sabato 31 gennaio 2015

Il castello di domenica 1 febbraio






VERUCCHIO (RN) – Rocca Malatesta (di Mimmo Ciurlia)

Chiamata anche Rocca del Sasso, per la sua posizione sullo sperone roccioso che domina il paese, la valle e la pianura fino al mare Adriatico, è tra le più grandi e meglio conservate rocche malatestiane: un magnifico e monumentale complesso costituito da edificazioni di diversi periodi. I primi documenti certi sulla rocca risalgono al 1144 quando viene ricordato un Sancti Petri in castrum Verucoli. Altre fonti ne danno l'esistenza nel 962 in quanto facente parte di una donazione da parte dell'Imperatore Ottone I a Ulderico di Carpegna, ma questo documento viene definito da più parti un falso storico. Di certo, comunque, la rocca nel 1197 era già di proprietà dei Malatesta, casata che detenne la città ed il castello per almeno tre secoli. E' da questo ramo proveniente da Pennabilli e stabilitosi successivamente a Verucchio, che ebbe origine la discendenza che ha dato i natali a Malatesta il Vecchio, nato a Verucchio, nominato Podestà di Rimini (il Mastin Vecchio ricordato da Dante Alighieri) nel 1239. Da qui l'appellativo ormai tradizionale di "culla dei Malatesta", e sempre ad opera di un Malatesta, il potente Sigismondo Pandolfo signore di Rimini in continua lotta contro Federico da Montefeltro duca di Urbino, avvenne il potenziamento ed il rinnovo della rocca di Verucchio nel 1449. All'epoca, riconoscendole un ruolo strategicamente importante per il controllo della Valmarecchia, si provvide fra l'altro ad edificare la cinta muraria della cittadella. La rocca fortissima ed imprendibile, nel 1462 subì un lungo assedio ad opera dei Montefeltro e venne conquistata solo grazie ad un inganno. Sigismondo Pandolfo Malatesta, persi gli appoggi papali per i suoi continui atti di insubordinazione, venne scomunicato e papa Pio II trovò alleanza con Federico II da Montefeltro, tradizionalmente nemico dei Malatesta. Le truppe riuscirono a penetrare abbastanza agevolmente nella cittadella di Verucchio attraversando la prima cinta muraria, ma una volta giunti alla rocca non poterono conquistarla. Dopo una decina di giorni di assedio venne fatta recapitare al castello una falsa missiva a firma di Sigismondo con la quale si preannunciava l'invio di venti fanti per il tal giorno alla tal ora. Federico preparò un gruppo di suoi uomini e finse di attaccarli inseguendoli fin sotto le mura dove vennero accolti e difesi. Appena entrati nella rocca i soldati rivelarono la loro identità ed ebbero facilmente ragione della truppa malatestiana. Nello stesso anno i Malatesta vennero definitivamente sconfitti dai Montefeltro e il castello passò sotto il dominio diretto della Chiesa, e affidato alcuni anni più tardi a Cesare Borgia. Dopo la dominazione veneziana nel 1503, il castello venne affidato nel 1516 a un certo Giovanni Alemanno Medici, un ebreo convertito e suonatore di liuto, al quale il Papa aveva concesso lo stemma e il nome dei Medici. Il paese venne declassato a Contea, e il successore di Giovanni, il conte Camillo, fu presto costretto a vendere per 1650 scudi la contea a Zenobio imparentato con i Medici e marito di Ippolita Comneno, la figlia di Costantino principe di Macedonia. Alla morte di Zenobio la contea passò alla moglie Ippolita. E' di questo periodo la ristrutturazione più consistente del fabbricato allo scopo di renderlo più consono all'uso abitativo. Il periodo della contessa Ippolita, durato quasi trent'anni, è ricordato come una fase di pace e prosperità. Nel 1532 la contessa Ippolita sposò in seconde nozze Pio da Carpi, già signore di Meldola e Sarsina, e dalla loro unione nacque Alberto Pio che dal 1580 divenne il quinto duca di Verucchio. Proprio Alberto Pio, però, eliminò con un pretesto la Contea e pose Verucchio sotto il diretto dominio della Chiesa, che durò, salvo brevi parentesi, fino all'unità d'Italia. Dal cancello si accede alla corte esterna sulla quale si affacciano a destra la torre dell'orologio e a sinistra il castello, mentre di fronte si apre un ampio panorama che spazia dall'Adriatico alle più alte vette del crinale appenninico. La torre dell'orologio nella sua conformazione attuale è frutto di un rimaneggiamento avvenuto agli inizi del 1700, anticamente costituiva un baluardo rivolto verso la Valmarecchia. Al suo interno è stato ricavato un piccolo vano visitabile attrezzato con antichi utensili da cucina, mentre la maggior parte del fabbricato è inaccessibile e custodisce gli ingranaggi dell'orologio. Ritornati sul cortile, si accede alla rocca tramite una porta ad arco che dà accesso ad un corto ingresso. Entrando nella prima porta a sinistra si attraversano un paio di stanze e si accede alla Sala Grande, dove sono esposte numerose armature e l'albero genealogico della casata dei Montefeltro. Dalla sala si esce su un terrazzo panoramico esterno con al centro un pozzo, dal quale partono anguste scalette che danno accesso alle segrete ricavate da un'antica cisterna quattrocentesca utilizzata per la raccolta dell'acqua e ubicata ai piedi della torre diroccata del Mastin Vecchio. Si accede tramite il corto ingresso iniziale alla torre maestra. Una serie di scalette interne introducono ai vari piani dotati di alcune stanze nelle quali sono esposte armature e reperti medievali, fino a giungere alla sommità, dalla quale si può ammirare un magnifico panorama circolare. Aperta interamente al pubblico, all’interno della Rocca del Sasso sono da ammirare l’imponente Sala Grande e le varie stanze con interessanti allestimenti che ospitano abitualmente mostre temporanee. La  Rocca del Sasso ospita anche un’importante collezione di armi medievali tra cui è possibile ammirare il modello della prima bocca da fuoco comparsa in occidente, suggestive armature quattrocentesche, oltre ad archibugi, armi ad avancarica e una possente bombarda del XV secolo. Continuando con la visita della Rocca, si può scegliere se salire al Mastio che, con il suo terrazzo panoramico, restituisce il senso di roccaforte dominante e, camminando lungo gli spalti, ci si può immaginare cosa dovesse essere nei secoli passati il controllo del territorio. Riscendendo è possibile visitare la guardiola e la torre dell’orologio e un raro esempio di cisterna del XIII secolo, tuttora perfettamente funzionante, che arriva a contenere fino a 28 mc di acqua. Scendendo ancora, si arriva alle segrete della Rocca, tanto affascinanti quanto inquietanti.


Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, la seconda è presa da http://www.bandierearancioni.it/comune/45

venerdì 30 gennaio 2015

Il castello di sabato 31 gennaio






ABBIATEGRASSO (MI) – Castello Visconteo (di Mimmo Ciurlia)

Non si sa con certezza quando fu edificato il castello di Abbiategrasso, ma i resti di alcune strutture architettoniche fanno supporre che le sue origini risalgano agli inizi del Duecento. Venne strategicamente costruito in asse con il Naviglio Grande e con la strada di collegamento Milano-Vigevano. La prima attestazione dell'esistenza del castello si ha in un documento del 1304. Venne costruito secondo l'assetto attuale solo nel 1382 da Gian Galeazzo Visconti e fatto abbellire dopo il 1438 da Filippo Maria Visconti, facendolo decorare con affreschi e costruendo delle nuove bifore, che donarono alla struttura l'aspetto di una residenza estiva più che di una fortezza medioevale. Alla sua morte, nel 1447, Francesco Sforza in seguito ad un assedio lo conquistò e vi apportò notevoli cambiamenti. Il maniero divenne così dimora prediletta degli Sforza, in particolare di Ludovico il Moro. Con l'arrivo a Milano dei Francesi anche il castello cadde nelle loro mani, finché nel 1524 fu riconquistato da Francesco II Sforza. In seguito fu conteso tra Francesi e Spagnoli, subendo un forte degrado che si accentuò col trascorrere dei secoli. Il castello fu chiamato a svolgere un ruolo di primaria importanza nella vita politica del Ducato di Milano per tutto il XV secolo sino al 1635, quando la struttura perse la sua importanza. L’edificio venne quindi smantellato a partire dal 1668 su ordine del Governatore di Milano per impedire che esso cadesse nelle mani dei francesi durante gli scontri. Successivamente i resti del castello furono adibiti a residenza privata sino al 1865 quando il complesso venne donato dai proprietari alla cittadinanza per essere impiegato in un primo momento come scuola e poi per essere utilizzato come sede di alcune associazioni del territorio abbiatense. Nel secondo dopoguerra il castello ospitò il museo civico di Abbiategrasso e parte degli uffici comunali fino al 1985, quando iniziarono i lavori di consolidamento e di recupero, che portarono nel 1995 all’insediamento della biblioteca civica Romeo Brambilla nei corpi nord ed est. Finalmente nel 2002 venne riaperta l'ala ovest, che attualmente ospita le attività culturali e di promozione turistica del territorio, oltre ad altri servizi della biblioteca, come quelli destinati ai bambini. Negli ultimi anni è stata completata la nuova pavimentazione del cortile interno del castello e sono state riqualificate le aree e piazze adiacenti al complesso monumentale. Il fortilizio in mattoni sorge nella zona orientale del centro cittadino presso l'antica Porta Milano, in corrispondenza del perimetro delle antiche mura urbiche, seguendo in questo la tradizionale collocazione viscontea (Milano, Pavia). Costituisce uno dei primi esempi, che poi diventeranno canonici, di pianta quadrata, cortile porticato e quattro torri angolari. La struttura originaria è maggiormente identificabile nei lati nord ed est, in cui è possibile riconoscere, anche se con alcune integrazioni operate durante i restauri del 1929, le bifore archiacute dall'apertura trilobata. Anche la torre di nord-est, da poco restaurata nella copertura a spioventi, ha mantenuto le caratteristiche originarie. L'unico ingresso, a cui si accede tramite un ponte a due arcate che supera il fossato, è posto sul lato ovest e presenta una particolare centina polilobata. Le modifiche più sostanziali vennero eseguite sul lato sud, che fu quasi totalmente demolito dagli Spagnoli. Oggi resta soltanto il porticato interno i cui archi acuti conservano negli intradossi tracce di affreschi con motivi geometrici e floreali, alternati allo stemma visconteo. Nei sotterranei si conservano ancora le originarie volte a crociera cordonata, mentre sulle pareti di una sala al primo piano si intravedono frammenti con il classico motto visconteo "A bon droit". Attualmente l’edificio è sede del Comune e della Biblioteca Civica e nei locali sotterranei con volte in cotto, che sono stati anch’essi restaurati, vengono spesso allestite mostre e rassegne, soprattutto di pittura e fotografia.

Fonti:

Foto: di Davide Papalini su http://it.wikipedia.org/wiki/Castello_Visconteo_%28Abbiategrasso%29#mediaviewer/File:Abbiategrasso-castello_visconteo1.jpg e di Solaxart 2013 su http://www.preboggion.it/CastelloIT_di_Abbiategrasso_CastelloVisconteo.htm

Il castello di venerdì 30 gennaio






LATINA - Torre in frazione Foce Verde

La torre è posta a pochi metri dal mare e allo sbocco dell'omonimo corso d'acqua. Fu costruita in questo punto sia per sorvegliare il tratto di costa sia per impedire penetrazioni nell'entroterra proprio attraverso l'utilizzo del piccolo fiume. Costruita tra il 1660 e il 1667 dalla famiglia Caetani su ordine della camera apostolica, essa ospitava un torriere e sei soldati. Le cronache riportano che nel 1702 grazie ai segnali di fumo lanciati da questa torre furono catturati 60 pirati sbarcati nel cuore della notte. A pochi km di distanza sorse anche la Torre di Fogliano sulla spiaggia del canale di Rio Martino. Insieme alla Torre di Rio Martino integravano la difesa costiera tra Torre Astura e Torre Paola sul promontorio del Circeo.
  
Fonti: http://foceverde.net/Foceverde/Storia.html, http://www.tesoridellazio.it/pagina.php?area=I+tesori+del+Lazio&cat=Rocche+e+torri&pag=Latina+(LT)++Fraz.+Foce+Verde+Torre+di+Foce+Verde

Foto: di gianniB su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/138670/view e di venticello su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/306989/view

giovedì 29 gennaio 2015

Il castello di giovedì 29 gennaio






MONTASOLA (RI) – Borgo medievale e torre

Nell'alto medioevo il popolamento della zona fu riorganizzato dai monaci farfensi intorno alla CURTIS DE LAURI o LORI, sito che viene normalmente localizzato nei pressi della quale erano presenti alcune strutture, forse pertinenti ad una villa rustica dell'epoca romanica. Agli inizi del secolo X, prima comunque del 936, la CURTIS fu sottratta al possesso del monastero farfense e vi fu fondato il CASTELLUM DE LORI. Questo castello nel XII secolo fu soggetto alla Santa Sede che nel 1191 concretizzò l'accentramento della popolazione del castello DE LORI nel CASTRUM di Montasola, fondato l'11 Agosto dello stesso anno. Nel 1278 i suoi abitanti giurarono fedeltà ed omaggio al Papa Nicolò III. Montasola si ribellò al dominio pontificio nella prima metà del secolo XIV, tanto da essere dichiarata terra bandita. Dopo essere stata occupato da Luca Savelli, il 16 Aprile del 1368 il castello venne assegnato da Papa Urbano V alla famiglia Orsini, nella perosna di Francesco Buccio. Montasola rimase in possesso degli Orsini fino all'inizio del '400 quando fu assegnata a Battista Savelli. I due secoli successivi videro alternarsi al potere gli Orsini, i Colonna ed i Savelli sin quando, nel 1592, la città venne tolta definitivamente ai Savelli e passò alla Camera Apostolica entrando a far parte dello Stato Pontificio, di cui ne seguì le sorti fino all’Unità d’Italia. Il centro storico di Montasola conserva tuttora la tipica struttura medievale con la grande porta d’ingresso sormontata da un architrave in legno; le vie a spirale che portano in cima alla “Rocca”, considerato a ragione il punto più alto della Bassa Sabina. Particolare e degna di nota è la massiccia torre con base a scarpa. Intorno sono avanzi delle mura di cinta, e ad est si vedono i resti dell’antica rocca quasi diruta. Il torrione, impiegato come suggestiva terrazza panoramica, è collegato ad un palazzo cinquecentesco di proprietà privata, oggi adibito a struttura ricettiva.


