martedì 30 aprile 2013

Il castello di martedì 30 aprile





AOSTA – Torre di Pailleron

Lungo il lato meridionale delle mura romane, sulla piazza della stazione ferroviaria, si può osservare questa torre che deve il suo nome al fatto che fu a lungo utilizzata come pagliaio. Si tratta di una delle torri cittadine che meglio hanno conservato le loro originarie caratteristiche architettoniche. A pianta quadrata e aperta su ciascuno dei quattro lati da sei grandi finestre, tre per ogni piano, è collegata ad un tratto di mura che nel medioevo fu aperto per ricavarvi la cosiddetta “porta ferrière“. Un incendio, nella seconda metà del Settecento, ne danneggiò parte della copertura. Il 4 luglio 1886, in occasione dell’arrivo ad Aosta del primo treno della nuova linea ferroviaria Ivrea-Aosta si inaugurarono i giardini pubblici e il monumento al Re cacciatore. La torre avrebbe dovuto accogliere delle antichità romane, ospitare l’alloggio del custode del museo e del parco pubblico. Ma non venne mai adibita a museo. Nel 1894 il Sovrintendente alle Antichità Alfredo d’Andrade, volle il restauro dell’edificio, intervento ben visibile avendo impiegato mattoni nelle parti di muratura mancanti. Merita una segnalazione, per la sua originalità all'interno del contesto dei Giardini pubblici, la fontana in roccette situata a pochi passi dalla Tour de Pailleron, risalente ai primi del Novecento e realizzata da manodopera specializzata nella realizzazione di grotte artificiali.

lunedì 29 aprile 2013

Il castello di lunedì 29 aprile






SANT’ILARIO DELLO IONIO (RC) – Castello in frazione Condojanni

Fu eretto dai Normanni (molto probabilmente sotto il regno di Ruggero II) tra la fine del XI secolo e l'inizio del XII, sulla cima di un'altura rocciosa, tra quelle che dominano la Locride, come luogo di avvistamento e di rifugio per la popolazione, in seguito all’intensificarsi delle scorribande saracene lungo le coste calabresi. Rappresenta uno dei pochi esempi di architettura alto medievale calabrese. Il castello, insieme a quelli vicini e simili di Gerace, Stilo, Amendolea, Sant'Aniceto rientrava in un sistema difensivo di età normanna volto a controllare la costa ionica meridionale. Con il passaggio della Calabria sotto il dominio degli Svevi, tale struttura fu ristrutturata ed ampliata, creando il vero e proprio castello, con l’aggiunta di alcune torri rettangolari. Da questo momento vennero scritti documenti che ne danno notizia. Nel corso del XIII secolo il maniero divenne il centro di comando del fiorente feudo di Condojanni. Nei secoli fu proprietà di famose ed illustri dinastie, tra le quali i Ruffo di Calabria, i Marullo (durante il cui dominio vi dimorarono scrittori e pittori francesi richiamati dal nome della nobile famiglia), i Carafa principi di Roccella. La torre centrale, a pianta quadrata, raggiunge i 30 metri di altezza e si innalza su quattro piani. Il piano terra del castello presentava numerosi ambienti e un muro longitudinale divideva lo spazio interno del castello dalla piazza d'armi. Le mura esterne del castello vennero ristrutturate più volte. Con l'acquisto dei Carafa, nel 1585 fu progressivamente abbandonato, subendo gravi danni in seguito al terremoto del 1653 che rase al suolo Condojanni. Della fortificazione oggi sono ancora visibili i resti di una torre angolare, del torrione a base quadriangolare e delle mura di cinta esterne. Altre notizie storiche sul feudo di Condojanni, per chi fosse interessato, si possono trovare al seguente link:
http://www.sbti.it/Origine%20della%20Contea%20di%20Condojanni.pdf

domenica 28 aprile 2013

Il castello di domenica 28 aprile






CIVEZZANO (BZ) – Castello in frazione Seregnano

Fra tutte le opere fortificate sorte nel corso dei secoli sul territorio civezzanese, il castello di Seregnano costituisce certamente, dal punto di vista architettonico, l'elemento di maggior pregio ed interesse. Le definizioni che ne danno il Tabarelli e il Gorfer sembrano cogliere efficacemente la particolare caratteristica di questa costruzione cinquecentesca: "Si tratta in definitiva di un ibrido, tuttavia interessante esempio di architettura mista". "E' una tra le più deliziose residenze nobili fortificate del Trentino”. Se le vicende storiche dell’edificio possono in parte richiamare quelle di Castel Telvana, quelle architettoniche si differenziano completamente: a Civezzano vi è infatti il castello medioevale ristrutturato e trasformato, nel primo Cinquecento, in residenza di villeggiatura; a Seregnano invece una rifabbrica completa (o quasi) che, cancellando praticamente le preesistenze medioevali, porta alla realizzazione di una villa rinascimentale fortificata (“architettura mista”, “residenza nobile fortificata”), una sorta di palazzo munito tipico dell'architettura italiana del XVI secolo. Il castello, sito in splendida posizione panoramica, domina sulla valle del Sina e sulle strade per il Pinetano e Fornace. Da qui si poteva controllare perfettamente la via che da Cogatti saliva a Seregnano. L'intero e vasto complesso architettonico, un tempo sicuramente cintato da mura, ha condizionato notevolmente lo sviluppo urbanistico del centro storico del paese, relegando gli insediamenti residenziali minori su un unico lato dell'asse stradale che percorre il paese in tutta la sua lunghezza. In epoca medioevale anche il castello di Seregnano appartenne alla famiglia Roccabruna che lo cedette, come castel Telvana, all'inizio del XVI secolo a Simone Guarienti  (nobile di Rallo) marito di Beatrice Thun di Castel Caldes. Egli avviò la ricostruzione dell'edificio terminata nel 1561 dal figlio Gerolamo come sembrerebbe attestare lo stemma datato posto vicino al portale della torre dell'orologio (che il Gorfer indica come accesso originario al castello). Gli interventi sull’edificio originario lo trasformarono radicalmente, cancellando i caratteri medievali per arrivare alla realizzazione di una villa rinascimentale fortificata. A questo periodo risale, tra l’altro, il bellissimo camino del salone. Il palazzo presenta un impianto planimetrico irregolare, rinserrato da tre torri quadrangolari, fra loro obliquamente allineate, che arricchiscono notevolmente, movimentandolo, il volume dell'edificio. Le due più avanzate (torre della meridiana e torre dell'orologio) incorniciano, con le loro forme slanciate (hanno circa 5 metri di lato), il prospetto principale prospiciente il prato del parco, mentre la terza, "poderoso e unico suggello fortificato della residenza", dà compimento, con la sua potente mole (10 metri di lato) all'intera composizione architettonica. Cardine planimetrico fra la residenza ed il lungo e basso corpo della «stireria» (addossata in epoca tarda ad un muro di cinta merlato), la torre grande è munita di tre belle caditoie a naso con mensole e cornici in pietra. Al piano terra vi si accede attraverso un portalino architravato cinquecentesco sormontato da uno stemma dei Roccabruna. Nuovi importanti lavori vennero realizzati nel corso del XVII secolo. Un nuovo ingresso al castello (con portale barocco tipico del Civezzanese) venne ricavato in luogo più riparato anche se meno rappresentativo: la nicchia venutasi a creare a lato della torre grande in seguito alla realizzazione (fra questa e la torre dell'orologio) di due eleganti logge colonnate e architravate sovrapposte che, pur togliendo forza all'immagine castellana dell'edificio, lo impreziosiscono nella sua funzione residenziale. Allo stesso intervento si ritiene appartenga il poderoso portale d'ingresso che dalla piazza dà accesso al cortile del castello. Formalizzato a conci, con stemma Guarienti in chiave (datato 1634), esso rielabora nei capitelli forme tipiche del Cinquecento (si vedano a Civezzano i portali Alessandrini e Mirana). Passato questo portale (sormontato da due mensole per caditoia) si attraversa un ampio androne voltato e lunettato, nel quale sono dipinti gli stemmi delle tre famiglie proprietarie del castello: Guarienti, Roccabruna e Consolati, e si giunge al cortile intorno al quale, oltre al maniero (circondato su tre lati da un bellissimo parco), si elevano alcuni edifici colonici; sulle pareti di questi, nell'Ottocento, furono dipinte ad affresco delle architetture neogotiche e una torre di conci squadrati. Una seconda corte, aperta su un lato verso la piazza della chiesa, è formata dalle stalle (voltate a crociera) e dai grandi locali rustici costruiti lungo la strada principale e coperti da una bellissima struttura lignea a capriate. L'accesso a questi ambienti di servizio è garantito da due originali e pittoreschi percorsi coperti sovrapposti, uno dei quali servito da una lunga rampa carrabile. Il vasto e complesso agglomerato edilizio del castello di Seregnano disegna “un caratteristico ambiente di villaggio”  dal quale non è esclusa nemmeno l'antica chiesa di San Sabino, documentata già nel XIII secolo e ricostruita nel XVI, contemporaneamente alla fabbrica del castello (uno stemma Guarienti datato 1561 è murato nell'abside della chiesa). Oggi è adibito ad abitazione privata della famiglia Consolati ed è visitabile solo previo accordo con i proprietari. Alla fine del 2011 la Soprintendenza ai beni architettonici della Provincia ha dato parere favorevole alla richiesta di Pietro, Anna, Francesca, Marco e Serena Consolati al restauro del castello di loro proprietà.  

