lunedì 30 aprile 2012

Il castello di lunedì 30 aprile



RICCIA (CB) – Castello De Capua

Su un'alta roccia calcarea a strapiombo sul torrente Succida si trova il suggestivo castello De Capua con un unico accesso posto in direzione del centro abitato, sul lato sud-ovest. Della sua origine non si hanno notizie precise, anche se si ritiene che sia legata al periodo longobardo; è certo, però, che nel 1285 Riccia fu assegnata a Bartolomeo di Capua, protonotario di Carlo I d'Angiò, e che costui ne volle il restauro. In seguito, con la riconferma da parte dei re di Napoli del feudo di Riccia ai di Capua, l'edificio castellare fu ampliato e rafforzato. Sotto la signoria di Andrea, verso il 1400, esso fu abitato dalla gentile e sventurata Costanza di Chiaromonte, ripudiata da Ladislao di Durazzo e, poi, data in moglie ad Andrea di Capua. Con Bartolomeo III di Capua, astuto ed ambizioso, il castello, che presentava tutte le caratteristiche di una residenza signorile, nel 1515 si ingrandì assumendo carattere militare, con l’introduzione di torrette difensive e di un fossato di cinta, raggiungibile solo attraverso un ponte levatoio. Ai tempi del suo massimo splendore il castello di Riccia occupava un'area di circa mq. 1020 con quasi 40 ettari di parco, delimitato da un muro e utilizzato come riserva di caccia per gli ospiti. La residenza dei principi doveva essere molto confortevole e ampiamente decorata soprattutto dopo il periodo rinascimentale. Una ricca biblioteca, sale affrescate, mobili di pregio e ceramiche d'epoca. Il tutto abbellito da stoffe costose, dipinti di valore e caminetti con lastre in pietra locale scolpita. La ricostruzione degli interni ci viene fornita dallo storico Amorosa, visto che il castello, considerato l'emblema delle oppressioni feudali, fu oggetto dell'odio distruttivo della popolazione riccese nel 1799, senza venire più ricostruito. Dalla devastazione ne uscirono quasi integri solo il portale, il torrione, una cisterna per la raccolta dell’acqua, parte del baluardo e alcuni muri. Il castello fu nuovamente danneggiato con il terremoto del 1805. La torre ammirabile ancora oggi, unica superstite delle otto originarie, è alta quasi venti metri, composta di conci rozzi, costituita da una zona inferiore a scarpa e da una zona superiore cilindrica, rifinita in alto da beccatelli. Aveva come funzione quella di vedetta, data la sua posizione dominante su tutta le valle, e costituiva il mastio principale del castello dei di Capua. Presenta interessanti analogie dal punto di vista architettonico con la torre angioina di Collotorto. L'ingresso, raggiungibile grazie ad una breve scalinata in ferro, è costituito da un portone arcuato sormontato da tre lastre calcaree incorniciate: quelle laterali raffiguranti gli scudi in rilievo dei de Capua e dei Chiaromonte, La lapide centrale reca un'epigrafe latina che ricorda l'impegno profuso da Bartolomeo III De Capua nelle vicende costruttive del castello per la difesa dal nemico. La scritta sulla lapide conclude con un motto: "avvicinati, se vieni come ospite; fuggi, se sei un nemico, affinché non ti colga l'ira di Giove!". L’ingresso introduce in tre camere sovrastanti collegate tra loro con scale interne a chiocciola e fornite ciascuna di una piccola finestra quadrangolare. Particolare è il serbatoio per l'acqua, scavato interamente nella roccia sotto la torre, nella parte più profonda della quale sono conservati i resti delle carceri con relative camere di tortura. Accanto alla torre principale resta anche una torretta secondaria, a difesa dell'entrata e del ponte levatoio. Per quanto riguarda i muri, rimangono solo pochi resti, con una sporgenza semicircolare la quale evidentemente doveva proteggere l'ingresso. I resti del castello sono stati recentemente oggetto di restauro.

Il castello di domenica 29 aprile




ALBANO VERCELLESE (VC) – Castello

Antico feudo della Chiesa di Vercelli, come confermato dai diplomi degli imperatori Ottone III del 999 e Federico I il Barbarossa del 1152, successivamente fu dei conti di Biandrate fino al 1179, quando, per la politica di controllo della strada per la Valsesia, il conte Ottone cedette quanto a lui spettava al Comune di Vercelli per ottenerne l'investitura. In seguito Vercelli lo concesse a molte importanti famiglie, fra le quali quella degli Avogadro. Nel 1335 Albano entrò a far parte dei domini viscontei. Nel 1345 figura investito del feudo Riccardo Tizzoni, capo del partito ghibellino vercellese e fautore dei Visconti. Anche altre famiglie ebbero la signoria sul luogo, in particolare i de Albano. Alberto e Guglielmo de Albano nel 1329 furono investiti del feudo appartenente alla Chiesa vercellese dal vescovo Lombardo della Torre. Nel 1407 Albano si diede ai Savoia, ma la definitiva conferma si ebbe nel 1427 in occasione della donazione di parte importante del Vercellese da parte di Filippo Maria Visconti, duca di Milano al duca Amedeo VIII di Savoia.
Nel 1621 il duca Carlo Emanuele I di Savoia eresse la contea di Albano (comprendente anche i luoghi di Oldenico e di Cascine San Giacomo) per Mercurino Filiberto Arborio di Gattinara (1465-1530), gran cancelliere dell'imperatore Carlo V dal 1518 alla morte. Il castello passò in seguito ai Thomatis e ai Rovasenda nel 1579. Esso ancora oggi appartiene ai diretti discendenti della famiglia Mercurino Filiberto Arborio e rappresenta uno degli edifici principali del paese. Ristrutturato nel secolo scorso, conserva parti antiche risalenti al XVsecolo, ai tempi di Uberto di Albano. Secondo alcuni studiosi il castello attuale sarebbe stato costruito sulla pianta di una più antica fortificazione, mentre per altri ciò è poco probabile. Dell'antico castello restano il torrione d'ingresso a pianta quadrata con garitta cilindrica, segnato dalle fessure dei bolzoni del ponte levatoio e datato intorno alla metà del XV secolo, e alcuni tratti delle cortine. Originariamente il maniero doveva avere pianta quadrata con quattro torrioni. Lo stato di conservazione di quanto rimane appare complessivamente soddisfacente. Attualmente alle dipendenze del castello esiste una azienda agricola, mentre lo stesso risulta in disuso.

venerdì 27 aprile 2012

Il castello di sabato 28 aprile




ROCCA PRIORA (RM) – Palazzo Baronale Savelli 

E’ il principale monumento di Rocca Priora, oggi sede del comune, sorto sull’antico castello già appartenuto agli Annibaldi. Resta ben poco, tuttavia, del vecchio “castrum” medievale del sec. XI, solo le fondamenta e un tratto in muratura in tufelli molto irregolari (con uno sperone di sostegno). I primissimi proprietari del territorio e dell’insediamento fortificato furono i Conti di Tuscolo, che controllavano anche quelli vicini di Rocca di Papa e Molara. Solo in seguito, dopo la distruzione di Tuscolo nel 1191, passò sotto il controllo degli Annibaldi, anche se, analogamente a quanto accadde nei vicini centri di Monte Porzio Catone e Monte Compatri, vi trovarono rifugio i profughi provenienti da Tuscolo. Nel 1303, per divisioni dei beni, passò dagli Annibaldi a Bonifacio VIII e solo nel 1382 pervenne ai Savelli ai quali restò fino a tutto il XVI secolo. Il castello subì un saccheggio da parte del cardinale Vitelleschi nel 1436 durante la guerra di repressione che Eugenio IV condusse contro i baroni romani a lui avversari e tra i quali vi erano anche i Savelli. Le milizie papali se ne impossessarono e venne concesso in vicariato al condottiero Simonetta di Castel Piero. Nel 1447 Papa Niccolò V lo restituì ai Savelli. A questi ultimi si deve il restauro e l’ampliamento del vecchio maniero che venne così trasformato in un palazzo residenziale. Esso infatti servì come residenza abituale del Barone, che diede spesso ospitalità a personaggi importanti, come Papa Pio II nel 1463 e, un secolo dopo, l’affascinante Beatrice Cenci, che nel suo obbligato peregrinare sostò per diversi giorni nel sontuoso palazzo. Papa Alessandro VI destinò il castello a suo figlio Giovanni Borgia, ma alla morte del papa (1503) i Savelli lo recuperarono nuovamente. L’edificio talvolta divenne anche sede carceraria e di giustizia nella metà del ‘500, specialmente dopo la stesura dello Statuto, avvenuta in una sala del Castello, nel 1547. Quando i Savelli, nel 1596, decaddero per vari fattori economici, anche il Palazzo cominciò ad andare in rovina. Nove anni dopo era già stato trasformato in casa d’affitto, ma fu presto dichiarato inagibile e spogliato dai Roccaprioresi delle tegole e del legname da costruzione, fino a quando i beni della città vennero rilevati dalla Camera Apostolica. Rocca Priora rimase in proprietà della Camera Apostolica fino ai primi anni del secolo XIX, quando nel 1806 fu venduta con il suo territorio, in parte a Luciano Bonaparte, in parte alla famiglia dei Rospigliosi che ne mantenne il controllo fino nel 1870, l'anno della costituzione della città in Comune. Nel 1880 l’Amministrazione comunale decise di intervenire affidando all’architetto conte Francesco Vespignani, l’incarico di ricostruire, sui ruderi del vecchio maniero, il castello in stile XV secolo. L’edificio affaccia sul Belvedere (attuale piazza Zanardelli) con il suo prospetto anteriore fortemente caratterizzato dalla scala a doppia rampa che si inserisce nella severa facciata, e dalla linea merlata che ne segna il coronamento. Mentre il prospetto principale, con le due torri laterali, è uno degli elementi più significativi dell’invaso di piazza Umberto I posto alle spalle del Belvedere.