Foto: da http://www.tesoridellazio.it/ e di colonnello su http://rete.comuni-italiani.it/wiki/File:Montasola_-_Porta_sud_di_accesso_alla_citt%C3%A0_-_Vista_esterna.jpg

mercoledì 28 gennaio 2015

Il castello di mercoledì 28 gennaio






RENON (BZ) - Castel Novale (o Schloss Ried)

E' un castello senza molti elementi che lo caratterizzino come tale, situato a nord di Bolzano, all'ingresso della Val Sarentino, ma nel comune di Renon. Dietro al famoso Castel Roncolo la valle si apre ad una piccola conca, subito dopo la quale torna a restringersi. Il castello si è servito proprio di questa conca, in passato d'importanza strategica. Nel Medioevo le mura venivano bagnate dalle acque del Talvera, che oggi scorre a nemmeno venti metri di distanza. Castel Novale può vantare di essere uno di quei pochi castelli mai espugnati. Il complesso venne costruito presumibilmente attorno al 1200 ed ampliato nel XIII secolo con abitazioni, serraglio ed una cappella. Verso la fine del XIII secolo il piccolo edificio era in possesso dei Vanga: fu qui che si rifugiò Alberto Vanga, dopo aver perso tutti gli altri suoi possedimenti. Egli stesso lo vendette, a Ludovico di Brandeburgo, futuro marito di Margherita Maultasch, nel 1307. Per volere degli Asburgo d'Austria alla fine del sec. XVI il castello bolzanino ospitò fino alla morte l'ultimo voivoda della Valacchia, Pietro V lo Zoppo (Petru Şchiopul), sfuggito ai turchi. Oggi il complesso, ben conservato, è di proprietà privata e dunque non è visitabile se non eccezionalmente.

Fonti: http://it.wikipedia.org/wiki/Castel_Novale, scheda di Stefano Favero su http://www.mondimedievali.net/Castelli/Trentino/bolzano/castelnovale.htm,

Foto: di Mike.fabian su http://it.wikipedia.org/wiki/Castel_Novale#mediaviewer/File:Schloss_Ried_2007.jpg e da http://www.fotobolzano.com/Castelli%20Bolzano/gallery%20castelli/Castel%20Novale/album/slides/IMGP2271%20[800x600].html

martedì 27 gennaio 2015

I castelli di martedì 27 gennaio






SAN VERO MILIS (OR) - Torre di Capo Mannu e Torre delle Saline

Il promontorio su cui sorge la torre di Capo Mannu nei documenti del 1572 era denominato “Capo las Salinas”, mentre in uno risalente al 1578 “Monte delle Saline di Oristano”. La denominazione attuale di Capo Mannu comparve in latino come “Capitis Magni” fin dal 1590, in spagnolo “Cabo Maño” nel 1620 o “Cabo Manno” nel 1639 e nel 1680 ed in sardo “Cabu Mannu” (nel 1729) o “Cabidurimannu” più tardi nel 1740. In tempi più recenti è stata chiamata anche di “Su Capu”. Edificata con lo scopo di presidiare la cala di Su Pallosu, come si certificava nel 1572 “… il Capo las Salinas può ospitare un buon numero di galere, possiede legname ma non acqua… ”, di sorvegliare la tonnara attiva già nel XVI secolo (denominata di “Su Pallosu”) ma anche tutta la fascia costiera a nord del Sinis (vigilata anche dalle torri di “Sa Mora” e di “Scala ‘e Sale”), fino alla spiaggia di Is Arenas, le scogliere di Santa Caterina e la torre di “Capo Nieddu”. Nel 1572 il Camos dava indicazioni per la costruzione di una torre semplice, a protezione delle saline, dotata di cisterna interna preventivando anche il costo di realizzazione in 240 scudi. Nel 1577 il Capellino, nella sua carta del Regno di Sardegna, disegna una torre in Capo Mannu, e nel 1580 il Fara in “Chorografia” parla di “ad turrem speculatoriam capitis magni sue salinarium”. Pertanto venne probabilmente eretta con la funzione di avvistamento e segnalazione, tra il 1572 e il 1577, a protezione delle saline e delle numerose tonnare che in quel periodo furono impiantate al largo della costa Oristanese. Nel suo sopralluogo il Ripoll trovò la torre ancora integra e indicava la sola necessità di un intervento sull’impermeabilizzazione della terrazza. Nel 1842 la torre era ancora operativa nelle sue funzioni con la presenza di un alcade e due soldati, armati di due mortaretti e tre fucili con baionetta. Presumibilmente si trattava di una camera unica con la volta a cupola. In origine la torre doveva avere un diametro alla base di circa 9 m, il diametro della piazza d’armi di circa 8 m e un’altezza pari a circa 10 m. L’apertura dell’ingresso era posta a circa 5 m dal suolo. La guarnigione era composta da un alcade e due soldati cui, nel 1801, si aggiunse un artigliere, con relativo armamento di due cannoni, fucili e spingarda. Pertanto, era una “torre de armas” assimilabile per dimensioni ad una “senzillas” già attiva dal 1590. In alcuni documenti d’archivio del 1620, si attestava che “… les torres de Orfano Puddo, Scala Sal y Cabo Maño del Campidano de la ciutat de Oristany ha necessitat deser reparadas en moltes parts… ” e conseguentemente furono eseguite le opportune opere di manutenzione. In seguito, nel 1784, furono effettuati altri interventi di riparazione per una spesa di 341 lire; successivamente vennero eseguiti altri lavori nel 1786. Infine, nel 1822, l’Amministrazione delle Torri spese 1.250 lire sarde per la realizzazione di un intervento eseguito da due impresari muratori (tali Salvatore Peddis e Antonio Contini). La torre venne presidiata fino al 1846 e successivamente abbandonata. È costruita in arenaria calcarea e fortemente erosa dall’azione del vento. Nelle giornate più limpide dalla torre si possono osservare tratti di costa molto estesi e un ampio panorama verso l’interno. Essendo posta in posizione a strapiombo sul mare, si raccomanda, in caso di visita, molta prudenza.
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La Torre delle Saline somiglia più a una casamatta, differenziandosi dalle altre torri della zona per dimensione, struttura architettonica e localizzazione. Situata ai bordi delle saline la sua funzione non era di avvistamento costiero, bensì di controllo sull’estrazione del sale.

Fonti: http://www.comune.sanveromilis.or.it/Territorio/Archeologia/TorriSpagnole, http://www.sardegnaambiente.it/index.php?xsl=612&s=189751&v=2&c=9448&idsito=23,

Foto: la prima, relativa alla Torre di Capo Mannu, da http://trekkingsupallosu.blogspot.it/2011/01/capo-mannu-strapiombo-mozzafiato.html. La seconda, relativa alla Torre delle Saline, è di Liberianto su http://it.wikipedia.org/wiki/Torri_costiere_della_Sardegna#mediaviewer/File:San_vero_Milis_-Torre_-Salina_Manna.JPG

lunedì 26 gennaio 2015

Il castello di lunedì 26 gennaio






RUFFIA (CN) - Castello

Ancora oggi il borgo mantiene intatta l’apparenza di un antico ricetto, attraversato dalla bealera (canale) che alimenta il vecchio mulino. Questa atmosfera d’antan la si respira soprattutto nella piccola e raccolta piazza sulla quale incombe il massiccio castello, che si scorge da lontano, per qualunque strada si raggiunga Ruffia. Prima ancora del Mille, fu forse da Rodolfo, conte di Auriate e vassallo dei Marchesi di Torino, che nacque il nome Ruffia, da Rodulphia. Fu della contessa Adelaide di Susa, unica erede dell'ultimo marchese di Torino; dal nipote di Adelaide, Bonifacio del Vasto, pervenne ai marchesi di Busca, cofeudatari con i Braida e i Cerveri sotto la giurisdizione dei marchesi di Saluzzo. Passò poi ai Falletti e quindi ai Del Carretto, e da questi ai Cambiano. Ebbero diritti su Ruffia anche gli Oggeri di Savigliano, i Tapparelli di Genola e i Biscaretti di Chieri. Il castello di Ruffia, con un piccolo parco, fu prima possedimento dei Falletti, poi dei Del Carretto e infine passò ai Cambiano (o Cambiani) di Ruffia che lo controllarono fino alla fine del Settecento. Nel XVI secolo nel castello fu attivo il pittore e scultore Lorenzo Pascale, figlio di Oddone. Lorenzo Pascale dipinse la cappella dell’Annunziata e un padiglione del giardino del castello. Il maniero oggi si presenta con forme più sei-settecentesche, ma si possono ancora riconoscere gli elementi più puramente medioevali e rinascimentali. Attualmente è di proprietà privata e non è visitabile.
Fonti: http://it.wikipedia.org/wiki/Ruffia#Castello_di_Ruffia, http://www.visitterredeisavoia.it/it/luoghi/?IDC=50,