sabato 27 aprile 2013

Il castello di sabato 27 aprile






AMEGLIA (SP) – Castello

È arroccato, come il borgo, su un enorme agglomerato di rocce di quarzo che ne conferiscono grande stabilità e solidità. Le prime notizie certe risalgono al 963, come descritto in un diploma di Ottone I, in cui si parla del "Castrum Ameliae" come possesso dei Vescovi e Conti di Luni che scelsero il luogo come residenza episcopale, fortificandone e rinforzandone le mura del borgo. Il feudo nel 1141 fu acquistato in parte da Genova che lo mantenne fino al 1252 quando fu ceduto a Nicolò Fieschi, conte di Lavagna. La costruzione del castello risale al 1174 (insieme a quella dell’attigua torre), quando gli abitanti di Pietracoperta trovarono qui rifugio a seguito della distruzione del loro paese ad opera dei Genovesi per contrastare il forte dominio dei Malaspina. Occupato per un breve periodo da Oberto Doria e Oberto Spinola, dal 1284 il maniero tornò nelle mani dei vescovi di Luni. Nel 1321 il borgo fu conquistato da Castruccio Castracani, famoso condottiero italiano molto abile nell'uso delle armi, proveniente dalla famiglia ghibellina degli Antelminelli di Lucca. Alla sua morte, nel 1328, la cittadella medievale e il castello passarono sotto l’influenza di diversi signori e famiglie locali, tra cui si possono ricordare: i Doria, i Visconti, gli Sforza e i Campofregoso. Nel secolo successivo fu oggetto di numerosi passaggi di proprietà fino alla definitiva cessione, secondo alcune fonti a partire dal 1562, al Banco di San Giorgio della Repubblica di Genova. Le caratteristiche costruttive generali del maniero rimandano a una preesistente struttura romana. Del nucleo originario, costituito dal palazzo del signore, sono ancora visibili notevoli resti, tra cui un vasto cortile e uno spiazzo denominato “fosso”. Attorno alla struttura di forma rettangolare si sviluppa una triplice cerchia di mura, con merlatura guelfa. Le mura, ancora intatte, sono dotate di merlature, beccatelli e di parte di un camminamento che portava alla torre (molto angusto, circa 80 cm., probabilmente reso più agibile all'epoca da impalcature lignee). All’interno si possono apprezzare affreschi ottocenteschi realizzati dal pittore "dal lungo mantello". La torre, che  ricorda quelle dei castelli di Ortonovo e Montemarcello, è di forma cilindrica, elemento che potrebbe indicare un’ascendenza romano-bizantina. Un tempo era probabilmente divisa in piani e nella parte inferiore ospitava le prigioni. Il castello di Ameglia costituiva la dimora periodica di un feudatario, il vescovo-conte, che vi risiedeva, più o meno saltuariamente, amministrando la giustizia, promulgando leggi e imponendo tasse, organizzando feste, cacce, banchetti, forse anche piccole giostre di cavalieri o spettacoli. Nel borgo circostante si esercitavano i vari mestieri, e nelle campagne vivevano i servi della gleba, vincolati alla terra in cui nascevano. In caso di pericolo, tutti gli abitanti della contea-feudo dovevano rifugiarsi dentro le mura per difendersi e per provvedere alle necessità del castello, difeso da una guarnigione di villani più che da una vera milizia. L'edificio è stato sede del Comune fino al 31 marzo del 2008, quando gli uffici sono stati trasferiti nel nuovo palazzo municipale nella zona moderna di Ameglia.

giovedì 25 aprile 2013

Il castello di venerdì 26 aprile






GUALDO TADINO (PG) – Castello di Crocicchio
(di Daniele Amoni - dal sito www.mondimedievali.net)

