mercoledì 31 ottobre 2012

Il castello di giovedì 1 novembre





TODI (PG) – Rocca Albornoz

Si eleva sul Colle di Todi, nel punto più alto della città (411 metri). Su commissione diretta di papa Gregorio XI, la Rocca fu costruita dal Cardinale Egidio Albornoz, nel 1373. Per la sua edificazione fu necessario abbattere alcuni edifici nei dintorni (il monastero di San Leucio e alcune case private del “Borgo di San Giorgio”). Come tutte le costruzioni analoghe, la Rocca aveva scopi difensivi e di controllo delle intemperanze della cittadina, da poco riassoggettata al potere Pontificio. Simbolo del potere temporale dei pontefici, la Rocca fu assalita e distrutta dai tudertini nel 1382. Ricostruita nel 1395, venne assediata un secolo dopo dalle truppe di papa Sisto IV: all’assedio partecipò anche Giuliano della Rovere, il futuro papa Giulio II. La fortezza fu smantellata nel 1503, per volontà di Ludovico degli Atti: gran parte delle pietre furono utilizzate per la costruzione dei templi di S. Fortunato e di Santa Maria della Consolazione. Dell’antico fortilizio rimane solo il cosiddetto "Mastio", ossia la grande torre circolare, e pochi altri resti. Trasformata in parco pubblico, la cima del Colle che contiene la Rocca costituisce uno dei polmoni verdi di Todi. E’ un luogo ricco di vegetazione e di pace, in cui si può passeggiare e prendere il fresco e dove i bambini possono dare sfogo alla loro vivacità tra giochi e passatempi ideati appositamente per le loro esigenze.

I castelli di mercoledì 31 ottobre





GAGLIOLE (MC) – Castello Varano e Rocca della Bisaccia

Tratto dal sito www.comune.gagliole.mc.it:
"Struttura difensiva edificata dai Da Varano nel 1274 per la tutela del territtorio del proprio ducato. Al periodo immediatamente successivo all'annessione di Gagliole alla signoria dei Varano risale, con ogni probabilità, il primo intervento fortificato sull'antico cassero, di cui si conserva intatta la torre in arenaria, con la base terrapinata (per 6 mt. circa) ed i tre lati E-N-O. La torre fu inglobata, anzichè soppressa, in vista di un successivo riuso, da lavori di generale ristrutturazione, avviati negli ultimi due decenni del XIII e proseguiti nella prima metà del secolo successivo, che determinarono l'ampliamento dimensionale e la sopraelevazione della struttura. La difesa del sito, sicuramente imposta dalle circostanze storiche e politiche (la contesa del castello di Gagliole tra i Varano e gli Smeducci perdurò fino a tutto il XV sec.), impose nel 1438, al conte Pietro Brunoro di S.Vitale di Pama, la necessità di rafforzare anche la cortina muraria ai lati N-E e S-O con tre torrioni cilindrici scarpati e muniti ognuno di troniere circolari in pietra. Mentre sul mastio, privo di bombardiere, sono state rilevate caditoie di appoggio ai beccatelli che coronavano in origine la parte sommitale. Gagliole ha tutte le caratteristiche proprie della rocca con funzione esclusivamente militare destinata alla guardia e alla difesa del sito, con capacità ridotta di ospitare anche un presidio militare. Eretta su uno sperone roccioso arenoso che a nord viene a costituire un naturale piedistallo, la rocca di Gagliole è stata costruita in pietra a cortine verticali, con l' imponente mastio pentagonale - unico esempio nel sistema difensivo varanesco - circondato da mura. Vi si accede a sud per mezzo di una porta, voltata a sesto acuto e profilata a conci di pietra calcarea, in posizione avanzata rispetto alla parete della rocca. Al mastio si accede percorrendo un breve tratto del terrazzamento, poichè l' ingresso alla corte interna, anch'esso lievemente a sesto acuto e piuttosto basso, non è in asse con l'altro. La cinta muraria, costruita nelle locali pietra calcarea biancastra o rosa del lias ed arenaria del terziario, ha due porte di accesso: quella principale aperta a nord, costruita in conci di pietra arenaria con arco a sesto acuto, affiancata a destra dalla chiesa di San  Giuseppe e l' altra a sud, orientata verso la valle del Potenza, detta porta Zingarina, ricavata da una torre cubica e munita di feritoia verticale sopra l'arco. La cinta muraria risulta rafforzata da cinque torrioni: a ovest da due cilindrici ed uno quadrato, mentre ad est da un torrione cilindrico ed uno quadrato. Dalla Rocca Varano è visibile la collinetta boscosa (730 mt. s.l.m.) di Ancagliano, su cui sono rinvenibili ruderi dell'antica rocca della Bisaccia fatta edificare dagli Smeducci nel 1334. Oggi la rocca varanesca è proprietà comunale."

Rocca della Bisaccia

Attualmente la rocca è pressocchè scomparsa, rimangono di essa pochi avanzi su una collinetta denominata appunto "della rocca". La rocca è posta nell'angolo formato dalla strada che dalla località Bergoni sale ai prati di Gagliole con la strada che ascende dalla chiesa di San Giovanni di Acquosi. In questa zona, guardando verso il basso, si scorge una collinetta che emerge dalla fitta vegetazione ed isolata dalla montagna da una sorta di fossato asciutto. Su di essa si notano le fondamenta delle mura di cinta della rocca ed al centro il basamento della torre (mastio?) con una porzione di mura alta circa due metri. L'erezione della rocca risale al 3 novembre 1334. A questa data infatti la licenza di costruire una nuova fortezza concessa dal Vicario Generale della Marca, Pietro da Galliata al signore di San Severino, Smeduccio degli Smeducci. La costruzione era terminata sicuramente nel 1342, anno in cui essa fu venduta ed è ricordata anche nella Descriptio Marchiae dell'Albornoz nel 1356 e in un atto di vendita dei beni di Pietro di Stefano Smeducci nel 1386. Nell'atto di vendita c'è la descrizione del complesso e se ne deduce l'esistenza di torri, di un palazzo, di alcune case all'esterno, di fossati e di altre fortificazioni. Dal XVI sec., poichè Gagliole fu assegnata definitivamente a Camerino, anche la rocca fu assegnata alla stessa città e quindi fu abbandonata e demolita per prelevarne materiali da costruzione. Non ho trovato alcuna foto sul web....se qualcuno in futuro me ne manderà, provvederò a includerle nel post.