Foto: la prima è presa da https://www.meteoroccapriora.it/palazzo-savelli.htm, la seconda è stata scattata da me questa nell'estate del 2020

Il castello di venerdì 27 aprile




MEDOLLA (MO) – Torre Montecuccoli in frazione Malcantone  

Qui “allignavano ladri e briganti della peggiore specie” sostiene il “medollese” Alessandro Tassoni nella sua “Secchia rapita”. E fu forse proprio dalla cattiva fama dei suoi abitanti che Malcantone prese il nome. La località si trova sulla Strada Statale 468 che unisce Medolla a San Felice e fino al XVIII secolo fu probabilmente uno dei punti più fortificati dell’intera Bassa modenese. Malcantone fu a lungo di proprietà della famiglia Montecuccoli, originaria della montagna modenese, che vi eresse intorno al 1430 una importante corte di cui resta solo una splendida torre, in parte manomessa, ma che rappresenta comunque uno degli esempi di torre-fortezza meglio conservati della provincia.

Il castello di giovedì 26 aprile



GLORENZA (BZ) – Castello

Glorenza è la più piccola città dell’Alto Adige ed un gioiello architettonico di cui subito ci si innamora a prima vista. Il recinto murario, a forma di trapezio e completamente conservato, ha strade interne regolari; le mura sono intatte, alte 7 metri e larghe 1 e mezzo, caratterizzate da 350 feritoie, sono intercalate dalle tre massicce porte torri quadrangolari, di Tubre, di Malles e di Sluderno, oltre che da una serie di torrette di guardia munite di cuspide. Suggestiva la strada dei portici medioevali, ad ogni angolo scorci delle porte torri, della pittoresca architettura rurale altovenostana, sporti di varia forma, decorazioni e, non ultimi, gli splendidi gerani che ornano ogni finestra. Unico esempio in Alto Adige di antico borgo murato, compare per la prima volta nel 1163, già molto conosciuto fra i commercianti quale nodo di scambi fra Svizzera, Austria e Lombardia. Nel 1223 i conti Tirolo estesero il loro dominio alle estremità della Val Venosta con l'intento di creare un contrappeso a Malles (allora sede giudiziaria del vescovo di Coira), così da avere a Glorenza un loro tribunale. Essi vi eressero le mura, vi trasferirono da Monastero il mercato di San Bartolomeo e le concessero il privilegio di un peso di misura per i cereali.   e vi stabilirono un tribunale. Nel 1304, in una lettera di concessione del duca Ottone, scritta il 30 aprile, si fa preciso riferimento alla "nostra città di Glorenza": si presume pertanto che l'elevazione al rango di città sia avvenuta in questo anno, se non già prima. Nel 1317 il re Arrigo rilasciò salvacondotti per Bormio ed altre città dell'Italia settentrionale con lo scopo di incrementarne il mercato. E a Glorenza arrivarono mercanti lombardi, trentini, svizzeri e bavaresi, tanto che nel periodo di maggiori traffici vi si contavano numerosi notai e ben sei locande. Nel 1363, dai conti di Tirolo la città, tramite Margherita Maultasch, passò ai signori di Matsch e ai loro eredi, i conti Trapp, che la tennero fino al 1824. Dopo la distruzione seguita alla battaglia di Calven (1499) nel corso della guerra di Engadina, l'imperatore Massimiliano - di cui si dice che pianse sulle sue rovine fumanti - decise di ricostruirla. L'architetto militare Jörg Kölderer presentò all'imperatore Massimiliano un progetto di ampliamento della cinta muraria con porte e torrioni semicircolari che richiese lunghi anni di lavori, conclusi solo verso il 1580. Glorenza conobbe comunque lunghi secoli di prosperità come città mercantile, grazie soprattutto al commercio del salgemma proveniente da Hall (Tirolo settentrionale) e destinato in Svizzera. Il 25 marzo 1799 la soldataglia francese penetrò nella cittadina sguarnita e si abbandonò a ogni genere di violenza: le case e le stalle furono incendiate, le donne stuprate. Un'altro triste episodio si verificò il 16 giugno 1855, quando un'onda anomala di due metri e mezzo proveniente dal lago della Muta si infranse contro le mura cittadine. La crisi dei commerci e il trasferimento del tribunale nel 1930 provocano la decadenza di Glorenza, che oggi è riscoperta e risvegliata a nuova vita grazie al turismo. Passeggiando per il centro storico di Glorenza, l’unico con dei portici in tutta la val Venosta, vi sono numerosi edifici di grande valore artistico: l'attuale municipio, realizzato tra il 1573 e il 1591 e utilizzato come residenza nobiliare nel 1604; la torre Flurin, che dal 1499 al 1931 fu sede del tribunale (dal 1825 al 1931 ospitò anche il carcere); la Porta di Tubre, realizzata inizialmente come abitazione, dopo la costruzione delle nuove mura fu utilizzata come porta d'entrata della città; la torre Kolben, inserita nei registri feudali del 1330, che appartenne a famiglie nobili fino al 1793, quando divenne proprietà del mugnaio della città; la Casa del Balivo, residenza signorile con smerli, dotata di belle porte ogivali con cornici in tufo e di soffitti a volta dei tre piani.

martedì 24 aprile 2012

Il castello di mercoledì 25 aprile



BOLZANO – Castel Rafenstain
Detto anche Castel Sarentino (in tedesco Burgruine o Schloss Rafenstein), è un castello situato a nord-ovest di Bolzano. L'imponente maniero si eleva sul pendio occidentale della Val Sarentino, a sud-est di San Genesio, al di sopra della gola del Talvera. Fu costruito nel XIII secolo dal vescovo di Trento, Friedrich von Wangen, per controllare il commercio tra il nord ed il sud. Al palazzo e alla cinta muraria già esistenti, nel secolo successivo vi fu l’ampliamento con l'aggiunta di un serraglio, di una torre d'ingresso e di un'ala meridionale. Per tutto il restante Medioevo fino all'inizio dell'era moderna, la fortezza fu considerata molto importante per la sua posizione strategica nonché dominante lungo l'arteria commerciale che univa San Genesio a Bolzano. Nel 1357 Castel Rafenstein appartenne a Franz von Ravenstein. Ma dopo la morte precoce di suo figlio, il castello passò alla famiglia Goldegg, più tardi ai Weinecker. Dal 1500 fino al 1599 i borghesi Sigmund Gerstl e Hans Wueff vissero presso Castel Rafenstein fino a che i Signori di Wolkenstein entrarono in possesso della struttura. Nel XVI secolo, per esigenze militari il castello venne fortificato anche con un bastione circolare. Il complesso poteva così difendersi dagli attacchi portati con le armi da fuoco, appena introdotte. L'ala abitabile dell'edificio fu ulteriormente rialzata ai primi del Seicento. Proprio in questo periodo storico, qui Marx Sittich von Wolkenstein, feudatario del castello, redasse la sua rinomata Landesbeschreibung von Tirol ("Descrizione storico-statistica della contea del Tirolo"). All'inizio del XIX secolo il castello venne abbandonato dai Signori di Wolkenstein e da allora cadde in rovina. Per il pericolo di crolli, alcuni bastioni e le mura di cinta sono stati in parte abbattuti. In lontananza il nucleo della costruzione bianco-calcarea dà l'impressione di essere una grezza costruzione mai completata ed abbandonata. Le rovine sono tuttora raggiungibili per una corta salita da Bolzano che raggiunge però il 33% di pendenza e che inizia a destra rispetto alla stazione a valle della funivia di San Genesio seguendo il torrente. La salita è perciò consigliata ad escursionisti esperti, inoltre una visita interna dell’edificio è sconsigliata perché poco sicura. Una volta raggiunto il castello, la vista che si gode sulla conca bolzanina e verso nord nella Val Sarentino è tuttavia mozzafiato. Dal 2008 il castello è oggetto di un importante restauro che ne conservi le strutture murarie a rischio crollo.

