citato nel 1166 e nel 1186 un membro della famiglia di nome Guarnero o Varnerio venne per la prima volta indicato come signore di “Cucagna”. Dal XII secolo questo maniero costituì il nucleo di varie altre costruzioni che andarono via via a costituire un'opera difensiva di notevoli dimensioni in un punto strategico, cioè sulla strada che da Cividale portava a Gemona. A fianco alla torre quadrangolare, sorgeva la “domus”, una casa fortificata, della quale oggi rimangono i muri, la cappella di S. Giacomo, una grande cisterna. La famiglia in seguito si divise in vari rami. Sorsero poi vari castelli per ogni ramo della famiglia: i Cucagna, gli Zucco, i Partistagno. Ci furono delle lotte interne ai vari rami della famiglia: gli Zucco favorivano il Patriarca mentre i Cucagna erano per i Camino e per i conti di Gorizia. Nel 1325 venne ampliata la domus del castello che però agli inizi del Quattrocento fu abbandonata e i nobili di Cucagna si trasferirono nelle loro ville a Ronchis, Faedis, Udine e Cividale. Nel 1521 il castello fu incendiato da parte dei veneti, in seguito alla guerra di Worms, come avvenne per i castelli di Attimis e Partistagno. Oggi il complesso è diroccato ma in fase attualmente di avanzato recupero, ad opera dell'Istituto per la ricostruzione del Castello di Zucco, altra fortificazione che si trova a Faedis. Rappresenta un chiaro esempio di fortificazione medioevale, anche se nel tempo è stato in gran parte alterato. Si raggiunge percorrendo l’antica strada che da Faedis porta al Canal di Grivò, dove a borgo Sant’Anastasia si stacca un sentiero lastricato sulla sulla sinistra. Il castello è dominato dalla torre centrale (XI secolo), la sola in tutta la regione a presentarsi nel suo stato originario in totale integrità. E' possibile visitarla fino a raggiungerne la cima, da cui si gode di un panorama superbo. Inoltre è composto dai palazzi del lato valle (Palazzo superiore del XII, e Palazzo inferiore XIV secolo). Da molti anni è sede di un seminario estivo internazionale di architettura medievale.