martedì 30 ottobre 2012

Il castello di martedì 30 ottobre





ARAGONA (AG) – Torre del Salto d’Angiò

Situata a circa 12 km da Aragona,è anche detta, in gergo, "a Turri". Di forma rettangolare e inglobata in un casale costruito sul finire del XVIII sec. dalla famiglia Morreale, si presenta con tre ordini finestrati: il primo e il terzo con finestre bifore a tutto sesto di gusto gotico ed il secondo con monofore a sesto acuto. La sua maestosa mole si erge al centro di tre cortili ove si affacciano le case basse ed uniformi della masseria. Decorata con merli rettangolari, è posta su un banco di arenaria e si affaccia sulla vallata del feudo Muxaro e del fiume Platani. Secondo una breve ricostruzione storica, nel 1240 Federico II, dopo la morte del vescovo Ursone, ordinò ai canonici agrigentini di dargli un successore nella persona di Raimondo D’Acquaviva. Nel 1305, sotto il pieno dominio Angioino, Bertoddo, “vescovo di Girgenti" dispose un'inquisizione intorno al Massario. Sempre nel 1305 Francesco da Todi, beneficiato del Massario con il consenso del vescovo Bertoddo, non potendo sostenere spese di quel luogo, lo diede al magnifico Giovanni di Chiaramonte, in cambio del castello di Morgidiar ed altri beni. Il Manco, nel “mobiliare di Sicilia”, parla di una famiglia Chiaramonte di origine normanna, la quale si dice aver avuto, fra tanti possedimenti, il feudo di Muxaro. Egli sostiene inoltre che tutti i beni di Manfredi di Chiaramonte passarono ad Andrea Chiaramonte, il quale si batté tenacemente contro l’invasione della Sicilia da parte del re Martino, organizzando la resistenza nelle zone di Castrofilippo. Manfredi III morì nel 1391, lasciando in eredità le sue sostanze alla figlia. Andrea Chiaramonte fu fatto prigioniero con l’inganno e venne decapitato nell’anno 1392 di fronte allo Steri di Palermo. Questo avvenimento segnò la fine dei Chiaramonte in Sicilia. Tutti i beni della famiglia furono confiscati dalla corona. Lo stesso re Martino e la regina Maria concessero il feudo a Filippo de Merino, cui successe il figlio Ruggiero. Dal 1750, parte dei feudi di Muxarello e Cantarella divennero proprietà della famiglia Morreale. Don Biagio Morreale comprò la baronia di Maccalube nel 1764 dal principe di Aragona: Baldassare Naselli. Dopo la morte di Don Biagio, il figlio Giuseppe I ereditò i beni compresa la torre “normanna” sita nel feudo Salto D’Angiò. Giuseppe I non ebbe figli ed adottò Antonio Morreale, figlio del fratello Carmelo. Intorno al 1848 ereditò la suddetta proprietà il figlio di Antonio (Morreale Giuseppe II) il quale sistemò la torre ed edificò parti nuove aggiuntive alla struttura preesistente. Ebbe tre figli: Antonio, Carmella e Stella. Contro il volere del padre, la figlia Carmela dopo una rocambolesca fuga dalla torre, sposò Don Lucio Papia. Antonio ereditò il titolo ed un terzo del feudo del Salto; oggi il suo erede è il notaio Giuseppe Morreale. Stella, sposò Salvatore Palmeri, Marchese di Villalba, il quale ereditò l’altro terzo delle terre e la torre che, dopo la sua morte, passarono al figlio Giuseppe Palmeri. Quest’ultimo sposò la baronessa Scalfari di Vittoria, la quale ebbe due figli: Maria e Salvatore. Quest’ultimo è l’attuale proprietario della  torre e delle terre attorno. Oggi, la fortificazione, sebbene manifestazione di un enorme patrimonio storico, artistico, architettonico e culturale, versa in stato di abbandono. Un discreto gruppo attivo di giovani aragonesi, si sta attualmente occupando di rivalorizzarne l'importanza, creando incontri di discussioni e proposte concrete, nel tentativo di riportare in luce un simbolo degno di importanza della cultura locale. Uno dei tanti obiettivi da raggiungere è quello di rendere la Torre Del Salto D'Angiò una meta di forte attrazione turistica del territorio aragonese.

Il castello di lunedì 29 ottobre





CASTELNUOVO DEL GARDA (VR) – Castello Visconti

E' sito su una rocca inaccessibile da tre lati e protetta da una cospicua fortificazione, edificata con grandi pietre squadrate disposte su filari più o meno regolari, sul quarto lato. Pochi sono i resti del maniero giunti a noi, riconducibili alle tracce delle fondamenta e alla torre merlata. La struttura fortificata è stata messa in luce di recente. Quattro sono le fasi costruttive che si riconoscono, a seconda dei materiali impiegati e della disposizione delle varie sale interne. La fase più antica è caratterizzata da strutture murarie di buona qualità con doppio paramento intonacato. La seconda fase, che sulla base dei reperti individuati è databile al VII/IX sec. d.C., testimonia, invece, un ampio rivolgimento dell'edificio, che viene ridefinito planimetricamente. Si riconoscono almeno tre vani il cui uso però non si riesce a specificare con precisione. Questa seconda fase dell'edificio presumibilmente viene abbandonata nel IX sec. d.C. e l'area risulta occupata, nella porzione settentrionale, da inumazioni; al contrario la parte meridionale della struttura è sfruttata da una struttura con base in pietra e, presumibilmente, alzato ligneo, una sorta di capanna, la cui reale funzione però sfugge. La fase quattro segna la fine dell'occupazione sommitale della rocca. Era possibile accedere alla struttura attraverso due porte (nei pressi di una di queste sono state ritrovate anche tracce di una piccola cappella (parte del pavimento della cappella era decorato a mosaico a tessere policrome. Molto bello doveva anche essere il ciclo di affreschi absidale). All'interno della chiesa si sono rinvenute anche tre deposizioni tombali (altre sono state trovate all'esterno dell'edificio). Lungo il fianco meridionale è stata, inoltre, posta in luce una necropoli longobarda risalente al VII sec. d.C. Questi elementi fanno propendere per una datazione della fortezza compresa tra il V e gli inizi del VII sec. d.C. I Purtroppo altri elementi concreti sfuggono per mancanza di ulteriori studi. Alcune analogie accomunano questo castello con quello di Sirmione. Rappresentano importanti nuclei fortificati, con frequentazione longobarda dal VI al VII sec. d.C., sebbene presentino tracce insediative di epoca tardo antica e romano imperiale. Il castello così come lo vediamo oggi, fu costruito nel 1387 quando, dopo la sconfitta degli Scaligeri, Giangaleazzo Visconti smantellò Peschiera del Garda per prendere il controllo di Verona. Egli fece edificare oltre al castello di Castelnuovo, anche la cittadella di Verona e il ponte di Borghetto sul Mincio. Il castello di Castelnuovo venne incendiato dagli austriaci nel 1848 e oggi ne resta soltanto una cinta di mura. Si tratta della seconda muraglia su cui i Visconti fecero costruire una grande torre merlata, ancora intatta. La merlatura della torre è stata aggiunta nel 1800 e successivamente anche l’orologio a pesi.