Foto: di Luigi.tuby su http://it.wikipedia.org/wiki/Ruffia#mediaviewer/File:Ruffia_castello.jpg e di maxaimone su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/250030/view

sabato 24 gennaio 2015

Il castello di domenica 25 gennaio






MURAVERA (CA) – Torre spagnola dei Dieci Cavalli (o Torre della Porta)

Si trova nella Marina di S. Giovanni a pochi chilometri dall’abitato di Muravera, a meridione nei pressi dello stagno di Colostrai. Unica nel suo genere non solo in Sardegna ma in tutto il mondo, fu oggetto e teatro di tante battaglie degli uomini del Sarrabus. Venne edificata nel XVI secolo, in epoca spagnola, con funzioni di controllo e difesa e molto probabilmente deve il suo nome al fatto che fosse costantemente presidiata da dieci guardie a cavallo, sempre pronte ad avvisare le popolazioni limitrofe dell’imminente pericolo, armate di fucili da posta e dotate di uno spingardo che sistemato sul lastrico d’armi a circa 10 m dal suolo con il suo micidiale fuoco poteva coprire una vasta area. Chiamata anche Torre della Porta, si compone di una torre circolare eretta su un basamento voltato provvisto di una porta attraverso la quale passava la Strada Reale e costituiva l’adito al territorio di Muravera. Inserita nel novero dell’infinita teoria di torri costiere approntate in Sardegna per la difesa dalle frequenti scorrerie saracene, è collocata fra la “Torre delle Saline” a sud, e quella di Porto Corallo verso nord. Comune nel suo posizionamento lungo la fascia costiera è altresì particolare per la tecnica costruttiva e per essere ai più sconosciuta, forse perché celata dalle paludi e dai canneti compresi fra la S.S. 125 ed il mare. Incredibilmente non è nemmeno riportata nella cartografia ufficiale (I.G.M.). Strano destino per una bellissima struttura di prima linea nella pluricentenaria lotta contro le grassazioni moresche. Queste razzie, perdurate nei secoli fino agli ultimi anni del 1700, non si limitavano alla predazione di cose e animali, ma erano in particolar modo orientate al rapimento in massa di uomini, donne e bambini che venivano ridotti in schiavitù e utilizzati come merce di scambio. In attività già nel 1581, risulta manutenuta nel 1767 con la richiesta di ulteriori dotazioni di munizioni e di un cannocchiale. Dai documenti d’archivio si apprende che l’approvvigionamento di viveri e munizioni era a carico delle ville di Muravera, San Vito e San Priamo. Cessò la sua attività nel 1774 quando il conte Ferrero Della Marmora comunicò ai ministri di giustizia e consiglieri della Villa di Muravera l’abbandono della Torre della Porta e il licenziamento della guarnigione. Durante la stagione estiva, ogni anno viene organizzata una favolosa rivisitazione storica che non a caso prende il nome di “Ohi su Moru”, da tradursi con un “Aiuto i mori”, esclamazione che deve essere scappata a più di un abitante della zona. La rivisitazione, che viene organizzata durante l’ultima domenica di luglio, ha tutto il profumo della rappresentazione teatrale e fa rivivere allo spettatore la cacciata, coraggiosa e determinata dei mori da parte dei sardi, abitanti di Muravera. Ecco un interessante video di Giovanni Piras dedicato alla torre: https://www.youtube.com/watch?v=_P6ph-3yVjQ. Al seguente link potete trovare diverse immagini del monumento: http://wikimapia.org/10871432/it/Torre-dei-Dieci-Cavalli
Fonti: http://www.asfodelotrekkingsardegna.it/pagine/pagina.php?pagina=105, http://www.visitmuravera.it/le-torri-costiere/, http://www.valmarvacanze.it/2011/10/costa-rei-spagnola-in-visita-alla-torre-dei-10-cavalli/
Foto: entrambe da http://www.asfodelotrekkingsardegna.it/pagine/pagina.php?pagina=105

Il castello di sabato 24 gennaio






PRATO – Castello dell’Imperatore (di Mimmo Ciurlia)

Unico esempio di architettura Sveva nell'Italia centro-settentrionale, fu edificato dall'architetto siciliano Riccardo da Lentini fra il 1237 e il 1248 per volere dell'imperatore Federico II di Svevia. Si trova in Piazza delle Carceri, accanto alla chiesa di Santa Maria delle Carceri e sul luogo del primitivo forte degli Alberti (di cui restano due torri, quelle prive di merli, che fino al 1767-68 avevano circa il doppio dell'attuale altezza). Il castello, originariamente tangente alla seconda cerchia muraria (XII secolo), era parzialmente circondato da un fossato e collegato alle carceri albertiane dalla cui definizione "delle carceri" prese il nome il vicino santuario mariano. I costruttori hanno avuto cura di riagganciarlo attraverso il simbolismo dell'ottagono a Castel del Monte, esso presenta infatti otto torri ed ha insiti, come per il Castel del Monte, svariati aspetti simbolici, sia nella struttura che nel portale. L'ottagono è infatti la figura geometrica risultante dall'unione del cerchio con il quadrato, simboli rispettivamente del cielo e della terra, ed è quindi comunicazione tra i due mondi tanto che esso è stato spesso usato in architettura per edifici sacri. A Prato, considerato che si partiva dal riutilizzo di un edificio preesistente, il simbolismo dell'ottagono viene riproposto attraverso la costruzione di otto torri. Il castello ha pianta quadrata potenziata agli angoli da torrioni, anch'essi a pianta quadrata; altre torri sono inserite a metà dei lati: quelle sui lati orientali e meridionali hanno una originale pianta pentagonale mentre quelle sugli altri due lati - in origine molto più alte e  utilizzate come punti di avvistamento - furono inglobate dal precedente palatium. La struttura in alberese, è coronata da una merlatura ghibellina "a coda di rondine" ripristinata nel 1933. Federico II non giunse mai a Prato, ma la fortezza fu abitata dal suo vicario in Toscana, incaricato di presidiare la strada che collegava il Sacro Romano Impero con l'Italia meridionale e la Sicilia attraverso il passo appenninico di Montepiano e la valle del Bisenzio.L'ingresso principale, un portale con arco sestiacuto, è impreziosito - e qui notiamo come lo stile Svevo fu influenzato dal gusto architettonico locale - con elementi decorativi dicromi ottenuti alternando fasce di marmo bianche e verdi; i due leoni scolpiti ai lati della porta conferiscono al castello l'iconografia della casa imperiale. Da notare anche come accurato sia stato lo studio per il posizionamento delle feritoie, al fine di consentire sia il tiro “di faccia” che quello “fiancheggiante”. L'immagine del castello nel suo insieme risulta essere una perfetta fusione fra la forma e la funzione militare. L'interno è in pratica vuoto, senza nessuna traccia (se non per alcuni capitelli scolpiti sulle pareti) degli, incompiuti, edifici originali (progettati per svilupparsi su due piani retti da semicolonne ed essere la sede del Vicario Imperiale in Toscana) disposti, come soluzione classica nell'architettura geometrica Federiciana, su quattro ali simmetriche al cortile. A questi edifici si riferiscono le aperture (che a prima vista possono sembrare feritoie ma in realtà più idonee a dar luce che a scopi militari) presenti nelle cortine murarie. L'interno fu comunque occupato da strutture provvisorie in legno e muratura atte ad ospitare la guarnigione. Interessante inoltre, sul retro dello stesso castello, i resti dell'ospedale e della corrispondente chiesa di San Giovanni Gerosolimitano (o dei cavalieri di Malta), edificata extra moenia a metà del XII secolo ed attualmente dismessa, ma che conserva ancora piccole e rare tracce antropomorfiche in cotto di epoca romanica. Nel 1944 il castello fu usato dai fascisti per rinchiudere le centinaia di pratesi arrestati per lo sciopero di marzo. Sempre nel 1944, tra il 6 e 7 settembre, dopo l'occupazione della città da parte dei Partigiani, ci fu un rastrellamento per la città, dove vennero catturati fascisti e presunti tali, e una volta condotti al castello, vennero fucilati. Fino ai recenti restauri il cortile era occupato da strutture moderne, il castello è stato a lungo adibito a carcere. Anche addossati alle mura esterne erano sorti vari edifici, per fortuna oggi completamente rimossi. Aperte liberamente pubblico, le austere mura ospitano oggi spesso esposizioni e manifestazioni.