giovedì 7 luglio 2011

Il castello di giovedì 7 luglio



CASTELBUONO (PA) - Castello Ventimiglia

Venne fatto erigere sul colle di San Pietro d'Ypsigro nel 1316, su ordine del conte Francesco I di Ventimiglia, sulle vestigia di una preesistente urbanizzazione bizantina. La sua costruzione fece crescere la piccola comunità locale tanto che nel 1454, quando Giovanni I - nominato marchese di Geraci, Viceré e Grande Ammiraglio dal re Alfonso - vi si trasferì con la sua “corte”, Castelbuono fu il centro più vivace nel vasto patrimonio dei Ventimiglia. Giovanni portò con se il segno più rilevante del valore della famiglia: la sacra Reliquia del teschio di S. Anna, donata a Guglielmo dal Duca di Lorena. Durante il sec. XVII furono apportate radicali trasformazioni per esigenze di abitabilità, essendovisi trasferite da Palermo alcune famiglie dei Ventimiglia. Del maniero, che non ebbe mai finalità strategiche per la sua posizione geografica a valle, non è semplice identificare l'architettura originaria. Esso ci è pervenuto con caratteristiche compositive arabo-normanno sveve: infatti la sua forma a "cubo" richiama l'architettura araba, le "torri quadrate" rispecchiano l'architettura normanna, mentre la "torre cilindirca" esprime moduli di architettura sveva. Si accedeva ad esso con una doppia gradonata tramite un portale ogivale. Tutt'attorno una corte esterna (l'attuale piazzetta), cinta da un muro e nella quale si aprivano due porte fortificate, circondava l'edificio. All'interno della corte, addossate lungo il muro di cinta, stavano le costruzioni alle dipendenza del castello (stalle, fondaci, etc.), il teatro e una chiesa. I corpi di fabbrica, intervallati dalle torri che oggi appaiono leggermente più alte, ma che in origine dovevano essere di uguale altezza, insistevano su un pianoterra e tre elevazioni, collegate da una scala sviluppata sulle pareti interne della piccola corte all'interno dell'edificio, a cielo aperto. La merlatura ghibellina a "coda di rondine" fu demolita nel 1820, poichè pericolosamente lesionata in seguito al terremoto che colpì le Madonie, e in particolare Castelbuono. Una galleria sotterranea comunicava con la chiesa di S.Francesco, datata 1322, posta nell'alto dell'abitato. Scalette segrete sono state scoperte fra lo spessore dei grossi muri che intercomunicavano con i vari piani. Stanze al pianterreno e nel sottosuolo ci riportano alla dominazione feudale: celle anguste per i condannati per reati gravi, ambienti comuni per i reclusi per reati minori. Resiste al tempo il soffitto ligneo quattrocentesco decorato con figure chimeriche variopinte, poggiante su "mensole" artisticamente intagliate. Durante il vicariato di Sicilia del conte Francesco II Ventimiglia, soggiornò nel castello il sovrano Federico III d'Aragona nel 1357. Fulcro del maniero è la Cappella Palatina nella quale è custodita dentro un'urna la reliquia del teschio di Sant'Anna, patrona di Castelbuono; l'urna fa da piedistallo al mezzobusto scultoreo d'argento della Santa, opera del 1521. L'artistico "Coro" ligneo è opera dello scultore Castelbuonese Domenico Coco, 1760. Il Castello dei Ventimiglia, dal 1920 di proprietà Comunale dopo essere stato per sei secoli residenza dell’illustre casata e per ultimo del barone Fraccia di Favarotta (che ne fu il liquidatore), è sopravvissuto al peso degli anni, alle vicissitudini che più volte ne hanno messo in pericolo la stabilità, grazie ai continui interventi, motivati in primo luogo dal profondo legame della popolazione Castelbuonese con il prezioso monumento. Il restauro strutturale progettato e finanziato negli anni '80 e realizzato negli ultimi cinque anni del secolo, ha restituito alla fruizione gran parte dell’immobile, e le indagini archeologiche, purtroppo ancora incomplete, hanno offerto elementi per una rilettura della storia del Castello e della comunità di Castelbuono sia nelle sue origini che nella secolare evoluzione. Divenuto una scuola nel periodo in cui i castelli di proprietà del demanio venivano usati come carceri, attualmente il castello di Castelbuono viene fruito come museo, per cui si può dire che il sogno di un Principato prospero e civile che riversava i suoi frutti nella promozione culturale continua ancora oggi a persistere. Il primo piano del Castello è sede della Pinacoteca di arte moderna e contemporanea, il cui nucleo principale attualmente è costituito dal Fondo della donazione Dott. Luigi Di Piazza che comprende 35 opere, tra quadri e sculture, del periodo che va dal 1965 al 1993, tra cui presenti le opere di Bardi, Cagli, Carmassi, Schifano, Ortega. Il secondo piano oltre al prestigio della Cappella di Sant’Anna con i pregevoli stucchi serpottiani ospita la mostra dei tesori e degli arredi sacri della cappella palatina, mentre il salone di rappresentanza, appena arredato, può ospitare incontri letterari, concerti ed altre manifestazioni culturali.

mercoledì 6 luglio 2011

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Il castello di mercoledì 6 luglio