sabato 27 ottobre 2012

Il castello di domenica 28 ottobre





GUALDO CATTANEO (PG) – Castello di Simigni

Fondato nel 1103 da Seminio, appartenente alla famiglia dei conti di Collazzone, venne fortificato nel 1322 con la costruzione di una torre e di possenti mura difensive. Nel 1363 fu assalito e conquistato dalla Compagnia del Cappelletto, prima compagnia di ventura italiana, che, dopo avere conquistato S. Gemini e Simigni, ottenne dal comune di Todi 1000 fiorini affinchè lasciasse quei luoghi. Mantenuta la parola, i soldati crearono però un piccolo feudo intorno al castello di Torreuccia, tra Gualdo Cattaneo e Bastardo. Questa Compagnia era formata da rampolli della nobiltà italiana in cerca di avventure e di gloria. Nel dicembre 1363, appena liberato dalla prigionia senese, Niccolò da Montefeltro cercò di raggiungere i compagni che erano accampati presso Simigni, ma venne catturato dai todini e rinchiuso nel carcere. Nel 1389 Simigni passò sotto il dominio dei Trinci, nel 1410 sotto Braccio Fortebracci; poi nuovamente ai Trinci e da questi agli Atti. Molti feudi, in quel particolare momento storico, erano soliti passare dai Trinci ai Fortebracci e viceversa. Nel 1435 Corrado XV Trinci restituì Simigni al governatore di Perugia, monsignor Alberto Alberti. Il castello passò dopo un'infeudazione agli Atti, sotto la giurisdizione dell'abbazia cistercense di Chiaravalle e, successivamente eretto a contea, ebbe per signore il conte Federico di Simigni.Nel 1645 fu riacquistato dagli Oddi di Todi, proprietari anche di palazzo Atti; all'inizio del '600 il priore tuderte Benigno Degli Oddi apportò abbellimenti e restauri di notevole significato alla città. Sulla porta d’ingresso del castello sono impressi gli stemmi degli Oddi (Todi) e dei Baglioni (Perugia), a testimonianza di come il castello fu assai conteso. Attualmente l’edificio appartiene a privati ed è stato oggetto di ingenti lavori di restauro, come si può vedere nel seguente link:
http://www.studiodomenicovincenti.it/scheda_progetto.php?menid=19

Il castello di sabato 27 ottobre





BONDONE (TN) – Castel San Giovanni dei Conti Lodrón

Sulla strada che porta da Baitoni a Bondone si trova il bastione naturale su cui fu costruito il castello S. Giovanni, la cui prima menzione documentaria pare risalire al 1086 quando viene citato un castrum de summo lacu. La posizione su uno sperone roccioso a picco sulle acque del Lago d’Idro suggerisce l’identificazione del castrum proprio con il castello di San Giovanni. In un altro documento, datato 24 agosto 1189, esso viene affidato a titolo di feudo a sette famiglie di Storo (le sette torri dello stemma del vicino comune di Storo?) in successione al conte Calapino, primo personaggio nominato nella storia dei conti Lodrón. Era posto a controllo dell’imboccatura delle Valli Giudicarie, all’incrocio – assieme al vicino Castel Santa Barbara – delle strade per la Valle del Chiese e la Valvestino, una delicata area di confine dei domini vescovili tridentini e feudo dei Lodrón, che dominarono la valle prima di espandersi nel resto del Trentino, in Austria e in Baviera. A partire dal XIII secolo, il maniero rimase in mano alla potente casata ininterrottamente fino al Novecento, eccezion fatta per una breve occupazione da parte delle truppe milanesi del Piccinino nel XV secolo. Come per altri castelli della Valle del Chiese amministrati dai Lodrón, l’elemento militare prevale nettamente su quello abitativo-residenziale. Ne è prova che con l’avvento della polvere da sparo, si provvide ad ammodernare il complesso, trasformato in una piccola fortezza rinascimentale. Una larga e alta torre svettante su di un recinto chiuso e ben protetto da spesse cinte murarie, munito anche di un ponte levatoio che lo rendeva imprendibile. Costruito utilizzando il granito proveniente dalle lontane cave di Daone, il castello cadde in rovina per la continua spoliazione cui fu sottoposto da parte della popolazione, ansiosa di impadronirsi di pregevole materiale da costruzione. Negli anni ‘50 del XX secolo, un conte milanese lo acquistò e ristrutturò per farne un’abitazione privata, ma ora è stato acquistato dal Comune di Bondone ed è visitabile: dalle sue terrazze si gode una bellissima vista sulla Valle del Chiese e sul Lago d’Idro. Il castello di San Giovanni è raggiungibile a piedi dal Baitoni, ponte sul Rio Valle (40 min.), o in macchina. Numerose sono anche le leggende legate al castello e alla famiglia dei Conti Lodron. Secondo una di queste, nelle notti senza luna, ancor oggi è possibile intravedere tra i muri sbrecciati e le buie feritoie di castel San Giovanni di Bondone le luci fioche e tremolanti di alcune torce che vanno avanti e indietro. Sono le anime inquiete degli antichi castellani, condannate per l'eternità a trascorrere le buie notti vagando senza meta per il maniero, trasportando e facendo rotolare grossi massi, trascinandosi appresso lunghe e pesanti catene, battendo senza posa invisibili martelli su invisibili incudini. Troppo peccarono, in vita, di troppi delitti e scelleratezze si macchiarono, i superbi, per non meritare oggi quella pena tremenda. E cosi gli spiriti di San Giovanni cercano inutilmente un po' di pace tra le mura di quel che un giorno fu il loro regno terreno. Di giorno, poi, quelle anime derelitte non fuggono nel mondo degli spiriti, ma tramutandosi in vipere rimangono in attesa che qualche malcapitato si avvicini ai ruderi per aggredirlo e morderlo all'improvviso.

venerdì 26 ottobre 2012

Il castello di venerdì 26 ottobre




PODENZANO (PC) – Castello Malaspina-Anguissola

Costruito su una preesistenza romana, esso risale al XII secolo. Nel 1153 apparteneva ai Malaspina, i cui possedimenti partivano dalla Lunigiana ed arrivavano alle alte valli piacentine. Frequenti lotte con gli abitanti di Piacenza determinarono il ritiro della nobile famiglia. Nel XII e XIII secolo le lotte fra nobili e popolari a Piacenza coinvolsero il castello, dal momento che qui si organizzava il blocco delle provviste dirette a Piacenza; la lotta si inasprì quando le fazioni si allearono con l'imperatore Federico II o con papa Gregorio IX. Come conseguenza, il castello di Podenzano insieme ad altri fortilizi della provincia, subì seri danneggiamenti. Nel 1466, in stato di degrado, venne acquistato dagli Anguissola che ne commissionarono la ristrutturazione all’architetto piacentino Alessandro Bolzoni e lo tennero fino al tramonto del feudalesimo, alla fine del XVIII secolo. Il maniero presenta strutture murarie totalmente in sasso, una pianta rettangolare con 4 torri angolari, di cui 2 circolari e 2 quadrate con sezioni di notevole spessore, fra le quali era posto il ponte levatoio. I muri fortemente scarpati in origine erano circondati da fossato, colmato nel 1900 per ottenere un giardino. La merlatura, benché murata, è ancora riconoscibile sulle cortine. I numerosi proprietari che si alternarono nel suo possesso, lo sottoposero a notevoli lavori di trasformazione. Il castello è adibito attualmente a residenza privata e a sede di uffici comunali.