Lungo la provinciale che da Fossato di Vico porta a Gubbio, prima della frazione di Branca, si trova la deviazione verso l'omonima località dominata da questo austero e squadrato maniero diventato oggi abitazione signorile. Posto sopra un colle dal quale domina i fertili terreni circostanti, viene nominato per la prima volta nel 1156 in una bolla di Adriano IV (1154-1159). Sotto il dominio dell'abbazia di Valdiponte (Montelabate) per circa un secolo, all'epoca proprietaria di 44 chiese sparse nel territorio perugino, il castello fu posto sotto la giurisdizione del comune di Gualdo Tadino nel 1444 da Nicolò Piccinino (Magione 1386 - Cusago, Milano, 1444), capitano generale delle truppe pontificie, mediante apposito decreto emanato dalla rocca di Assisi. Tale atto sanciva la fine di una vessazione irritante verso l'abbazia che comportava le amiscere (donazioni di focacce, capponi e spalle porcine), la data e la colta (imposizioni in natura riscosse ad intervalli irregolari dalle singole famiglie), l'albergheria (tributo per il sostentamento in caso di visite), i bandora e le folie (podestà di giudicare e infliggere le pene) e, infine, le operae (prestazioni di lavoro gratuito). Il castello ospitava anche una guarnigione militare e nei documenti si trova citato tale Pierus de Crucicchio che dal dicembre 1415 al luglio 1417 fu chiamato a difendere il castello di Serra S. Abbondio in territorio eugubino. Nel giugno del 1480, a rafforzamento dei confini verso il Ducato di Urbino, fu inviato a Crocicchio da Giulio Cesare Varano di Camerino († 1502) un presidio di 13 armati capitanato da Benvenuto di Giovanni da Pergola. Nel 1500 gli abitanti del castello, sobillati da fuoriusciti perugini, opposero un netto rifiuto al pagamento di alcuni balzelli imposti dal comune gualdese il quale fu costretto a rispondere con l'istituzione di un corpo speciale di guardie deputato alla riscossione dei crediti. Nel 1513, sotto il Legato pontificio cardinal Antonio Ciocchi del Monte (1462-1533), assunse un ruolo strategico fondamentale quale castello di confine tra lo Stato della Chiesa e il Ducato d'Urbino. Il 4 giugno 1581 il luogotenente generale della Chiesa inviò da Perugia un bando in cui si metteva a custodia della cosiddetta "Campana dell'Arme" un piccolo presidio di armati che provvedessero a suonare a distesa in caso di bisogno: era il periodo in cui la zona era continuamente sottoposta a razzie di bestiame e saccheggi da parte di fuoriusciti gualdesi. In quell'anno abitavano nel castello e nelle terre circostanti 25 famiglie. Nel 1607, il Consiglio Generale del comune stabilì che Crocicchio avesse il titolo di castello insieme a San Pellegrino, Caprara e Grello. Con l'annessione del Ducato di Urbino allo Stato della Chiesa (1631) il castello perse progressivamente la propria importanza strategica diventando residenza estiva di vari proprietari appartenenti al patriziato romano, mentre nel '700 i terreni della vicina chiesa di S. Lorenzo verranno dati in affitto dalla Camera apostolica alla famiglia dei conti Gabrielli di Gubbio. Sul finire dell'Ottocento passò al dottor Celestino Colini di Sigillo, di nobile famiglia, figlio di Clemente Colini che aveva fondato la Cartiera di Scirca e fratello di Ubaldo che ne diresse le sorti fino alla sua morte (1910). Celestino Colini, restaurò il castello, vi dimorò stabilmente ottenendo anche la cittadinanza gualdese. Ogni mattina, accompagnato dal fido fattore Virgilio, partiva da Crocicchio per recarsi a Gualdo Tadino dove, nel frattempo, partecipava alla vita pubblica. Fu eletto, infatti, sindaco due volte: dal 28 ottobre 1915 al 20 agosto 1919 e dal 30 ottobre 1919 al 31 dicembre dello stesso anno. Consigliere Provinciale per il Mandamento di Gualdo, il Colini favorì la crescita e lo sviluppo delle pinete locali, piantate dai prigionieri austriaci della guerra 1915-1918 che spesso portava nel castello in cui aveva loro destinato un vasto locale, affinché potessero cucinarsi i cibi secondo la tradizione della propria terra. L'attuale edificio, completamento restaurato, presenta un corpo principale a quattro piani e una torre a base quadrata con bifore e merlature in cui si apre una porta ogivale e finestre ad arco tondo. La parte alta della torre è costituita da un finestrone gotico di stile giottesco sostenuto da due colonne trilobate sopra il quale svettano le merlature. Attuale proprietaria è la famiglia del sig. Rodolfo Cecconi che ne ha fatto il centro di una fiorente azienda agraria di 160 ettari occupata da seminativi, pascoli e boschi.

Il castello di giovedì 25 aprile






ZOVENCEDO (VI) – Castello Vescovile

Il paese è d’origine medievale; il suo territorio è appartenuto a lungo all’antica Corte di Barbarano; nel secolo X fu donato al vescovo di Vicenza dai re Ugo e Lotario di Provenza. Il Castrum Zovencedo doveva essere di considerevoli dimensioni e di una certa importanza. è citato in un diploma di Federico I del 1158, ed elencato tra i possedimenti del Vescovo di Vicenza. Passò poi ai conti Maltraversi e infine agli Ezzelini nel 1316. Non si conosce molto della storia di questo importante sito archeologico: le fonti storiche ne testimoniano l’uso fino almeno al XV sec., quando al suo interno sorgeva la Casa del Comune. Del fortilizio restano tuttora una robusta e possente torre ed alcune adiacenze, ora adibite ad abitazione privata. Dalle mura degli edifici che dovevano sorgere all’interno del perimetro del castello è ipotizzabile che questo dovesse essere di notevoli proporzioni. Lo si raggiunge dal primo tornante, in discesa, tra la nuova sede municipale e la chiesa, svoltando a sinistra (verso la ripida discesa di Calto), quindi subito a destra in leggera discesa fino al termine della strada. Usato come ricovero, non è visitabile. Il luogo domina il profondo solco dell'alta Val Liona, una ripidissima stradina asfaltata scende direttamente a Calto, interessante nucleo abitato.

mercoledì 24 aprile 2013

Il castello di mercoledì 24 aprile







CASOLI (CH) – Castello Masciantonio

Posto in cima all'abitato, su di un colle alla destra del fiume Aventino da cui domina la sottostante valle fluviale con il grazioso lago S. Angelo e le colline circostanti, risale al XV secolo, ma costruito su di una struttura preesistente. Le sue vicende si intrecciano con quelle del feudo di Casoli, che dapprima fece parte della Contea di Manoppello (XII sec.), dal 1369 al 1489 fu feudo degli Orsini (sotto il cui casato si può far coincidere la costruzione dell'attuale fabbrica), in seguito fu dei D’Aquino. Varie ipotesi identificano il torrione pentagonale come il nucleo originario, ma mancano studi certi in merito. Tale torre fu costruita come baluardo difensivo dei fiumi Aventino e Sangro. La struttura alta 21 metri è a puntone, terminante con un'altana sormontata da un forte parapetto sostenuto da mensole in pietra trilobate. Il coronamento superiore (camminamento di ronda d'epoca angioina), sostituisce antichi merli molto caratteristici che si trovavano ad un'altezza inferiore. La sezione del castello attorno al cortile centrale (quasi rettangolare), è da ritenersi di epoca successiva è viene ascritta all'epoca rinascimentale, il tratto meridionale mostra tracce di uso abitativo. Quest'ultimo è infatti caratterizzato da un ingresso archiacuto spostato in prossimità della torre, da ampie finestre che ne accentuano la natura di palazzo nobiliare, da un elegante coronamento con apparato a sporgere, costituito da mensole aggettanti in mattoni, che reggono archetti acuti. Nel 1868 il castello fo ceduto ai Di Benedetto, famiglia che fece realizzare il monumentale ingresso con arco a sesto acuto ed il coronamento in mattoni della facciata. Concetta Di Benedetto sposò poi Raffaele Masciantonio portando in dote la sontuosa dimora e dando inizio al momento più felice della storia del castello: fra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, Pasquale Masciantonio  figlio di Concetta e Raffaele, legato da profonda amicizia con il poeta Gabriele D’Annunzio, fece della sua casa luogo di ritrovo di intellettuali e artisti, tra cui Francesco Paolo Michetti, Francesco Paolo Tosti, Edoardo Scarfoglio e Cesare De Titta. In molte occasioni D’Annunzio soggiornò nel castello, alloggiando in un vano di circa 20 mq suddiviso in due stanze: lo studio e la  stanza da letto (alcova) molto piccola ma sufficiente a contenere l'arredo necessario. L'ingresso alla stanza da letto, (un'ampia apertura circolare ricavata nella parete divisoria delle due stanze) era all'epoca chiusa semplicemente da una tenda. Le pareti bianche delle due stanze, coperte da scritte e versi a matita del poeta e dei suoi amici, sono un vero patrimonio letterario da salvaguardare. Si tratta di incisi, versi e distici fra cui il più noto è “la pazienza è l’immortal nepente che afforza i nervi e l’anima ristora”. Nel 1982 il Castello venne venduto al Comune di Casoli che ne è oggi il proprietario. Recentemente è stato restaurat. Per approfondire, propongo la visita al seguente link: http://www.comune.casoli.ch.it/index.php?option=com_content&view=category&layout=blog&id=10&Itemid=12