URAGO D'OGLIO (BS) - Castello Martinengo

Nel decimo secolo Urago d'Oglio viene citato in un documento come proprietà del vescovo di Cremona. Una bolla pontificia del 1187, riferita al castrum Uradi, conferma tale possedimento. Furono i monaci benedettini cremonesi a creare qui, tra il 1100 ed il 1200, una grangia (fattoria) cui fa riferimento anche il toponimo “Montagnina dei frati”. Tale fattoria fu gestita dai religiosi fino al 1364. Alla fine del tredicesimo secolo Urago, il cui nome deriverebbe dal basco ura (acqua) o dal gentilizio romano aurius, viene citato in una lista di “aree desolate” per le conseguenze di carestie, guerre o epidemie. Questo diffuso disagio fu accentuato dal fatto che il luogo, bonificato solo nel 1300 con le rogge Molina e Vescovada, era boscoso e paludoso. Il 30 Gennaio 1380 il territorio di Urago venne costituito in signoria feudale sotto la giurisdizione di Prevosto Martinengo, dopo essere stato di proprietà di Gabriolo Aliprandi e della Regina della Scala, moglie di Bernabò Visconti. I Martinengo edificarono qui il primo di una serie di castelli. Sorto sulle basi di una più antica torre, quello di Urago fu allo stesso tempo castello e residenza signorile posta a sovrastare, da una piccola altura il fiume Oglio, l'importante corso d'acqua teatro di scontri e commerci nel corso dei secoli. Nel 1427, anno della battaglia di Maclodio, i Martinengo persero il castello per mano dei Visconti, che rasero al suolo il castello. Analoga sorte subì la ricostruzione del maniero nel 1438, questa volta ad opera del Piccinino. Sotto il dominio dei Veneziani vi furono anni di pace e benessere. Nel 1512 sopraggiunse l'occupazione francese e, nel 1560, l'apice della contesa fra Cremona e Brescia per il controllo del fiume Oglio. Questa si risolse a favore di Brescia grazie alla mediazione del podestà Domenico Bollani, successivamente nominato vescovo. Verso l'inizio del diciassettesimo secolo, gli abitanti di Urago d'Oglio vivevano fuori dal castello, riuniti in piccoli borghi di case, e coltivavano i terreni sassosi. Lo riferisce una cronaca del capitano veneto Giovanni da Lezze. Con la guerra di successione spagnola i Francesi seminarono per due volte la distruzione a Urago, nel 1701 e nel 1705. Venne l'anno 1777 e Venezia, accogliendo la domanda di Urago e Calcio, sostituì al sistema di trasporti con traghetto un ponte in muratura che portò ad un forte sviluppo economico del luogo. I vari rimaneggiamenti, modifiche e distruzioni subiti dal castello lo hanno portato a non essere più ben identificabile nelle sue nobili linee originarie. Dapprima severa rocca da difesa, venne in seguito ingentilito con loggette e terrazze. L’ingresso del maniero, un tempo munito di un ponte levatoio, è sovrastato da una torre quadrata i cui muri raggiungono, in alcuni punti, i due metri di spessore. All'interno vi sono loggiati e portici di periodo rinascimentale. Sul torrione d'ingresso, in cotto, è raffigurata l'aquila dei Martinengo.