Il castello di martedì 24 aprile





CANEVA (PN) – Castello
Posto su uno sperone roccioso, in posizione strategica al confine occidentale del Friuli, fu edificato in un’epoca imprecisata, probabilmente presso una torre d'avvistamento romana: i primi documenti in cui è citato attestano che nel 1034 venne concesso dall’imperatore Corrado II al Patriarca di Aquileia, Popone. Intorno al Mille all’interno della cinta muraria venne costruita la chiesetta in onore di San Salvatore. Nei secoli successivi, Caneva partecipò alle guerre feudali che videro contapposti Friuli e Marca Trevigiana; saccheggi, uccisioni e devastazioni erano all’ordine del giorno per la popolazione (i più gravi nel 1177, 1220, 1335). Il castello aveva soggette le ville che oggi formano il territorio comunale; numerose però furono le dispute con Sacile per questioni di confini e di controllo delle fiere e dei mercati. Durante il periodo patriarcale (1077-1419), Caneva fu sede di una gastaldia soggetta direttamente al presule aquileiese; un rappresentante della comunità partecipava alle sedute del Parlamento della Patria del Friuli. Intorno al XIII secolo ne divenne padrone Treviso ma nel 1203 il patriarca Pellegrino II lo rivendicò. Fu per molti secoli infeudato a vari esponenti dell'aristocrazia friulana: Giovanni di Zuccola Spilimbergo nel 1297, Federico di Savorgnano nel 1337 e in seguito Giovanni di Toppo nel 1356. Nel 1385 il maniero fu occupato dalle truppe dei Carraresi, signori di Padova. Ritornato in possesso della Chiesa d'Aquileia, Caneva venne preso dalle truppe veneziane  nell'anno 1419. Nel 1429 la Serenissima unì la sua giurisdizione a quella di Sacile ma, su insistenza della comunità, dal 1449 Caneva ebbe di nuovo una sua amministrazione autonoma, nel pieno rispetto dello Statuto e delle leggi del Friuli. La gastaldia venne retta da un podestà scelto tra la nobiltà veneziana. Nei secoli di dominio della Serenissima, la vita trascorse tranquilla, a parte le scorrerie dei Turchi e le vicende della guerra contro la Lega di Cambrai (inizio XVI sec.); il castello, che aveva mantenuto efficiente la sua struttura fortificata per secoli, nel ‘600 cominciò la sua decadenza e, ormai diroccato, venne abbandonato dai pochi abitanti che vi eran rimasti. Il castello comprendeva due cinte murarie, una sulla cima del colle proteggeva le dimore signorili ed il mastio ed una più bassa cingeva il borgo e gli annessi agricoli sui terrazzamenti del colle. I resti visibili ancora oggi sono costituiti dalle basi di alcuni muraglioni di difesa e dai resti di qualche torre. All'interno della cinta castellana si trova la chiesetta di Santa Lucia ricostruita e ampliata alla fine del secolo XVI e la torre campanaria,  riadattamento e sovraedificazione dell'antico mastio, con il bellissimo bassorilievo del Leone di San Marco sopra la porta. I pochi ruderi del castello hanno rischiato di venir mangiati da progetti di escavazione negli anni sessanta, ai quali un gruppo di lungimiranti cittadini di Caneva si oppose e costituì l'associazione Pro Castello di Caneva, tutt'ora operante e organizzatrice delle giornate medioevali che si tengono nella terza domenica di luglio.
ricavata da un'antica torre.

Il castello di lunedì 23 aprile



FABRIANO (AN) - Castello di Precicchie

Precicchie è un borgo di origine longobarda passato sotto diversi signori per la sua strategica collocazione. Il suo castello, eretto nel secolo XI sulla cima di un'altura a mt. 535 s.l.m., feudo dei conti Attone poi caduto sotto il dominio dei Rovellone, venne ceduto infine al comune di Fabriano all’inizio del sec.XIV. Il nucleo fortificato, a pianta trapezoidale, è oggi pressoché intatto con gli elementi costitutivi tuttora leggibili: il reticolo viario interno (costituito da caratteristiche stradine medioevali in forte pendio e larghe meno di 2 metri), la porta di accesso, le abitazioni fortificate perimetrali, le massicce mura con finestre e feritoie, il cassero con il palazzo del feudatario. La via principale di accesso al borgo, larga 2,8 metri circa, va in salita e ruotando in senso antiorario, costeggia le mura interne del cassero fino alla sommità del castello dove si trova la piazza, sulla quale si affaccia la chiesa. Il cassero si imposta su speroni di roccia calcarea compatta ed assolve alle funzioni difensive con alte mura a sud, mentre sul lato est un unico manufatto di notevole altezza si pone a difesa della porta di accesso: la difesa è resa ancora più efficace dalla costruzione di due speroni triangolari che, oltre che come rinforzo statico dell'edificio, non consentono l'avvicinamento a raso lungo la parete. Il castello è oggi luogo di numerose manifestazioni popolari tra le quali ricordiamo: Il Premio critica cinematografica e televisiva, organizzato ogni anno agli inizi di luglio; il Palio dei Campanari, che si tiene ogni anno nel mese di agosto; rappresentazioni in costume, taverne, osterie e spettacoli di ogni sorta. Inoltre l’associazione il castello di Precicchie, con il patrocinio del Comune di Fabriano, organizza nel periodo di Natale un Presepio Vivente ambientato nel Castello di Precicchie, che per l'occasione si trasforma in una suggestiva piccola Betlemme. Su internet ho trovato questo sito...a tema: www.castelloprecicchie.it

domenica 22 aprile 2012

Il castello di domenica 22 aprile

ROMA – Castello di Tor Crescenza

A pochi minuti dal centro di Roma, tra la Via Flaminia e la Via Cassia, in un parco secolare ornato da fontane e giochi d'acqua, si erge su un’altura a 1500 metri il Castello di Torcrescenza, fatto costruire dopo il 1413 dal marchese Crescenzi nel luogo dove sorgeva un'antica torre di vedetta a guardia della via nazionale, risalente al 1100. Tale torre è attualmente mozzata alla sommità e incorporata in una parete mediana del castello. L’ingresso è ad arco rotondo e vi si accede attraverso un ponticello in muratura che sostituisce quello in legno. L’interno racchiude un portico quadrato con tre lati ad archi volte e pilastri con capitelli a fogliame e con peducci, tutto in peperino. Tutto l’edificio presenta uno stato di conservazione molto buono, con le due torri angolari quadrate fornite di beccatelli e merli di tipo ghibellino; l’aspetto di sobria eleganza e nitidezza che attualmente emana tutto l’edificio, deve essere attribuito in gran parte agli ultimi restauri del 1928, dovuti al marchese Cappelli ultimo proprietario. È noto, da fonti letterarie, che moltissimi artisti della pittura hanno operato nel castello, in particolare i discepoli di Giulio Romano, pittore del sedicesimo secolo, e gli appartenenti alla corrente degli Zuccari. Grandi artisti come Claude Lorrain e Nicolas Poussin si sono ispirati a questo luogo dipingendolo più volte nei loro famosi paesaggi, tanto che la vallata sottostante, detta “la valle del Pussino”, è diventata per la sua naturale conformazione, un campo da golf, il Parco di Roma. Attualmente il castello è una prestigiosa location nuziale, per eventi e ricevimenti privati. Per approfondire si può visitare il sito http://www.castellotorcrescenza.com/

