martedì 28 febbraio 2012

Il castello di martedì 28 febbraio





CALDAROLA (MC) – Castello Da Varano in frazione Pievefavera

Risalente al XIII secolo, conserva quasi intatta la struttura muraria con tre cortine e quattro torri, di cui una trasformata in campanile. La struttura urbana di Pievefavera è giunta praticamente intatta sino ai giorni nostri; si dispone secondo uno schema a lisca di pesce e si estende lungo il pendio degradante verso la valle del Chienti ed il sottostante lago. Si individuano tre tracciati di fortificazioni. Il nucleo centrale di tutto l'insediamento è la Pieve della quale si hanno notizie documentate sin dal XII secolo. Il secondo e' individuabile nelle mura appartenenti al blocco edilizio dove nel 700 si è addossata una fontana. Il terzo, ascrivibile al XVI secolo, è quello che delimita il centro antico costituito da un torrione poligonale a nord uno esagonale a sud, edificato da Giovanni Da Varano, e cinque torri quadrangolari. I tracciati presentano tre portali a sesto acuto. Nell'insieme, Pievefavera si presenta fortificata su quasi tutto il perimetro (ad eccezione del lato nord-ovest dove le mura sono state inglobate dal palazzo signorile o "palatium" e in parte demolite) con cortine verticali in pietra calcarea bianca. In seguito alla caduta dell'Impero Romano, Pievefavera seguì le sorti di tutti quei piccoli centri montani che per continuare a vivere si arroccarono in luoghi impervi, al sicuro di mura castellane. La cellula germinativa del nuovo insediamento fu la pieve; i documenti più antichi nei quali si fa espressamente menzione della "plebs" sono pergamene descrittive delle proprietà dell'Abbadia di Fiastra risalenti al 1170. Da questo momento la storia di Pievefavera fu strettamente legata alle vicende del Comune di Camerino che nel periodo compreso tra il XIII sec. e l'inizio del XVI sec. realizzò il più grosso ed efficiente sistema difensivo della Bassa Marca. La posizione strategica di Pievefavera a difesa del confine in direzione sud-est e come vedetta verso Tolentino e Sanginesio, nonché il suo peculiare rapporto diretto con la famiglia dei Varano che dominò in Camerino per circa tre secoli, l'importanza stessa della pieve in possesso (fino al 1453) dell'unica fonte battesimale della zona, decretarono la superiorità del borgo fortificato rispetto a quelli limitrofi e la sua sopravvivenza nei secoli. Il vincolo strettissimo di Pievefavera con la famiglia titolare della Signoria è testimoniato da diversi documenti; fra i più significativi ricordiamo: 1263 - Guido, Vescovo di Camerino, confermò gli antichi diritti di giurisdizione ecclesiastica e civile di patronato ai nobili Da Varano, 1350 - Gentile II Da Varano vietò agli eredi la vendita o cessione del giuspatronato di Pievefavera, 1403 - Rodolfo, figlio di Gentile ottenne la conferma canonica del diritto esclusivo della famiglia Varano di eleggere e nominare il plebano di Pievefavera. Cosi come l'espansione fortificata fu in stretta connessione alla crescita del comune di Camerino, la sua decadenza, o meglio l'arresto della crescita della sua struttura castellare seguì il declino della famiglia Da Varano che viene esautorata nel 1434. Camerino dopo un decennio di repubblica e un ritorno dei Da Varano nella figura del Principe Giulio Cesare, nel 1502 fu definitivamente conquistato da Cesare Borgia e da Giovanni Borgia governato sino al 1539 anno dell'incameramento del Ducato di Camerino da parte della Sede Apostolica. Alla fine del Ducato dei Da Varano il "palatium" e le proprietà passarono ai marchesi Sparapani di Camerino.

domenica 26 febbraio 2012

Il castello di lunedì 27 febbraio





UMBERTIDE (PG) – Castello in frazione Serra Partucci

L´attuale struttura, in posizione dominante tra i torrenti Reggia ed Assino, fu edificata sulle rovine dell´antico castello, risalente forse al secolo XII e distrutto nel 1420 da Giacomo Baglioni, luogotenente di Braccio Fortebracci. Il nome sembra che derivi da tal Partuccio, il quale sarebbe stato il primo Signore di Serra. Sottoposto per tantissimi anni alla giurisdizione di Gubbio, il territorio della Serra venne unito, nel 1827, a quello di Civitella Ranieri, per entrare a far parte nel 1863 del Comune di Umbertide. Il castello, oggetto negli anni passati di importanti lavori di consolidamento, non è visitabile. Proseguendo verso l´alto, oltrepassata la località di Campaola, si arriva all´antico borgo di San Faustino. Cercando informazioni sul maniero in rete, ho trovato un sito con un progetto di restauro e riqualificazione dell’edificio storico per la realizzazione di un Hotel**L e SPA, dotato di 20 camere, ristorante, loungebar, biblioteca, piscina e parco storico. Non ho idea di quali sviluppi ci siano stati…

Il castello di domenica 26 febbraio



VITTORIA (RG) – Castello Colonna Enriquez

La città di Vittoria fu fondata nel 1607 dalla contessa Vittoria Colonna, sposa di Ludovico III Henriquez de Cabrera conte di Modica dal 1596. Morto il marito, la contessa si trovò a dover fronteggiare gravi difficoltà economiche provocate dalle spese di rappresentanza inconsulte cui Ludovico III si era dato nella circostanza del matrimonio di Filippo III, re di Spagna, con Margherita d'Austria nel 1599. Vittoria Colonna decise di richiedere al re di Spagna la concessione di un privilegio regio per la fondazione di un nuovo insediamento, che le avrebbe consentito di risollevare le sorti del patrimonio familiare. La richiesta venne accolta, ed il privilegio regio, concesso dal re Filippo III il 31 dicembre 1607 a Madrid, dispose la riedificazione dell'antica Kamarina, con il nome di Vittoria, in onore della sua fondatrice. Il nucleo cittadino sorse attorno al castello, appaltato il 4 Marzo 1607, probabilmente su preesistenze di origine medievale, e alla chiesa Madre. Il castello era il simbolo del potere armato del barone (al tempo castellano e sovrintendente della città), il quale, attraverso un fedelissimo esecutore dei suoi ordini, da una parte proteggeva l’abitato come suo possedimento, dall’altra lo sorvegliava incutendo timore e riverenza. Accanto ad esso furono costruiti i magazzini frumentari della corte, per raccogliere e conservare i frumenti e gli orzi che annualmente venivano versati come “terraggio” dagli enfiteuti e dagli affittuari della nuova terra di Vittoria. Questi magazzini erano costituiti da grandi silos scavati in spaziosi locali sotterranei, suddivisi in senso trasversale, che si susseguivano uno dopo l’altro ed erano comunicanti tra loro. Oggi si può accedere ai primi due locali dei magazzini frumentari, mentre vi sono alcuni sotterranei inesplorati. Il tutto necessita di opportuno restauro. Il castello Colonna Enriquez al piano terra conserva parte delle originarie strutture realizzate con piccoli blocchi di arenaria locale ben squadrata, con questi sono girate le volte a botte poggianti su spessi muri dove appaiono evidenti le suture dei blocchi, i quali, nel senso verticale, non sempre si alternano. Nella parte antica, fra le due lesene di centro, si trova un grande portone ricoperto in lamiera che immette in un vasto atrio dal quale si accede, attraverso due portici strombati, in due camere rettangolari; di fronte c’è una bellissima trifora, al centro di questa si apre un corridoio con volta a botte che immette nel cortile retrostante. Questo cortile è costituito da un muro pieno a sinistra, da un muro frontale il quale presenta cinque archi vuoti fino a terra, di cui due guardano sulla Valle dell’Ippari, e a destra da un muro pieno di oltre tre metri portante sulla struttura tre archi bassi che consentono, dal piano superiore del castello, risalente all’Ottocento, la vista verso il mare. A destra e a sinistra ci sono due piccoli locali rettangolari con due volte a botte, disposte ad altezza diversa; su queste, anticamente, si impostavano le due rampe di scale che, partendo dal cortile, si riunivano portando sul terrazzo con i merli. I locali sottostanti costituivano, quello di destra il dormitorio e quello di sinistra la gendarmeria. I due locali più piccoli servivano come deposito di armi, munizioni e viveri. Nel 1612 fu aggiunto il primo piano con le stanze per l’abitazione del conte o del castellano. Nel 1643, la nobildonna Vittoria Colonna fece eseguire dei lavori di ristrutturazione e restauro sia al quartiere abitato che alle vecchie stanze del castello, al corridoio, alla scala ed ai magazzini; questo in previsione della visita di Giovanni Alfonso a Vittoria ed anche per l’imminente insediamento nel castello del barone Giovanni Grimaldi, invitato a risiedervi come castellano oltre che sovrintendente. A lavoro ultimato il Castello presentava: cinque stanze abitative ed una sala rimessa a nuovo; il corridoio e la scala di accesso al primo piano riparati opportunamente; le volte delle stanze, i sottotetti ed i tetti completamente rifatti, come pure le docce e i doccioni per le acque piovane da convogliare nella cucina del luogo; un grande vano a pianterreno, una cucina, un’anticucina costruiti in aggiunta al resto dell’edificio; il portone d’ingresso allestito con legno di quercia e cardini lunghi secondo la sua altezza; nuovi tendaggi alle finestre. Dopo il restauro del Castello ebbe luogo la prevista venuta del Conte insieme alla sua famiglia e ad un folto seguito di nobili e dignitari della corte vicereale, oltre ai soldati di scorta ed al personale di servizio. Con il terremoto del 1693, i locali superiori, l’elegante scala semiesterna di accesso, gran parte del prospetto e delle volte delle camere prospicienti la piazza crollarono, e furono necessari ulteriori lavori di restauro continuati nel 1787, quando i locali dell’ex sottoscala vennero riuniti a due a due per realizzare le due cellette che si trovano nella trifora attuale. L’edificio dal 1816 al 1950 fu adibito a carcere mandamentale dal Comune di Vittoria. Abbandonato per alcuni anni, venne in seguito restaurato divenendo Museo Civico Polivalente. Nei locali del pianoterra è allocata, provvisoriamente, la sede del Consorzio di Tutela del Vino Cerasuolo DOCG di Vittoria. Purtroppo sul web non sono riuscito a trovare valide immagini del castello, ho dei dubbi che quella inserita rappresenti effetivamente questo monumento. Se in futuro riuscirò a procurarmi di meglio lo aggiungerò alla pagina.