martedì 5 luglio 2011

Il castello di martedì 5 luglio



SAN FELICE A CANCELLO (CE) - Castello di Matinale

Sorge sulla collina di Cancello, a circa 212 metri di altezza sul livello del mare, lungo il tratto stradale Napoli-Roma (si vede dall'autostrada). Le notizie storiche del sito del castello sono molto scarne e controverse, soprattutto quelle relative alla sua fondazione. Il suo fondatore fu, intorno all'839, il longobardo Rudovaco che, prima di morire, ne fece dono al conte di Acerra, Cullezio. Secondo la tradizione il conte, nel tentativo di unire l'edificio, tramite un cunicolo sotterraneo, al castello del suo feudo, provocò il crollo di un'intera ala della costruzione. Non fece in tempo a porre rimedio al danno perché morì nella battaglia di Sclavi, combattuta al fianco di Landone di Capua. A ricostruire il castello fu il normanno Ramperto che di lì a poco, però, ne ordinò la distruzione. L'edificio fu riedificato in occasione del matrimonio di Margherita, figlia naturale di Federico II, che aveva sposato Tommaso II d’Aquino. Successivamente il figlio primogenito della coppia ebbe l’appannaggio della metà dei proventi derivanti dalla valle di Suessula e dal castello del Matinale di Cancello. La fortificazione fu al centro delle lotte tra Angioini e Durazzeschi quando questo territorio fu saccheggiato e bruciato. Uno dei pochi documenti conservati ne testimonia il possesso da parte di Iacopo Bianco, nipote del cardinale Gerardo Bianco, vescovo di Sabina. Il presidio fortificato era ancora attivo nel secolo XV, quando nel 1412 il passo di Cancello fu tenuto da Pietro Origlia. Nel 1437, durante la guerra per la successione al trono tra Angioini e Aragonesi, fu occupato da Giacomo Caldora e Giovanni Vitelleschi, che aveva fatto prigioniero Giovanni Antonio Del Balzo, principe di Taranto e conte di Acerra e l’aveva tenuto rinchiuso nel castello. Dal 1443 al 1460 Giacomo Candida di Benevento fu Castellano del Castello di Cancello, quindi il Castello, fu per un certo tempo Feudo degli estinti Duchi di Maddaloni. Nel periodo del brigantaggio il Castello divenne il regno del brigante Mucusiello e ricovero di bande che, sempre con maggiore insistenza, funestavano le terre del Regno di Napoli. Debellato il brigantaggio il castello in seguito passò ai d’Aquino, principi di Caramanico. Lo stato di abbandono, insieme ai fenomeni naturali, nel corso dei secoli determinò diversi danni e crolli. Infatti, nel XVIII secolo, le strutture superstiti della fortificazione furono parzialmente mutate in abitazione rurale con tutti i servizi annessi. Il castello fu nuovamente al centro di fatti storici durante il periodo napoleonico quando il generale Championnet lo sottrasse alle truppe avversarie senza usare l’artiglieria pesante per non distruggere l’antica struttura fortificata, dando successivamente l’ordine di inserirla fra le opere di interesse artistico che il Lavignj stava redigendo per Giuseppe Bonaparte, re di Napoli. Nel 1943 il Castello fu sede dei Comandi della Quinta e della Settima armata delle truppe alleate. Il Colonnello Spencer J. Braw grande disegnatore e appassionato di opere d’arte, preparò degli schizzi del Castello esposti in seguito a New York nel 1949, ad una mostra di monumenti dell’Italia meridionale. Per successione femminile il castello e la collina circostante sono passati alla famiglia Barracco, che ancora ne detiene il possesso. La fortificazione si estende su un area di mq 860 circa, racchiusa da un perimetro di m 170 circa; ha una impianto geometrico regolare di forma quadrangolare con il lato interno di m 26 circa, con poderose torri quadrate dal lato di m 7 circa nei quattro angoli ( in corrispondenza dei punti cardinali), più una quinta torre della stessa forma ubicata nei pressi della postierla che si apre sul lato nord. La collocazione del castello rispondeva ad una esigenza strategica di controllo delle strade che da Napoli e Capua, attraverso il passo di Cancello, si dirigevano una verso la valle Caudina, Benevento, il Sannio e la Puglia, e l’altra che, costeggiando il versante nord della piana nolana, si dirigeva verso Avellino e Salerno. Sulla sinistra del lato che guarda a sud-ovest, accanto a una torre, è visibile l'ingresso, segnato da un arco a ogiva. Una delle torri presenta al suo interno una stanza con intonaco affrescato alla maniera pompeiana, secondo la moda che si diffuse nelle dimore della nobiltà sul finire del XVIII secolo, all'indomani della scoperta di Ercolano e di Pompei. L’impianto del castello si rifà dunque ai canoni fondamentali dell’architettura di epoca sveva, con una struttura pressoché modulare. La disposizione degli ambienti originali si adattava alla rigida struttura geometrica determinando una spazialità ed una funzionalità che si articolava principalmente in rapporto al cortile interno quadrato che serviva da area di smistamento e di raccordo delle diverse funzioni. La struttura fortificata, pur conservando molto delle originarie caratteristiche di epoca sveva, attualmente si presenta in condizioni molto precarie; gli elementi maggiormente significativi e strutturalmente consistenti sono le cinque torri, la cortina muraria esterna e gli ambienti sotterranei posti sul lato sud-est. Uno degli elementi meglio conservati è la torre del lato nord-est, avente la funzione di mastio, che si articola su quattro livelli più la copertura. Le finestre sono caratterizzate da architravi in monoblocchi di pietra sagomati ad archi di diverse forme, e spesso sono utilizzati anche blocchi di tufo sagomati che hanno la funzione statica dell’architrave benché presentino una forma curva. Oggi questo imponente fortilizio è in stato di abbandono e non è facile da raggiungere se non da qualche appassionato escursionista.