venerdì 20 aprile 2012

Il castello di sabato 21 aprile


RONCADELLE (BS) – Castello o Palazzo Guaineri 

La sua imponente struttura emerge nel cuore del paese anche grazie alle ampie zone di rispetto che lo circondano: a sud il parco privato del castello, ad est il "cono ottico" (ora parco pubblico), a nord l'ampia prospettiva di viale Roma. Un primo edificio fortificato fu realizzato all’inizio del Quattrocento dalla famiglia Porcellaga che, una volta assunta la signoria locale, realizzò varie altre costruzioni. Dotato di mura, torre e fossato, il castello sorse in mezzo alle due antiche contrade e contribuì allo sviluppo economico e demografico del territorio, che divenne sempre più abitabile e produttivo grazie ai lavori di prosciugamento degli acquitrini, di livellamento dei terreni, di canalizzazione e arginatura delle acque. I Porcellaga si fecero poi coinvolgere, tra la fine del '500 e la metà del '600, dal diffuso clima di violenza, che pesò anche sulla popolazione locale. Soprattutto Sansone, sua moglie Camilla Fenaroli e il loro figlio Pietro Aurelio assunsero ruoli da signorotti feudali e commisero vari abusi e delitti, non sempre perseguiti dalle autorità bresciane e venete. Tale situazione ebbe termine il 5 aprile 1647 con l'arresto di Pietro Aurelio e la sua condanna definitiva. Quando Chiara Camilla, unica erede legittima delle vaste proprietà dei Porcellaga a Roncadelle, sposò nel 1659 il conte Gaspare Giacinto Martinengo Colleoni, la vita civile di Roncadelle tornò alla normalità. Tale cambiamento nella realtà locale fu reso visibile, verso la fine del '600, dall'ampliamento della chiesa parrocchiale, abbellita da nuovi dipinti e arredi, e dal rifacimento del castello, trasformato in imponente e lussuoso palazzo residenziale. In particolare venne realizzata la grande ala orientale, con l'assistenza tecnica di G. B. Groppi e G. B. Avanzi. La facciata esterna, compatta e lineare, con ben sessanta aperture distribuite su quattro piani, è movimentata solo da due accenni di torrioni ai lati e da un balcone centrale in pietra. La facciata interna, nobile e sobria, è arricchita da un porticato di sette luci con pilastri in pietra bugnati. L'ala occidentale è il palazzo residenziale che i Porcellaga realizzarono nel '500 su strutture precedenti. All'interno del palazzo le stanze del primo piano sono state riccamente affrescate da Giuseppe Merati nel 1703 con scene di caccia e paesaggi naturali; nel salone centrale invece è raffigurata la scena dell'arrivo del principe Eugenio di Savoia nell'agosto del 1701. Un ampio e nobile scalone in pietra di Botticino porta alla galleria del piano superiore, che conserva ritratti della dinastia dei Guaineri, successivi proprietari del castello. Sulle volte del primo piano sono dipinti, tra prospettive di colonne e balconate, grandi medaglioni riproducenti figure mitologiche, eseguiti nel 1702. I locali sotterranei conservano ancora il pozzo coperto, un grande lavello, il forno ed il basamento in pietra di un grande torchio. Il rifacimento del castello non venne mai portato a termine dal marchese Pietro Emanuele, che si limitò ad ultimare e abbellire l'ala orientale, sia per la morte dell'unico erede maschio che per le rivendicazioni avanzate da alcuni Porcellaga di Brescia sulle proprietà di Roncadelle. Rimaste ai Martinengo, queste passarono per diritto ereditario agli Erizzo di Venezia e, nel 1816, furono vendute al nobile Scipione Guaineri, discendente di una famiglia che da alcuni secoli aveva possedimenti a Villa Nuova di Roncadelle. L'ala nord (accesso principale) venne sistemata nel 1868-69 dai Guaineri, che nel 1827 avevano sostituito il ponte levatoio sull'ampio fossato con un ponte fisso in pietra. Sulla facciata dell'ex scuderia a nord del castello è ancora riconoscibile la sinopia dello stemma araldico dei Martinengo Colleoni.

Il castello di venerdì 20 aprile



SQUILLACE (CZ) - Castello normanno-Borgia

Si erge sulla sommità del colle dove è adagiata la cittadina calabrese, conferendogli un'immagine imponente. Da qui si gode il magnifico panorama sul mar Ionio, che va dalle splendide spiagge di Caminia di Stalettì fino al promontorio di Capo Rizzuto. Al visitatore che vi arriva dal centro storico, appare un portale bugnato sulla cui parte superiore campeggia lo stemma in marmo dei Borgia. Nel corso dei secoli il fortilizio ha subito numerosi, a volte anche pesanti, rimaneggiamenti, motivo per cui oggi si presenta con un'architettura discontinua, apparentemente non assoggettata a precisi canoni progettuali. La sua facciata è compresa fra due diverse torri. A sinistra quella cilindrica posata su un cono tronco, a destra dell'ingresso quella poligonale, di dimensione decisamente più marcata. Tra gli altri elementi tuttora visibili vi sono oggi gli avanzi delle mura perimetrali e della piazza d'armi. Il castello ha origini bizantine, sorto sulle rovine del Monastero Castellense di Cassiodoro. Agli inizi del decimo secolo, presumibilmente nell'anno 904, il castrum diventò roccaforte dei musulmani che insediarono l'emiro africano Abstaele. Gli succedette nel 921 il suo omologo Olkbek che vi fu ucciso alcuni anni più tardi. Vi subentrò allora l'emiro Saklab. La riconquista da parte dei bizantini, avvenuta nel 965, fu vanificata nel 982 quando Ottone di Sassonia conquistò la fortezza. Ma le scorribande degli eserciti provenienti dal Mediterraneo non erano finite. Così, all'alba dell'anno 1000, l'emiro Mihel giunse a Squillace, ne mise a ferro e fuoco l'abitato e riconquistò il castello. L'affermazione definitiva dei Normanni si registra nel 1059. Squillace fu così annessa tra le grandi contee feudali del sud dell'Italia. Proprio con l'avvento di Ruggero d'Altavilla, detto “il Normanno”, questa cittadina conobbe un periodo di grande sviluppo economico e di pace, nonostante nel luogo convivessero varie etnie e culture, anche di lingue diverse. Venne ingrandito e potenziato il castello che chiamarono Stridula (per il fischio battente del vento sulle mura). Nel 1098 fu teatro dell'incontro tra Ruggero il Normanno e Brunone di Colonia che ricevette in dono il bosco di Santo Stefano, nella cui pace e serenità potè edificarvi il famoso convento della Certosa di Serra San Bruno. All'arrivo di Federico II di Svevia il maniero costituì da fortezza per il controllo strategico e militare, secondo la politica federiciana. Città e castello vennero dati in concessione ad Elisabetta d'Altavilla alla quale, nel 1231, subentrò il camerario dell'imperatore svevo Riccardo. Nel 1239 lo statuto federiciano indicò le regole e la lista dei castelli da ristrutturare, tra cui non figurava quello di Squillace che però nello stesso anno risulta essere stato ugualmente ammodernato, con l'apporto di maestranze francesi chiamate alla corte sveva. Alla morte di Federico l'architettura venne rafforzata ulteriormente in funzione di difesa nell'ambito delle lotte tra Svevi ed Angioini per la conquista del meridione d'Italia. Nel 1256 gli squillacesi, per ordine del principe Manfredi, figlio di Federico II, vennero assoggettati al dominio di Federico Lancia e, più tardi, del fratello Galvano. Nel 1271 gli Angioini confiscarono i feudi degli Svevi e li assegnarono a Giovanni di Montfort. Fino al 1445 si susseguirono vari domini sul castello e sulla città: nell'ordine i conti Lancia, i Montfort, i Del Balzo ed i Marzano. Iniziò poi l'epoca aragonese. Nel 1484/1485 Federico d'Aragona, futuro re di Napoli, divenne il principe di Squillace. Fra il 1494 ed il 1735 a governare furono invece i Borgia, in virtù delle nozze fra il tredicenne Goffredo, figlio di Papa Alessandro VI, e la figlia di Alfonso d'Aragona, Sancha (o “Sancia”). Goffredo divenne il primo principe di Squillace appartenente alla dinastia Borgia. Venne seguito da Francesco, Giovanni, Pietro, Anna e da Antonia Borgia d'Aragona (o “Pymentall”). Alla scomparsa di Donna Antonia, nel 1729, Squillace venne declassato al grado di marchesato e, nel 1755, fu regalato da Carlo III di Borbone al marchese Leopoldo De Gregorio da Messina, ultimo feudatario della città. La dominazione dei Borgia, tristemente famosa per i pesanti balzelli imposti al popolo, terminò con l'arrivo dei francesi. Il castello andò in rovina in seguito al sisma del 14 febbraio 1783. Il maniero, sotto il governo borbonico, fu anche carcere mandamentale, ospitando tra gli altri il filosofo Fra' Tommaso Campanella di Stilo. La funzione di casa circondariale fu svolta fino al 1978 quando la struttura venne sottoposta al recupero monumentale. Durante la campagna di scavi, condotta nel Castello di Squillace dall'Ecole Francaise, sono stati rinvenuti, in nuda sepoltura, nell'angolo interno della rocca coincidente con la torre poligonale, due scheletri avvinti in un tenero abbraccio. Con i piedi rivolti verso l'apice nord - est della torre, mano nella mano e con i rispettivi crani rivolti l'uno verso l'altro, i due scheletri - ben conservati - lasciano avvolta nel mistero la fine tragica della loro vicenda umana, ma suscitano tanta tenerezza per la posizione in cui sono stati ritrovati. Le indagini e gli accertamenti scientifici fanno risalire gli scheletri agli anni compresi tra il 1200 ed il 1300. E' stato accertato che appartengono ad un maschio alto mt. 1,70 e ad una femmina alta mt 1,68. L'epoca a cui gli studiosi fanno risalire la morte ed il seppellimento, l'altezza stessa dei corpi sono preziosi elementi per ipotizzare che non si trattasse di gente del luogo, bensì di "nordici", tenuto conto dell'altezza media dell'uomo meridionale. Altre notizie sul castello sono rintracciabili al seguente link: http://www.squillace.org/squillace-storia.htm