Foto: entrambe cartoline della mia collezione

venerdì 23 gennaio 2015

Il castello di venerdì 23 gennaio






SANARICA (LE) - Palazzo Ducale dei Basurto

Le origini del paese risalgono, presumibilmente, fra il IX e il X secolo d.C. ad opera di un manipolo di scampati alla distruzione di Muro Leccese, attuata dai Saraceni. I profughi muresi si dispersero nel territorio circostante sviluppando altri nuovi centri abitati: Giuggianello, San Cassiano, ecc. Ben presto tra questi paesi nacquero delle controversie soprattutto per i confini territoriali, che furono risolte da Giovanni Antonio Orsini Del Balzo. Questi, non solo definì d'imperio i confini tra i vari casali, ma per renderli visibili fece costruire delle torri al limite di ogni feudo. Probabilmente fu questa circostanza a determinare la scelta dello stemma rappresentato da cinque torri. Il paese conserva tracce della presenza sia dei Messapi che dei Bizantini. Venne distrutto più volte nel corso dei secoli; fece parte del Principato di Taranto, poi dagli Orsini Del Balzo passò ai d'Aragona che ne affidarono il feudo ai Lubelli ed infine ai Basurto. Questi lo detennero sino al 1806, data di eversione della feudalità. Il Palazzo Ducale, ubicato in Piazza Martini, risale al XVI secolo come documenta l'iscrizione presente sul portone d'ingresso: Domnus Annobal Resta saranocensis hanc AEDOCULAM ... POSTEROSQUE SUOS AERE SUO VOVENS A FUNDAMENTOS EREXOT 1559. È sorto sul sito di un castello quattrocentesco circondato e difeso da un fossato, oggi convertito in agrumeto e in parte colmato. Dell'antico edificio rimangono le cortine ai cui vertici sono ancora visibili due dei quattro torrioni angolari superstiti. Nel corso del XVI e XVII secolo il maniero venne trasformato in residenza signorile. L'edificio risulta di fattura rinascimentale. Tale caratteristica si nota in particolar modo nelle finestre della facciata est e nelle logge con semicolonne e soprastanti triglifi. All'interno, i saloni sono a stucco e affrescati con stemmi delle famiglie che lo abitarono. L'ingresso bugnato è opera del Settecento. A destra della porta d'ingresso vi è una cappella con affreschi risalenti ai secoli XVI e XVIII. Altri quadri decorano le sale del palazzo e raffigurano scene mitologiche, ritratti di famiglia,santi. Attualmente il castello è abitato da privati. La parte est è stata acquisita dal Comune con Decreto del Ministero dei Beni Culturali del 05/01/2001.

Fonti: http://it.wikipedia.org/wiki/Sanarica#Palazzo_Ducale, http://www.comune.sanarica.le.it/territorio/da-visitare/item/palazzo-ducale,

Foto: entrambe da www.mondimedievali.net

giovedì 22 gennaio 2015

Il castello di giovedì 22 gennaio






CASTELNUOVO RANGONE (MO) - Torre castello Rangoni

La prima citazione del nome del paese appare in un atto di donazione datato 1025 fatta dal vescovo Ingone all'abate di San Pietro Ardorico, riguardante terreni e case “in Castro Novo super ripam fluminis Tepidi de mane”, come dire in Castelnuovo sulla riva del fiume Tiepido dal mattino (ovvero dalla parte destra del fiume, a Levante, che scorre verso il fiume Panaro a nord). È noto che nel XIII secolo il castello e una parte del territorio erano di proprietà dei signori Pico della Mirandola, che vi dovevano tenere un presidio di militi; inoltre nel 1391 il marchese di Ferrara ne investì formalmente la famiglia Rangoni. In quel tempo Castelnuovo, allora detto Rangone, era un borgo fortificato raccolto intorno al castello turrito, protetto da una cerchia murata e da un fossato, presidiato da una guarnigione permanente di armati al soldo dei Rangoni. La rivalità tra gli abitanti di Castelnuovo e quelli di Castelvetro, dovuta a questioni di confine e soprattutto all'orgoglio municipale, era assai viva. Nel 1796 l'occupazione francese segnò la fine del feudalesimo e la fine del governo dei Rangoni; modificando anche denominazione del paese in Castelnuovo in Piano Nel 1815, l'anno della Restaurazione del duca Francesco IV d'Asburgo-Este e della riforma amministrativa del ducato, il comune di Castelnuovo fu abolito e aggregato a quello di Spilamberto come sezione (oggi diremmo frazione). La torre che oggi ancora si innalza nel centro di Castelnuovo, a pianta quadrata, faceva parte della rocca marchionale dei Rangoni, innalzata negli ultimi anni del XIV secolo; era la torre di guardia del borgo murato circondata dal fossato perimetrale, le cui acque erano alimentate dal rio Gamberi e dal torrente Petazzara, secondo qualche autore così chiamato perché sboccava nella fossa in petto, ossia di fronte, al castello. Nel 1865, l'amministrazione comunale acquistò ciò che restava del castello, fece demolire i tratti delle mura rivolti a occidente e a oriente con la porta d'ingresso, abbattere il ponte, spianare le fosse, ricostruire il palazzo feudale già dei Rangoni, adattandolo a residenza municipale, secondo l'antico schema che prevedeva il portico in basso, la doppia fila di finestre ad arco al piano nobile, il coronamento merlato. Il 17 aprile 1945, un bombardamento aereo anglo-americano colpì pesantemente il paese, danneggiando la torre e il palazzo comunale. Nel dopoguerra si provvide all'accurata opera di ricostruzione. Recenti ritrovamenti hanno riportato alla luce anche l'antica cinta muraria del 1200, una delle più antiche d'Italia, nel centro storico del paese. Il castello è oggi visibile nella sua integrità in un dipinto di Ludovico Borsari del 1860. Sullo storico torrione, al cui interno si svolgono esposizioni e altri eventi, si trova un orologio costruito nel 1608 dal modenese Benedetto Bassini.