sabato 25 febbraio 2012

Il castello di sabato 25 febbraio



MONASTERACE (RC) – Castello

Un primo castello fu edificato sotto i bizantini (X-XI secolo) per dare una certa sicurezza al primo nucleo costruito in seguito alla distruzione di Caulonia. Il centro del paese fu sgombrato dalle case dei contadini per dare spazio necessario alla sua costruzione e per apprestare un nuovo sistema di difesa contro i Turchi. Il castello nel corso dei secoli subì ampliamenti, manipolazioni ed anche ricostruzioni a seguito soprattutto dell'avvento delle armi da fuoco e del degrado apportato dall'assalto predatorio d'incursori e di terribili sismi. L'attuale struttura risale al Cinquecento. E’ a forma quadrata - il lato esterno misura circa 42 metri - con il piano base che è elevato dal terreno dagli otto ai quindici metri a seconda del dislivello del terreno. Gli angoli del castello sono rinforzati da quattro torri a forma di parallelepipedo a base rettangolare. Al suo interno vi è un ampio cortile, lungo metri 18 e 60 e largo metri 16 e 50, al centro del quale vi è una profonda ed ampia cisterna che serviva per accogliere l’acqua piovana attraverso un sistema di tubature. È privo di merlatura per i danni subiti nel corso dei sismi del 1659 e del 1783 e non più ricostruita perché ritenuta inutile per i nuovi sistemi di difesa. Sotto la dominazione aragonese fu dominio dei Principi Caracciolo dal 1347 al 1464 quando Luigi Caracciolo lo passò agli Arena Conclubet, signori di Santa Caterina (nel 1486 la casata d'Arena dei Conclubet rimase coinvolta nella congiura dei Baroni contro il re Ferrante d’Aragona e fu privata delle terre) che nel 1478 lo diedero al cosentino Guglielmo Monaco per volontà del Duca Alfonso di Calabria, figlio di re Ferrante. Nel 1486 fu acquistato dal patrizio napoletano Silvestro Galeota i cui discendenti ne tennero il possesso fino al 1654 col titolo di Principi di Monasterace, per passare quindi al maestro di Campo Don Carlo della Gatta che assunse il titolo di principe (1647 ca.), al Principe Giacomo Pignatelli Duca di Bellosguardo (1680 ca.), dal 1705 al Marchese Domenico Perrelli di Tomacelli e ai suoi discendenti col titolo di duchi, ai baroni Abenante (1750-1806), ai Martucci, al Barone Giacomo Oliva (già nel 1844), al barone Scoppa, alla famiglia del Marchese Di Francia. Questi nel 1919-22 vendette il castello a Giuseppe Sansotta che a sua volta lo rivendette a diverse famiglie del luogo che ancora lo abitano ma che lottizzandolo ne deturparono l'aspetto originale. L’accesso al maniero avveniva mediante un ponte levatoio dal lato ovest. In epoche a noi vicine, il ponte levatoio è stato sostituito da un collegamento stabile in muratura ( un ponte sorretto da un arco in mattoni), che immette nel cortile attraversando un portale che conserva ancora caratteri costruttivi originari. L’entrata appare oggi stretta per la costruzione successiva di corpi aggiunti. Nel sottosuolo esistono alcuni vani che successivamente sono stati trasformati in ambienti abitativi dagli ultimi proprietari. Di fronte al portone d’ingresso si trova una scalinata che conduce al piano superiore. A sinistra dell’entrata vi è una vecchia porta che permetteva di scendere attraverso due rampe di scale nella parte bassa del castello costituita da quattro cunicoli comunicanti con l'esterno. Attraverso il primo cunicolo si comunicava con l’esterno presso la località Vallone, lato sud del paese. Dallo stesso versante, un altro cunicolo comunicava con l’esterno presso la fontana antica ovvero vicino all’abbeveratoio degli ani¬mali, sito in contrada Signore Iddio. Il terzo cunicolo comunicava con l’esterno presso la località Oliveto, posta al lato nord del paese. Infine il quarto cunicolo, il più lungo, comunicava con la zona presso il mare non lontano dal Faro Punta Stilo. I cunicoli avevano lo scopo di permettere ai contadini, intenti a svolgere i lavori dei campi, a riparare nel castello durante le minacce in vista dei saraceni e dei turchi. L’allarme avveniva per mezzo di segnalazioni tra gli uomini di guardia sulle torri del litorale e le guardie all'erta sulle torri del castello. I cunicoli servivano inoltre per deposito di riserve alimentari e per alloggi delle guardie del feudatario. Di interesse è anche la stanza situata nell’angolo a nord-ovest, un tempo adibita a prigione.

venerdì 24 febbraio 2012

Il castello di venerdì 24 febbraio



GROTTERIA (RC) - Castello normanno

I suoi ruderi sono posti nel punto più alto del centro abitato di Grotteria, in posizione dominante sulla Vallata del Torbido. Il complesso, che occupa una vasta area, ha subito diverse modifiche e ristrutturazioni nei secoli, ma presumibilmente fu costruito in periodo normanno su una su una preesistente struttura forse di origine bizantina. Il maniero nacque come fortezza e non come abitazione. Nelle mura, infatti, sono ancora visibili fessure dalle quali si sorvegliavano costantemente le zone sottostanti. Del castello rimangono parte delle mura perimetrali, i resti di due torri (una a nord del castello a forma circolare e l’altra a metà delle mura a forma semicircolare), il mastio, anch'esso a pianta circolare, la cisterna idrica e un portale in granito semidistrutto (ad arco a tutto sesto - la chiave di volta e tutta la parte superiore sono crollati nel 1985 - ed era composto da pietre squadrate di pietra granitica e molto probabilmente in origine era dotato di un ponte levatoio). Il paese risulta fortificato e cinto da mura già nel 1100, sotto Federico II (periodo Normanno). Nel periodo Angioino (XIII sec.) la politica principale che venne seguita fu quella volta alla costruzione di importanti reti costiere di torri, questo serviva a mettere in comunicazione i centri dell’entroterra, come Grotteria, con la costa dove avvenivano gli sbarchi dei corsari. Troviamo conte di Grotteria nel 1283 Giovanni Ruffo di Calabria; nel 1296 l’ammiraglio Ruggero Di Lauria (poi conte di Mileto e Terranova); nel 1303 fu signore di Grotteria Raimondo Del Prato; dal 1313 al 1342 la famiglia aragonese De Luna; Antonio Caracciolo conte di Gerace nel 1363, passò in possesso della contea di Grotteria che per 92 anni rimase inserita nello stato feudale della contea di Gerace. Con privilegio di Re Alfonso I° d’Aragona del 1° gennaio 1458 divenne conte di Grotteria Marino Correale, il quale ottenne queste terre sottraendo i titoli ai Caracciolo, cioè dalla contea di Terranova. Vincenzo Carafa barone di Castelvetere e Roccella, il 18 ottobre 1496 ottenne in concessione da Re Federico, la baronia di Grotteria con le sue dipendenze, da conseguire dopo la morte di Marino Correale; nel 1576 la contea passò ad Alfonso d’Aragona De Ajerbe, già terzo ed ultimo conte di Simeri, barone di Brancaleone e Palizzi, che acquistò la terra di Grotteria per la somma di 50.000 ducati da Marcello Ruffo, insieme al diritto di ricomprare i casali di Mammola e Agnana in virtù della vendita fattagli. Il 5 febbraio 1783 un terremoto spaventoso sconvolse gran parte della Calabria Ultra, provocando migliaia di morti e devastazioni che cancellarono interi villaggi e paesi. Molti edifici importanti della zona andarono distrutti, come ad esempio la Cattedrale di Gerace; molte chiese e monasteri furono completamente rasi al suolo; così come molte case povere le quali si "sbriciolarono"; lo stesso castello di Grotteria fu definitivamente compromesso. Prima del suo definitivo abbandono, l'edificio era stato destinato a carcere ma già nell'Ottocento era ridotto a rudere. Nel 1952, durante l'anno mariano, di fronte a questo ingresso, è stato costruito un obelisco (alto circa 7 metri) con in alto la statua della Madonna Immacolata. A cavallo degli anni '70 e '80 erano stati preparati diversi progetti per il recupero dell'intero complesso, ma i lavori non furono mai approvati, per cui si rischia di perdere per sempre questo patrimonio storico-culturale, libro aperto e testimone del nostro passato. Al castello è legata una leggenda. Si racconta che tra i suoi ruderi sia nascosto un favoloso tesoro che nessuno è mai riuscito a trovare. Pare, infatti, che tutti coloro che ci hanno provato siano stati strangolati da lunghi serpenti, usciti improvvisamente dal terreno. Solo chi riesce a superare questa prova potrà impossessarsi del tesoro che è custodito da una gallina dalle uova d’oro. Beato chi ci crede.....