Il castello di giovedì 25 ottobre




LETINO (CE) – Castello

E' posto su di un colle che domina l'abitato, a 1.200 metri sul livello del mare. Fu costruito durante il periodo delle invasioni dei Saraceni e dei Normanni, tra il IX e il X secolo, con lo scopo di ospitare una piccola guarnigione di soldati destinata a sorvegliare e vigilare il Matese da eventuali scorrerie. In seguito divenne baronia e possedimento di vari feudatari; nel Medioevo appartenne ai Rainone di Prata, successivamente, nel 1168, per volontà di Papa Alessandro III, fu concesso in feudo alla Badessa di San Vittorino di Benevento. Nel 1200, su investitura di Federico II di Svevia, Don Giovanni Pagano, Signore di Prata, prese possesso del Castello. Dal 1329, e fino alla prima metà del sec. XVI, Letino divenne feudo della Baronia di Prata. Feudatari del castello furono i Capuano, i Sanfromondo, i Pandone, i Mombel e, infine, i Lannoi. Dal 1570 ne divennero proprietari i baroni Della Penna, poi i D'Aragona e successivamente passò alla famiglia Carbonelli (dal 1770), che ne mantenne il possesso fino al 1806, quando, con l'arrivo delle armate napoleoniche, furono aboliti i diritti feudali. Il castello-recinto ha una struttura quadrangolare irregolare con il lato maggiore, posto sull'asse est-ovest, lungo 90 metri e quello minore, posto sull'asse nord-sud, lungo 40 metri. La poderosa cinta muraria è intervallata da cinque torri di avvistamento a pianta circolare. Al suo interno venne edificato intorno al XVII secolo il Santuario di Santa Maria del Castello che assorbì buona parte dell'edificio e che è stato recentemente restaurato. Attualmente non sono presenti altre costruzioni dentro le mura tanto è vero che lo spazio interno ospita il cimitero di Letino. Per approfondire, consiglio la visita dei seguenti link:
http://www.letino.gov.it/index.php/comune/castello
http://www.francovalente.it/2009/03/29/i-pascoli-del-matese-ed-il-castello-di-letino/

mercoledì 24 ottobre 2012

Il castello di mercoledì 24 ottobre




TOLVE (PZ) - Castello normanno

Lo stemma del comune, con un castello a tre torri, ha fatto pensare all'esistenza nel paese di una struttura castellare, ma Tolve non ha mai avuto un castello bensì una fortificazione muraria che avvolgeva tutto il borgo antico, l'attuale centro storico. All'interno del borgo numerose abitazioni e botteghe artigiane raccontano una vita attiva che ne struttura definitivamente le caratteristiche di centro agricolo-pastorale-artigiano conservato fino ai giorni nostri. La dominazione longobarda ha lasciato molte tracce negli usi e nelle abitazioni dei centri fortificati lucani, poi modificati durante la dominazione normanna. A quest'epoca risale la fondazione del castello, di cui restano scarse tracce sopravvissute ai terremoti e all'incuria dell'uomo. Il dominio dei Longobardi certamente finì nel X secolo, come ricordato da un documento vaticano che cita Tolve bizantina (1001). I Bizantini a loro volta abdicarono in favore dei Normanni (XI sec.) i quali l’assegnarono alla contea di Tricarico. Sotto gli Svevi, Tolve fu del conte Galvano, zio materno di Manfredi, figlio di Federico II e Bianca Lancia. Con gli Aragonesi (XV sec.) divenne feudo dei Pignatelli, dei Brayda (1575), di Gian Matteo Rinaldi dei Jovene ed ancora dei Pignatelli (1677). Una tradizione racconta un fatto realmente accaduto a Tolve e la cui memoria si tramanda da secoli. Una notte di luglio del 1561 nei saloni del Castello si festeggiavano le nozze della figlia del Duca di Tolve, Fabrizio Pignatelli di Monteleone. Numerosi invitati danzavano e cantavano al suono dei musici invitati per la festa più importante dell'anno, tra cibo e lussi che gli abitanti di Tolve potevano solo favoleggiare. La sposa era bellissima nel suo abito nuziale e volteggiava leggiadra al suono dei flauti. All'improvviso un tuono scosse la terra, i musici smisero di suonare, le possenti mura del salone ed il pavimento si squarciarono. Fu tutto in un attimo: l'intera ala del Castello precipitò dalla rupe nel sottostante torrente per decine di metri, trascinando con sé gli sventurati invitati. Il terremoto, un evento che ha segnato per secoli la terra lucana, infranse in un attimo il sogno della giovane sposa e mutò in tragedia la festa. I Tolvesi ancora oggi, sul greto del torrente, nelle notti di luna piena, possono sentire il suono degli strumenti, i passi di danza, il vocio della festa e le urla disperate di chi precipitava nel vuoto. Alcuni hanno visto le figure leggiadre delle giovani fanciulle volteggiare per un attimo prima che il loro viso si trasformasse in una maschera di terrore. Oggi blocchi squadrati di pietra sul greto del torrente indicano ancora dove rovinò l'ala del Castello.

martedì 23 ottobre 2012

Il castello di martedì 23 ottobre





ROBECCO SUL NAVIGLIO (MI) - Palazzo Archinto

Si erge sulla sponda ovest del Naviglio Grande. Spesso identificato con il nome di Castello proprio per la sua forma e l'aspetto turrito, il palazzo - che prospetta di fronte al portone di Villa Gandini - non ha mai avuto però tale funzione. Fu il sogno irrealizzato del nobile banchiere Carlo Archinto cui non mancavano i desideri di grandezza ma che finì in bancarotta prima che il progetto venisse ultimato. Oggi infatti solo le incisioni di Marc'Antonio Dal Re (1726) possono documentare l'ardita costruzione, iniziata a cavallo tra il XVII ed il XVIII secolo su disegni di Carlo Federico Pietrasanta: doveva essere un complesso di quattro grandi palazzi, con un nucleo centrale elevato di cinque piani e quattro ali laterali uncinate della medesima altezza (le due rivolte verso il Naviglio erano concluse da quattro torri merlate); verso il paese una grande esedra avrebbe dovuto accogliere le carrozze, mentre verso il Naviglio due pontili, di cui uno coperto, i barconi provenienti da Milano. Di questo progetto ambiziosissimo rimane oggi soltanto il blocco terminale - a pianta rettangolare - di una delle quattro ali, con due corpi a torre ai lati, contenenti alcuni locali e le scale a chiocciola di servizio. Sul lato sud est è collocato lo scalone d'onore che dal piano cantinato conduce ai piani superiori. Le strutture verticali sono a tessitura omogenea in mattoni pieni a vista con base rivestita in ceppo. Gli orizzontamenti sono costituiti da volte a schifo di ampie dimensioni in laterizio a mattoni pieni e da volte a botte e a crociera lunettate. La copertura è a padiglione con struttura lignea mista a capriate e travi poggianti direttamente sulla muratura. Il manto è continuo in lastre ondulate di eternit con coppi sovrapposti. Recentemente restaurato con una grandiosa opera che lo ha riportato la costruzione all'antico splendore, attualmente il palazzo ospita la biblioteca comunale ed il locale Museo del Naviglio Grande.