Fonti: http://it.wikipedia.org/wiki/Castelnuovo_Rangone,  http://digilander.libero.it/gattienrico/castelnuovo/castelnuovo.htm

Foto: la prima è una cartolina postale rintracciata sul web, la seconda è di Guido Piano su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/27858/view

mercoledì 21 gennaio 2015

Il castello di mercoledì 21 gennaio






CALLIANO (TN) - Castel Pietra

L'origine esatta di Castel Pietra, situato alla pendice del dosso del Castel Beseno, non è databile ma già nel XII secolo alcuni documenti citano "la Pietra", appellativo dato dagli abitanti del luogo al castello. Il nome richiama i macigni caduti in tempi remoti dal sovrastante Cengio Rosso, sui quali il maniero è stato costruito ed ampliato nei secoli, come avvenne per la parte gotica nel XIV secolo. Diversi stili convergono nella struttura, ma è evidente al primo sguardo che la finalità è la difesa ed il controllo del territorio. Sin dal XIII secolo dipese dal Castel Beseno, in mano alla famiglia dei Da Beseno. L'importanza storica di Castel Pietra deriva soprattutto dalla posizione strategica: qui il fiume Adige formava una grande ansa e la Strada Imperiale passava nel punto più stretto della Vallagarina. Castel Pietra era collegato fino al fiume da una massiccia muraglia merlata (il "murazzo"), di cui rimangono poche tracce, munita di una fortissima porta in ferro che aveva il compito di controllare la strada di transito e per la quale si poteva passare solamente dopo aver pagato il dazio. Per molti anni e fino alla sconfitta definitiva di Venezia nei primi anni del XVI secolo il castello si è trovato al confine tra il Tirolo, il Principato vescovile di Trento e la Repubblica di Venezia. Quando i Veneziani tentavano di spingersi a Nord, tra il Quattrocento e il Cinquecento, vennero fermati dal Principato e dagli Austriaci con importanti battaglie campali che si svolsero nei pressi del castello. La famosa battaglia di Calliano del 10 Agosto 1487 in cui le truppe veneziane comandate dal generale Sanseverino furono pesantemente sconfitte fu solo una di una lunga serie di combattimenti che vide Castel Pietra come protagonista. Alcuni storici e letterati ritengono che la ruina narrata da Dante nell'Inferno (XII, 4-9) sia identificabile con la grande frana sui cui sorge proprio Castel Pietra. Tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo, Castel Pietra fu teatro di importanti battaglie combattute tra i francesi di Napoleone e gli austriaci. Nel 1796 Napoleone Bonaparte fece trasportare alcuni cannoni a metà del Cengio Rosso e le truppe austriache non poterono fare altro che arrendersi, non potendo difendersi da un bombardamento dall'alto. Durante la Grande Guerra Castel Pietra fu severamente danneggiato nel lato est da alcune cannonate italiane sparate dal vicino fronte. Anche i bombardamenti della II Guerra Mondiale portarono distruzione: le bombe destinate alla vicina ferrovia colpirono invece un rifugio pieno di sfollati ubicato all'interno delle mura. Fortunatamente la solida struttura salvò le persone che avevano cercato riparo al suo interno nonostante un parziale crollo. Castel Pietra appartiene alla stessa famiglia dal 1738. Nei secoli il castello ha subito bombardamenti e ruberie ma è giunto intatto e ben conservato fino ai nostri tempi grazie alle cure delle persone che lo hanno abitato. Le sue sale presentano uno stile gotico. Al suo interno si possono trovare delle importanti testimonianze medioevali: è degna di nota la "Sala del Giudizio", ambiente rigorosamente gotico illuminato da finestre con la particolare forma a guelfo e ornato da affreschi quattrocenteschi (Giudizio di Salomone, Caccia al cervo, Caccia all´orso). Di grande fascino ed importanza sono anche la torre delle impiccagioni, la sala degli armigeri e le prigioni.  Il Castello, visto da lontano, quasi si confonde con la natura circostante, fatta di massi caduti dalla montagna arida e brulla ma di una suggestione unica. Il nucleo romanico sta in alto, sulla cuspide della roccia, ed avvolge la pietra che ne costituisce la colonna vertebrale. Alla porta romanica si accede dall’alto, attraverso un sentiero tortuoso che si perde nei boschi: al’interno sono visibili gli ambienti due-trecenteschi. Le sale di soggiorno, la sala degli armigeri, le scale coi meccanismi che governano la saracinesca della porta a valle ed una lugubre cantina dove si narra che vivessero i condannati, costretti a far girare la ruota di un mulino. Gli altri ambienti legati alla roccia, più in basso, conservano anch’essi un’atmosfera misteriosa: la sala del Giudizio già citata, il corridoio di ronda, la torre delle impiccagioni e poi, verso l’uscita al livello inferiore, la grande e comoda scala a chiocciola in pietra ed il rivellino che dà su un cortile interno, riparato da una cortina di mura appoggiata alla roccia, dove nel XVII secolo sorse il palazzo baronale, dimora più comoda ed aperta verso l’esterno. Di grande suggestione il piccolo giardino all’italiana che ancora si conserva sul lato sud-ovest del Castello, con le viste della Valle dell’Adige. Il castello, dopo un complesso ed accurato restauro di quasi 2 anni (2013-14) finanziato interamente dalla proprietà, può essere visitato dal pubblico mediante visite guidate e ospitare manifestazioni, convegni e spettacoli di ogni genere. Di proprietà privata, è abitato ma è possibile visitarlo previa prenotazione direttamente sul sito www.CastelPietra.info nei giorni elencati oppure per gruppi organizzati su appuntamento. Contatto: info@castelpietra.info Telefono (Famiglia Bertagnoli) 373 5039419. Segnalo questo interessante video sul castello (di Portobeseno su https://www.youtube.com/watch?v=c8vnD75wDQ4)
Fonti: http://www.castelpietra.info/il-castello (sito ufficiale), http://it.wikipedia.org/wiki/Castel_Pietra_(Calliano), http://www.comune.calliano.tn.it/Territorio/Da-visitare-a-Calliano/Castel-Pietra-testimone-dell-epica-battaglia-di-Calliano

Foto: di Mirko01 su http://it.wikipedia.org/wiki/Castel_Pietra_(Calliano)#mediaviewer/File:Castel_Pietra.JPG e da http://www.maurograziani.org/wordpress/archives/category/mus/contemporanea/my-music

martedì 20 gennaio 2015

Il castello di martedì 20 gennaio






RONCADE (TV) - Castello (o Villa Giustinian, Ciani Bassetti)