giovedì 23 febbraio 2012

Il castello di giovedì 23 febbraio





BUCINE (AR) - Castello di Montebenichi

Montebenichi è situato sulla sommità di un rilievo, digradante da Monteluco, che separa il Chianti dal Valdarno mediante il vallone dell’Ambra. Si suppone che l’antico castello abbia avuto origine da un insediamento longobardo nel quale vennero accolti anche i superstiti di alcune sedi etrusco-romane limitrofe quali La Pieve, La Selva e Monte di Rota. L’origine longobarda di Montebenichi sarebbe confermata dal nome stesso che, secondo il Pieri (1969), deriva da una riduzione di “Benicolo”, diminutivo a sua volta del longobardo “Benuald”. Toponimi con la stessa radice si trovano anche in altri contesti territoriali, ad esempio a Castelnuovo Berardenga (Si) dove esiste un Poggio Benichi e a Roccastrada (Gr) dove abbiamo un Poggio Bonicoli. Del castello primitivo restano poche tracce, mentre invece si notano le vestigia di una torre e di alcuni tratti del circuito murario, risalenti alla fine del XV o all’inizio del XVI secolo. Nel tardo medioevo il castello appartenne agli Ubertini, che nel 1385 lo cedettero in accomandigia alla Repubblica fiorentina. Trovandosi Montebenichi al confine col territorio senese, fu spesso teatro di scontro tra Siena e Firenze e più volte venne saccheggiato. L’episodio più disastroso della sua storia fu il saccheggio subito ad opera degli aragonesi nel 1478,che portò all’abbattimento del fortilizio. L’esercito del papa, alleato con gli aragonesi contro Firenze, entrò nel territorio fiorentino e il 27 luglio 1478 pose l’assedio al castello di Brolio in Chianti. Giovanni della Rovere, nipote di Sisto IV, diede l’assalto al castello che, nonostante la difesa disperata dei suoi occupanti, fu espugnato, saccheggiato e incendiato, mentre tutti gli uomini furono fatti prigionieri. La ricostruzione di Montebenichi avvenne probabilmente tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo. Dai primi anni settanta del Settecento l’abitato fa parte del Comune di Bucine. Il nucleo centrale di Montebenichi è costituito da una piazzetta (piazza Gorizia), con antico pozzo, sulla quale si affacciano alcune abitazioni. Questa piazza è dominata da un “castelletto”, ritenuto parte integrante del sistema difensivo originario, restaurato nella forma attuale tra il 1901 e il 1907. Oggi il castello è un lussuoso albergo, ricco al suo interno di arredi e collezioni di assoluto valore storico. Per approfondire si può visitare il seguente sito: http://www.castelletto.it

mercoledì 22 febbraio 2012

Il castello di mercoledì 22 febbraio



GRUMELLO CREMONESE ED UNITI (CR) – Villa-Castello Affaitati Trivulzio

Anticamente Grumello Cremonese apparteneva al fondo dei Dovara. Dai Dovara passò a Filippo Gonzaga, per dote, nel 1360. Nel XIV secolo i Visconti vi eressero un castello, utilizzato pure, analogamente a quello di Pandino, come luogo di villeggiatura. Nel 1404 fu conquistato da Cabrino Fondulo, indi ripreso dal generale visconteo Facino Cane. Poi se ne hanno notizie sicure solo nel 1525, quando Francesco II Sforza ne investì Giovan Battista Affaitati. Estintasi la famiglia nel 1660, il feudo passò ai Belgioioso. La Villa venne eretta nella seconda metà del Cinquecento da Gian Carlo Affaitati, sui resti dell'antico castello visconteo, secondo quanto ricorda una lapide murata in luogo, nel 1597. Posta nella parte settentrionale dell'abitato di Grumello, paese situato tra Pizzighettone e Cremona, è un significativo esempio di residenza castellata cinquecentesca. A suggerire una preesistenza fortificata nel luogo concorrono sia la posizione del nucleo abitato, sull'orlo di un terrazzamento dell'Adda, sia la conformazione del contorno sud occidentale del complesso, delimitato da una scarpata e da una roggia, e infine la presenza, sull'angolo di mezzogiorno, di una torre isolata, posta in corrispondenza dell'unico ingresso che dal paese introduce al cortile esterno della villa e che svolgeva chiaramente funzioni di torre di guardia. Questa torre è contraddistinta da un arco di ingresso ogivale, sormontato dagli alloggiamenti per i bolzoni di uno scomparso ponte levatoio e fiancheggiato da una pusterla, al di sopra della quale si trova la caratteristica impronta della forcella per sostegno e manovra della corrispondente ponticella levatoia. Un significativo richiamo a forme castellane viene fornito anche dalle due torrette, forse innalzate sulla base di analoghe preesistenze, che concludono verso occidente le due ali della villa delimitanti il secondo cortile. L’elegante complesso, il cui progetto viene attribuito dalla critica agli architetti cremonesi Francesco Dattaro e al figlio Giuseppe, attivi a Cremona, in quei medesimi anni, per gli stessi Affaitati, è disposto intorno a tre cortili. Il primo cortile presenta un bel giardino all'italiana, separato dalla campagna circostante da un'iconostasi con arco trionfale al centro. Dal giardino si accede al cortile interno, superbo esempio di architettura manieristica, porticato su due lati. Le arcate a serliana poggiano su colonne tuscaniche binate. Verso il fossato possiamo ammirare un elegante portale sormontato da timpano, compreso entro due torrette. L'edificio ha mantenuto la sua originaria destinazione a dimora privata di campagna; lo stato di manutenzione è discreto. Oggi è una rinomata location per ricevimenti, come si può vedere nel seguente sito internet: www.villaaffaitati.it

