ROCCHETTA SANT’ANTONIO (FG) – Castello d’Aquino
Risale a Ladislao II d'Aquino, marchese di Corato e consigliere di Federico d'Aragona che gli offrì la signoria di Rocchetta Sant'Antonio per lire 25.500, come risulta da un diploma sottoscritto il 24 maggio del 1501 in Castelnuovo di Napoli. Ladislao II fondò il castello nel giro di pochi anni poiché l'opera era già terminata nel 1507 come risulta da un'epigrafe marmorea sulla porta d'ingresso, sotto lo stemma di casa d'Aquino: uno scudo diviso in sei bande con un leone rampante nella quarta e quinta banda. Lo stemma è a sua volta affiancato da due incassi dove poteva alloggiare la catena del ponte levatoio. L'edificio, di grande pregio architettonico e costruito con pietre calcaree di colore giallo-ocra tipico del luogo, ha una forma triangolare con tre torri poste in ciascun vertice; è edificato sul punto più alto di uno sperone di roccia strapiombante su lato sud e in declivio sul lato nord e ne segue l’orografia. La fortezza, forse progettata con il contributo di Francesco di Giorgio Martini o di qualche suo allievo, non fu costruita per difesa ma per fasto della casata, nonostante la presenza di torri di forma ogivale, elementi concepiti per meglio resistere agli attacchi con bombarde e cannoni. Quella più grande, unica nel suo genere, ricorda la prua di una nave e risulta funzionalmente autonoma rispetto al resto del castello. L’asse dell’ogiva è direzionato verso la cittadella, in quanto dagli altri lati il castello si difendeva grazie al naturale andamento orografico del colle. Attualmente non sono visibili le merlature della torre principale in seguito ad un suo rialzo avvenuto nella metà del 1700, a seguito di un parziale crollo dovuto al terribile terremoto del 1712, che ha interessato gran parte della cittadella. Diverse analogie con il castello di Carovigno, anch'esso accostato all'architetto di Giorgio Martini, confermano la partecipazione dell'illustre senese al progetto. La costruzione del castello avvenne in due fasi distinte ma vicine nel tempo, probabilmente non più di vent’anni l’una dall’altra, e ciò si riscontra dall’osservazione delle soluzioni di continuità nette nel paramento murario in corrispondenza dell’attacco tra la torre ovest, la più alta, e il resto del fabbricato. Le torri a ogiva sono di tipo casamattato, la tipologia che permette la coesistenza delle funzioni di difesa passiva, data dalla massa e dalla sezione della muratura che offre una resistenza maggiore rispetto alla sezione circolare, e attiva, per la presenza delle casematte. L'imponente edificio è distribuito su quattro livelli; a piano terra si trovano i principali locali di servizio, dai quali si accede al piano superiore dove sono ubicati tutti gli ambienti residenziali; al secondo piano ritroviamo gli stessi vani presenti al piano inferiore, mentre al terzo piano si estende un’unica stanza dalla quale parte la scala di accesso alla torre ogivale. La struttura è caratterizzata da ingegnosi sistemi di difesa e da eleganti linee che la slanciano sul pendio del suggestivo borgo antico. E' uno dei pochi esempi di architettura militare di transizione, che non ha subito modifiche di difficile lettura e risulta sostanzialmente integro. Ladislao II non dimorò a lungo nel castello perché, decaduti gli Aragonesi, fu spogliato dei suoi beni e quindi anche del feudo di Rocchetta. Quest'ultimo, passato attraverso varie famiglie, giunse nel 1609 nelle mani di Andrea Doria; nel 1849 la famiglia Doria lo vendette ai Piccolo, attuali proprietari.
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