giovedì 19 aprile 2012

Il castello di giovedì 19 aprile



ROCCHETTA SANT’ANTONIO (FG) – Castello d’Aquino

Risale a Ladislao II d'Aquino, marchese di Corato e consigliere di Federico d'Aragona che gli offrì la signoria di Rocchetta Sant'Antonio per lire 25.500, come risulta da un diploma sottoscritto il 24 maggio del 1501 in Castelnuovo di Napoli. Ladislao II fondò il castello nel giro di pochi anni poiché l'opera era già terminata nel 1507 come risulta da un'epigrafe marmorea sulla porta d'ingresso, sotto lo stemma di casa d'Aquino: uno scudo diviso in sei bande con un leone rampante nella quarta e quinta banda. Lo stemma è a sua volta affiancato da due incassi dove poteva alloggiare la catena del ponte levatoio. L'edificio, di grande pregio architettonico e costruito con pietre calcaree di colore giallo-ocra tipico del luogo, ha una forma triangolare con tre torri poste in ciascun vertice; è edificato sul punto più alto di uno sperone di roccia strapiombante su lato sud e in declivio sul lato nord e ne segue l’orografia. La fortezza, forse progettata con il contributo di Francesco di Giorgio Martini o di qualche suo allievo, non fu costruita per difesa ma per fasto della casata, nonostante la presenza di torri di forma ogivale, elementi concepiti per meglio resistere agli attacchi con bombarde e cannoni. Quella più grande, unica nel suo genere, ricorda la prua di una nave e risulta funzionalmente autonoma rispetto al resto del castello. L’asse dell’ogiva è direzionato verso la cittadella, in quanto dagli altri lati il castello si difendeva grazie al naturale andamento orografico del colle. Attualmente non sono visibili le merlature della torre principale in seguito ad un suo rialzo avvenuto nella metà del 1700, a seguito di un parziale crollo dovuto al terribile terremoto del 1712, che ha interessato gran parte della cittadella. Diverse analogie con il castello di Carovigno, anch'esso accostato all'architetto di Giorgio Martini, confermano la partecipazione dell'illustre senese al progetto. La costruzione del castello avvenne in due fasi distinte ma vicine nel tempo, probabilmente non più di vent’anni l’una dall’altra, e ciò si riscontra dall’osservazione delle soluzioni di continuità nette nel paramento murario in corrispondenza dell’attacco tra la torre ovest, la più alta, e il resto del fabbricato. Le torri a ogiva sono di tipo casamattato, la tipologia che permette la coesistenza delle funzioni di difesa passiva, data dalla massa e dalla sezione della muratura che offre una resistenza maggiore rispetto alla sezione circolare, e attiva, per la presenza delle casematte. L'imponente edificio è distribuito su quattro livelli; a piano terra si trovano i principali locali di servizio, dai quali si accede al piano superiore dove sono ubicati tutti gli ambienti residenziali; al secondo piano ritroviamo gli stessi vani presenti al piano inferiore, mentre al terzo piano si estende un’unica stanza dalla quale parte la scala di accesso alla torre ogivale. La struttura è caratterizzata da ingegnosi sistemi di difesa e da eleganti linee che la slanciano sul pendio del suggestivo borgo antico. E' uno dei pochi esempi di architettura militare di transizione, che non ha subito modifiche di difficile lettura e risulta sostanzialmente integro. Ladislao II non dimorò a lungo nel castello perché, decaduti gli Aragonesi, fu spogliato dei suoi beni e quindi anche del feudo di Rocchetta. Quest'ultimo, passato attraverso varie famiglie, giunse nel 1609 nelle mani di Andrea Doria; nel 1849 la famiglia Doria lo vendette ai Piccolo, attuali proprietari.

mercoledì 18 aprile 2012

Il castello di mercoledì 18 aprile





VENETICO SUPERIORE (ME) - Castello Spadafora

Sorge sulla sommità di un'alta collina, dalla quale si gode un'ottima visuale della costa tirrenica. Presenta una pianta trapezoidale a corte, con quattro torri circolari con basamenti a scarpa agli angoli e vi si accede per mezzo di una vistosa rampa di scale, che un tempo culminava in un ponte levatoio, oggi non più esistente. Il Feudo di Venetico ha origini note con Simone Venetico, al quale appartenne nel periodo normanno. Simone e Ranuzza Venetico, non avendo prole, nel 1259 lo donarono al Giudice Arduino (o Aldoino). Re Manfredi, con privilegio dato a S. Gervasio il 9 Marzo 1259, accettò e confermò la predetta donazione estendendola agli eredi in perpetuo, salvo l'obbligo del Servizo Militare. Il Barone Corrado Spadafora, figlio di Federico, nel 1447 ottenne la concessione del Feudo di Venetico. La Real Corte gli concesse la gabella insieme al Feudo di Mazzarrà. Il castello fu edificato proprio verso la seconda metà del XV secolo ad opera degli Spadafora. Il figlio di Corrado Spadafora, Federico, in data 2 Marzo 1459 acquistò il Feudo di San Martino, fu Senatore di Messina nel 1484, ed ebbe cinque figli. Gli successe il primogenito Francesco Spadafora Colonna, il quale sposò Melchiorra Moncada Aragona. Francesco commissionò lo stemma araldico marmoreo che sormontava il portale in pietra del Castello Medioevale sito a Venetico. Lasciò erede il figlio Pietro Spadafora Moncada. In questo periodo (1525), vi fu l'assedio della Goletta a cui partecipò il cugino di Francesco, Scipione Spadafora del Ramo di Randazzo, in quell'epoca Reggente di Caltagirone. Conservatosi in buone condizioni fino all'inizio del XX secolo, il castello fu gravemente danneggiato dal sisma che colpì Messina nel 1908 e ridotto a un rudere. I bastioni murari del perimetro difensivo si sono in buona parte preservati, così come una parte del camminamento di ronda che girava intorno alla parte interna del perimetro murario. Alle saettiere per moschetti, larghe e a vistosi strombi, si alternano, in prossimità delle torri scarpate angolari, gli alloggiamenti per pezzi di artiglieria pesante. L'interno del castello si prefigura come un palazzo fortificato. Si possono ancora distinguere, nonostante la diffusa devastazione operata dal tempo, alcuni ambienti dall'ampia estensione interna, edificati con la medesima tecnica muraria della bastionatura esterna. In particolare a nord-ovest si preserva un blocco residenziale, probabilmente quello principale, dalla notevole estensione. Poco a meridione del blocco residenziale citato è distinguibile quanto rimane forse di un edificio sacro: una piccola chiesa o una cappella, parte integrante del complesso fortificato. E' importante sottolineare l'influenza sveva su questo tipo di architettura, infatti la fortificazione di Venetico ripropone la struttura di Castel Maniace a Siracusa. Benché alcune fonti attribuiscano il progetto di questo castello all'architetto Camillo Camilliani, non sono mai stati trovati riscontri negli elementi architettonici né documentazioni a suffragio di tale ipotesi. Il castello mantiene un contatto visivo diretto con il castello di Saponara e il vicino abitato di Roccavaldina, a controllo delle vie di comunicazione verso e da Rometta.

martedì 17 aprile 2012

Il castello di martedì 17 aprile



LENDINARA (RO) - Palazzo Pretorio degli Este

Si tratta di uno dei più antichi edifici estensi nel Polesine, risalente alla fine del Trecento. Nacque come castello, ricostruito sulle fondazioni di un precedente fortilizio su iniziativa del marchese Alberto d'Este, che lo destinò a residenza dei suoi rappresentanti in Lendinara. Eretto con intenti di difesa, nel corso del tempo, il nucleo originario del castello fu ampliato e divenne quindi sede civile e militare. Posto tra due torri merlate, dotato di logge, terrazze e di un cortile porticato, il palazzo era circondato da antiche mura (crollate nel 1630) e da una fossa. Una scala, costruita originariamente in cotto, conduceva al piano nobile. Esso era composta dall'abitazione del podestà e del cancelliere; dalla camera dell'udienza e da quella destinata alle donne (oltre ad ambienti di servizio come la cucina ed il tinello) comunicanti con la terrazza. Sopra la camera dell'udienza, vi era una stanza con loggetta. Il palazzo era dotato anche di una corte interna. Nella torre erano ubicate le prigioni, dove veniva praticata anche la tortura. Nel 1484 il Sanudo visitò il palazzo vuoto, appena restaurato per accogliere il marchese Ercole I d'Este. L'altra torre, ricordata dal Sanudo, in prossimità alla porta di accesso alla piazza, rovinò nel 1689 a seguito di un terremoto. Il Palazzo Pretorio subì nel corso dei secoli ripetute trasformazioni, distruzioni e ricostruzioni ampiamente documentate nelle suppliche dei podestà di Lendinara e nelle perizie delle maestranze da loro interpellate. Venne utilizzato in tempi più recenti come carcere, tanto da essere spesso chiamato dai cittadini col termine “'e presón”. Forse tale destinazione della torre annessa al Palazzo Pretorio, indusse il Senato Veneto a provvedere malvolentieri a periodiche manutenzioni del fatiscente complesso architettonico. Non sempre però gli esigui stanziamenti erano sufficienti a tamponare la precaria condizione dello stabile, aggravata talora da terremoti, trombe d'aria, incendi. Tanto che sul finire della dominazione veneta, alcuni pretori manifestarono l'idea di risiedere in un altro edificio più sicuro e in migliori condizioni. Fu solo verso la fine del '700 che si manifestarono nelle autorità veneziane le intenzioni di un sistematico restauro del palazzo, ma la caduta della Serenissima paralizzò ogni piano di recupero dell'ormai fatiscente fabbricato. Fu la comunità cittadina nel 1791 ad inoltrare domanda alla Regia Commissione Camerale per l'autorizzazione alla demolizione delle parti pericolanti del complesso e all'uso del suo materiale. Con il passaggio dei francesi, il palazzo subì altri notevoli danni, che indussero la rappresentanza cittadina nel 1801 a demolire il muro di cinta. Nel giugno 1802 il Boraso annotò che "fu restaurata la torrazza di piazza, cioè quella della piazza bassa, e questa a ponente fu alzata al livello delle altre tre parti, e poi le fu fatto il coperto e quattro acque, e restaurato li quattro lati con cassalene da Filippo Donà e Gaspare Zorzetto era capo mistro". Nel 1803 si sistemarono le prigioni tanto che nel 1816 per comodità, salubrità e sicurezza erano considerate le migliori della provincia. Dal 1832 al 1838 vennero affittate. Nel biennio 1851-'52 l'impresa edile di Vincenzo Boraso, realizzò nuovi lavori di restauro e trasformazione degli ambienti delle carceri, sul progetto dell'ingegnere civile Ferro. Si prevedevano: la demolizione della scala vecchia e di muri, l'apertura di finestre per favorire l'aerazione degli ambienti del carcere Belvedere, la pavimentazione delle due carceri denominate rispettivamente S. Pietro e S. Paolo, la costruzione del camino. Tuttavia nella relazione inviata alla deputazione amministrativa di Lendinara il 12 agosto 1853, venne evidenziato lo stato di degrado delle carceri, e la proposta di costruire un nuovo edificio carcerario. Il Palazzo Pretorio fu oggetto di un ultimo restauro nel 1930. Oggi si presenta composto dalla torre Maistra, alta 25 metri, e da un edificio più basso dotato di merli e di un grande portale. Da alcuni anni è sede dell'annuale mostra di presepi che attira appassionati e devoti della zona e non solo. Al suo interno, in quella che probabilmente era la cappella del palazzo, si trova un interessante affresco raffigurante la Madonna in trono col Bambino (1509) attribuito a Boccaccio Boccaccini.