lunedì 20 febbraio 2012

Il castello di lunedì 20 febbraio


PERUGIA – Castello di Monterone


Conosciuto anche come Castello Piceller, è un castello che si erge sul crinale di una collina dominante una piccola vallata, lungo la strada che conduce da Perugia ad Assisi attraverso Ponte San Giovanni (la via regale San Pietro, così nominata nel 1070 d.c.), a breve distanza dal monastero di San Pietro e dalla chiesa di San Bevignate; questa strada è una delle cosiddette vie regali, strade che in epoca medievale conducevano fuori dalla città attraverso le porte principali (Porta di San Pietro o Porta Romana nel nostro caso), lungo un asse viario già utilizzato dagli Etruschi e dai Romani, e che servivano anche a delimitare gli antichi contadi di Perugia. Risale agli inizi del XIII secolo, come documentano le prime notizie storiche. Presso l'archivio della città di Perugia esiste un documento datato 18 gennaio 1200 che prova l'esistenza di un edificio in località Monterone. Il documento presente nell'archivio della città attesta che, nel 1200 Gerardo di Ugolino di Alberico, facendosi cittadino perugino, sottomise al console Bernarduccio le sue proprietà che aveva nel colle “appresso Montarone”. E' interessante a tal proposito leggere le parole di padre Felice Ciatti (storico del XVII secolo) che, nelle “Memorie Annali et Historiche delle cose di Perugia”, edito presso Angelo Bartoli in Perugia nel 1638, scrive: “ essendo Potestà di Perugia Zeo di Peroscio, un Gerardo di Ghisliero di Alberico, lì 14 di Gennaro giurando voler essere cittadino perugino, sommise sé e la terra che aveva nel colle vicino a Monturreno detto Montarone, e tutte l'altre cose, che aveva nel contado di Perugia; promettendo voler soggiacere a tutti i pesi e uffitii della Città, giurando voler ciò in perpetuo osservare” (libro VIII pag.260). Girardo di Ghislerio era signore di Sasso Rosso, un feudatario fuoriuscito da Assisi. La sua sottomissione al comune di Perugia (cui seguirono 5 giorni dopo quella del fratello Fortebraccio e di suo nipote Oddo) è da inserirsi nel contesto della rivalità tra Assisi e Perugia che spesso sfociava in veri e propri conflitti. Quella utilizzata dal signore di Sasso Rosso, e dalla sua famiglia, era una vecchia tattica che i feudatari italiani avevano appreso dall'imperatore: approfittare delle città in lotta tra loro, mettersi sotto la protezione del comune nemico per vendicarsi e salvare ciò che era possibile salvare. Una leggenda popolare narra che il futuro san Francesco, che assieme a tanti giovani assisani fu fatto prigioniero nella battaglia di Collestrada del 1202, fu imprigionato proprio all'interno del Castello di Monterone. Circa sessant'anni più tardi, a meno di un chilometro da dove sorge ora il castello, venne costruita dai Templari la chiesa di San Bevignate con annesso il convento, il più importante insediamento templare dell'Umbria. Secondo una tradizione diffusa e supportata da alcuni importanti storici ed eruditi dell'Ottocento, il Castello di Monterone divenne parte integrante delle proprietà templari, come luogo di accoglienza o per alloggiare i servitori laici. Secondo la tradizione popolare esisterebbero ancora oggi dei passaggi sotterranei che collegano il Castello di Monterone con la chiesa di San Bevignate. Nel 1312 Papa Clemente V con la bolla Vox in Excelso, emessa durante il concilio di Vienna, soppresse l'ordine dei templari e proibì qualsiasi forma di ricostituzione dello stesso. Il Castello di Monterone, molto probabilmente, fu abbandonato per lungo tempo, seguendo la triste sorte dell'ordine templare e del cenobio che proteggeva. Durante il periodo comunale, il castello, in virtù della sua posizione strategica, venne utilizzato come torre di avvistamento per proteggere e controllare l'accesso alla città. Tra il XIV secolo e il XVI secolo numerose guerre sconvolsero il comune di Perugia. Internamente il potere era conteso tra Raspanti (borghesia artigiana) e Beccherini (popolo minuto che sosteneva i nobili), questa litigiosità interna coinvolgeva poi una serie di potentati (il papato, la signoria di Milano), interessati ad estendere il proprio controllo sulla città, approfittando della conflittualità esistente. In questo periodo il Castello di Monterone subì danni ingenti a causa delle scorrerie delle milizie di condottieri e capitani di ventura come Braccio da Montone o Malatesta Baglioni, assoldati dalle fazioni in lotta per riuscire ad avere la meglio sugli avversari (A. Fabretti, nel volume I delle “Cronache della città di Perugia”, ricorda gli accampamenti di Braccio da Montone il 4 maggio 1416 e quello di Malatesta Baglioni il 1º maggio 1582, nei pressi di San Bevignate). A partire dal XVII sec., i documenti e le testimonianze riguardanti il castello diventano sempre meno frequenti e complete; sappiamo solo che per circa tre secoli si alternarono lunghi periodi di abbandono a periodi in cui il castello venne abitato e modificato a seconda delle necessità dei proprietari. Sul finire del XVIII secolo il castello appartenne ai conti Ansidei e Giovanni Battista Vermiglioli la definì come “villa suburbana", a dimostrazione dei significativi lavori di ampliamento. Nel XIX secolo il Castello di Monterone venne acquisito dalla famiglia Piceller. Originari di S.Ulrico in Val Gardena (oggi Ortisei) i Piceller si stabilirono a Perugia sulla fine del Seicento dove acquistarono alcune case in via della Pesceria (l'attuale via Oberdan) e vari terreni fra i quali fu preferito per residenza quello di Monterone. Numerosi furono i membri della famiglia che si distinsero per meriti artistici o sociali, tra questi ricordiamo Giuseppe, amico di Francesco Morlacchi, valente flautista e fondatore della prima banda musicale perugina e Bernardino Piceller, pittore e disegnatore finissimo che dipinse numerose tele di soggetto storico e sacro. Agli inizi dell'Ottocento i Piceller accumularono una ingente fortuna nel commercio di ferramenta con Epiteto di Cristoforo. Il figlio di Epiteto, Alessandro, è una figura cardine nella storia del Castello di Monterone. Archeologo per diletto e antiquario (fu forse il primo ad esercitare professionalmente a Perugia), Alessandro Piceller ristrutturò e ampliò in maniera significativa il castello, sulla scorta di quanto già aveva fatto con la “casetta Piceller”, un'edicola o cappellina di impianto trecentesco, in località Collestrada, ristrutturata e riadattata a casetta campestre in stile del Quattrocento perugino. I lavori di ristrutturazione furono diretti da Filippo Lardoni e, in seguito, da Alessandro Arienti, gli stessi architetti autori del progetto del cimitero monumentale di Perugia. Il 23 novembre 1849, il vescovo Vincenzo Gioacchino Pecci (futuro Papa Leone XIII) inaugurò il castello. Alessandro Piceller non si limitò a ristrutturare la vecchia struttura medievale e ad ampliarla ma l'arricchì di elementi architettonici come bassorilievi, statue, un piccolo rosone, balconcini in pietra, bifore e numerosi altri oggetti di varie epoche storiche. La corte, delimitata da colonne rotonde con capitelli in marmo (anch'essi acquisiti da Piceller nella sua attività di archeologo e antiquario) venne decorata con urne e bassorilievi etruschi di grande importanza storica. Questo eclettismo, questo gusto romantico del recupero di elementi del passato nonché l'uso dei più diversi materiali (arenaria, pietra serena, laterizio, pietra rosa e bianca) fanno del Castello di Monterone un unicum nel suo genere, diverso dagli altri esempi coevi del XIX secolo presenti in Umbria. Tra le innumerevoli opere di pregio presenti nel castello vanno sicuramente citati gli affreschi rappresentanti le insegne dei capitani di ventura del tardo Medioevo, dipinte dallo stesso Matteo Tassi che decorò la Sala dei Notari nel palazzo dei Priori di Perugia, l'affresco staccato dalle pareti di un tabernacolo viario, con una Madonna di Loreto e i santi Pietro e Paolo, nel quale è facile ravvisare la mano di Cristoforo di Jacopo da Foligno. Il 20 ottobre 1929, in seguito alla morte di Alessandro Piceller e agli eventi storici che si verificarono poco tempo dopo, il castello conobbe un nuovo periodo di abbandono. Durante la seconda guerra mondiale, l'edificio venne adibito a ricovero per gli sfollati. I bombardamenti, l'abbandono e il successivo utilizzo del castello, ne causarono un grave danneggiamento. Oggi, dopo un importante lavoro di restauro dovuto all'iniziativa della famiglia Capaccioni, teso a recuperare e mantenere la struttura ottocentesca della struttura, il castello è tornato all'antico splendore. Questa idilliaca dimora immersa nella campagna umbra è un vero gioiello, una tesoreria d’arte con splendide sale affrescate e riccamente ornate. Alcune di esse infatti possiedono insegne di capitani di ventura del tardo Medioevo, altre invece sono costruite interamente con pietra a vista ed hanno antichi camini, preservando l'atmosfera suggestiva dell'edificio merlato. Oggi l’edificio ospita un albergo di lusso, dotato di ristorante e 18 stanze per la clientela.Fra le varie camere meritano una segnalazione quella del Cardinale, che reca un emblema cardinalizio, e quella del Duca, con un emblema  riferibile al Ducato di Montefeltro. L’ Hotel è dotato inoltre una ricca biblioteca multilingue dove gli ospiti possono, in tutta tranquillità, approfondire le proprie conoscenze. Il Castello di Monterone è scenografico anche all’esterno: circondato da uno straordinario giardino, ben curato, ricco di piante e fiori, si estende su un’area superiore ai 6000 mq, nella quale c'è anche il “roseto delle signore”, con oltre duecento rose. Accanto ad un caratteristico pozzo, unico nella sua antichità, si innalza, altissimo, un cipresso secolare; ma la pianta che indubbiamente cattura l’attenzione di tutti è una rosa antica, selvatica. E’ la rosa della varietà Banksia, originaria della Cina centrale, dove la pianta cresce spontanea. Introdotta in Europa da W. Kerr, nel 1905, fu portata in esposizione a Nizza da dove poi si è diffusa. Con i suoi svariati cm di circonferenza del tronco potrebbe essere proprio questo esemplare di rosa una delle primissime importazioni italiane. Ogni castello vuole il suo fantasma e quello di Monterone non è da meno; si narra infatti  che l’ombra di uno spettro si aggiri per le stanze e nel giardino,  forse il suo spirito altèro ripercorre antichi passaggi segreti come quello che si trova inserito nella boiserie in legno del salotto del bar. Si dice sia un templare con la sua sopravveste bianca crociata secondo l’usanza dell’Ordine dei Templari. Il castello ha un sito internet che è il seguente: http://www.castellomonterone.it

Fonti:  http://www.castellomonterone.com, testo di Samantha Lombardi su http://www.ilpatrimonioartistico.it/il-castello-di-monterone-o-piceller/, http://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Monterone

Foto: non ricordo la fonte della prima....mentre la seconda è presa da http://www.hotelsperugia.it/monumenti/castello-di-monterone/

domenica 19 febbraio 2012

Il castello di domenica 19 febbraio





SENIS (OR) – Castello Funtana Menta (o Palazzo Baronale)

E’ fra i più antichi edifici militari della Sardegna; eretto in zona “Su Casteddu” sul colle di Funtana Menta, a 291 m di quota, vero e proprio balcone naturale sulla vallata del Flumini Imbessu. Venne costruito in epoca giudicale col doppio scopo di difendere la zona da nuove incursioni barbaresche e impedire alle popolazioni della Barbagia di scendere a valle per depredare i contadini del loro raccolto. Scelta come residenza baronale, Senis custodisce il ricordo di vicende legate a personaggi e ad ambienti della nobiltà feudale che dominarono l'omonima Baronia. Il fermento originato dall'ambiente feudale contribuì a conferire al paese un ruolo centrale dal punto di vista culturale ed artistico. Sotto il dominio aragonese vide il susseguirsi di signorie baroni tra i quali ricoprì l'incarico di primo signore di Senis (1417-1421), Luigi Ludovico Pontos, nominato direttamente dal re don Alfonso di Aragona. Nel 1421 il feudo venne acquistato da Francesco Carbonell sotto il cui dominio rimase fino al 1432, anno in cui venne acquistato da Pietro Joffrè (1432-1460) con il titolo di primo Barone, ottenendo dal re il privilegio di trasmettere l'eredità alle figlie femmine, in assenza di maschi. Un complesso intreccio di fatti e figure interessò il paese per secoli fino al riscatto del feudo da parte dei Savoia, dopo la morte dell'ultimo barone nel 1835. Sul luogo dell’antico castello, del quale rimane una grande torre, venne edificato nel 1662 un palazzo baronale, oggi completamente restaurato. L’edificio è raggiungibile prendendo una stradina che si trova vicino alla caserma. All'interno del cortile si incontra per prima l'abitazione vera e propria con la sua maestosa torre e confinanti possiamo vedere le carceri e le stalle.

venerdì 17 febbraio 2012

Il castello di sabato 18 febbraio



GIGNOD (AO) – Torre

E’ uno dei principali monumenti della località. A pianta quadrata, può essere raggiunta risalendo il sentiero che si stacca nei pressi dell' incrocio con la vecchia strada statale. Giunti alla base della costruzione, è possibile contornarne il perimetro per osservare la poderosa struttura che, probabilmente, risale al secolo XII-XIII e che dovrebbe essere l’unica testimonianza del vecchio castello appartenuto alla famiglia De Gignod (o nella versione latina De Gignio), che era infeudata dai signori di Avise. Il castello venne venduto nel 1319 da Ibleto De Gignio ai Savoia, che lo cedettero, circa 40 anni dopo, nuovamente ai signori D' Avise. Nel Medioevo numerosi furono i signori che si alternarono nel dominio su Gignod: oltre alle famiglie già citate si ricordano i nobili De La Porte e i Dossan. Tutte queste famiglie persero il potere abbastanza presto, nel 1252, quando i Savoia li espropriarono del feudo per darlo poi ai nobili signori di Quart, che avevano il loro castello al Villair di Quart. Questi ultimi, essendo estinta nel 1378 la discendenza maschile della famiglia, si videro a loro volta tolta la giurisdizione di Gignod e di gran parte della Valle del Gran San Bernardo, che tornò ancora una volta ai Savoia. Dopo aver tenuto per un certo periodo sotto il loro dominio diretto il territorio, i Savoia costituirono, nel 1584, la baronia di Gignod che comprendeva anche due quartieri di Aosta, Saint-Etienne e Saint-Martin de Corléans, e i paesi di Etroubles, Saint-Oyen, Saint-Rhémy e parte di Allein. Il castello fu smantellato nel XV secolo per riciclarne i materiali nella costruzione dell'attuale chiesa parrocchiale.

