mercoledì 31 ottobre 2018

Il castello di mercoledì 31 ottobre





CERRETO DI SPOLETO (PG) - Castello di Triponzo

Triponzo è una frazione del comune di Cerreto di Spoleto, popolata da circa 45 abitanti (dati Istat, censimento 2001), che si trova a 3 km ad est del capoluogo. Il nome dell'abitato risale senza dubbio al latino Tripontium, luogo con "tre ponti", presumibilmente uno su ciascuno dei corsi d'acqua, ma nessun ponte romano vi esiste oggi. Triponzo rimane celebre tra gli epigrafisti per una iscrizione romana (CIL IX.4541 = ILLRP 1275a), scolpita nella roccia viva sulla parete esterna della galleria stradale della strada statale 209, a qualche centinaio di metri ad ovest del paese, che accenna alla costruzione della via romana da Spoletium a Nursia per ordine del Senato Romano. Triponzo è un antico castello con imponenti fortificazioni risalente al sec. XIII arroccato sulle balze di pietra calcareo-porosa, profondamente incisa dalle acque a quota mt. 420 s. l. m., costruito sulla confluenza dei fiumi Nera e Corno. Probabilmente sorse attorno ad una cella monastica eremitica come Grotti, Serravalle, Castel S. Felice. Il suo assetto di castello di poggio, con in alto la torre quadrata di avvistamento cimata dai terremoti ed il mastio di difesa ed in basso il borgo abitato chiuso da due porte, è stato in gran parte alterato dal passaggio della strada statale Valnerina e dalle moderne costruzioni che sono sorte lungo il suo itinerario; tutto l’abitato è stato gravemente danneggiato dal sisma del 1997. Del castello medievale sussistono avanzi della cerchia di mura turrite a pianta rettangolare e un alto torrione trecentesco. Il castello, al suo interno, custodisce la Chiesa di Santa Caterina, ricostruita dopo il sisma del 1703, con portale rinascimentale del 1503 e all’interno alcuni altari e un elegante tabernacolo a muro del XV secolo. Di fronte al paese si trova un piccolo nucleo di edifici rurali, ora ridotti allo stato di rudere, dove emergono alcune caratteristiche architettoniche tipiche dell’area nursina, ciò è facilmente spiegabile in quanto il castello è stato sotto il dominio di Norcia.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Triponzo, http://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-triponzo-cerreto-di-spoleto-pg/, http://www.lavalnerina.it/dett_luogo.php?id_item=150

Foto: la prima è presa da http://www.luoghidelsilenzio.it/umbria/02_fortezze/01_valnerina/00025/index.htm, la seconda è presa da http://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-triponzo-cerreto-di-spoleto-pg/