lunedì 16 aprile 2012

Il castello di lunedì 16 aprile



BONEFRO (CB) – Castello normanno-aragonese

Domina la sommità del colle su cui sorge la parte antica del paese. Dal popolo spagnolo che lo occupò nel '500 fu definito il " bel castel fuerte". Il castello di Bonefro risale presumibilmente al periodo longobardo; fu oggetto di riedifizione e ampliamenti sia nel periodo normanno che in quello aragonese. La storia circa la sua costruzione è stata oggetto di studio da parte di molti storici fino a quando è stato stabilito che intorno al secolo XIV l'edificio assunse la conformazione definitiva, visibile ancora oggi in alcune sue parti. Dopo circa 150 anni il castello divenne residenza baronale. Stando a quanto scritto in un documento spagnolo del 1531 il feudo di Bonefro apparteneva "de Sancto Vito" con annesso il castello costituito da quattro torri angolari e nel mezzo una torre maestra. Una quinta torre, di forma ottagonale e analoga a quelle di Castel del Monte ad Andria, si presume sia stata eretta nel periodo svevo in un luogo distante da quello in cui sorgeva il castello. con funzione di vedetta, ma cadde in rovina nel 1888. Al suo posto si trova il Caffè Diamante. Del periodo Normanno il castello riporta solo la pianta quadrata e su ogni angolo sorge una torre cilindrica. Delle quattro, tre sono impiantate su muri a scarpa mentre una collocata a sud è posta in un posizione tale che guarda la chiesa madre. Esse servivano per il tiro "fiancheggiante", ossia per colpire di lato gli eventuali assalitori in aggiunta così al tiro frontale che evniva effettuato dalle mura. Se si osservano le torri si vede che esse poggiano su basi a forma di cono anche se queste originariamente erano molto probabilmente angolari. Le pareti del castello sono fatte da pietre tagliate e pietrisco unite tra loro con la malta; avendo subito diversi restauri e modifiche presentano delle irregolarità. Dall'esterno è possibile osservare una serie di finestre alternate con dei balconi mentre l'ingresso è definito da un arco a sesto acuto in pietra sostenuto da due mensole pure lapidee con colonne laterali in pietra. Dall'ingresso è visibile un cortile sul quale si apre una scalinata che permette l'accesso al piano residenziale. Sul cortile affacciano le camere del castello. Il maniero, che durante il periodo feudale ospitò anche le carceri e agli inizi del 1800 la guardia civica, fino al 1910 è stato posseduto da un unico proprietario, in seguito è stato frazionato e venduto a privati cittadini. La sua struttura risulta difficilmente percepibile per chi visita il centro cittadino, in quanto le alterazioni architettoniche subite lo hanno reso perfettamente omogeneo alle strutture edilizie del contesto.

sabato 14 aprile 2012

Il castello di domenica 15 aprile





FRANCOFONTE (SR) - Castello Alagona-Cruylles-Gravina

Ubicato nella parte alta dell'abitato, non esistono dati documentari sulle sue origini. Visti i caratteri costruttivi e distributivi, c'e da supporre ragionevolmente che l'inizio della costruzione avvenne attorno alla metà del Trecento con l'erezione del torrione centrale orientale. Nel 1366 viene nominato per la prima volta il fortalitium Francofontis posto a controllo di un abitato composto da 61 case tassabili. Nel 1370 il feudo era di Costanza Moncada, madre di Artale Alagona. Gli Alagona, di origine catalana, rivaleggiarono con i Chiaramonte, conti di Modica, che dominavano Lentini, il cui fortilizio aveva un ruolo strategico per il controllo del territorio fino a Catania e Vizzini. Nel 1392, a seguito della ribellione degli Alagona, i loro beni feudali furono assegnati ai de Lamia-Gaudioso. Tra i proprietari successivi ricordiamo Berengario Cruylles e i suoi discendenti, fino al 1565 quando subentrarono i Gravina-Cruylles, baroni di Francofonte, Palagonia e Chadra. Posto all'interno di un recinto anche precario, il mastio con spessore murario di m 2,20 a pianterreno era privo d'ingresso. Ben presto iniziò la costruzione della torre gemella e del muro di cinta con le torri angolari. Alla fine della fase medievale vennero aggiunte alla tela muraria le quattro torri mediane, e si diede inizio alla costruzione della sala terrana che doveva collegare il piano terreno delle due torri verso nord. Compositivamente il castello era un rettangolo disposto quasi esattamente in direzione nord-sud, con torri cilindriche ai vertici degli angoli ed altre quattro in mezzeria dei lati. Al centro del recinto erano disposte, come detto, le due grosse torri gemelle, quasi binate in direzione est-ovest, coronate da terrazzi merlati e aventi almeno tre piani in elevazione; esse contenevano le abitazioni baronali, servite da una scala a chiocciola (caracol) ubicata all'interno di una torretta addossata alla torre occidentale. Nella meta meridionale della corte si trovavano gli edifici destinati a contenere i servizi, i depositi, le stalle e in genere il casermaggio. Alla metà del '500 venne apposto l'orologio alla torre angolare nord-est (di controllo anche della porta di la terra dell'abitato). A seguito del terremoto del 1693, l'intero fianco orientale del complesso, quello sulla piazza di Francofonte, comprese le tre torri che vi ricadevano, venne definitivamente demolito per costruirvi il barocco palazzo marchionale, come è testimoniato dalle due grandi epigrafi apposte sul prospetto che portano la data 1705, su volere di Ferdinando Francesco Gravina, Principe di Palagonia. A giudicare dai terminali, piuttosto incompiuti, l'ambizioso progetto prevedeva che la costruzione continuasse anche sui fianchi nord e sud, cosa che poi non avvenne. Le demolizioni continuarono anche nei secoli, per cui nell'area del castello troviamo inclusi gli edifici costruiti nell'800 e anche nel '900. Attualmente nel groviglio delle stratificazioni di corpi di fabbrica risultano allocati il Municipio, alcuni circoli e abitazioni private. Dell’originaria cinta muraria sopravvivono ancora alcuni brandelli a nord, qualche brano del fianco occidentale ed un più cospicuo tratto tra le due torri del fianco sud (di quella all'angolo sud-ovest resta ancora solo il volume basamentale, ridotto a piccolo belvedere). Al centro del complesso si conservano ancora nocevoli resti dei volumi delle due massicce torri e della torre scalare, anche se variamente ridotte in altezza.