Il castello di venerdì 17 febbraio



ARZIGNANO (VI) - Rocca scaligera

Simbolo di Arzignano, è una fortificazione che gli Scaligeri con Mastino II della Scala fecero costruire nella prima metà del 1300, a controllo dell'imbocco della valle più occidentale di Vicenza. C'era infatti la necessità di creare un complesso difensivo visto il periodo di instabilità e le pressioni dei Milanesi e dei Padovani per il controllo dei territori. Il maniero si staglia compatto sul colle di Santa Maria, che divide le valli dell'Agno e del Chiampo, fra mura e torri di scuro basalto, la stessa pietra vulcanica della rupe su cui sorge. Già in epoca alto medioevale esisteva sul colle la Pieve di Santa Maria, plausibile quindi una fortificazione precedente alla scaligera. Il feudo era tenuto dai Conti di Arzignano, un ramo della potente famiglia dei Maltraversi. I Della Scala, che nella lotta tra guelfi e ghibellini si erano schierati i secondi, fedeli all'Imperatore, erano divenuti signori del luogo dopo che nel 1336 avevano sconfitto l'ultimo dei Conti di Arzignano, di parte guelfa. Il controllo scaligero non durò tuttavia a lungo e andò in crisi a causa delle discordie tra i fratelli Bortolomeo ed Antonio della Scala; furono i Milanesi con Bernabò Visconti ad approfittare dell'occasione con delle incursioni dirette a distruggere ogni cosa, la prima effettuata nel 1377 e poi nel 1387 con l'aiuto dei Da Carrara di Padova. Dopo una durissima resistenza gli abitanti della zona, consapevoli che la famiglia scaligera era ormai allo sfascio, si consegnarono a Giangaleazzo Visconti il quale fece ristrutturare la fortezza nel 1392 con un lungo lavoro che terminò soltanto nel 1400. Nonostante la magnanimità del padrone milanese, quello fu un periodo difficilissimo a causa di pestilenze, alluvioni ed una malattia che distrusse quasi tutte le culture agricole con relative terribili carestie. Dopo due anni la morte improvvisa di Giangaleazzo segnò l'inizio del declino di tutta la signoria dei Visconti che ad Arzignano finì nel 1404 con un patto che vide la città di Vicenza legata ai Veneziani mantenendo tuttavia il controllo sui territori. Ad Arzignano subentrò il Vicario veneziano ed il castello ne divenne la dimora ufficiale fino alla caduta della Serenissima nel 1797.
Un primo adeguamento alle nuove funzioni civiche avvenne nel 1411, ma gli anni turbolenti e guerreggiati non erano ancora terminati. Nel gennaio del 1413 vi fu l'invasione degli Ungheresi capitanati da Filippo Scolari che assediò il Castello di Arzignano. La resistenza fu durissima e il 5 febbraio, giorno di S. Agata (data tuttora ricordata con una solenne processione) le truppe Ungheresi si ritirarono. Nel 1438 ci fu un nuovo tentativo dei Visconti di riappropriarsi dei territori persi infatti, al soldo visconteo, Niccolò Piccinino marciò (1438) verso Vicenza e dispose le truppe sulla linea segnata dai castelli di Lonigo, Brendola, Montecchio ed Arzignano. I castelli vennero furiosamente assaltati e saccheggiati. Scacciati definitivamente i Visconti, il castello venne prontamente restaurato (1444 - come indicato sulla lapide sul portale d'ingresso, vicino all'impronta del ponte levatoio) ed ancor più adattato a sede politico-amministrativa veneziana. Le mura del borgo tuttavia conservarono importanza militare, Arzignano divenne 'retrovia' nelle guerre di confine (1487) contro gli imperiali Austriaci, con la conquista di Roveredo di Trento (Rovereto) e l'assestamento dei confini sui passi alpini e sugli altipiani. Il XV secolo fu un periodo di prosperità per Arzignano che vide la nascita delle prime lavorazioni artigianali della pelle e della lana lunga la famosa Roggia tuttora presente. Agli inizi del 1500 lo sviluppo economico e sociale fu interrotto dalle tristi vicende della Lega di Cambray quando papa Giulio II, Luigi XII di Francia, Massimiliano I del Sacro Romano Impero, Ferdinando d'Aragona e il Duca d'Este mossero guerra alla Serenissima per riappropriarsi dei territori perduti. Il territorio dell'Agno-Chiampo venne pesantemente razziato e la rocca di Arzignano, abbandonata dalle truppe veneziane (come tutti i castelli vicentini) che concentrarono la difesa su Padova e Treviso, devastata e data alle fiamme dalle truppe tedesche (1510). La pace arrivo nel 1516 dopo gravissime perdite. Nella seconda metà del cinquecento la Serenissima non necessitava più di strutture difensive fortificate ed il castello venne trasformato in palazzo del Vicario. L'aspetto trecentesco fu modificato con l'innalzamento del terzo piano della rocca, l'apertura delle finestre architravate al posto delle feritoie originali, la costruzione delle scale a chiocciola terminanti nelle loggette e la ristrutturazione della loggia del Vicario in cui si tenevano le udienze. Nella stupenda mappa del 1618 di Girolamo Roccatagliata, il complesso fortificato appare in tutto il suo splendore. Una cortina muraria di 650 metri con dieci torri e due porte: porta Cisalpina verso Villa del Piano (Arzignano) e porta Calavena verso la vallata dell'Agno. Risultano evidenti il Mastio, probabilmente nuovamente restaurato ed ampliato in quel periodo, e l'antica chiesa di Santa Maria, poi ricostruita nel 1836 nelle forme attuali. Nel 1655 ricordiamo la rivolta dei peauperes a causa dei debiti mai più saldati di alcune famiglie nobili nei confronti del comune e nel 1794 la contestata autonomia della parrocchia di Ognissanti da quella di Castello che si vedeva gradualmente togliere l'importanza ed il ruolo di centro di interesse, in ambedue le occasioni la rocca fu il teatro degli eventi e degli scontri. Nel 1800 la rocca divenne di proprietà della chiesa e visse un periodo di decadenza e di abbandono, nell'indifferenza dei nuovi padroni francesi, austriaci ed italiani, susseguitisi dalla caduta della Serenissima. L'oblio durò sino alla fine degli anni '90 quando, in occasione del grande Giubileo del 2000 la rocca venne completamente restaurata per divenire luogo di accoglienza per i pellegrini giubilari. Il restauro, oltre ad aver riportato alla luce lo splendido cammino di ronda che collega tutte le torri e ad aver riedificato parzialmente la porta Calavena, ha fatto scoprire una porzione di affresco raffigurante il leone di San Marco e 5 stemmi. Nel cortile della rocca è tutt'ora visibile e ben conservato un antico pozzo del 1400. La torre centrale, trasformata in palazzo, ospita oggi l'Arciprete dell'antica Pieve, ora Parrocchia "Visitazione della B. V. Maria". Per giungere al castello ci sono diverse strade, la più panoramica è quella che percorre l'intera collina permettendo anche di ammirare il panorama circostante. Si entra nella zona del castello passando dalla tipica porta della città, rimasta perfettamente intatta, cosi come la rocca nel corso degli anni. Durante tutto l'anno la zona è poco movimentata e ci passano solo i proprietari delle ville circostanti, ma c'è un periodo del'anno che di solito ricade tra maggio e giugno, in cui il castello riprende la vita classica medievale: allora compaiono sopra le porte le guardie, i giullari lungo le vie, i classici banchetti in piazza tra le persone del popolo, la scuola di arcieri, e non possono mancare i signori del castello: il re e la regina con tutti i loro servitori. Ovviamente questo è il periodo più bello per visitare questa attrazione. Vi propongo una visita del seguente link: http://www.castelloarzignano.com/visita/index.html

mercoledì 15 febbraio 2012

Il castello di giovedì 16 febbraio



CASTROVILLARI (CS) – Castello Aragonese

Fu edificato nel 1490 per ordine di Ferdinando I d'Aragona, sovrano di Napoli, per tenere a freno i cittadini che si erano ribellati alla corona regia in occasione della congiura dei baroni, di cui erano a capo i cittadini Antonio e Matteo. A tale scopo fece rinforzare altri castelli strategici, tra cui quelli di Corigliano, Pizzo e Belvedere Marittimo. Edificato quasi certamente sulle fondamenta di un fortilizio più antico di età sveva, il castello si erge sopra un istmo pianeggiante del borgo antico di Castrovillari, a strapiombo sulle valli del Coscile e del Fiumicello. L’edificio presenta pianta trapezoidale all'esterno e rettangolare all'interno con grosse torri angolari di forma cilindrica, di cui quella posta a destra dell'ingresso conserva ancora l'aspetto originario. Le quattro torri angolari sono uguali in qualche particolare, ma diverse nell’aspetto e nelle proporzioni. Sono orientate quasi con precisione verso i punti cardinali. Quella meridionale ha una copertura conica ed è la più massiccia; diametralmente opposta è la torre più grande con copertura a terrazza resa invisibile all'esterno da un alto parapetto sollevato per permettere ai prigionieri di godere di passeggiate all'aperto. La torre a oriente è l'unica che può essere chiusa all'interno, fin dalla base, ed è ornata da una corona di mensole e archetti in tipico stile aragonese. L'ultima torre, la più piccola, è una piramide tronca a dodici lati con copertura a cono ed è provvista di feritoie. Tutto il maniero è decorato da un lungo cingolo di cornice di pietra che attenua l’aspetto severo, mentre la torre più grande, è decorata da archetti pensili, profondi e snelli, correnti tra due agili cingoli di pietra che le danno una meravigliosa armonia architettonica. Ben conservate le feritoie e qualche caditoia da dove buttavano sassi e materie infuocate sugli assalitori. Circondato un tempo da un profondo fossato su cui si apriva un ponte levatoio, il castello conserva sul portone d'ingresso un singolare altorilievo, raffigurante le armi reali della casa d'Aragona, e un'iscrizione latina che ricorda la data di costruzione e la dinastia del fondatore. L' interno presenta un ampio arioso cortile in cui si aprono gli ingressi alle varie abitazioni. Piccole, umide, tetre, lugubri e paurose sono le stanze delle torri. Un dedalo di corridoi e di stanzette dalle volte a botte formano i sotterranei e molti corridoi e camminamenti segreti si perdono nelle viscere della terra. Il castello, adibito a carcere dal 1495 al 1995, fu quasi sempre teatro di martirio e di dolore per gli orribili misfatti che vi si consumarono. I condannati venivano buttati a marcire nelle tetre e umide torri e dei fossati e chi riusciva a sopravvivere, si muoveva su cadaveri putrefatti. Non a caso fu definito cimitero dei vivi e la torre più grande detta "infame". Il castello, uno dei meglio conservati della Calabria, è stato oggetto, con il patrocinio del comune di Castrovillari, di una consistente opera di restauro. Verso la fine del 2011 i lavori hanno avuto termine e sono state inaugurati la Corte e il piano terra con cerimonia pubblica.