martedì 30 ottobre 2018

Il castello di martedì 30 ottobre



STAFFOLO (AN) - Torrione Albornoz

La prima attestazione documentaria di Stafuli risale all'anno 1078 quando in un atto notarile compare il toponimo Stafuli. Il termine rimanda al longobardo staffil (palo di confine o palizzata difensiva posta al confine) riferendosi probabilmente alla posizione di confine del colle fra i domini bizantini della Vallesina e il ducato di Spoleto. Un'altra apparizione in documenti diplomatici si ha nel 1150. Infatti le scorrerie dei barbari costrinsero gli abitanti a costruirsi delle mura. Nei secoli XII e XIII il paese, posto nei domini dello Stato Pontificio fu sotto la dominazione della famiglia Cima, trasferitasi poi dal 1375 a Cingoli di cui s'impossessò. Nel 1219 Staffolo fu sottomesso ad Osimo e fra i due comuni si stipulò un accordo per la definizione dei confini. Intorno alla metà del ‘200 con il rafforzamento del partito filo-imperiale Staffolo venne sottomesso a Jesi, città natale di Federico II di Svevia. La sottomissione culminò con l’assedio del castello, accompagnato dalla distruzione dei raccolti nelle campagne, l’incendio di case e l’uccisione di alcuni abitanti del burgum. Nel 1263 però, con il tramonto degli Svevi, Urbano IV ricondusse il comune di Staffolo di nuovo sotto il dominio della guelfa Osimo al fine di penalizzare la ghibellina Jesi. Con il nuovo assetto dettato dalla politica papale, il comune di Staffolo tornò ad essere libero, immediate subiectae a Santa Romana Chiesa. Nel 1268 Staffolo poté così accettare la dedizione dei vassalli dei castelli di Accola e Follonica, affrancati dal giuramento feudale dal loro signore Corrado dei Gentili di Ravellone. Nel 1289 una nuova bolla papale di Niccolò IV annullava definitivamente la sottomissione di Staffolo a Jesi ma, fra il 1291 e il 1293, con l’aiuto di altri comuni e dei mercenari anconetani (becchi fottuti pagati con fiorini aureos, bonos et legales), Jesi riprese ad angariare il castello di Staffolo anche con un’azione legale che condusse ad una concordia che di fatto riportò il paese sotto il totale dominio di Jesi. Ma già nello stesso XIII secolo Staffolo si resse a Libero comune con i propri ordinamenti civici che confluiranno negli Statuti comunali tardomedioevali i cui manoscritti sono tutt'oggi conservati nell'archivio storico insieme a numerose pergamene dei secoli XIII-XVI. La fisica vicinanza di Staffolo a due potenti centri come Osimo e la "Città Regia" di Jesi, nel corso dei secoli XIII-XIV fa cadere il paese in alterne vicende una volta sotto il dominio di una e a volte nel Contado dell'altra, e a ritornare comune autonomo. Nel 1354 Staffolo venne assediato e saccheggiato dalle bande del condottiero Fra' Moriale, come punizione per aver aderito alle politiche dei Visconti al fine di mantenere la sua autonomia. La rinascita civile ed economica del paese avvenne grazie all’opera del Cardinale Egidio Albornoz, inviato in Italia da papa Innocenzo VI, relegato ad Avignone, per ristabilire l’autorità papale su tutto lo Stato Pontificio; l’Albornoz promulgò le Costitutiones Aegidiane che consentirono al territorio della Chiesa di assumere un vero e proprio carattere statale. Al cardinale Albornoz va attribuita la decisione di ricostruire le mura del castello ed il torrione circolare ancora esistente, nella sua veste originale, sul lato ovest della cerchia muraria. Nei primi anni del ‘400 Staffolo vide ridursi in parte il suo territorio avendo perso alcuni castelli che gli erano appartenuti fin dall’XI secolo: il castello di Accola a favore di Massaccio e i castelli di Cològnola, Tavignano e San Vittore a favore di Cingoli. Nel 1433 venne occupato dalle truppe di Francesco Sforza nel tentativo di conquista dell'Italia centrale. Successivamente fu anche in potere dei Malatesta. Nel 1517 Staffolo fu messo a ferro e fuoco dai guasconi di Francesco Maria della Rovere nella guerra contro la famiglia dei Medici per rimpossessarsi del Ducato di Urbino. Francesco Panfilo così scrisse a proposito di Staffolo:” Questa disgraziata città provò il furore dei guasconi le sue case bruciate fumarono per molti giorni“. Nonostante le devastazioni, il Comune di Staffolo nel 1544 si diede nuovi statuti comunali che aggiornavano i precedenti risalenti al ‘300. Venne istituito il Monte di Pietà per far fronte ai bisogni dei meno abbienti e nel 1571 venne edificata la chiesa di Santa Maria della Castellaretta, opera di alcuni staffolani tornati sani e salvi dalla battaglia di Lepanto contro i Turchi. I secoli successivi videro fiorire nel comune attività e imprese artigianali di grande rilievo. Nel Saggio statistico storico del Pontificio Stato di G. Calindri, Staffolo viene menzionato per la antichissima e di molto credito industria della posateria in ferro e ovviamente per la qualità del suo vino. Staffolo, come le Marche, restò strettamente legato allo Stato pontificio, a parte la parentesi napoleonica, fino al 1861; quando tutta la regione fu annessa definitivamente al Regno d'Italia. Il nucleo più antico dell'abitato ha un impianto medioevale con forma quasi circolare e cinto da mura in parte originali aperte in due punti contrapposti. Sulle mura si ergono ancora intatto il torrione semicircolare detto dell'Albornoz (sec. XIV) ed altre torri trasformate nel tempo in abitazioni civili. Altro link suggerito: https://www.youtube.com/watch?v=KAQ8_-mrpQs (video di Marche Tourism).