Il maniero fu donato nel 900 da Ottone II ai Conti di Collalto. Successivamente venne distrutto per mano di Cangrande della Scala. Fu Girolamo Giustinian, patrizio veneto, ad attuarne nel XVI secolo la ricostruzione, sulla traccia del precedente edificio. Quella attuale è una struttura assai caratteristica in quanto è delimitata da una cinta di mura turrite, richiamo ai fortilizi medievali. I terreni su cui oggi insiste il palazzo erano sin dal Quattrocento dei Badoer, proprietari anche di cinque mulini nella vicina Musestre. Il 1º giugno 1495 Girolamo Badoer fece testamento, lasciando l'intero patrimonio alla figlia Agnesina. Quest'ultima aveva sposato in prime nozze Benedetto Badoer e poi, rimasta vedova, Girolamo Giustinian, al quale diede sette figli. Nella storia della Serenissima Repubblica di Venezia la famiglia Giustinian ha lasciato una chiara traccia. Ricordiamo i Dogi Stefano e Marco Antonio, il Beato Nicolò Monaco e la Beata Eufemia oltre che San Lorenzo, primo patriarca di Venezia. Dopo aver eseguito quanto previsto dal testamento del padre (tra cui la costruzione di una casa canonica per il parroco di Roncade) e aver predisposto per i figli, Agnesina e il marito intrapresero la costruzione di una casa di villeggiatura che risulta già avviata in una "condizione" del 1514. Nel 1522 i lavori dovevano essere già a buon punto dato che il complesso poteva già ospitare Leonardo Giustinian, Ottaviano Bon e Agostino Foscari; nel 1529, invece, vi soggiornarono Giovanni Corner e il cardinale Francesco Pisani. Due anni dopo la morte del marito, avvenuta nel 1532, Agnesina stilò un nuovo testamento nel quale dichiarò di possedere a Roncade una villa con corte, alloggi, orti e giardini. Nel 1536 l'edificio è per la prima volta raffigurato in una mappa: presenta un aspetto molto simile a quello attuale, già circondata da una cinta di mura merlate con possenti torri agli angoli. Nel 1881, alla morte di Sebastiano Giustinian, la villa passò alla sorella Maria; spirata anche l'ultima proprietaria, nel 1915 venne acquistata dai Ciani Bassetti cui appartiene tutt'ora. Fu il Barone Tito Ciani Bassetti nel 1930, a riconoscere nell'antico castello il luogo in cui avrebbe preso vita il suo sogno. Il restauro della costruzione permise di ritrovarne l'originaria bellezza, e avviarvi un'attività vitivinicola per la quale il terreno sembrava essere nato. Durante la seconda guerra mondiale il complesso fu occupato da un comando tedesco e subì alcuni bombardamenti aerei che danneggiarono particolarmente i torrioni e il muro di cinta verso il brolo. Al termine del conflitto fu prontamente restaurato dai proprietari. La proprietà ha forma rettangolare ed è delimitata, appunto, dalla cinta muraria, circondata a sua volta da un fossato. All'interno sorge la casa padronale con due lunghe barchesse separate ai lati; all'estremità di quella settentrionale si colloca il piccolo oratorio privato. L'accesso si apre sul lato occidentale delle mura, quello adiacente alla strada, ed è sottolineato da due torrette cilindriche. Il fronte principale della casa padronale, a due livelli più sottotetto, si caratterizza al centro per una doppia loggia in aggetto, con arcate a tutto sesto e colonne in pietra d'Istria, il tutto coronato da un frontone triangolare ornato da affreschi. Le ali laterali presentano, disposte lungo due assi, finestre ad arco a tutto sesto che diventano piccole aperture rettangolari nel sottotetto. Il tutto è concluso dalla copertura a padiglione. Le pareti nord e sud erano pure affrescate con finte architetture, medaglioni e figure, ma dei dipinti restano poche tracce. Il fronte posteriore, verso est, presenta una scalinata monumentale che, un tempo, conduceva a un pronao; i resti di quest'ultimo sussistono accatastati sul retro del palazzo. Gli interni di entrambi i livelli hanno la medesima organizzazione, con salone passante al centro e ambienti minori ai lati. Si caratterizzano per i pregevoli soffitti in legno, con travatura squadrata e cassettoni costituiti da catinelle dipinte con foglie e girali. Lungo le pareti, subito sotto le travi, si snoda una fascia monocroma con putti e medaglioni con effigi di imperatori romani. I due piani sono messi in comunicazione da una ripida scala in pietra d'Istria, con un solo ramo e volta a botte. L'oratorio, intitolato a Sant'Anna, conserva al suo interno i busti di Agnesina e Girolamo Giustinian, fondatori della villa. Oltre 30 statue di Schiavoni sono disseminate all'interno del parco della Villa. Una leggenda vuole che la loro origine sia da attribuirsi ad una vicenda di passione, tradimenti e magia legata al passato. Si narra che un tempo il conte Giustinian assoldò gli Schiavoni per custodire la virtù della moglie durante la sua assenza. Al suo ritorno, di fronte alla scoperta del tradimento, avvenuto proprio per opera loro, accecato dall'ira e dal dolore, chiese ad un mago di trasformarli in statue. Se la veridicità della vicenda può suscitare qualche perplessità, è invece indubbio l'effetto ancora più suggestivo che le statue conferiscono all'ambiente. Altri link per approfondire sul castello: http://www.trevisoinfo.it/castello-roncade.htm, https://www.youtube.com/watch?v=f6QvBn3ogRg (video di Hotel Promotions)

Fonti: http://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Roncade, http://www.castellodironcade.it/castello-di-roncade/la-nostra-storia.php

Foto: da http://www.castellodironcade.it/ e da https://www.facebook.com/castellodironcade/photos/a.10150898658960340.448534.112204045339/10152871152745340/?type=1&theater

lunedì 19 gennaio 2015

Il castello di lunedì 19 gennaio






CASTELVETERE SUL CALORE (AV) - Castello Longobardo

L'abitato di Castelvetere sul Calore deriva il proprio nome dal magnifico Castello ivi edificato dai Longobardi su un'alta piattaforma rocciosa, a ben 750 metri sul livello del mare. Il primitivo borgo, infatti, venne gradualmente articolandosi intorno al maniero longobardo già a partire dalla seconda metà del X secolo d. C. La prima notizia del luogo è contenuta in un documento del 991 nel quale si attesta che Siconolfo, Conte longobardo di Conza, donò al Monastero salernitano di S. Benedetto delle proprietà situate in Castelvetere. Fra il 1142 e il 1154 il centro fortificato appartenne ad un potente signore locale, tale Giacomo de Castelvetere, proprietario di numerosi altri domini in Terra Irpina. Nel 1167 fu donato all'Abbazia di Montevergine per volere di Ruggiero, signore di Castelvetere, di Taurasi e di Rocca S. Felice. Dopo essere divenuto proprietà dei Della Leonessa, Signori di Montemarano, nel 1373 il Castello passò ai Filangieri e, nel 1426, ai Caracciolo. Nel 1478 il Castello ed il Feudo vennero acquistati da Luigi Gesualdo, Conte di Conza, dal quale - per eredità matrimoniale - giunsero ai Ludovisi. Questi ultimi, nel 1695, li vendettero a Giuseppe de Beaumont, i cui eredi ne conservarono la proprietà fino all'abolizione dei diritti feudali, nel 1806. Le profonde modifiche apportate nei secoli alla struttura hanno mutato l'aspetto originario del Castello, trasformandolo da fortezza in nobile residenza signorile. L'edificio attuale, a pianta rettangolare, presenta due piani superiori. Diverse parti del castello risultano oggi inglobate all'interno di edifici civili e religiosi, come, ad esempio, una torre divenuta parte integrante di edifici privati. Dopo la sua ricostruzione, il castello divenne la Chiesa Madre di Castelvetere, dedicata all'Assunta. Vi è stato un tempo, infatti, in cui l'edificio veniva chiamato "Castello di Santa Maria", proprio in ricordo dell'apparizione della Madonna delle Grazie ad una pia vecchietta del luogo, alla quale la Vergine aveva consegnato un Divino Messaggio per Castelvetere. Di grande effetto appare ancora oggi un corridoio del maniero che dalla corte conduce all'ingresso di un'abitazione: il menzionato corridoio – voltato a botte – è coperto da alcuni pregevoli archi in pietra. Il Castello Longobardo di Castelvetere sul Calore si erge proprio accanto alla Chiesa parrocchiale dell'Assunta. La struttura dell'antico maniero – oggetto di numerosi interventi di recupero e di restauro e, per tali ragioni, in ottimo stato di conservazione - risulta, tuttavia, quasi "soffocata" dai circostanti edifici civili e religiosi: infatti, l'assorbimento dei ruderi del castello nelle strutture portanti di edifici privati ebbe inizio dal XIX secolo. Altre informazioni si possono recuperare al seguente link: http://www.comune.castelveteresulcalore.av.it, cliccando alla voce "Storia" sul menu di destra