Il castello di mercoledì 15 febbraio



Pomaro Monferrato (AL) - Castello Marchesi del Monferrato

La storia della località è strettamente legata a quella del suo castello che domina tuttora il colle sul quale venne edificato. La data in cui furono posate le prime pietre del maniero non è nota con certezza ma la sua costruzione da alcuni storici è attribuita agli Aleramici nel XII secolo. All'epoca il castello fu eretto nel punto più alto del colle e rivolto a settentrione, inoltre le prime case costituenti il borgo erano raccolte entro un "receptum" costituito da un'opera muraria. L’opera di cinta fu edificata sulla sommità del colle a scopo difensivo, ne è di testimonianza la torre di appostamento e parte del fossato all’entrata del castello. L’antica torre di guardia, parte delle mura di cinta originarie, e un breve tratto del fossato all’entrata del castello, sono ancora visibili in prossimità della piazza centrale del paese. La posizione strategica occupata dal borgo di Pomaro, posto ai confini del marchesato dei Monferrato, ha fatto sì che fosse sempre al centro di continue tensioni e scontri per il controllo del territorio, fungendo da baluardo difensivo, talvolta per il Casalese, talvolta per il Milanese. Nel XV secolo, il paese sotto il potere dei Paleologi, fu coinvolto nella guerra tra questi ultimi e i Visconti, e venne invaso e saccheggiato da Francesco Sforza. I Paleologi trasformarono il paese, il castello e il prospiciente parco, in una delle dimore più belle e confortevoli a disposizione dei marchesi del Monferrato. Nel XVI secolo, durante i continui conflitti tra spagnoli e francesi Pomaro, nel 1536, divenne proprietà dei Gonzaga. In seguito tutto il territorio monferrino fu parte delle guerre di successione, "rami minori" di un conflitto chiamato poi "Guerra dei trent'anni". Nell’ottobre del 1637 l’esercito degli spagnoli, sotto il comando del marchese di Leganez, giunse in prossimità del castello e smantellò gran parte delle fortificazioni esterne. Ma prima di penetrare nel borgo venne messo in ritirata dal sopraggiungere del duca di Crequi. Nel settembre dell’anno successivo Leganez ritentò l’impresa, questa volta ne uscì vittorioso, ma solo dopo aver minato il castello e le rimanenti fortificazioni. I danni furono ingenti, come riporta un manoscritto del 1697 (archivio storico di Pomaro), del maniero, dopo lo scontro, rimasero solo l'ala verso settentrione. Nel 1685 il castello e il feudo di Pomaro divennero proprietà degli Ardizzone, i quali iniziarono l’opera di recupero dei resti dell'edificio rimasti integri dopo l'attacco e la ricostruzione di ciò che era andato distrutto con lo scopo di realizzare una più moderna residenza nobiliare. L’ultimo erede diretto degli Ardizzone si spense nel 1734 così nel 1745, tramite una sentenza camerale, il feudo venne ceduto a Giuseppe Dalla Valle Ardizzoni. Nell’800 conobbe un periodo di splendore, attraverso le cure di Giuseppe, di suo figlio Alessandro e della moglie di quest’ultimo, Paola dei Roero Sanseverino, che si occuparono con grande interesse dei restauri dell’edificio, della manutenzione del parco e del suo grande giardino. Il 6 ottobre del 1935 venne inaugurato l’asilo, fatto costruire sempre grazie all’interesse della Marchesa Paola Dalla Valle. Nel 1935 fu ospite della Marchesa la Regina Elena, la quale impressionata dalla bellezza del parco del castello, lo volle proclamare “il più bel giardino d’Europa”. Alessandro e Paola Dalla Valle non ebbero figli e alla loro morte fu designato come erede del castello il Conte Carlo Calvi nel 1950. Nel 1950, il Ministero della Pubblica Istruzione, in base all’articolo 71 della legge 1089 del 1939, mise sotto la tutela dello stato la tenuta e il castello di Pomaro, ritenendoli di notevole interesse storico e artistico. Nel 1924 il Conte Calvi sposando Jolanda di Savoia, legò la storia di Pomaro a quella della Casa Reale. L’ultimo erede Pier Francesco nel 1958 sposò l’attrice Marisa Allasio, con la quale visse stabilmente in Pomaro presso il castello. Dal 1982 il castello e il suo parco sono di proprietà privata e oggi i suoi ambienti suggestivi sono aperti a ricevimenti, convegni e meeting di prestigio. Il maniero si presenta come un blocco in cotto con pianta a U e tre torri poligonali sormontate da merlature a coda di rondine. Per approfondire si può visitare il seguente sito web:http://www.castellodipomaro.it

lunedì 13 febbraio 2012

Il castello di martedì 14 febbraio



CORTEMAGGIORE (PC) – Castello Landi in frazione Chiavenna Landi

Il toponimo della località, indica l'appartenenza del feudo, lambito dal torrente Chiavenna, alla famiglia Landi.Le prime notizie riguardanti questa fortificazione si rilevano dal Registrum Magnum del Comune di Piacenza. Da un atto del 1209 risulta infatti che Gislerio Landi costruì la torre di Chiavenna con il patto di cederne la metà al Comune stesso il quale certamente ne usufruiva come baluardo contro le truppe cremonesi che facevano frequenti incursioni nel territorio piacentino. Tre anni più tardi il Comune investì in fitto perpetuo molte terre situate nel castello di Chiavenna a diversi cittadini forse con lo scopo occulto di ottenere da essi la bonifica di quei campi posti per lo più in zone paludose. Non possiamo dimenticare di citare anche la sosta nel castello di Chiavenna Landi di Federico I, detto il Barbarossa, che in quel periodo discese in Italia in occasione della sua incoronazione a Pavia e che sempre in quel periodo avvenne la prima delle due diete di Roncaglia. Il castello rimase ai Landi fino a questo secolo quando la marchesa Teresa lo portò in dote al conte Cigala Fulgosi e quindi lo vendette (1941) al dottor Livio Cattadori. La costruzione a pianta rettangolare, interamente costruita in laterizio in laterizio, presenta nella parte superiore eleganti beccatelli sui quali danno il cammino di ronda con le aperture delle caditoie e le merlature alla ghibellina. Il complesso è in buono stato di conservazione anche se nel corso dei secoli la sua fisionomia originaria è stata alterata per l'aggiunta di alcuni edifici rustici. Abbandonato ad un progressivo degrado verso la fine del secolo scorso, nel 2004 venne acquistato dalla famiglia Ferro che vi ha realizzato, pur mantenendo intatta la struttura esistente, un magnifico e particolarissimo Hotel Ristorante di gran classe denominato La Tavola Rotonda, location per ricevimenti, meeting e conferenze. Per approfondire si può visitare il seguente sito: http://www.latavolarotonda.info