lunedì 22 ottobre 2012

Il castello di lunedì 22 ottobre




PADERNO FRANCIACORTA (BS) – Castello Oldofredi

Si erge maestoso nella piazza principale del paese. Costruito nel X secolo per scampare alla feroci incursioni degli Ungari, autori di frequenti scorrerie ed assedi, aveva anzitutto funzioni di ricovero per genti, animali e prodotti agricoli, soprattutto quando i barbari perpetravano i loro attacchi nel contado e nel paese, tanto facili da raggiungere perché della Franciacorta Paderno è sempre stato un centro in aperta campagna. Col passare dei secoli il ricetto trasformò via via la propria funzione in una più prettamente militare. Il castello ebbe una vita terribilmente movimentata lungo un arco di tempo di circa mezzo millennio: prima per le contese fra Guelfi e Ghibellini durante le quali (1242) vi pose il proprio campo anche re Enzo, figlio di Federico II, poi nel 1313 quando i guelfi saccheggiarono la Franciacorta e nel 1326 fu addirittura devastato dalle armate di Azzone Visconti, sostenuto dai ghibellini; nel 1330 subì l'attacco dei cittadini di Brescia coadiuvati da triumplini e valsabbini. Nel 1438 nella zona scorrazzarono le truppe viscontee di Niccolò Piccinino impegnato nell'assedio di Brescia (e subito dopo i soldati del Gattamelata). Infine nel 1512 conobbe uno dei suoi peggiori momenti: durante il cosiddetto “sacco di Brescia” apparecchiato dai Francesi guidati da Gastone di Foix, Paderno fu svaligiato e i suoi occupanti, sia militari che semplici contadini, furono uccisi a centinaia. Dopo oltre tre secoli di abbandono, l'edificio fu restaurato nel secolo scorso, ma in maniera poco fedele all'originaria struttura. Degli elementi originari sono rimasti due torri angolari di forma cilindrica ed un muro con la porta d'ingresso. All’interno delle mura è perfettamente conservata la chiesa cinquecentesca della “Madonna in Castello”, che al suo interno ospita una immagine molto venerata dagli abitanti. Si è conclusa una recente fase di restauro che ha portato alla creazione di una piazza all'esterno dell'entrata principale del Castello ed alla ristrutturazione dell'ala sinistra dello stesso che ora ospita la biblioteca comunale e la sala civica.

sabato 20 ottobre 2012

Volendo....



se qualcuno volesse aiutarmi a mantenere il ritmo di un post "castellano" al giorno sul mio blog (che talvolta faccio molta fatica a mantenere...) preparandomi degli articoletti su dei castelli italiani finora mai trattati, è MOOOOOLTO ben accetto !! Il blog è aperto a collaborazioni di qualsiasi tipo ;-)

Il castello di domenica 21 ottobre





CALASETTA (CI) – Torre Sabauda

Calasetta è la seconda cittadina, per importanza, dell’isola di Sant'Antioco e sorge di fronte all'isola di San Pietro, raggiungibile in mezzora di traghetto. A dominio del centro storico, che conserva l'impianto e le tradizioni liguri propri della sua fondazione settecentesca, si erge a breve distanza dal porto la possente torre. Edificata, secondo il progetto dell'ingegnere militare Vallin, intorno al 1756 in conci di pietra vulcanica, presenta una massiccia forma a tronco di cono, una base di oltre 16 metri di diametro e volta a cupola. L'altezza è di circa 11 metri al terrazzo. Era presidiata da una guarnigione formata da quattro soldati e consentiva la sorveglianza dello specchio di mare e delle coste tra le isole di Sant'Antioco e di San Pietro e la terraferma, con una visuale di 20 km. Si compone di due ambienti sovrapposti di cui quello inferiore era l'antica cisterna, unica risorsa idrica per i torrieri, in epoca recente allargata e dotata di un largo ingresso dall'esterno. L'ingresso a 4 m di quota introduce in una camera circolare di 10 m di diametro, coperta con volta a cupola sorretta da un pilastro. Il vano è diviso in più ambienti da alcuni terrazzi. Dalla scala aperta sulla destra del boccaporto e ricavata nello spessore murario, si arriva alla piazza d'armi, oggi irriconoscibile dopo vari interventi cha hanno trasformato merloni, cannoniere e garitte.Alla base del terrazzo si notano i resti del cordolo marcapiano in pietra, mentre sotto la torre è adagiato un antico cannone. Nella stagione estiva è impiegata per ospitare mostre temporanee di vario genere, curate dal Museo di Arte Moderna di Calasetta. In inverno la visita è consentita previo appuntamento, rivolgendosi al Comune di Calasetta.

Il castello di sabato 20 ottobre






PREMARIACCO (UD) – Rocca Bernarda

Il colle sul quale fu edificata, anticamente si chiamava Azzano, probabilmente dal nome di un colono romano (Azzio). Feudo del patriarcato aquileiese, fu in seguito donato alla comunità di Cividale che nel secolo XV lo lasciò alla famiglia di origine romana Capiferro la cui ultima discendente, Pantasilea, moglie di Giacomo Valvason di Maniago - appartenente ad un ramo dei signori di Maniago che per ragioni ereditarie aveva assunto il cognome Valvason - lo portò nella famiglia del marito. Ad opera di Ippolito Valvason e di suo figlio Bernardo, sulla sommità venne edificata la residenza fortificata su un preesistente complesso, ultimata nel 1567, che prese appunto il nome da Bernardo. Una iscrizione sul portone d’ingresso ricorda proprio l’anno di costruzione e gli autori. Successivamente la rocca passò ai conti Riccati di Castelfranco Veneto e infine, dopo altri proprietari, ai Perusini. Alla sua morte, nel 1977, lo storico friulano Gaetano Perusini la lasciò al Sovrano Militare Ordine di Malta. Il complesso, di grande bellezza, è il primo esempio di villa castello del Friuli, immerso in una vasto parco degradante sul colle e articolato attorno ad un piccolo e semplice giardino all'italiana. E’ dotato di quattro torri cilindriche di diversa tipologia agli angoli, non aventi funzione difensiva. L'edificio di residenza è a forma di L. Il cortile interno è rialzato di 3 m rispetto al piano di campagna. Una chiesetta rifatta nel 1638 è situata alla congiunzione delle due ali. La rocca subì delle modifiche nei secoli XVIII e XIX. Un suggestivo viale delimitato da ulivi secolari e rose conduce attraverso un primo ingresso ad una corte signorile sopraelevata che si apre in un piacevole e profumato giardino all'italiana, con siepi di bosso e un'ampia “orangerie”. La corte si apre su una splendida vista del paesaggio che dalle colline raggiunge la periferia di Udine. Un secondo ingresso porta il visitatore ad un livello inferiore, rispetto alla corte appena descritta, dove si trovano alloggiate le cantine, un ampio locale con volte a vela riservato alla produzione e all'invecchiamento di pregiati vini locali. L’accesso al maniero è possibile previo accordo con il Consorzio.