Il castello di martedì 23 aprile






AULLA (MS) - Castello Malaspina in frazione Pallerone

Il primo nucleo originario dell’abitato di Pallerone è da ricavare nel luogo chiamato “Verdentro” un borgo fortificato, “Castrum”, con due porte di cui una di fronte all'Aulella. Fino al 1400 Pallerone rimase sotto la dominazione dei Malaspina di Olivola, Canova, Bigliolo e Quercia. Nel 1494 il suo territorio vide infuriare la battaglia tra le truppe francesi e quelle del Marchese Malaspina. Il 1500 fu l'epoca delle fortificazioni e degli insediamenti urbani voluti da Lazzaro I Malaspina, che diede al borgo una sistemazione strutturale omogenea e solida: lo chiuse in se stesso rendendolo percorribile al suo interno mediante uno stretto interstizio chiamato "Verdentro". Le case furono costruite appoggiate le une alle altre, spalla a spalla, formando un circolo e mostrando all'esterno tante schiene come scudi. A sud Lazzaro I lo protesse con due solidi fabbricati congiunti tra loro ad angolo: la chiesa ed il castello vecchio, che si presentava come una solida e continua muraglia, per l'esigenza di una sicura ed impenetrabile difesa. L’entrata al castello si apriva nella buia arcata che immetteva nel “Verdentro” e costituiva allo stesso tempo l’entrata unica al paese e alla fortificazione che era per il capitano, per i soldati, per i tribunali, i consoli e gli altri uffici di pubblica utilità. Alla morte di Lazzaro I, la reggenza del feudo fu assunta dal fratello Alderamo Malaspina, figlio di Spinetta I, aveva seguito la carriera militare e vissuto soprattutto a Firenze. Egli scelse di abitare a Pallerone anziché ad Olivola e progettò un ampliamento urbano, con l'innesto di un quartiere edilizio con una progettazione realmente innovativa. Appoggiò il nuovo castello all'esistente, modificando la struttura d'assieme del borgo e l'orientamento della chiesa. Cinse il nuovo borgo con una cerchia muraria protetta da torri e unita alla testuggine formata dal vecchio castrum. Da questo momento a Pallerone, in qualità di sede marchionale, si svolsero tutti gli atti politici e amministrativi collegati al feudo; è qui che nel 1795, tutti i marchesi di Lunigiana, si riunirono nel “castello-palazzo” per chiedere comprensione e aiuto all'imperatore, dal quale avevano avuto l’investitura, di fronte alle nuove idee della Rivoluzione Francese, ma il marchese Carlo Malaspina assistette all’abolizione dei feudi e nel 1811 Pallerone, come tutta la Lunigiana, entrò a far parte dell’Impero napoleonico chiudendo definitivamente il lungo capitolo della storia dei Malaspina. Delle fortificazioni erette nel XVI secolo a protezione dell'insediamento, rimangono poche tracce delle mura. Il castello nuovo, in cui spicca la grande torre quadrata, di carattere militare ma il cui aspetto è stato ingentilito con l'aggiunta di grandi finestre, è un lussuoso edificio marchionale di 3 piani in cui ogni piano presenta un “ordine” completo; la parte nord-occidentale ha un’impronta stilistica tardo-rinascimentale, il lato sud-orientale è decisamente settecentesco. Il palazzo aveva anche una cappella interna tuttora conservata. Interessante è la decorazione interna a stucco, che richiama le forme del barocchetto pontremolese. Unica è la decorazione del grande salone del palazzo costruito a doppia altezza e coperto da una grande volta a padiglione. Le pareti sono rivestite da una serie di grandi pannelli rettangolari alternati da medaglioni ellittici, i dipinti dei pannelli rettangolari rappresentano scene  mitologiche,  mentre i medaglioni raffigurano scene di vita campestre, contadini intenti ai loro lavori. Il giardino pensile che circonda il castello-palazzo era organizzato su due assi: uno conduceva al portale del salone e l’altro si concludeva con due nicchie laterali, contenenti fontane e statue, oggi perdute; il grande parterre era decorato con un mosaico in ciottoli colorati, all’uso ligure, il palazzo era dotato anche di un consistente complesso agricolo. Nel 1800 fu costruita la Loggia del Prete, un semicerchio a torre incuneato tra l'ala occidentale del castello e la facciata della chiesa. Nell'antica torre castellana è stato allestito dal 1935 uno dei più antichi presepi meccanici d'Italia, capolavoro di arte popolare, basato su un elaborato sistema elettromeccanico e idraulico.

martedì 23 aprile 2013

Il castello di lunedì 22 aprile






CREVALCORE (BO) – Castello di Palata Pepoli

Nell’archivio comunale di Crevalcore sono conservati due cabrei del XVII secolo (i cabrei sono raccolte di mappe dei possedimenti terrieri ) che consentono di affermare che i Pepoli, signori di Bologna, possedevano intorno al 1500 almeno la metà dell’attuale territorio di Crevalcore. Esso era diviso in 85 poderi. Intorno al 1540, nel territorio di Palata, poco distante dal luogo dove sorgeva la Chiesa di San Giovanni Battista che i nobili bolognesi avevano fatto erigere agli inizi del 1500, Filippo Pepoli fece iniziare la costruzione di un imponente palazzo con torre e cortile interno. Il Palazzo o Castello dei Pepoli a Palata, sorto come luogo di soggiorno, di caccia e di svago, dimostrava la potenza e il prestigio della famiglia proprietaria. Esso divenne il centro del vasto possedimento terriero, dove si esercitavano attività agricole e allevamento di grandi quantità di bestiame. Nel corso del 1800 il castello passò ai principi Torlonia che divennero proprietari anche di larga parte del territorio della frazione di Palata Pepoli. Successivamente, l’intera proprietà venne frammentata e venduta, perdette la ricchissima suppellettile, finita sul mercato antiquariale. Attualmente l'edificio appartiene a privati e non è visitabile. Dopo anni in cui è stato lasciato all’incuria e al degrado, sono partiti i lavori di restauro. Il castello è a pianta quadrata, con una torre centrale che si innalza nella facciata principale. Intorno si estende un parco molto grande con alberi secolari e fitti cespugli. La costruzione presenta ritmi di severa eleganza che l’apparentano ai contemporanei palazzi di città bolognesi e ferraresi. Gli ambienti, alcuni dei quali con affreschi, sono distribuiti simmetricamente intorno al cortile centrale, delimitato da un porticato per ogni lato. Dell’arredo originale restano solo le bellissime porte in legno dolce, laccate con motivi rococò.
Purtroppo il sisma del 20 maggio 2012 ha seriamente danneggiato il castello, in particolare la torre.

sabato 20 aprile 2013

Il castello di domenica 21 aprile



MARACALAGONIS (CA) – Torre spagnola di Su Fenugu

Per tutta la prima metà del Cinquecento le coste sarde furono prese d’assalto dai corsari barbareschi, che terrorizzavano le popolazioni dell’isola. Intorno al 1570 la Corona di Spagna mise in atto un piano di difesa che prevedeva la costruzione di numerose torri di guardia. Nel 1581 fu istituita la "Reale Amministrazione delle Torri" per la gestione del sistema difensivo costiero, che rimase operativo fino al 1867, anno in cui ne venne decretata l’abolizione. La torre de su Fenugu venne edificata molto probabilmente nel 1578 secondo Michele de Monçada. Tuttora l’accessibilità alla torre è difficile perché per entrare è necessario chiedere il permesso al custode. Per giungerVi bisogna imboccare una strada che gira intorno al promontorio. Non è possibile entrarvi perché l’ingresso è a circa 4 metri d’altezza. La torre è a 86 mt sul livello del mare e si gode di un panorama eccezionale. Si vedono le torri di: Capo Boi, Cala Regina e tutto il golfo di Cagliari. È stata costruita in granito e circa 10 anni ha subito un restauro, ma dopo quell’intervento è ricaduta in uno stato di abbandono. Nonostante diverse disavventure che ha subito e che trovate facilmente sul web, effettuando una semplice ricerca, questo monumento è tutelato con vincolo storico-culturale e con vincolo paesaggistico (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.).

