martedì 13 gennaio 2015

Il castello di martedì 13 gennaio






MONTAQUILA (IS) - Castello

Di sicuro si può affermare che il territorio di Montaquila, è nominato per la prima volta nell'VIII sec. d.C., in un atto notarile del luglio 962, menzionato nel Chronicon Volturnense. Il documento cita l'esistenza nel territorio montaquilano di una chiesa intitolata ai S.S. Medici Cosma e Damiano, la quale viene donata dal Duca longobardo Arechi II, tra il 758 e il 760 d.C., al Santo abate Tato, confondatore e II abate di San Vincenzo al Volturno. Montaquila, dunque, sorse nel periodo alto-medievale e fu alle dipendenze del monastero stesso forse fino a tutto il periodo normanno. Il territorio di Montaquila costituiva la parte centrale dei possedimenti di San Vincenzo al Volturno. Con il periodo militare, costituito dai Normanni, si ha quindi il mutamento del villaggio Olivella che venne denominato MONTIS AQUILIS o MONS AQUILUS che può significare tanto monte dell’aquilone, “luogo o monte dove spira il vento che soffia da settentrione  o più semplicemente “luogo cupo”, poiché “aquilus” in latino può significare anche “folto, denso, cupo” e quindi “Monte Cupo cioè avvolto da estese zone boschive”.Quest’ultimo potrebbe costituire il vero significato del toponimo. Dunque nulla ha a che vedere con “le Aquile” o con l’ipotesi tutta da dimostrare che sul territorio dell’attuale Comune sorgeva la celebre città sannitica di Aquilonia. I castelli di Montaquila e Roccaravindola che dominano la strada per la Campania non furono fondati dal Monastero di San Vincenzo, ma sono menzionati per la prima volta nel Catalogus Baronum del 1150, dopo che tutta la parte meridionale della terra era passata dalla parte dei normanni. Montaquila è sempre stata pertinenza di Terra di Lavoro, come si può facilmente riscontrare dalle cartografie storiche del Regno di Napoli e fu inserita nel contado del Molise solo dopo l’Unità d’Italia avvenuta nel 1860. L’abitato più antico di Montaquila si attesta, con un andamento quasi circolare, sulla parte più alta di una conformazione naturale che, a causa di interventi urbanistici sicuramente posteriori all’eversione della feudalità, ha perso il carattere scosceso originario. Le sovrapposizioni edificatorie del XIX secolo, successive alla demolizione delle porte e di una parte consistente delle mura di difesa, rendono difficile la lettura dell’impianto difensivo che genericamente possiamo definire angioino, anche se esistono ragionevoli motivi per ritenerlo più antico, almeno normanno. Comunque sia, è da ritenere che in questo periodo una preesistente cinta muraria sia stata dotata di un sistema di torri a scarpa che oggi, sia pure malamente, ancora si riconoscono. La prima è contigua al complesso murario che dobbiamo ritenere essere stato l’originario castello prima di essere trasformato, secondo il solito, in un edificio baronale con funzioni esclusivamente residenziali. Tale torre è stata privata della corona merlata, ma conserva i segni molto rovinati di una feritoia successivamente murata. Sul muro a scarpa che la collega alla seconda torre è stata impiantato un edificio che ha conservato l’antico paramento esterno. Sostanzialmente riparata nella parte basamentale con la sostituzione parziale della scarpa crollata, presenta caratteristiche che fanno ipotizzare che la parte inclinata sia una sorta di rinforzo applicato ad un preesistente impianto verticale. La parte apicale merlata è frutto di una ricostruzione recente, mentre si è persa ogni traccia delle feritoie che sicuramente esistevano per il tiro radente sul tratto di muro che in questo punto piega decisamente per raccordarsi alla terza torre. Il muro di difesa, sebbene molto danneggiato, in questa parte conserva i caratteri originali a scarpa fino al limite di ciò che rimane di un sistema che fa pensare alla preesistenza di una portella ormai quasi del tutto scomparsa. Infatti i ruderi di questa terza torre potrebbero essere quanto rimane dell’apparecchiatura di controllo di una piccola porta che permetteva l’accesso al nucleo urbano a conclusione di un modesto percorso esterno che seguiva l’andamento avvolgente della cinta muraria. Della torre gemella della piccola porta non rimane traccia, ma il disegno planimetrico generale, che in questo punto vede piegare il muro quasi ad angolo retto, impone di immaginarne la preesistenza. Di un’altra torre immediatamente vicina rimangono tracce nell’impianto degli edifici che dal XIX secolo in poi si sono attestati sulla linea muraria meridionale. Da questa piccola torre, totalmente inglobata nelle sovrapposizioni e trasformata recentemente in modesta cappella privata della famiglia Rossi, il muro proseguiva a scarpa completando il giro del nucleo urbano con andamento a linea spezzata con piccoli tratti rettilinei molto probabilmente raccordati da non meno di quattro torri ormai del tutto scomparse. Su questo tratto di murazione si sviluppava il piano di ronda che corrisponde all’attuale via Plebiscito fino a raggiungere la porta principale dell’abitato che era sistemata nell’area retrostante la chiesa dell’Assunta. Non è del tutto chiaro come funzionasse la difesa in questa parte della cinta muraria, ma è da ritenere che vi fosse un articolato sistema che si collegava al muro esterno del castello che, ovviamente, andava ad occupare la parte apicale di tutta l’area urbana e del quale attualmente si riconosce l’impianto nell’ex palazzo baronale Montaquila-Caracciolo. In questo edificio si alternarono i feudatari di casa Montaquila.
Fonti: testo a cura dell'Architetto Di Meo Domenico su http://www.comune.montaquila.is.it, http://www.francovalente.it/2007/10/05/montaquila-2 (testo a cura di Franco Valente)
Foto: entrambe di Franco Valente, prese da http://www.francovalente.it/2007/10/05/montaquila-2/

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