giovedì 18 ottobre 2012

Il castello di venerdì 19 ottobre






SIRACUSA - Castello del Marchese in frazione Cassibile 

Sorgeva nei pressi della Strada Provinciale Cassibile - Cugni - Stallaini sulla sommità del Cugno Croce. Il luogo, oltre ad essere pressochè inaccessibile per le scoscese pareti rocciose che lo delimitano da tre lati, offriva anche la vista, quindi il controllo, della costa e della fascia subcostiera tra Avola e Cassibile. La presenza del castello in questo posto appare giustificata anche dalla presenza di un abitato trogloditico, presumibilmente di eta normanna, nelle balze sottostanti alia forticazione. Se escludiamo il 1093, anno in cui Cassibile viene ricordata in una bolla di Urbano II e successivamente per l’insediamento dei Borboni in questi territori, le notizie successive che si hanno, riguardano esclusivamente il feudo e i numerosi passaggi di proprietà in seguito a concessioni di Sovrani o a lotte tra grandi famiglie. Nel 1319 il feudo di Cassibile venne concesso a Giacomo d’Arezzo che fece costruire un castello sul punto più alto del feudo chiamato “la Mola”, a difesa del territorio. Nel 1368 il feudo passò alla famiglia Alagona ed in seguito Iacopo d’Arezzo. Successivamente passò ai Lanza  e poi ai Branciforte fino al  1797, anno in cui Ferdinando I di Borbone lo concesse a Silvestro della famiglia messinese dei Loffredo. L'area in cui si trovava il castello, quasi al margine dello sperone roccioso, era stata interamente occupata nel sec. XVIII da una costruzione, di cui resta solo una parte del pianterreno, sulla quale nei primi anni dell'800 per volere proprio del Marchese Silvestro Loffredo fu costruita una villa in stile neoclassico. L’edificio, rimasto incompiuto, fu costruito in luogo così alto proprio per permettere al Marchese di controllare i suoi possedimenti. Quest’ultimo nel 1850 iniziò la costruzione dell’antica  borgata rurale  di Cassibile, portata a termine dopo la sua morte dal figlio Gaetano I con l’edificazione di 99 case. A Gaetano I successe Gaetano II e poi ancora la nipote Maria Emanuela Puleyo. Dunque, dopo tutte queste edificazioni, ciò che restava della fortificazione originaria è stato cancellato o inglobato, cosi che niente di essa ci è pervenuto che possa essere riconoscibile, ad eccezione, forse, di una cisterna con collo circolare, la cui vera venne graziosamente inserita nella facciata della villa. Dei blocchi di arenaria squadrati, giacenti nelle vicinanze, potrebbero essere materiali di risulta della distruzione del castello. La villa marchesale è diroccata ed abbandonata, anche se tuttora appartenente ai discendenti della famiglia Loffredo. Architettonicamente l’edificio, a pianta quadrangolare, è dotato di un portale d'accesso di forma arcuata. Su ciascuno dei quattro lati vi è una fila di tre finestre sormontate da un timpano triangolare. L'interno di questa residenza presenta stanzoni ormai spogli. Nei pressi del castello vi sono le rovine di alcuni fabbricati storici tra cui i due "Trappeti" ("Trappeto Vecchio" e "Trappeto Nuovo") in cui venivano macinate le olive per estrarre l'olio d'oliva e l'uva per estrarre il vino.

Il castello di giovedì 18 ottobre




MONTONE (PG) – Rocca di Braccio

Un documento del 1121 conferma la presenza di un castrum, un borgo fortificato con un castello e una pieve, e la possibilità per Montone di avere propri Statuti e di amministrare la cosa pubblica, anche se sotto il diretto controllo di Perugia. Nel 1150 il borgo divenne Comune. Nel XV secolo, Montone visse il suo momento di maggior splendore grazie soprattutto alla figura di Andrea Braccio Fortebracci, ovvero Braccio da Montone, uno dei più grandi capitani di ventura italiani, famoso per le sue abilità di stratega e per la sua spregiudicatezza politica, che concepì il disegno di creare uno Stato unico in Italia centrale con capitale Perugia. Numerosi sono stati gli artisti che realizzarono opere per questo piccolo paese (Fioravante Fioravanti, architetto bolognese, per la progettazione della rocca, Antonio Alberti, pittore ferrarese, per decorare le case di Braccio e molti altri ancora). Della rocca si conserva l'immagine del gonfalone che Bartolomeo Caporali dipinse nel 1482 per la chiesa di San Francesco, e che oggi è conservato nella pinacoteca attigua alla chiesa. E’ il 28 agosto 1414 il giorno in cui Montone venne elevato a contea e Braccio ne ricevette l’investitura, per lui e per i suoi discendenti, da quel Giovanni XXIII considerato antipapa. Dieci anno dopo l'investitura di Braccio, Martino V, Papa riconosciuto da tutti come legittimo, ripetè l'investitura a favore di Carlo, figlio di Braccio il quale morì nel 1424 nella battaglia dell'Aquila. Proprio Carlo, Generale della Repubblica Veneziana, tormentò Papa Sisto IV della Rovere devastando le terre dello Stato Pontificio. Per questo il pontefice nel 1478 inviò a Montone un suo Legato, Lorenzo Giustini, con 5000 terrazzani (guastatori), che in tre giorni e tre notti distrussero il Castello e la Rocca fatti costruire da suo padre Braccio, dopodiché sulle rovine fece costruire il convento Benedettino di Santa Caterina. La distruzione fu violentissima , ma non cancellò del tutto le testimonianze della potenza braccesca; nella rovina non furono cancellate le scuderie del castello. Abbandonate al loro destino per molti secoli, furono dapprima trasformate in magazzini del convento, quindi nella seconda guerra mondiale divennero nascondiglio per difendersi dalla violenza del conflitto. Montone, come buona parte dell'Italia centrale, si ritrovò così definitivamente assoggettato alla Chiesa. Rimasta per oltre un secolo sotto il dominio dei Vitelli di Città di Castello, con il beneplacito pontificio, tornò poi alle sue dirette dipendenze sino al compimento dell'unità d'Italia. L'unico breve ed illusorio intervallo nella lunga dominazione dalla Chiesa fu l'adesione alla Repubblica Cisalpina, verso la fine del '700. I resti della rocca di Braccio, sapientemente restaurati, sono in grado di testimoniare l'importanza dell'antica costruzione.