Il castello di sabato 20 aprile






CASTELFONDO (TN) – Castello

Sorge sul promontorio fra i precipizi del rio Robiola e del torrente Novella, prima del paese di Castelfondo e dall'alto sembra emergere dal verde del parco, difeso dalla torretta cuspidata della cortina esterna. Nonostante la possibile origine romana, le prime attestazioni del castello risalgono al XII secolo, quando, sotto il dominio dei Castelfondo prima e poi, per via matrimoniale, dei Cagnò, venne eretto il nucleo originario costituito dal poderoso mastio. Addossati a quest'ultimo sorsero i vari corpi di fabbrica, protetti da una o più cerchie di mura. Il castello era sede della più ampia giurisdizione tirolese della valle di Non, comprendente Melango (oggi Castelfondo), Raìna, Dovéna, Brez, Arsio, Traversara, la valle di Senales/Schnalstal, Ruffré, Dos, Amblàr, la valle di san Romedio e Tavón. Nel corso dei secoli il maniero subì ricostruzioni e modifiche; gli apprestamenti difensivi rendono conto del valore strategico del complesso, passato a diversi proprietari. Godescalco di Cagnò nella seconda metà del XIII secolo lo vendette per 1800 marche veronesi a Mainardo II conte del Tirolo. Questi iniziò così l'occupazione di gran parte della valle di Non, riuscendo in breve a controllarne i vari passaggi: Palade, Mendola, Rocchetta, Molveno, Zambana vecchia-Fai della Paganella. All'inizio del Trecento Enrico III di Rottemburgo ottenne il castello e la relativa giurisdizione. Nel 1412 il maniero tornò nella persona di Federico IV duca d'Austria ai conti del Tirolo, che lo governarono per diversi anni con dei capitani, fino alla metà del secolo, quando lo ricevette come feudo pignoratizio Bernardo Fuchs von Fuchsberg. Nel 1471 Baldassare e Simone Thun ottennero il maniero di Castelfondo. Dal punto di vista architettonico va rilevato l'intervento promosso da Simone Thun allo scadere del XV secolo, con la realizzazione (nel 1492) nel cortile interno di un elegante porticato a quattro archi a tutto sesto, opera del maestro muratore Lorenzo di val d'Intelvi. Le stesse maestranze comacine sopraelevarono inoltre i due corpi trecenteschi addossati al mastio e costruirono il palazzo semicircolare che chiude la corte. Fra gli eventi storici più significativi si ricorda l'assedio da parte dei contadini insorti nel 1525 durante la guerra rustica; nel febbraio 1670 un incendio causò gravi danni e nel gennaio del 1738 due roghi distrussero di nuovo il complesso e, in parte, il corposo archivio di famiglia. Il castello, abbandonato dai proprietari trasferitisi in Boemia, cadde lentamente in rovina, fino al passaggio ai conti Thun della linea di castel Braghér. Guidobaldo (1808-1865) e il figlio Galeazzo (1850-1931), Gran Maestro dell'Ordine di Malta dal 1905, lo restaurarono nel corso del XIX secolo, riportandolo a un nuovo splendore. Il maniero conserva una biblioteca, un archivio, diverse opere d'arte e una collezione di armi. Fra i diversi ambienti interni si possono ricordare la Camera del foro, la Stanza del camino, la Camera longa, la Camera di don Chisciotte, la Camera dei vescovi con ritratti dei presuli Thun e il Salone degli antenati. Attualmente il castello è proprietà privata e pertanto rimane chiuso al pubblico.


Il castello di venerdì 19 aprile







MOLISE (CB) - Castello

Il piccolo centro di Molise ha il pregio di aver dato il nome alla regione. L’adozione di questo nome fu determinata probabilmente dalla opportunità di eliminare le possibili gelosie di primato fra le piccole contee longobarde di Isernia, di Bojano, di Pietrabbondante ed altre nel periodo della loro fusione in una nuova contea. Molise ha conosciuto le signorie degli Evoli e degli Stendardo. Nel 1478 venne acquistato da Giovannella di Molisio, consorte di Alberico Carafa. Nel 1547 Girolamo Carafa vendette il feudo a Giangiacomo Coscia. Rinaldo Carafa, in virtù del diritto del retrovendendo, riscattò il feudo dal Coscia nel 1554 e nel 1562 lo cedette a Vincenzo del Tufo. Verso il 1570 vi fu la cessione del feudo dai Del Tufo ai De Attelis. Il feudo di Molise fu acquistato, infatti, da Prospero De Attelis che nel 1583 lo cedette a Giovanni Maria di Blasio. Giovanni Maria di Blasio ne fu possessore per nove anni e poi lo cedette a Battista Candida. Entrò in possesso del feudo nel 1650 Antonio Tamburri, barone di Cameli. Nel XVII secolo il potere passò alla famiglia della Posta che lo tenne fino all’eversione della feudalità. Le origini del castello non sono certe. Si pensa che la sua costruzione sia avvenuta in epoca longobarda per volere del bulgaro Altzeco. Probabilmente l'edificio originario aveva una forma pentagonale e vi si accedeva  tramite la Porta Grande, collocata sul lato est e, sul lato opposto, attraverso la cosiddetta Porta Piccola. Attualmente si accede solo attraverso un unico portale in pietra, che conduce al cortile. Alla destra del passaggio c'è l'ingresso ad alcune stanze coperte. Dopo aver oltrepassato l'ingresso, si trova una scala che conduce ad una terrazza. Esternamente sono ancora visibili alcuni resti del muro di cinta e di due torri angolari (la costruzione originaria ne aveva ben sei), una vicino alla Piazza dell’Olmo e l’altra annessa al palazzo stesso. Il castello è stato restaurato tra il 1982 e il 1983 dal Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti e dal Provveditorato alle opere pubbliche del Molise; i lavori hanno interessato non solo il consolidamento della cinta muraria ma l'intero aspetto della fortezza che oggi è di proprietà dello Stato. Non è stato affatto semplice trovare via web notizie e, soprattutto, foto su questo castello. Le immagini sono tutte prese dall’interessantissimo sito www.archart.it.