venerdì 13 aprile 2012

Il castello di sabato 14 aprile



CIVIDATE CAMUNO (BS) – Torre civica o Torre Federici

E’ un edificio medievale che sorge al centro dell'abitato, attorno al quale si è sviluppato il centro storico del paese. Realizzata intorno al XII secolo, doveva essere un edificio con meno aperture e più feritoie rispetto a come appare oggi. La prima fase costruttiva è ben testimoniata dal lato verso S. Stefano, che si è conservato quasi completamente, escluse le aggiunte di una finestra e delle merlature. Nel corso del XIV secolo subì un crollo che la dimezzò verticalmente, e fu ricostruita per opera della famiglia Federici nel 1390, come riportato dalla data sul portale sud in pietra simona o pietra di Gorzone. Si pensa però che ad occuparsi della torre non fu il ramo principale delle nobile e bellicosa famiglia camuna. I lavori continuarono anche nel XV secolo, dopo il passagio della torre dai Federici ai Da Cemmo, con il completamento della parte terminale con le merlature a coda di rondine. Evidenti sono i conci di riutilizzo tra cui alcuni scolpiti come quello inserito come chiave di una finestra ad arco tondo riportante un mascherone: è probabile, come per altri già visti a Bienno e databili al XII-XIII sec., che avesse una funzione scaramantico-apotropaica. L'interno è costituito da sette livelli, di cui uno interrato, e solo il piano terra è coperto da una volta a botte, mentre gli altri piani hanno impalcati in legno. Al complesso vanno associati altri elementi che facevano parte del recinto fortificato che lo attorniava. All'inizio del novecento era stata ipotizzata la sua trasformazione in museo archeologico. Osservando le finestre si intuisce la diversità di forma, grandezza e materiali, forse il risultato di ricostruzioni con il reimpiego di vari pezzi. Sulle stesse facciate convivono strette feritoie e grandi finestre: le prime danno più l'idea di una struttura fortificata, mentre le seconde, datate alla fasi edilizie successive, sono più da dimora signorile e hanno tolto alla torre l'idea di fortezza. Nel lato che guarda verso sud, si trova un altro ingresso formato da un portale inserito in resti di muratura. L'edificio, alto circa ventisei metri, è uno dei pochi interamente visitabile in tutta la Valcamonica: dopo il recente acquisto e messa in sicurezza da parte dell'amministrazione comunale di Cividate la torre può ospitare il visitatore tramite un sistema di scale e piani interni che arrivano fino alla sommità. Dall'interno ci si può affacciare per vedere il borgo, la chiesa di S. Stefano e parte dell'area archeologica dall'alto.

Il castello di venerdì 13 aprile



NICOTERA (VV) – Castello Ruffo

E' una residenza gentilizia che si erge nel centro storico di Nicotera, di proprietà comunale e sede del "Civico Museo Archeologico" e del "Centro per lo studio e la conservazione della civiltà contadina del Poro". L'attuale fortificazione è opera dell'architetto Ermenegildo Sintes, allievo prediletto del Vanvitelli e inviato in Calabria dalla corte borbonica per procedere alla ricostruzione delle città più importanti andate distrutte dal sisma del 1783, che riconvertì il castello in residenza estiva per il conte di Sinopoli Fulco Antonio Ruffo. L'edificio è stato eretto sulle rovine dell'antica fortezza normanno-svevo-angioina, di cui rimangono solo alcuni basamenti in pietra e una cisterna, realizzando torri angolari ed ampie terrazze, dalla quale è possibile scorgere la marina sottostante. Un primo castello a Nicotera venne fatto costruire presumibilmente dal re normanno Roberto il Guiscardo nel corso del secolo XI, anche se altre fonti indicano il Gran Conte Ruggero il Normanno, quale promotore per la realizzazione dell'edificio militare. Di sicuro ciò che ha caratterizzato il castello per tutto l'arco della sua vita è il continuo susseguirsi di distruzioni e ricostruzioni varie, dovute sia ai disastrosi terremoti (in particolare quello del 27 marzo 1638), che in parte alle distruzioni operate dagli assalti dei saraceni nel 1074 e nel 1085, oppure nel curioso caso del 1284 quando le truppe armate dell'ammiraglio aragonese Ruggero di Lauria, artefice della cacciata degli angioini dalla Calabria, distrussero completamente il castello che venne riscostruito in seguito dallo stesso Ruggero di Lauria. Con l'avvento di Federico II sia la città che il maniero subirono un processo di ampliamento e fortificazione. Un altro ampliamento avvenne al tempo delle lotte contro Manfredi ed in modo consistente sotto gli Angioini in quanto la città divenne centro militare e sede della stessa corte reale. Il castello durante il corso della sua vita ospitò illustri personaggi, quali San Bruno di Colonia, San Ludovico d'Angiò, Papa Urbano II, Gioacchino da Fiore e l'imperatrice Costanza d'Altavilla. Tra gli ultimi proprietari del castello ricordiamo la figlia di Fulco Ruffo, Maria Giuseppa la quale sposò D. Luigi Gagliardi, quindi suo figlio Francesco Gagliardi, che morì nel 1889 senza eredi diretti. Il maniero rimase alla vedova Donna Antonietta Gurgo la quale sposò, in seconde nozze, l’onorevole avv. Pasquale Murmura. La struttura, rimasta incompleta, è a pianta quadrilatera, con tre torri laterali, quadrilatere anch’esse, mentre la quarta non venne mai realizzata. Le due torri frontali collegate fra di loro attraverso una serie di sette arcate sono munite di balcone con mensole in granito grigio, sulla quale poggia un lungo e stretto terrazzo. Oltre alla quarta torre manca anche parte del prospetto, abbattuta dal violento terremoto del 1783 che colpì la piana di Sant'Eufemia. La facciata principale del castello presenta marcate analogie con la Certosa di San Martino a Napoli. I suoi sotterranei sono raggiungibili da un ingresso posto nel cortile interno. Dall'ingresso, con portale in granito, si accede ad un corridoio con volta a botte, il quale fa da accesso anche al piano terra. Quest'ultimo ospita due ampie sale, la prima con volta a vela, mentre la seconda ospita un ampio salone con volta a crociera, salone irraggiato dalle sette finestre che si aprono nelle sette arcate della facciata principale. Nel cortile del castello trova spazio un arco alla quale si accede all’atrio, pavimentato da grandi lastre di granito e adornato da un ampio scalone. Leggende narrano che il castello sia collegato alla Marina di Nicotera attraverso alcuni passaggi segreti, tanto che alcuni prigionieri del castello per verificare l'esistenza di tali cunicoli e permettere loro di attuare un piano di fuga, lanciarono al proprio interno delle angurie che rotolarono fino a raggiungere la Marina di Nicotera.

giovedì 12 aprile 2012

Il castello di giovedì 12 aprile





VILLAPUTZU (CA) – Castello di Quirra

E’ ubicato sulla cima del monte Cudias, in posizione panoramica vicino al fiume omonimo e in prossimità della chiesa di San Nicola. Il castello, fra i più potenti della Sardegna, fu costruito nel XII secolo dai Giudici di Cagliari a difesa del confine con quello di Gallura e alla fine dello stesso fu loro strappato da Nino di Gallura. Nel 1324, comandati dall’Infante Alfonso, sbarcarono in Sardegna gli Aragonesi, i quali, guidati dal Grande Almirante Francisco Carroz, che aveva ricevuto il compito di conquistare la costa orientale della Sardegna, riuscirono dopo un lungo assedio a conquistare il Castello di Quirra. Questa operazione militare fu di notevolissima importanza perché proprio questa conquista, forse per la sua rilevanza logistica, costrinse i Pisani ad abbandonare la Sardegna Orientale. Sempre a causa della sua importanza, politica, militare ed economica, il castello subì numerosi assedi. Nel 1334 i Genovesi, e specialmente i Doria l'assaltarono inutilmente. Nel 1354 fu assediato dalle truppe del Giudice d'Arborea, che speravano di poter conquistare, invano, uno sbocco al mare e l'accesso alle miniere del Sarrabus. Nel 1349, dopo vari passaggi di mano, divenne castellano di Quirra Berengario Carròz, che successivamente riuscì a far elevare il suo feudo a contea, acquisendo notevole potere. Egli in seguito infeudò il castello a Donna Violante, sovvertendo le regole di successione. Ciò provocò la reazione di Mariano IV d’Arborea che assalì il castello senza però riuscire a conquistarlo. L’assedio fu ripreso alla sua morte, prima dal figlio Ugone, poi da Brancaleone Doria, marito di Eleonora d’Arborea, nel 1389. Sul castello aleggia una leggenda cruenta: Don Berengario Carroz, Conte di Quirra, innamorato di Donna Eleonora Manriquez, una bellissima contessa, cugina della regina, avrebbe fatto uccidere nel castello la moglie Beatrice (o Benedetta) d’Arborea, dopo averla accusata a torto di tradimento. La figura mitica nella storia del castello è però Donna Violante Carroz, che la leggenda descrive avida ed assassina. Secondo un racconto Violante si sarebbe invaghita di Berengario Bertran, unendosi in segreto con lui e rompendo il vincolo matrimoniale. Sembra però che in seguito al fatto il cappellano che aveva avuto il torto di condannare il gesto fu condannato ad una brutale impiccagione e lasciato macabramente esposto nel Castello di San Michele a Cagliari. Per altri invece la Contessa morì accidentalmente cadendo dalla rupe più alta del monte dopo aver nascosto un prezioso telaio d'oro all'interno della montagna. Come ogni leggenda che si rispetti ancor oggi chi si ferma a dormire tra le rovine dovrebbe avvertire la voce del tormentato spirito di Donna Violante. In realtà la Contessa di Quirra morì in solitudine nel 1511 nel convento di San Francesco di Stampace. A partire dal 1475 il castello entrò nel patrimonio della Corona d'Aragona. Nel 1646, sul litorale antistante il monte su cui si ergeva il castello, naufragò una nave da guerra francese carica di truppe diretta a Napoli. Circa 400 uomini imbarcati sulla nave riuscirono a salvarsi e si rifugiarono nel castello ma, assediati, si arresero alle truppe della contrada. Nel 1839, durante il regno di Carlo Alberto, il castello di Quirra, così come ogni altro feudo dell’Isola, ruppe il suo secolare legame coi Carroz e i loro discendenti: ultimi feudatari furoni i Carroz-Osorio. I resti materiali della fortificazione si limitano a tre porzioni di paramento murario diroccato, situati a N, a S e ad E, e una serie di cisterne interrate lungo il lato O e N, parzialmente intonacate e voltate a botte. Nello spigolo S/E si trovano i resti di una torre triangolare con cisterna, profonda circa 3,50 m, concepita per raccogliere l'acqua piovana.