mercoledì 17 ottobre 2012

Il castello di mercoledì 17 ottobre




RUVO DEL MONTE (PZ) – Castello Gesualdo

Sorse, con molta probabilità, durante le guerre tra i Longobardi ed i Bizantini per il dominio della contea di Conza e per la riconquista dei loro antichi territori perduti (avvenute dal 600 d.C. in poi). Di esso, infatti, si ha menzione già in documenti dell’anno 1000. In epoca medievale Ruvo venne quasi certamente distrutta nel 1348, ad opera delle orde degli Ungari di re Luigi, calato nel meridione d’Italia per vendicare la morte del fratello Andrea, provocata con subdole arti e con trame ordite a corte dalla Regina Giovanna I di Napoli. Sotto la giurisdizione del Conte di Conza, fin dal 1161, Ruvo fu feudo delle famiglie Balvano, Del Balzo e Gesualdo. Ricostruito il borgo, esso fu dotato di nuovo castello, ma vennero entrambi distrutti e dati alle fiamme nel 1435 dall’ufficiale Caldora, angioino, perché il feudatario di Ruvo, Antonello Gesualdo, era partigiano del re aragonese Alfonso. I Gesualdo ricostruirono nuovamente Ruvo. Nel 1652 fu venduto al duca di Bisaccia, Ettore Pignatelli, infine passò ai Caracciolo di Torella e rimase a questa famiglia fino all'abolizione del feudalesimo nel 1806, con cui vennero abolite le giurisdizioni e i proventi baronali ed espropriate le terre ecclesiastiche. Oggi il castello, affiancato da una possente torre circolare di epoca angioina che conserva ancora le originali merlature, è stato diviso tra vari proprietari che hanno in parte modificato le antiche strutture, ancora tutte racchiuse tra due grandi porte con le loro mura, il fossato e la vestigia dei ponti levatoi, che in caso di pericolo, isolavano, a difesa, il castellano. All’interno è possibile ammirare un bel cortile con relativa porta, sovrastato dallo stemma dei Gesualdo. Dal belvedere del Castello è possibile ammirare l’intero panorama dell’abitato sottostante, le campagne e le colline che lo circondano, le vallate del torrente Liento e del fiume Ofanto, come pure i Fronti di Ruvo verso il Vulture, fino a sconfinare verso il  maniero federiciano di Lagopesole verso sud, e i paesi di Rapone e Calitri, verso Ovest. Da anni tutte le Amministrazioni comunali si sono interessate a valorizzare e acquisire il complesso del “castello” con annessa Torre, che rappresenta il simbolo del paese; fino ad oggi, però,  non si è riusciti  a farlo e si spera che, nel tempo, ci si impegni a dare importanza al monumento, che è stato dichiarato, dal Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali, con decreto 14 ottobre 1985, di interesse particolarmente importante e sottoposto a tutte le disposizioni di tutela perché rappresenta “un significativo esempio di complesso residenziale fortificato, variamente articolato in coerenza con la morfologia del luogo". E' stato scoperto di recente, che il castello era ricco di segrete che si racconta fossero piene di cadaveri di bambini: erano gli scheletri di quelli che non avevano potuto resistere alle terribili torture. Un giorno uno dei giovanissimi del paese decise di comprendere cosa ci fosse di strano in quella costruzione, anche perchè i suoi amici non parlavano di ciò che avevano subìto durante le torture. Al pomeriggio, vide alcuni popolani entrare nel maniero; egli si intrufolò tra le intercapedini delle mura ed ascoltò: "Signore maestoso, vorremmo farti notare che qui le nostre donne ed i nostri bambini sono ancora più monelli. Prova a fare tu qualcosa". Il signore annuì e se ne andò. Quella sera sparì un ragazzino, ed il giovane curioso cercò di intrufolarsi nuovamente nel castello: ci riuscì e vide… una cosa da non crederci! Il signore del castello, vestito da diavolo, torturava il bambino, che era legato, con… una piuma! La piuma veniva posta ai piedi del poveretto che rideva e gridava: "Pietà, basta, non lo faccio più, ti prego, farò il buono". Quel bambino, al nascosto, fece un grande sorriso e disse fra sé: "Anche io dirò ai miei figli di stare attenti agli giannizzeri del signore del castello". Ecco un video interessante che parla del maniero di Ruvo: http://www.youtube.com/watch?v=xanZzk5tlQ4

martedì 16 ottobre 2012

Il castello di martedì 16 ottobre





SUVERETO (LI) – Rocca Aldobrandeschi

Il primo nucleo murato del complesso è costituito dalla torre quadrangolare, costruita con molta probabilità intorno al 1164 per volere della famiglia comitale degli Aldobrandeschi, già titolari dei diritti pubblici su Populonia, i quali vi trasferirono il centro amministrativo dei loro possedimenti nella zona. La torre venne innalzata su preesistenti strutture fortificate risalenti al IX secolo. Fu la Repubblica di Pisa, a seguito delle mutate esigenze difensive e per la nuova politica di gestione del territorio, a fortificare l'abitato ed a munirlo di una grande rocca a settentrione. Questi lavori furono conclusi nel 1308, come attesta un epigrafe posta sulla porta di accesso del recinto murato. Venne così realizzato un recinto trapezoidale, addossato alla torre, e munito di due porte. All'interno del recinto furono ricavate le strutture e gli ambienti per ospitare la piccola guarnigione pisana. La torre originaria, struttura più difensiva che residenziale, nel corso del XIII secolo venne parzialmente scapitozzata (fino ai tre metri dal suolo) e ricostruita con basamento a scarpa. Nel corso dei secoli, la fortificazione conobbe periodi di degrado seguiti da interventi di restauro, fino alla sua completa dismissione, avvenuta tra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento. In seguito, la rocca fu trasformata in abitazione, con la costruzione di un edificio a tre piani all'interno del recinto, e suddivisa in più unità. Ma essa venne nuovamente abbandonata verso la metà del secolo scorso. Fortunatamente, sul finire degli anni '80 è stata riacquistata dal Comune, restaurata e restituita al suo antico splendore. Oggi la rocca è esternamente visitabile liberamente, inserita in un parco pubblico. L'edificio, posto sulla collina più alta di Suvereto in direzione nord, si presenta come un imponente complesso fortificato, costituito da una torre a base quadrata, a cui è addossato un palazzo. Le strutture murarie si presentano in pietra, con alcune feritoie che si aprono ad altezze diverse lungo le pareti della torre; in alcuni punti è presente un basamento a scarpa. Il portale di accesso al palazzo, preceduto da una breve gradinata, si caratterizza per un pregevole arco a tutto sesto. All'interno, un tempo diviso in due piani con solai lignei (sono ancora ben visibili nelle mura interne i buchi per le travi di sostegno) furono ricavati gli ambienti per ospitare, come già detto, una guarnigione pisana (un capitano e sei sergenti). Un progetto in corso prevede la realizzazione di un Museo della Storia di Suvereto.