domenica 12 febbraio 2012

Il castello di lunedì 13 febbraio





SINISCOLA (NU) – Torri Aragonesi

Con la conquista Catalano-Aragonese del 1323 si concluse definitivamente la storia giudicale della Gallura e nella metà del Trecento gli Aragonesi frazionarono la regione in varie entità amministrative sancendo la definitiva divisione del territorio giudicale tra l'odierna Gallura e quello dell'antica bassa Gallura (attuale Baronia) con epicentro a Orosei. Nel 1431 Posada fu infeudata dalla Casa di Aragona ai Carroz, conti di Mandas e Terranova, elevata al rango di Baronia ed organizzata come capoluogo dei villaggi Torpè, Siniscola, Lodè. Nel 1514 i Mori raggiunsero le coste di Siniscola, approdarono senza incontrare resistenza e saccheggiarono detti villaggi. Per queste continue scorrerie, gli abitanti di Lodè, Torpè e Siniscola minacciarono di abbandonare tutto e trasferirsi attorno alla Rocca di Posada, in attesa di un sistema di difesa adeguato. Tra il 1500 e il 1600 per ordine di “Capita y alcait" di Castel Aragonese, in seguito al viaggio di perlustrazione effettuato nel 1573 da Don Marco Antonio Camos, capitano di Iglesias, furono costruite le torri litoranee in posizione strategica e di difesa delle popolazioni costiere, più esposte ai pericoli di invasioni dei pirati in tutta la Sardegna e di queste tra Siniscola e Posada ben si conservano le torri di San Giovanni di Posada e di Santa Lucia di Siniscola. Nel febbraio del 1581 i Barbari sbarcarono in forze presso Santa Lucia (dove ancora non c'era la torre, la cui costruzione inizio' poco dopo) e depredarono, uccisero, fecero prigionieri. Ma sulla via del ritorno alle loro navi, trovarono le squadre armate di Bernardino Puliga, giustamente poi divenuto il principale eroe locale siniscolese, che li sconfisse, li mise in fuga, recupero' il bottino, libero' i prigionieri e, già che c'era, ne catturo' tre bandiere. I Baroni che si successero nel territorio della Baronia non ebbero mai molta cura del feudo, tanto che nel 1623, il consiglio del Real patrimonio d'Aragona, sequestrò il feudo al legittimo titolare Michele Portugues, il quale non vi aveva organizzato alcun sistema difensivo contro i pirati Saraceni, e lo costrinse a procedimenti giudiziari di riscatto che poi lo condussero alla perdita fallimentare della proprietà e del titolo. I contatti a distanza tra le Torri di Santa Lucia e San Giovanni avvenivano di notte con il fuoco e di giorno con il fumo. L'allarme in caso di avvistamento di navi corsare, faceva accorrere in armi gli abitanti delle ville vicine. La costruzione della Torre di Santa Lucia, informa Evandro Pillosu, il più importante studioso di questo sistema di difesa delle coste sarde, iniziò nel 1605 e terminò nel 1607. Costruita in mattoni e pietra basaltica scura, è alta 13 metri, ed è ancora in buono stato di conservazione. Troncoconica, misura alla base 11 m di diametro e sulla piazza d'armi conserva intatti i merloni e le cannoniere puntate verso il mare. Davanti alla torre si trova una chiesetta con lo stesso nome, di origine medioevale ma quasi interamente rifatta nell'Ottocento. La Torre di San Giovanni situata nella località balneare la Caletta, fu edificata probabilmente nel Quattrocento, a difesa del "caricatoio di Posada", il Porto del Feudo di Posada che comprendeva Siniscola, Lodè, Torpè e Posada. Poi nel Seicento fu ristrutturata dagli aragonesi. La Torre di Santa Lucia dipendeva dal Viceré di Cagliari, mentre quella di San Giovanni era tenuta sotto controllo dalle amministrazioni dei quattro villaggi della Baronia di Posada. Nei primi del Seicento non esisteva una fonderia: i cannoni, perciò, le armi, i proiettili e quant'altro faceva parte del sistema di difesa e dell'armamentario arrivava in Baronia da fuori Sardegna. Dopo il 1605 altre due Torri avrebbero dovuto rendere più sicura la costa Siniscolese: una era in programma a Capo Comino ed un'altra a Capo Coda Cavallo, nel villaggio di San Teodoro. Ma questi due sistemi di avvistamento rimasero soltanto in fase di progetto.

sabato 11 febbraio 2012

Il castello di domenica 12 febbraio



LIZZANO (TA) – Castello Marchesale

Secondo alcuni studiosi fu costruito su di un antico nucleo normanno, di cui rimane solo un torrione, dai baroni De Raho nel XVI secolo. È ubicato alle pendici di un’altura sulla quale, nel tempo, si è costituito l’attuale centro abitato. L’edificio si presenta con linee sobrie e severe. Il disegno architettonico ci rivela nel suo complesso ch'esso è opera quattrocentesca in quanto privo di torri, di fossati, di cinte che quasi sempre circondavano i castelli dei secoli anteriori. Ha al suo interno un breve recinto, che fungeva da atrio. Un ampio scalone conduce al primo piano dove spaziose sale si inseguono con il loro aspetto grave e severo, tanto per l'altezza dei vani, che la loro vastità. Nell'interno si scorge ancora la traccia del così detto" Pozzo della morte", nel quale forse giacciono ancora i resti delle vittime sepolte. L'edificio aveva la forma di un quadrilatero e ospitava a pianterreno il frantoio, il mulino, il granaio, i magazzini e le scuderie. La Cappella di cui il castello è dotato, posta a sud della costruzione e dedicata a San Francesco di Paola, oggi è chiusa al culto ed è in condizioni precarie di conservazione. Un tempo il Castello era la dimora dei feudatari di Lizzano, i quali cercarono di renderlo accogliente ed ospitale. Nel 1329 passò a Giovanni Sanseverino che lo conservò fino al 1464. Successivamente ci fu un avvicendamento di feudatari: i De Tremblayo, i De Raho, i Franconesi i De Luca. Fu soprattutto con i Duchi Clodinio, dal 1606 al 1677, che l’edificio, chiamato in quel tempo il Palazzo del Duca, conobbe un periodo di grande splendore, anche perché dovette raccogliere molte persone, che si recavano nel paese di Lizzano, in occasione delle feste, organizzate in onore di San Gaetano da Thiene, patrono del paese, allora ancora beato. Nel 1697 pervenne al marchese Chyurlia di Bari che controllò il feudo fino al 1806 allorquando furono abolite le feudalità. In seguito il castello cadde nelle mani di più proprietari, che con opere interne incaute e dissennate hanno trasformato la originaria impostazione.

venerdì 10 febbraio 2012

Il castello di sabato 11 febbraio



VALENTANO (VT) – Rocca Farnese

Le origini dell’attuale borgo di Valentano sono controverse, c’è chi afferma essere il luogo dell’antico Verentium ma secondo alcuni la fondazione si deve far risalire all’ XI secolo, al tempo cioè del pontificato di Leone IX (1049-1054) quando questi per la salvaguardia della costa del lago di Bolsena fece costruire due castelli in questa zona. Si può pensare che a quell'epoca una cinta muraria racchiudesse un forte con torre, la chiesa dedicata a San Giovanni e le prime case. Passò sotto il dominio di Orvieto nel 1212, quindi fu ceduto ai Capocci che si dichiararono “vassalli di Orvieto”. La guerra tra Orvieto e Viterbo portò a una serie di distruzioni e di ricostruzioni del castello fino al fuoco che, nel 1252, come narra la tradizione, bruciò in parte il paese che venne salvato da Sant'Agata, protettrice dagli incendi. Il Castello di Valentano, a partire dal possente torrione ottagonale tuttora visibile, fu riedificato, nel 1296, su preesistenti costruzioni difensive medievali. Nel 1327, sotto Ludovico il Bavaro, il paese e le mura di Valentano subirono gravi danneggiamenti e ancora danni vennero causati dalle truppe del prefetto Giovanni Di Vico di Viterbo nel 1350. Una fase tranquilla e senza conflitti iniziò con l’avvento dei Farnese che presero possesso del Castello nel 1354, al tempo del cardinale Albornoz, durante la presenza dei papi ad Avignone. Successivamente divennero signori di Valentano e degli altri centri confinanti. Il Castello venne abitato dai Farnese in modo più assiduo verso il 1400 allorché venne ristrutturata una parte del monumento ed edificata la torretta rotonda, posta verso levante. Ancora diversi lavori vennero eseguiti verso la fine del 1400 allorché si realizzò il cortile d'amore per le nozze di Angelo, figlio di Pier Luigi il Seniore e Lella Orsini di Pitigliano, celebrato nel 1488. I pregevoli capitelli sono opera di un certo Lorenzo, scalpellino di Firenze. Il cortile parla di questo matrimonio attraverso l'unione degli stemmi delle due famiglie e dell'allegoria della fioritura del giglio farnesiano che appare sui capitelli del colonnato inferiore. Ulteriori trasformazioni avvennero al tempo del matrimonio di Pier Luigi Farnese, juniore, con Gerolama Orsini nel 1519, con interventi di Antonio da Sangallo il Giovane (come appare nella vera del pozzo in travertino posto su di un lato posto del cortile, in alcuni elementi come portali, stipiti di finestre e, soprattutto, nel monumentale camino collocato nella superiore "Sala Ducale"). Furono questi gli anni più belli della vita del Castello perché vi nacquero personaggi importanti come: Alessandro e Ranuccio, futuri cardinali, i duchi Ottavio e Orazio e Vittoria, duchessa d'Urbino. Nel 1534 Alessandro Farnese venne eletto Papa con il nome di Paolo III. Fu lui a voler costruire la grande loggia, con undici archi superiori, in tufo e mattoni verso ponente, che per questo venne chiamata Loggia di Paolo III. Pier Luigi Farnese, nel 1537, divenne Duca di Castro e, nel 1545, di Parma e Piacenza. Il Castello venne abitato ancora dalla Duchessa Gerolama Orsini e dal figlio, il Cardinal Alessandro Farnese, che fece costruire una grande scalea affrescata per salire verso i propri appartamenti. Le numerose vertenze che videro in campo i Farnese e la Camera Apostolica si conclusero con la guerra di Castro del 1649, con la distruzione della città di Castro, capitale del ducato e l’abbandono della rocca da parte dei Farnese. Valentano divenne il centro amministrativo del Castrense e vi venne trasferito l'archivio storico. In seguito il maniero venne dapprima utilizzato come granaio e prigione della Comunità locale e, quindi, adibito dal 1731 al 1930 a Monastero di Suore Domenicane che trasformarono il castello in varie parti e, soprattutto, costruirono una Scala Santa affrescata con scene della Passione che hanno ricoperto gli affreschi d'epoca farnesiana. Durante il periodo risorgimentale un'ala del Castello ospitò una guarnigione di Zuavi, soldati francesi mandati a Valentano da Pio IX per combattere i Garibaldini (dal 1867 al 1870). Quando, verso il 1930, le suore del Monastero vennero trasferite a Gubbio, il Comune destinò il castello ad ospitare le scuole elementari e quindi alcuni ambienti vennero utilizzate come abitazioni. Abbandonato nel 1957, il complesso è stato restaurato a partire dal 1979 e dal 1996 ospita il museo civico, articolato in tre sezioni principali: Preistoria e Protostoria, Periodo etrusco, Medioevo e Rinascimento. Per approfondire si può visitare la seguente pagina web: http://www.valentano.org/larocca.htm