venerdì 19 aprile 2013

Il castello di giovedì 18 aprile






SPERLINGA (EN) - Castello

Il toponimo Sperlinga è di origine greca e deriva dal termine “spelino”, Spelunca, che significa spelonca, grotta. Infatti il sito su cui sorge Sperlinga e tutto il territorio circostante è cosparso di numerose grotte artificiali scavate nell'arenaria. Il borgo nacque il 30 novembre nel 1597, quando il re Filippo IV concesse a Giovanni Forti Natoli il privilegio di "potervi fabbricare terre". Nei secoli precedenti alla nascita di Sperlinga, esisteva semplicemente la fortezza (in parte scavata in una gigantesca mole d'arenaria dai Siculi a partire dal XII secolo a.C., e in parte costruita sulla stessa roccia intorno all'anno Mille) e le poche case costruite ai piedi del castello. Situato in prossimità di una di quelle che erano ritenute tra le più importanti strade di comunicazione interna, assunse un'importanza strategica fin dall'avvento dei Normanni e raggiunse il massimo splendore in epoca medievale. L'avvenimento più importante nella storia di Sperlinga è senz'altro il Vespro Siciliano del 1282. Quando la ribellione contro la dominazione angioina si diffuse per tutti i paesi della Sicilia, una guarnigione di francesi, capeggiati da Petro de Alemanno o Lemanno, doveva trovarsi nel castello di Sperlinga; raggiunta dalla notizia della rivolta si asserragliò all'interno del maniero, dove, aiutata per gli approvvigionamenti dai signori locali, resistette per quasi un anno. L'episodio è ricordato da una scritta postuma (sec. XVI) sull'arco nell'androne: QUOD SICULIS PLACUIT SOLA SPERLINGA NEGAVIT. La sola Sperlinga negò ciò che ai Siciliani piacque. Il Castello in quel periodo era di proprietà dello stesso Petro de Lemanno che attese invano gli aiuti di Carlo d'Angiò. La storia di Sperlinga si identifica con le famiglie che possedettero il castello ed i feudi annessi. Il primo signore di cui abbiamo notizie fu Russo Rubeo (o Russo Rosso) nel 1132 col titolo di Barone. Dopo la guerra del Vespro (1282) il re Pietro d'Aragona, che fece distruggere il castello, assegnò la baronia di Sperlinga a Francesco Scaglione. Nel 1296, stando a quanto scrive B. Muscia, (1692), il castello di Sperlinga si trovava in mano a Francesco Ventimiglia. La famiglia Ventimiglia, che smembrò il castello vendendone una parte ai Ferrara di Gragnano, mantenne il controllo del fortilizio, e delle terre annesse, fino al 1597 quando Giovanni Ventimiglia cedette tutto a Giovanni Forti Natoli. Il re Filippo IV concesse al Natoli, per sé e per i suoi discendenti, il titolo di principe erigendo la baronia a principato. Giovanni Natoli destinò la rocca a centro propulsore del suo principato, iniziando così l'ascesa economica connessa al ritorno alla terra dell'aristocrazia imprenditoriale. L'adattamento della fortezza a palazzo baronale, la fondazione di una nuova chiesa madre fuori della cinta, alla quale passarono tutti i privilegi di quella antichissima che era all'interno del castello, indicano la volontà colonizzatrice di questo nuovo signore. Francesco Natoli, vendette a Giovanni Stefano Oneto la fortezza di Sperlinga, quest'ultimo fu il primo duca di Sperlinga. A lui successe il figlio Domenico nel 1680 quale primogenito. L'ultimo duca di Sperlinga fu Giuseppe Oneto e Lanza che nel 1862 concesse il castello in enfiteusi al barone Nunzio Nicosia da Nicosia. Gli eredi del Nicosia nel 1973 lo vendettero al Comune di Sperlinga per la simbolica cifra di mille lire. Da allora i ruderi lentamente sono tornati a somigliare sempre più ad una fortezza che oggi, dopo i lavori di restauro, è fruibile al pubblico. Il castello sorge su diversi livelli che meravigliano per la loro maestosità e grandiosità. Presenta pianta oblunga di circa 200 metri di lunghezza per 15 di larghezza; in cima alla rupe, alta circa 70 metri dal calpestio di piazza Castello, le dimensioni del corpo superiore risultano alquanto ridotte (40 x 7 metri circa). Oltrepassato quello che doveva essere il ponte levatoio, si entra in una serie di ambienti che conducono al cuore del castello, dove l'ingegno dell'uomo si fonde con la bellezza della natura plasmando e trasformando la roccia che diviene via via una scuderia capace di contenere decine di cavalli, un officina per  i metalli, un carcere e poi ancora un canale e un serbatoio per l'acqua oppure un magazzino per le derrate. Nella complessa struttura individuiamo almeno 5 elementi di rilievo:  1) Corpo ingresso e stanze 'baronali'. Sul corpo dell'ingresso sono presenti due sale prive di copertura e di uno dei muri perimetrali. La sala piu ampia è dotata di tre aperture poste sulla facciata sud, risalenti ai lavori di ristrutturazione del sec. XVII. La sala minore è decorata dalla bifora trecentesca posta sulla facciata che guarda il borgo. Esternamente il corpo d'ingresso è caratterizzato da un lungo muro, in alcune parti munito di contraffotti e forato da una serie di aperture di epoche diverse poste nel secondo ordine. Sul prospetto principale che guarda la sottostante piazza, oltre alla suddetta bifora, troviamo due finestre e il portale di un balcone con stipiti e mensole in pietra riferibili agli interventi di ristrutturazione seicentesca.
2) Ambienti rupestri dell'ala est. Alla stessa quota delle stanze ora descritte, scavate nella roccia, si estende per circa 100 m verso est un ambiente ipogeo con copertura piana; costituiva la cavallerizza del castello. Seguono le prigioni e infine due vani di servizio, un tempo abitazioni. Alcuni piloni di roccia che sostenevano la volta dell'ipogeo sono stati demoliti intorno agli anni '50 e in seguito sostituiti con pilastroni in blocchi di pietra intonacati. Nella parte mediana dell'ambiente si apre un corridoio che conduce all'esterno tramite la cosiddetta 'porta falsa'. Accanto al luogo ove erano le celle della prigione si nota, ricavata nel masso, una cappa di aspirazione tronco-conica funzionale ad un focolaio.
3) Cisterne. Scavate nella roccia, sono localizzate all'interno di una stanza che si affaccia sul cortile del castello. La raccolta delle acque meteoriche avveniva attraverso una serie di canalette di convogliamento
4) Chiesa e ambienti adiacenti.
La chiesa, dedicata a San Domenico di Siria, posta sul lato ovest è stata interamente ricostruita sui suoi ruderi. Sino al 1610 era aperta al pubblico mentre in seguito divenne cappella privata. Presenta una successione di 3 vani disposti secondo l'asse est-ovest; si notano tracce della pavimentazione seicentesca in formelle di terracotta smaltata dismessa in occasione della recente ricostruzione (1995). A fianco della cappella, sul lato ovest, sono collocati altri due ambienti, anch'essi ricostruiti: il primo presenta un accenno di scala ricavata all'interno del muro perimetrale, il secondo presenta due forni in pietra e terracotta e una serie di 'fornelli'.
5) Sale ovest e ambienti ipogei.
Nell'ala ovest abbiamo ancora una serie di ambienti ipogeici comunicanti tra di loro, posti al di sotto del piano di calpestio. Nello spazio antistante la chiesa, sul piano di calpestio si notano dei fori, circolari alcuni, ellittici altri, protetti da ringhiere di ferro che corrispondono ciascuno ad un vano rupestre posto in basso. Da ricordare pure la ripida scalinata, quasi incisa nella roccia, che conduce alla torre  di avvistamento che permette la visione a 360° sull'altopiano di Gangi con il massiccio delle Madonie alle spalle, i Nebrodi (a nord) e l'Etna. La parte ovest del castello ricorda la prua di una nave. Un altro "spettacolo è dato dall'"aggrottato": tutto il fianco del castello che si riversa sul paese è interamente "traforato" da una cinquantina di grotte artificiali, scavate dall'uomo in tempi lontanissimi. Collegate le une alle altre da stradine e scalini anch'essi ricavati dalla rupe, costituiscono, nel loro insieme, un suggestivo borgo rupestre. Ognuna, al suo interno, si è trasformata in umile abitazione, con una o due stanze al massimo che ancora recano i segni dei millenni trascorsi lì dentro. Alcune sono state acquistate dal Comune e adibite a museo etnografico. Vi è un sito web dedicato al castello e dove, certamente, poter trovare molto altro materiale al riguardo: www.castellodisperlinga.it

