MONTAQUILA (IS) - Castello
Di
sicuro si può affermare che il territorio di Montaquila, è nominato per la
prima volta nell'VIII sec. d.C., in un atto notarile del luglio 962, menzionato
nel Chronicon Volturnense. Il documento cita l'esistenza nel
territorio montaquilano di una chiesa intitolata ai S.S. Medici Cosma e
Damiano, la quale viene donata dal Duca longobardo Arechi II, tra il 758 e il
760 d.C., al Santo abate Tato, confondatore e II abate di San Vincenzo al
Volturno. Montaquila, dunque, sorse nel periodo alto-medievale e
fu alle dipendenze del monastero stesso forse fino a tutto il periodo normanno.
Il territorio di Montaquila costituiva la parte centrale dei
possedimenti di San Vincenzo al Volturno. Con il periodo militare,
costituito dai Normanni, si ha quindi il mutamento del villaggio Olivella che
venne denominato MONTIS AQUILIS o MONS AQUILUS che può significare tanto monte
dell’aquilone, “luogo o monte dove spira il vento che soffia da settentrione o più semplicemente “luogo cupo”, poiché
“aquilus” in latino può significare anche “folto, denso, cupo” e quindi “Monte
Cupo cioè avvolto da estese zone boschive”.Quest’ultimo potrebbe costituire il
vero significato del toponimo. Dunque nulla ha a che vedere con “le
Aquile” o con l’ipotesi tutta da dimostrare che sul territorio dell’attuale
Comune sorgeva la celebre città sannitica di Aquilonia. I castelli
di Montaquila e Roccaravindola che dominano la strada per la Campania non
furono fondati dal Monastero di San Vincenzo, ma sono menzionati per la prima
volta nel Catalogus Baronum del 1150, dopo che tutta la parte meridionale della
terra era passata dalla parte dei normanni. Montaquila è sempre
stata pertinenza di Terra di Lavoro, come si può facilmente riscontrare dalle
cartografie storiche del Regno di Napoli e fu inserita nel contado del Molise
solo dopo l’Unità d’Italia avvenuta nel 1860. L’abitato più antico
di Montaquila si attesta, con un andamento quasi circolare, sulla parte più
alta di una conformazione naturale che, a causa di interventi urbanistici
sicuramente posteriori all’eversione della feudalità, ha perso il carattere
scosceso originario. Le sovrapposizioni edificatorie del XIX secolo, successive
alla demolizione delle porte e di una parte consistente delle mura di difesa,
rendono difficile la lettura dell’impianto difensivo che genericamente possiamo
definire angioino, anche se esistono ragionevoli motivi per ritenerlo più
antico, almeno normanno. Comunque sia, è da ritenere che in questo periodo una
preesistente cinta muraria sia stata dotata di un sistema di torri a scarpa che
oggi, sia pure malamente, ancora si riconoscono. La prima è contigua al
complesso murario che dobbiamo ritenere essere stato l’originario castello
prima di essere trasformato, secondo il solito, in un edificio baronale con
funzioni esclusivamente residenziali. Tale torre è stata privata della corona
merlata, ma conserva i segni molto rovinati di una feritoia successivamente
murata. Sul muro a scarpa che la collega alla seconda torre è stata impiantato
un edificio che ha conservato l’antico paramento esterno. Sostanzialmente
riparata nella parte basamentale con la sostituzione parziale della scarpa
crollata, presenta caratteristiche che fanno ipotizzare che la parte inclinata
sia una sorta di rinforzo applicato ad un preesistente impianto verticale. La
parte apicale merlata è frutto di una ricostruzione recente, mentre si è persa
ogni traccia delle feritoie che sicuramente esistevano per il tiro radente sul
tratto di muro che in questo punto piega decisamente per raccordarsi alla terza
torre. Il muro di difesa, sebbene molto danneggiato, in questa parte conserva i
caratteri originali a scarpa fino al limite di ciò che rimane di un sistema che
fa pensare alla preesistenza di una portella ormai quasi del tutto scomparsa.
Infatti i ruderi di questa terza torre potrebbero essere quanto rimane
dell’apparecchiatura di controllo di una piccola porta che permetteva l’accesso
al nucleo urbano a conclusione di un modesto percorso esterno che seguiva
l’andamento avvolgente della cinta muraria. Della torre gemella della piccola
porta non rimane traccia, ma il disegno planimetrico generale, che in questo
punto vede piegare il muro quasi ad angolo retto, impone di immaginarne la
preesistenza. Di un’altra torre immediatamente vicina rimangono tracce
nell’impianto degli edifici che dal XIX secolo in poi si sono attestati sulla
linea muraria meridionale. Da questa piccola torre, totalmente inglobata nelle
sovrapposizioni e trasformata recentemente in modesta cappella privata della
famiglia Rossi, il muro proseguiva a scarpa completando il giro del nucleo
urbano con andamento a linea spezzata con piccoli tratti rettilinei molto
probabilmente raccordati da non meno di quattro torri ormai del tutto
scomparse. Su questo tratto di murazione si sviluppava il piano di ronda che
corrisponde all’attuale via Plebiscito fino a raggiungere la porta principale
dell’abitato che era sistemata nell’area retrostante la chiesa dell’Assunta.
Non è del tutto chiaro come funzionasse la difesa in questa parte della cinta
muraria, ma è da ritenere che vi fosse un articolato sistema che si collegava
al muro esterno del castello che, ovviamente, andava ad occupare la parte
apicale di tutta l’area urbana e del quale attualmente si riconosce l’impianto
nell’ex palazzo baronale Montaquila-Caracciolo. In questo edificio si
alternarono i feudatari di casa Montaquila.
Fonti:
testo a cura dell'Architetto Di Meo
Domenico su http://www.comune.montaquila.is.it, http://www.francovalente.it/2007/10/05/montaquila-2
(testo a cura di Franco Valente)
Foto:
entrambe di Franco Valente, prese da http://www.francovalente.it/2007/10/05/montaquila-2/
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