lunedì 15 ottobre 2012

Il castello di lunedì 15 ottobre





SAN SEBASTIANO CURONE (AL) – Castello Visconti-Giani

Diverse fonti storiche concordano nell'affermare l’esistenza a San Sebastiano di un edificio fortificato come sede di un presidio stabilitovi forse dai Visconti di Tortona. Nel secolo XIV cominciò ad essere frequentata la strada mulattiera che da Piacenza portava a Genova. Collocato a circa metà del percorso, San Sebastiano divenne progressivamente un importante luogo di tappa. In un periodo non precisabile fu costruito in posizione dominante rispetto a uno dei primi agglomerati di case dell’attuale via Piacentina, un robusto edificio come sede di un presidio militare per sorvegliare e proteggere il traffico delle carovane provenienti da Genova. Tale edificio con una parte a guisa di torrione e con gli angoli costituiti da grosse pietre squadrate con lo scalpello, conserva ancora oggi parecchie feritoie e le mensole in pietra che sostenevano le torrette di guardia per le sentinelle: una verso la val Curone e l’altra verso la val Museglia. Quando il territorio tortonese fu unito al Piemonte e quando scomparve la Repubblica di Genova, cessò anche la funzione di S. Sebastiano come posto di confine dello stato di Milano con la suddetta Repubblica per cui nella prima metà del secolo XIX il vecchio fortilizio venne adattato ad abitazione subendo in seguito modifiche ed aggiunte. L'attuale costruzione, a pianta quadrata e caratterizzata dalla torre di spigolo - anch'essa quadrata, prende il nome da Ulderico Giani  a cui si devono gli importanti lavori di ristrutturazione effettuati nel primo dopoguerra. Oggi tale edificio è ancora conservato nei robusti muri esterni, ma l’interno non ha più nulla di antico e si presenta come una casa di paese dell’Ottocento.

domenica 14 ottobre 2012

Il castello di domenica 14 ottobre






CAPOSELE (AV) – Castello normanno

In località Castello (centro antico), sono ancora visibili i ruderi di una fortezza della cui esistenza parlano già documenti dell’XI secolo, nei quali è fatto cenno di un castello a forma di torrione quadrato su una roccia. A quell’epoca, durante il periodo normanno, Caposele era già territorio del Principato di Salerno, poi Principato Citra e nel 1160 Filippo di Balvano (o Balbano) divenne il proprietario del castello. Interventi dei successivi feudatari in epoca sveva e angioina migliorarono notevolmente la struttura, tanto che sotto il dominio aragonese, vi venne celebrato lo sfarzoso matrimonio di Margherita d'Aragona (1375). Una parte del feudo, probabilmente la zona chiamata Capodifiume, venne data a Jacopo Sannazzaro. Nel 1416 la regina Giovanna II di Napoli affidò le entrate del feudo ad Antonio Gesualdo. E fu con Luigi II Gesualdo che Caposele raggiunse il suo grande vigore, tanto da ottenere nel 1494 il titolo di "Universitas" cioè di Comune autonomo in grado di eleggere liberamente un sindaco per alzata di mano dei suoi abitanti e di amministrare la giustizia. Un grande privilegio questo dato ai sudditi, che, nel frattempo, scelsero anche un santo patrono, San Lorenzo, per la chiesa madre ed uno stemma per il proprio comune. Nel XVII sec. il territorio di Caposele passò ai Ludovisio che l'acquistarono e rivendettero più di una volta. Tutto ciò spesso li costrinse a lasciare il castello. Allora comunità religiose e confraternite occuparono l'intera zona, aumentarono le chiese e famiglie di estrazione ed origine diversa si affiancarono sempre più ai casali intorno alla Chiesa e alle proprietà private. Il castello, definitivamente mutato in dimora gentilizia nella seconda metà del XVI, fu poi abbandonato in seguito ai gravi danni subiti dal corpo di fabbrica centrale per l’evento sismico del 1694, in seguito al quale rimasero in piedi solo un torrione quadrangolare (il cui basamento piramidale in trachite è l’elemento più antico) e parte delle mura perimetrali. Purtroppo altri eventi tellurici hanno danneggiato ulteriormente la struttura castellana che, dopo un lungo periodo di degrado e abbandono, oggi a quanto pare è stata restaurata, come si evince dalla seconda foto che ho trovato su internet. Altre notizie si possono trovare visitando il seguente link: http://www.avellinoturismo.it/castelli-in-provincia-di-avellino/il-castello-di-caposele.html

sabato 13 ottobre 2012

Il castello di sabato 13 ottobre





MARUGGIO (TA) – Castello dei Commendatori (o dei Cavalieri di Malta)

La sua costruzione iniziò verso la fine del XIV secolo (per l’esattezza nel 1368), per volontà dei Baly, commendatori dell’Ordine di Malta, e nei primi decenni del XVII ebbero termine i lavori di ampliamento e completamento. Maruggio, infatti, è un paese fondato molto probabilmente dai cavalieri templari, come testimonia un atto, datato 9 ottobre 1320, che faceva parte dei registri della Cancelleria Angioina andata distrutta e giunto a noi in una trascrizione del secolo XIX ad opera della storico napoletano Camillo Minieri Riccio. In tale documento è riportato: “Casale Marigii, fuit quondam Templariorum” ossia che il che il casale di Maruggio un tempo fu proprietà dei cavalieri del Tempio. Il castello era addossato alle mura di cinta della città. Nel corso del tempo ha subito numerose ristruttrazioni. Sul lato del palazzo che si affaccia su piazza del Popolo, la piazza principale di Maruggio, sono collocate semplici finestre decorate con motivi vegetali o zoomorfi. E’ fregiato da un grande trittico con stemma ed armi del gran maestro dell'epoca, Hugues Loubenx de Verdalle. Sulla porta d'ingresso del castello -  in via Umberto I - si notano, ormai corrose, le armi dei Commendatori Alliata e Chigi. Oggi l’edificio, nel cui cortile si trovava in origine la cappella della Madonna della Visitazione, è stato smembrato e appartiene a più famiglie. Il castello si compone di due piani e comprendeva alcune stanze al primo piano e frantoi e magazzini al piano terra. Per approfondire suggerisco questo link:
http://www.comune.maruggio.ta.it/documents/Guida%20di%20Maruggio.pdf