giovedì 18 aprile 2013

Il castello di mercoledì 17 aprile






PALOMBARA SABINA (RM) – Castello Savelli di Stazzano Vecchio

Il borgo fantasma di Stazzano vecchio, compreso un castello medioevale con 6 torri tonde e una quadrata alta 25 metri, fu abbandonato dopo il 24 aprile 1901, quando nel pomeriggio uno spaventoso terremoto dell’8° della scala Mercalli lo squarciò senza però far vittime tra i circa 135 abitanti. Sorto sul castrum Statianum, rimangono le mura della cittadina, le sue case, la rocca dei Savelli, la piazzetta e i ruderi della chiesa di San Giovanni Evangelista. Tornando indietro nel tempo, le prime notizie storiche sul Castrum, probabilmente già organizzato in forma di borgo con adiacente fortezza, così come appare oggi, risultano frammentarie e disperse, essendo perduto l’archivio dell’Abbazia dell’Argentella. Una bolla edita dal Galletti (Memorie di tre chiese diRieti, p.154) contiene un’appendice sulle chiese sabinensi con la rispettiva tassa del grano. Tomassetti e Biasiotti la ritengono ispirata da Alberico, parente del Vescovo di Sabina Giovanni (XI secolo?), “come conferma della nuova circoscrizione amministrativa del corrispondente Comitatus Sabinensis”. Il Castrum Stazani “deve duo rubragrani” (è menzionato dopo Monterotondo e prima di Cretone). Dall’elenco del sale e focatico del distretto di Roma (codice Sergardi-Biringucci) si ricava che fra ’300 e il ’400 Stazzano doveva contare poco più di 600 abitanti. Nel 1446 Andrea Palombara, signore di Moricone, nel suo testamento, datato 2 Aprile, lasciò ai suoi eredi Stazzano forse momentaneamente posseduto per gli stretti legami di parentela fra i Palombara e i Savelli. Nel 1503 il castello di Stazzano tornò in possesso ai Savelli; in seguito tuttavia, a causa dell’inarrestabile declino della nobile famiglia, i Savelli superstiti non riuscirono a sostenere il peso della situazione debitoria che da oltre due generazioni si era andata sempre più aggravando e poiché ormai non pagavano più gli interessi, nè adempivano agli obblighi, la Camera Apostolica, intervenendo a favore dei creditori, pose sotto sequestro Stazzano insieme a Palombara mettendoli all’asta. Papa Urbano VIII concesse una sospensione permettendo la vendita diretta, salvo i diritti dei creditori. Il principe Don Marcantonio Borghese nel 1637 acquistò per la somma di 385.000 scudi Palombara con il suo feudo in cui era compreso anche il castello di Stazzano. In rete ho trovato questo filmato, nel quale vi sono interessanti scorci sia del borgo abbandonato, sia del castello.

mercoledì 17 aprile 2013

Il castello di martedì 16 aprile






SCENA (BZ) – Castel Scena

La storia di Castel Scena, chiamato anche Castel Schenna, inizia fin dal XIV secolo. Una prima menzione scritta del castello risale al 1346, ma si tratta di un’altra rocca che si trovava proprio su questo posto. Petermann von Schenna, burgravario del Tirolo e uno dei favoriti di Margarete Maultasch, fece infine costruire nel 1350 Castel Scena sui resti di questa rocca. Nel 1363 il nobile fu infeudato dagli Asburgo anche con il castello Reineck in val Sarentino. Il castello passò poi in mano a Hans von Starkenberg, il quale dovette cederlo, dopo lungo assedio, nel 1423, al duca Federico dalle Tasche Vuote. Nella seconda metà del 1400 il mastio crollò. Nel 1496 Schenna venne acquistato da Paul von Lichtenstein. I suoi successori si occuparono della sua ristrutturazione e ampliamento fino al 1749, anno in cui il casato si estinse. Fu ereditato nel 1844 dall'arciduca Giovanni d'Asburgo-Lorena e attualmente il castello è di proprietà dei suoi successori, i Conti di Merano (Grafen von Meran-Spiegelfeld). Fa parte del complesso anche il mausoleo "Schenner Kirchhügel", in stile gotico e adiacente al maniero, in cui riposano l’arciduca Giovanni d'Asburgo-Lorena, la consorte e il loro figlio, nuora compresa. Curiosità: Castel Scena è uno dei pochi castelli della zona attorno Merano che non fu mai disabitato e quindi non cadde in rovina. La possente costruzione è accessibile per un ponte che porta al grande portone d’ingresso e poi nel cortile interno, passando davanti alla segreta del castello. Da notare le strutture costruite a spirale attorno al romantico cortile centrale, edificate nel corso del Settecento, ma anche l’imponente torrione circolare. Oggi nel fortilizio è ospitato un museo dedicato alla storia del Tirolo e varie collezioni, dalle armi medievali fino ai cannoni francesi. All’interno del castello si possono visitare oggi tutti gli ambienti fino all’ala con le stanze private del proprietario. Gli ampi saloni sono tutti ben arredati con stufe del diciassettesimo secolo e una vasta raccolta di quadri e ritratti, con la più grande collezione privata dedicata al noto combattente sudtirolese per la libertà Andreas Hofer. Il castello ha un suo sito web dedicato che è il seguente: http://www.schloss-schenna.com/it/

martedì 16 aprile 2013

Il castello di lunedì 15 aprile






SUTERA (CL) - Palazzo Salomone
Il castello di Sutera era ubicato sulla cima del monte San Paolino (819 m) e dominava la valle del fiume Platani ad ovest e la valle dei fiumi Salito e Gallo d'Oro ad est. Il paese, sviluppatosi ai piedi della rupe (590 m), presenta un nucleo di origine medievale con un'espansione a partire del XVI secolo secondo uno schema irregolare dovuto alla morfologia del terreno. Nessuna traccia del castello sul monte San Paolino, in cima al quale vi è un santuario fatto realizzare nel 1366 da Giovanni III di Chiaramonte con gli avanzi delle antiche fabbriche esistenti. All’interno del paese, nel quartiere “Giardinello”, è possibile osservare quello che rimane del palazzo della nobile famiglia Salomone. Dell’antica e grandiosa dimora, edificata in pietrame informe, rimangono soltanto i ruderi delle mura perimetrali. Qui ebbe i natali Francesco Salomone (1478-1569) uomo d'arme, eroe della Disfida di Barletta. All’età di 16 anni, fuggì da Sutera e, arrivato a Napoli, fu arruolato nelle milizie del principe Colonna. Andò in Puglia a combattere contro i francesi e proprio in quell’occasione si rese partecipe, il 13 febbraio 1503, della disfida di Barletta. Francesco combatté assieme agli altri cavalieri che, oltre a lui e ad Ettore Fieramosca da Capua, erano: Giovanni Braccalone, Giovanni Capoccio ed Ettore Giovanale di Roma, Marco Corallaro di Napoli, Guglielmo Albamonte di Palermo, Bartolomeo Fanfulla e Pietro Riczio di Parma, Romanello di Forlì, Moele di Troia, Mariano D’Abigente di Sarno, Lodovico D’Abenavoli di Capua. Tornò a Sutera, acclamato dalla popolazione come un eroe, il 7 maggio 1504, dalla quale si allontanò definitivamente per trasferirsi a Parma dove morì nel 1569 e dove è sepolto nella chiesa di S. Giovanni Evangelista. Una lapide sul lato est del castello, datata febbraio 1903, ricorda i festeggiamenti del quattrocentenario della disfida di Barletta, che videro la presenza di più di 5.000 persone.