giovedì 9 febbraio 2012

Il castello di venerdì 10 febbraio



CALAMANDRANA (AT) – Castello

Testimone del passato storico di Calamandrana, svetta a dominio dell'antico borgo e della vallata, unico rimasto dei sei esistenti sulle colline circostanti. Il territorio fu possesso di Bonifacio Del Vasto, che lo cedette ai San Marzano di Canelli, sottomessosi ad Alessandria agli inizi del XIII secolo. Il primitivo complesso fortificato venne distrutto e immediatamente ricostruito nel corso del XIII secolo. La distruzione risale al 1225, anno in cui, sotto le sue mura ci fu una cruenta battaglia tra Astigiani ed Alessandrini, per la supremazia nella valle del Belbo. Gli Alessandrini, vittoriosi, rasero al suolo il castello di Calamandrana, considerato da loro una minaccia seria. La fortificazione venne riedificata verso il 1237, quando il territorio ritornò, definitivamente, tra le proprietà Astesi per opera di Federico II. A quell'epoca risale l’imponente torre ottagonale, di una tipologia senza riscontro nella zona, e la terminazione orientale, anch'essa poligonale, del castello (la parte è ancor oggi in pietra). Nel XIV secolo Ottobono Del Carretto investì del feudo il marchese Giovanni di Monferrato; Calamandrana ritornata tra i possedimenti del Monferrato, venne concessa al marchesato d'Incisa e nel 1305 passò agli Asinari. Il passaggio successivo vide salire al potere i Visconti. Nel 1611, il duca Vincenzo Gonzaga concesse il castello alla moglie Eleonora De Medici. Nel 1657, alla morte della donna, il castello di Calamandrana venne dato dal duca di Mantova al marchese Giovanni Maria Testa Piccolomini, signore di Kinitz, e nel 1672 dopo la sua morte il duca Ferdinando Carlo donò il feudo al prefetto maggiore Matteo Quinziano. Nel 1682 secolo, attorno all’originaria torre ottagonale, fatta sopraelevare dal fregio a denti di sega in su, il calamandrese Francesco Maria Cordara, divenuto conte, fece riedificare il castello. Il complesso subì notevoli danneggiamenti durante il terremoto del 1889 e, per timore del crollo, venne demolito il loggiato e mozzata la torre che fu ricostruita nel 1963 con mattoni di recupero fatti a mano e in maniera più possibile fedele a quella che doveva essere l’originale, desumibile dalle stampe del Gonin. Oggi l’edificio presenta un’impostazione planimetrica piuttosto irregolare ed è in parte intonacato e in parte in mattoni e pietre a vista. Sono conservate le strutture sotterranee: cantine, camminamenti e la cisterna dell’antica fortezza. Risale al 1983 la ristrutturazione del soffitto del salone ottocentesco. Il castello è circondato da un grande parco ed è raggiungibile attraverso una ripida e tortuosa strada; oltrepassato il cancello, la salita continua per un viale che conduce al caratteristico ponte levatoio. Attualmente il castello è di proprietà privata ed è adibito ad abitazione.

mercoledì 8 febbraio 2012

Il castello di giovedì 9 febbraio





SUPERSANO (LE) – Castello normanno-Del Balzo

Nel 1272 il feudo di Supersano venne concesso da Carlo I d’Angiò a Filippo Montefuscoli, normanno, che possedette il casale di Supersano. Recenti ricerche hanno confermato la presenza dei Normanni nel territorio fin dal secolo XI. Risale probabilmente a questo periodo la costruzione del primo nucleo dell'attuale Castello, il Mastio (la torre centrale ancora esistente, oggi inglobata nelle strutture aggiunte al complesso in successive fasi ed epoche) la cui tipologia e le cui caratteristiche architettoniche riconducono a questa tesi. In origine, il Mastio era una struttura architettonica isolata, come dimostrato da alcuni elementi riconoscibili: al primo piano della torre, al quale oggi si accede dalla sala consiliare, sulla parete est, a circa due metri di altezza, si interrompe una scala, i cui gradini, ne è rimasta traccia,continuano nello spessore della stessa parete. Vi sono poi due aperture, realizzate in momenti diversi che testimoniano tale isolamento almeno a partire dal primo piano: una finestra strombata verso il basso, sulla parete ovest, che oggi guarda nella Sala Consiliare ed un'altra sulla parete nord, oggi porta di comunicazione con gli ambienti successivamente aggiunti. Il feudo ed il castello alla morte di Filippo Montefuscoli, avvenuta senza eredi diretti, vennero incorporati nel Principato di Taranto che nel 1294 venne da Filippo II concesso al figlio Filippo. Estinguendosi questo ramo angioino in Margherita, figlia di Filippo, in quanto nessuno dei due figli, Roberto e Filippo, ebbero eredi, il feudo passò nel XIV sec., per matrimonio di Margherita d'Angiò con Francesco Del Balzo, duca d’Andria, nei possedimenti dei Del Balzo. Il loro possesso fu sottolineato con l'incisione dello stemma gentilizio della casata, rintracciabile sopra la finestra al primo piano della parete nord del Mastio, e con la costruzione di nuovi ambienti. Verso la fine del Quattrocento, con Giovan Paolo Del Balzo, il castello venne dotato di quattro torri angolari di cui resta visibile solo quella esposta a Nord-Est, essendo le altre inglobate nella struttura e quella a Nord-Ovest crollata agli inizi del Novecento. A partire dal XVI secolo, la fortezza non subì più variazioni architettoniche rilevanti nonostante il continuo alternarsi di feudatari. Presenta un prospetto severo con una lunga balconata e finestre di gusto rinascimentale. Superato il portale d'accesso si accede alla scala monumentale che porta al piano nobile. Dal settembre 1984 il castello è di proprietà dall'Amministrazione Comunale che ne ha curato il restauro e vi ha trasferito la sede municipale. Per approfondire si può visitare la seguente pagina, interna al sito ufficiale di Supersano:
http://www.comune.supersano.le.it/index.php?option=com_content&task=view&id=97&Itemid=184

martedì 7 febbraio 2012

Il castello di mercoledì 8 febbraio





CARBONARA SCRIVIA (AL) –Rocca

Risalirebbe al XIV secolo o primi anni del XV secolo, sulla base di ciò che riportano alcuni documenti ritrovati. La tipica costruzione, definita "dongione", venne costruita da Pierino Cameri su una precedente di proprietà dalla famiglia Curolo, signori di Carbonara, i quali ebbero declino a partire dal 1246. A quell'epoca, il sistema difensivo di Carbonara Scrivia comprendeva, oltre il dongione, un recinto fortificato o castello, con fossato e due porte di accesso. All'interno del recinto vi era un pozzo. A metà del Quattrocento il maniero, che guardava alle vigne del Monferrato, passò ai Guidobono Cavalchini che lo mantennero fino agli anni '80 del Novecento, per poi donarlo al Comune di Carbonara Scrivia. La rocca, così come il castello di cui oggi non rimane alcuna traccia, fu più volte distrutta e ricostruita. Nel 1828 un forte terremoto la rovinò e qualche anno più tardi l'ultimo e definitivo crollo del tetto danneggiò ulteriormente e in modo grave la costruzione. Il dongione alterna esternamente, nel muro a scarpa, mattoni e pietra. Due torri pensili a rinforzare la cortina muraria sono collegate da un camminamento aggettante su beccatelli e caditoie. La rocca conserva chiare tracce del passato medievale: struttura quadrangolare, alta e massiccia, il cui scopo era sicuramente difensivo con limitato uso di aperture e pressoché privo di elementi decorativi. In origine non vi era alcuna apertura, quelle esistenti sono di recente costruzione, forse ottocentesca: vi si accedeva dagli edifici adiacenti direttamente al primo piano. Il piano terreno aveva soffitto a volte le cui spinte potrebbero essere state raccolte da un'infilata di colonne. Il piano superiore presentava un soffitto a travatura che sosteneva il tetto. E’ visitabile su autorizzazione comunale.

lunedì 6 febbraio 2012

Il castello di martedì 7 febbraio





VOLTURARA IRPINA (AV) – Castello di San Michele

Sorge nel punto più elevato del centro abitato (887 metri s.l.m.), in prossimità dell’omonimo Santuario, in posizione dominante. Fu costruito in epoca normanno-sveva e per volere della committenza nobiliare aragonese fu trasformato in una dimora gentilizia. L’origine dell’insediamento è certamente anteriore all'848, epoca della divisione del principato di Salerno e di Benevento tra i Principi Radelchi e Siconolfo. In quel periodo il castello non era altro che una torre di avvistamento in costante contatto visivo con le torri di Serpico, Montemarano e Castelvetere. Assicurava una adeguata protezione dei confini dei due Principati. Abbiamo notizie che il castello esisteva già al tempo dei Romani quale punto strategico per sorvegliare le truppe dei Cartaginesi che passavano per la strada "Saba Maioris", che collegava l'alta valle del Sabato a quella del Calore e dell'Ofanto. Il maniero è appartenuto a diversi signori tra cui Guglielmo de Tivilla che nel 1154 inviò dalla fortezza alcuni armigeri alla spedizione in Terra Santa. Dopo brevi infeudazioni nel 1303 fu acquisito dal barone di Serino Nicola della Marra, alla cui famiglia rimase fino alla prima metà del XVI secolo. Della struttura sono rimaste ancora visibili le quattro torri quadrangolari (che non superano i dodici metri di altezza), parti delle mura difensive ed elementi vari, tra cui il pozzo e un ampio cortile interno. Nel 1730 il complesso venne ulteriormente ampliato con la costruzione della chiesa dedicata a San Michele Arcangelo. Dal castello di Volturara Irpina si gode un vastissimo panorama, che nei giorni tersi consente di ammirare la Valle del fiume Sabato, i Monti Picentini e le propaggini dell'Alta Irpinia. Per saperne di più vi propongo la visita del seguente link, interno al sito web della Pro Loco di Volturara Irpina:
http://www.proloco-volturara.com/modules/template/index.php?itemId=45