Il castello di mercoledì 11 aprile



SERRAMAZZONI (MO) – Castello di Monfestino

La frazione di Monfestino e il suo castello rappresentano la storia del territorio serramazzonese. Non si conosce l'epoca di questa fortificazione (intorno all'XI secolo ?) che, per la sua posizione strategica, essendo posta su uno sperone che domina la sottostante pianura, quasi certamente costituì un avamposto dello sbarramento difensivo del Castro Feroniano. La parte più antica della rocca si presentava con un'alta torre quadrata circondata da possenti mura. Dopo il dominio longobardo e franco, il feudo assunse il nome di Terra della Balugola, divenendo proprietà della Chiesa di Modena che lo concesse ad una famiglia che dal luogo prese il nome: i Da Balugola. Il Feudo comprendeva: Farneta (oggi Riccò) dove avevano il castello i Balugola, Pazzano, Valle, Rocca S.Maria, Montagnana, Selva, S. Dalmazio, Ligorzano, Fogliano, S.Venanzio, S. Stefano, Festà, Ospitaletto, Coscogno. Nel 1239, a seguito della penetrazione nelle prime colline degli armati bolognesi e dei Savignano, i Balugola subirono l'incendio e la distruzione del loro castello di Farneta. Tutto il territorio del Feudo, con il passare del tempo, venne occupato dai Savignano che si insediarono nella turrita fortificazione di Monfestino rimanendovi sino al 1364, anno in cui ne ricevettero, da parte del Marchese di Ferrara, la custodia. I Savignano governarono ufficialmente la Podesteria di Monfestino sino al 1406, quando dopo un'ennesima ribellione, Nicolo III d'Este mandò contro di loro il fedelissimo capitano Uguccione Contrari, che li vinse sotto le mura della loro fortificazione di Savignano portandoli prigionieri a Ferrara. Per questa impresa, ad Uguccione Contrari fu donata anche la Podesteria di Monfestino. Con la morte cruenta, avvenuta a Ferrara nel 1575, di Ercole Contrari, terminò la dinastia dell'importante famiglia Contrari e il duca di Ferrara vendette la podesteria alla famiglia Boncompagni (1577) che la governò per oltre due secoli. Durante l'occupazione napoleonica (1796-1814) e il periodo della restaurazione (1814-1859) le singole comunità della Podesteria di Monfestino subirono parecchie e differenti aggregazioni ad altre realtà territoriali e comunali. Quando finalmente nel 1859 fu ricostituita l'antica Comunità, Monfestino aveva però già perduto la sua importanza strategica rispetto a un borgo posto sulla strada che congiungeva Modena alla Toscana e l'Europa al centro Italia: Serramazzoni. A inizio '900 il castello era in condizioni di deplorevole degrado, ma una volta acquistato dalla famiglia del Comm. Fermo Corni in pochissimi anni, grazie a importanti lavori di restauro, esso fu riportato al suo splendore originale. Oggi, camminando per un verde sentiero, si possono ammirare le rotonde e possenti mura, e si possono osservare le vette dell’Appennino e perfino i bianchi ghiacciai delle Alpi. Il castello è tuttora di proprietà della famiglia Corni e la tradizionale festa di Monfestino che si tiene verso la metà del mese di luglio è un'occasione unica per poterne visitare una parte. Nei pressi di Monfestino vi sono le cascate del Bucamante, il cui nome pare che derivi da una tragica e allo stesso tempo romantica vicenda. Nel castello, tanto tempo fa, viveva una nobile famiglia, composta dal padre Guidobaldo, dalla madre, donna Elvira, e dalla figlia, la bionda Odina che aveva allora diciassette anni. La fanciulla, bellissima d’aspetto, era solita fare lunghe passeggiate, in compagnia della domestica Fiorina, per i boschi ed i castagneti, per raccogliere fiori selvatici ed ammirare leprotti e caprioli. Un giorno Odina volle scendere ai piedi del monte, dove pascolavano greggi di pecore, ed incontrò un giovane pastore di nome Titiro. Aveva un volto molto bello e lunghi capelli biondi. I due ragazzi si guardarono intensamente negli occhi. Da quel giorno si incontrarono più volte di nascosto, riuscendo sempre ad allontanare la domestica. Un giorno però Fiorina vide i due giovani abbracciati e cose a svelare a donna Elvira il segreto della figlia. Odina, anche se era stata rinchiusa nel castello, non riusciva a dimenticare il suo innamorato. Una mattina, però qualcuno dimenticò di chiudere a chiave la porta della sua stanza e la fanciulla riuscì a fuggire. Corse veloce per i boschi e raggiunse Titiro. Ad un certo punto sentirono le voci dei domestici alla ricerca della fanciulla ed il latrare dei cani. Presi dalla paura e dallo sconforto si abbracciarono stretti e si gettarono nella cascata. I servi giunti sul posto guardarono impietriti i corpi esanimi di Odina e Titiro. La buca che si era formata sotto il peso dei loro corpi divenne la buca degli amanti, cioè Bucamante e diede il nome anche al torrente.

lunedì 9 aprile 2012

Il castello di martedì 10 aprile



CAPALBIO (GR) – Rocca Aldobrandeschi

Collocata nel cuore del centro storico di Capalbio, sorse in epoca medievale come possedimento dell'Abbazia delle Tre Fontane di Roma, ricevuto in dono da Carlo Magno nel 805. Nel corso del Duecento passò alla famiglia Aldobrandeschi che la ingrandirono, conferendole un aspetto ancor più fortificato; gli Aldobrandeschi la controllarono a vicende alterne fino alla fine del Trecento, quando la persero definitivamente a vantaggio degli Orsini di Pitigliano. La permanenza di Capalbio e della sua rocca nella Contea degli Orsini fu, tuttavia, molto breve, a causa della conquista da parte dei Senesi avvenuta agli inizi del Quattrocento (1416). Da allora, la Rocca aldobrandesca fu uno degli avamposti più meridionali della Repubblica di Siena. I Senesi eseguirono dei lavori di ristrutturazione, conferendo al monumento architettonico l'aspetto attuale. Nella seconda metà del Cinquecento (1590), con la definitiva caduta di Siena, la fortificazione passò nelle mani dei Medici, seguendo le sorti del Granducato di Toscana. La Rocca aldobrandesca è costituita da una torre e da un elegante palazzo signorile, addossati tra loro su un lato. La torre costituisce il nucleo originario del complesso e si presenta a sezione quadrangolare poggiante su un basamento a scarpa cordonato; la parte alta è coronata da una merlatura sommitale che poggia su mensole che racchiudono archetti ciechi. In cima alla torre è possibile godere di un panorama mozzafiato, comprendente la Maremma. Palazzo Collacchioni è l'elegante edificio signorile di epoca rinascimentale addossato alla torre sul lato corto. Il fabbricato si sviluppa su tre livelli, presenta alcune pregevoli decorazioni sulla facciata principale, dove si apre il portale che conduce al cortile interno dove è collocato un pozzo per la raccolta d'acqua nella sottostante cisterna interrata. Al suo interno sono conservati preziosi mobili d'epoca.

venerdì 6 aprile 2012

Il castello di venerdì 6 aprile





GEMMANO (RN) – Mura malatestiane

Il nome del paese sembra essere legato al suo singolare stemma rappresentante una mano che solleva al cielo un anello con un’enorme gemma. La tradizione afferma infatti che il toponimo è da mettere in relazione ad un bellissimo gioiello regalato ad una sposa dei Malatesta, signori del castello durante il XIV e XV sec. Diversa è l’opinione degli esperti che fanno invece riferimento all’antico fundus Geminianus, un terreno appartenuto alla famiglia Geminiana citata in due iscrizioni romane rinvenute a Montefiore Conca. L’abitato odierno risale, nella sua posizione attuale, al Medioevo, periodo di sviluppo dei luoghi fortificati sui colli. Gemmano fu castello importante ed oggetto di aspre contese ma del suo insigne passato sono rimaste solamente alcune suggestive vestigia, quali le antiche mura, recentemente restaurate e meritevoli di una visita. Successivamente ai Malatesta, il comune appartenne allo Stato Pontificio fino all’unità d’Italia. Il centro andò completamente distrutto sotto i bombardamenti del settembre 1944 nella seconda guerra mondiale, quando gli alleati sfondarono la linea gotica, la linea difensiva dei tedeschi che aveva il compito di fermare, o almeno rallentare l’avanzata delle truppe alleate verso il nord.