sabato 13 aprile 2013

Il castello di domenica 14 aprile





CIVITA D’ANTINO (AQ) – Torre dei Colonna

Situata su un altipiano a 904 metri sul livello del mare, e cinta da una barriera naturale di pietra che la difende, Civita d’Antino ad oriente è protetta dalla montagna. L'antico municipio non era facilmente accessibile e godeva della su privilegiata posizione, resa più forte da cinta di mura ciclopiche nei punti più scoperti. A sud il paese era irraggiungibile. Resti ancora visibili di una cinta di mura sono molto lontani dal centro dell'antico municipio romano, come quelli che si osservano a Porta Campana, al di sopra dell'attuale cimitero. Nel 1183 il Papa Lucio III definì i confini ecclesiastici della parrocchia di Civita d'Antino, la Parrocchia di S. Stefano; essi arrivavano alle pendici dei monti opposti a Civita, a terre appartenenti oggi ai territori di Morino, di Meta e di Rendinara. Civita d'Antino partecipò attivamente nell'aspra lotta dei partiti e delle fazioni nel secolo XIII, in special modo nelle lunghe contese fra guelfi e ghibellini, tanto da comparire in tutti gli elenchi dei paesi di Valle Roveto a noi giunti: dal Catalogo dei Baroni agli Svevi, dagli Angioini agli Orsini, dai Piccolomini ai Colonna. Sulla quota 909 della vecchia acropoli della città antica svetta la trecentesca torre-mastio quadrata della Civitas Antena, conosciuta come la «Casa di San Lidano», detta ora "Torre dei Colonna" per il suo presunto legame con i feudatari del paese dal termine del XV secolo fino agli inizi dell'Ottocento. Essa costituiva la difesa sommitale del complesso fortificato medievale ed era la sede del rappresentante feudale locale. Dopo il terremoto del 1915 dove morirono circa 30.000 persone in tutta la Marsica, appare mozzata. Negli ultimi anni si parla del recupero per questa antica e preziosa costruzione, donata al Comune da privati insieme al giardino antistante la vecchia struttura medievale in pieno centro storico. Per tale pezzo di storia, un tempo parte integrante del sistema di avvistamento difensivo della Valle Roveto, si profila un ritorno al “passato” in versione moderna: l’amministrazione comunale punta a realizzarvi un osservatorio astronomico sulla scia della Torre delle stelle di Aielli. Primo passo: l’avvio dei lavori sotto la regia della Sovrintendenza archeologica. Il Comune, infatti, ha impegnato 250mila euro per il recupero e la ricostruzione della vecchia torre medievale ricevuta in dono dalla famiglia Venditti: le sorelle Paola e Anna e il marito di quest’ultima Manlio Flore. Il recupero della torre, comunque, è inserito in un piano di valorizzazione ad ampio raggio dei beni storici, archeologici e culturali di cui il centro rovetano è particolarmente ricco.

Foto: una cartolina della mia collezione


Il castello di sabato 13 aprile







ROSIGNANO MARITTIMO (LI) – Torre di Vada

E’ una struttura di avvistamento situata lungo costa a sud di Rosignano Solvay, nel comune di Rosignano Marittimo. La torre ha origini medievali; sorse infatti sul finire del Duecento (1279) ad opera dei Pisani allo scopo di segnalare ai naviganti le pericolose Secche di Vada e per avvistare ogni tipo di minaccia proveniente dal mare. Successivamente, decaduta la Repubblica di Pisa, la torre passò ai Fiorentini, che nel XV secolo la restaurono e la resero parte integrante del sistema di avvistamento posto lungo la costa toscana a sud di Livorno. Dalla torre doveva essere sorvegliato un tratto di mare assai ampio, compreso tra la Torre di Castiglioncello, a nord, e la torre posta alla bocca del fiume Cecina (ora Villa Ginori), a sud. Il contatto visivo con le altre strutture difensive consentiva la segnalazione di eventuali pericoli, mentre i Cavalleggeri erano tenuti ad ispezionare l'intera costa, muovendosi di torre in torre. Oltre alla protezione della costa dalle incursioni saracene le torri, dopo la costruzione del porto di Livorno, ebbero altre funzioni, quali: la protezione contro lo sbarco di contrabbandieri che volevano sottrarsi al controllo doganale; di presidio sanitario contro il dilagare delle nuove malattie che aveva fatto seguito alla scoperta e ai commerci con il nuovo mondo. Controllando l'intera costa toscana consentivano infine un controllo sui convogli in arrivo ed in partenza, evitando al governo mediceo le spese di allestimento di una flotta. L'antica torre di Vada venne cinta da un possente contrafforte, di conseguenza dalla piccola e semplice torre quadrangolare a pareti verticali si pervenne alla complessa struttura a base troncopiramidale che si può ammirare ancora oggi. Il nuovo edificio rispondeva alle moderne esigenze militari: i forti spessori in basso potevano meglio resistere al fuoco dell'artiglieria, mentre il corpo in alto fortemente aggettante sul cornicione aumentava la superficie destinata alla Batteria posta sulla sommità della Torre. L'ingegnere Odoardo Warren, incaricato nel decennio 1739-49 dai Lorena di una supervisione dei forti costieri, descrisse la presenza di un fossato e di un ponte levatoio, oggi scomparsi. Warren raccontò come la torre fosse al centro di vaste e malsane paludi e che 'le truppe che vi vengono mantenute hanno l'aria di essere sempre malate'. Inoltre, adiacente alla struttura si estendeva una vasta dispensa, composta da diversi locali, un forno, una stalla ed una cappella; qui trovavano alloggio il castellano e la guarnigione, mentre nella torre vera e propria gli spazi erano limitati, ma sufficienti per tenervi alcuni pezzi d'artiglieria. Nell'Ottocento, esaurite le funzioni militari, continuò a funzionare come faro fino al 1979, tanto che intorno al 1950 fu demolito il tetto a padiglione per installarvi un faro di maggiore portata. Successivamente restaurata, oggi la torre è sede del Laboratorio di Educazione Ambientale ed è visitabile in occasione di manifestazioni culturali. La fortificazione presenta una pianta quadrata, delimitata da massicci contrafforti per quasi tutta la sua altezza. L'interno è suddiviso in cinque livelli, compreso il piano di copertura praticabile. La parte superiore, rialzata nel dopoguerra, è stata ripristinata durante il restauro portato avanti tra il 1990 ed il 1995.