Fonti: http://www.avellinoturismo.it/arte-e-cultura/castelli/item/349-il-castello-longobardo-di-castelvetere-sul-calore.html

Foto: da http://www.avellinotravel.com/wp-content/uploads/2013/04/borgo-castelvetere-sul-calore.jpg?948e43 e da http://ftp.turismoincampania.eu/images/stories/foto/1castelvetere.jpg

domenica 18 gennaio 2015

Il castello di domenica 18 gennaio



CIVITELLA DEL TRONTO (TE) – Fortezza spagnola (di Mimmo Ciurlia)
  
La fortezza di Civitella del Tronto è una delle più imponenti opere di ingegneria militare mai realizzate sul suolo italiano, paragonabile al Forte della Brunetta, costruito dai Piemontesi nei pressi della città di Susa. È inoltre paragonabile con la Fortezza di Hohensalzburg a Salisburgo: si estende sulla sommità di una cresta rocciosa per una lunghezza di 500 metri circa; una larghezza media di 45 e con una superficie complessiva di 25.000 mq. Già intorno all'anno Mille, alcuni documenti parlano di un castello presente nella parte più alta del colle, anche se assume vera consistenza durante il periodo Svevo e poi sotto il regno di casa D'Angiò, in quanto la vicinanza dal confine tra il Regno di Napoli e il nascente Stato Pontificio gli conferiva un'importantissima posizione strategica. Sono noti, infatti gli interventi di epoca angioina sulle preesistenti strutture fortificate di impianto svevo, demolite in quanto superate dalle nuove tecniche militari d'assedio e dall'introduzione dei cannoni, consistenti nella realizzazione di torri di avvistamento, di cui restano delle tracce; ancora visibili anche resti del circuito murario risalenti allo stesso periodo. Le prime notizie certe della fortificazione risalgono al 1255, quando gli Ascolani espugnarono il castello, facente parte sicuramente dei sistemi difensivi del confine appenninico della Val Vibrata. Intorno al XV secolo la fortezza appariva già come una piazzaforte difesa da cinque torri, in parte distrutte alla fine del secolo durante una rivolta dei cittadini contro i castellani. L’impianto che il complesso ancora oggi conserva, si deve come già detto a Filippo II di Spagna, considerata l’importanza strategica del sito, ai confini con lo Stato pontificio. A partire dalla seconda metà del Cinquecento, altri lavori furono eseguiti per rendere ulteriormente difendibile la rocca prima dell’assedio delle truppe francesi al comando del duca di Guisa, nel 1557. A questa fase risalirebbero la realizzazione di un torrione circolare e di un bastione pentagonale. I lavori – durati un ventennio – rinforzarono soprattutto il lato est e raddoppiarono la cinta muraria in corrispondenza del borgo abitato. Successivamente, durante il regno borbonico, altri lavori interessarono i bastioni di S. Pietro – intorno a cui fu sistemato il fossato - e di S. Andrea. Gravi danni alla struttura furono causati dagli assedi da parte dei francesi nel 1798 e nel 1806, tanto che nel 1820 fu necessaria una campagna di restauri. Nel 1861 la fortezza di Civitella fu l’ultima roccaforte ad arrendersi ai Sabaudi, addirittura qualche giorno dopo l’Unità d’Italia. Dopo quell’anno la fortezza venne lasciata in abbandono, depredata e demolita dagli stessi abitanti di Civitella del Tronto. Subì una massiccia opera di restauro a partire dal 1973 sino al 1985, grazie al patrocinio della Sovrintendenza e delle Belle Arti de L'Aquila, della Cassa del Mezzogiorno e dell'amministrazione comunale. Oltre che restituire per gran parte l'uso del Forte e dei suoi ambienti, ha fatto sì che si conservasse il suo carattere di cittadella fortificata del primo Rinascimento, particolarmente rilevante per l'importanza storico-militare della Fortezza, rappresentante un caso unico non solo in Abruzzo, ma in tutta Italia. Oggi vi si accede passando per il bastione San Pietro: si giunge ad una prima piazza d’armi dove ci sono i baluardi di S. Andrea e S. Paolo. Sotto la piazza, si segnala un complesso sistema di canali e cisterne che consentivano la raccolta dell’acqua piovana e la sua purificazione. Una rampa dà l’accesso ad una seconda piazza d’armi, a cui difesa si erge il bastione di S. Giovanni e in cui sono ancora evidenti i resti degli alloggi per i militari, distribuiti su uno o due livelli; ancora più in alto è lo spazio di maggiore rilevanza, la Gran Piazza, difesa dal bastione di S. Giacomo. Qui è presente il Palazzo del Governatore, terminato nel 1574, distribuito su due piani e dotato di tutto quanto necessario per poter approntare un’ultima strenua difesa, tra cui una cisterna per la raccolta dell’acqua piovana. Accanto al Palazzo del Governatore, era la più importante chiesa della fortezza, quella di S. Giacomo, inaugurata nel 1604 ed oggi fortemente rimaneggiata. Al di sotto del Palazzo del Governatore ci sono spazi collegati con quelli situati sotto la Gran Piazza e quindi con l’uscita secondaria dalla fortezza. Percorrendo il viale alberato della fortezza, dove un tempo oltre agli alloggi era anche la Cappella del Carmine – edifici distrutti agli inizi dell’Ottocento e mai più ricostruiti – si incontrano alcuni locali di servizio della roccaforte come il Gran Magazzino dell’Artiglieria, mentre sopra ci sono le cucine e le mense per i soldati, locali che oggi ospitano il museo della fortezza. La parte difensiva della fortezza era prevalentemente concentrata sul versante est, meno impervio e quindi più facilmente soggetto ad attacchi nemici e, per meglio scongiurare il pericolo, su questo lato la difesa era affidata ad una sequenza di tre camminamenti: nel Cinquecento, il primo pare avesse un fossato e un ponte levatoio ma c’era anche un grande camino per il riscaldamento delle sentinelle e una scala a chiocciola in pietra che consentiva un rapido accesso al bastione. Fra il primo ed il secondo camminamento, era posizionata la prigione detta “Calabozzo del Coccodrillo”. Sarebbero cinquecenteschi anche l’impianto delle mura difensive e la falsabraga di rinforzo sul lato sud, datata 1564. Le mura di difesa della fortezza si collegavano ad ovest direttamente all’impervia rupe naturale mentre ad est si riconnettevano alle mura di origine più antica, che già cingevano la preesistente struttura fortificata. In esse si aprivano a sud-ovest la Porta S. Antonio – di cui restano alcune tracce – Porta Napoli, di origini duecentesche, Porta delle Vigne, di epoca successiva, e la Porta delle Vene, oggi scomparsa. All'interno della Fortezza, oggi,  è visitabile il Museo delle Armi che si sviluppa su quattro sale dove sono conservate armi e mappe antiche, queste ultime connesse alle vicende storiche di Civitella del Tronto. Tra le armi si segnalano alcuni schioppi a miccia del XV secolo, pistole a pietra focaia, un cannone da campagna napoleonico e dei piccoli cannoni detti "falconetti" da marina.  

Fonti:

Foto: da http://turismo.provincia.teramo.it/il-territorio/i-comuni/civitella-del-tronto e da http://www.associazioniduesicilie.it