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Staffolo, http://www.iluoghidelsilenzio.it/castello-di-staffolo-an/, https://www.turismo.marche.it/Turismi/Borghi-Marche-incantevoli/Vacanza-nelle-Bandiere-verdi-dellAgricoltura/Title/Staffolo/IdPOI/5646/C/042049, http://www.castellidelverdicchio.it/it/comune/comune/11/

Foto: la prima è presa da http://www.luoghidelsilenzio.it/marche/07_castelli/01_ancona/00033/index.htm, la seconda è presa da https://www.tripmondo.com/italy/the-marches/provincia-di-ancona/staffolo/

lunedì 29 ottobre 2018

Il castello di lunedì 29 ottobre




PERCILE (RM) - Palazzo Borghese

Secondo alcune fonti il nome di Percile deriva dal nome della gens romana Porcia. Del periodo romano rimane come testimonianza una stele marmorea di una fanciulla di età di circa 7 anni, il cui monumento ricorda anche vari personaggi locali. Dopo l'età classica romana che caratterizzava le case di Percile raggruppate in Villae e Pagus, gli abitanti cominciarono a costruire delle case intorno a delle chiesette ed a delle pievi. Però le prime notizie certe sul paese sono datate tra il 314 ed il 33 nella biografia di San Silvestro I. A partire dal secolo X i nobili locali favorirono la costruzione di centri fortificati sulle alture per il controllo della regione: Roccagiovine, Licenza, Civitella, Percile, Castel del Lago, Petra Demone, Spegna. Queste rocche delineavano il confine tra le diocesi di Sabina e di Tivoli. Con la sottomissione di quest’ultima, da parte di Ottone III, Farfa, quale Abbazia imperiale, venne a beneficiare di una larga zona di possedimenti tiburtini. Nel 1011 circa 1500 moggi di terreno coltivabile vennero donati da Ottone Frangipane, conte di Sabina, figlio di Ottaviano con il consenso della moglie Doda, figlia di Rainaldo conte dei Marsi. È proprio la donazione dell’anno 1011, scritta da Guido, abate di Farfa e riportata nel Regesto farfense n. 650, il più antico documento su Percile. Nel 1110 il castello di Percile, con le sue pertinenze, venne donato dal nobilis vir Beraldo figlio del conte Crescenzio e dalla moglie Domenica all’Abbazia di Farfa, oggetto della sua spettanza da Azo di Guerrone nel 1033. Con la Bolla di Urbano IV, del 1262, il castello fu confermato all’Abbazia. Dopo quella data passò agli Orsini. Il Re Carlo d’Angiò soggiornò al castello di Percile prima della famosa battaglia di Tagliacozzo (1268), nella quale sconfisse Corradino di Svevia, e dopo la vittoria per ringraziamento fece erigere la Chiesa di Santa Maria dedicandola appunto alla “Vittoria”. Con atto datato 5 maggio 1275 Matteo Rosso fu Napoleone, Giangaetano, Orso e Giacomo figli di Matteo donarono i loro beni in Percile a Giacomo, Napoleone, Fortebraccio e Francesco Orsini figli di Giacomo. Bonifacio IX, con Bolla del 1400, accordò a Giacono Orsini, conte di Tagliacozzo, una riduzione della tasse del sale e del focatico sul feudo di Percile insieme ad altri castelli. In data 16 Luglio 1456 venne approvato dal cardinale Benedetto Giustino, per ordine di Clemente Vili, lo Statuto già predisposto sotto la giurisdizione degli Orsini ma entrato in vigore quando il feudo era stato venduto alla Famiglia Degli Atti di Todi. Il 5 febbraio 1608, Alessandro Degli Atti ed i figli Angelo e Antimo cedettero il feudo ai Borghese. Essi governarono a Percile nel non facile periodo di transizione tra feudalesimo e libertà. In questi due secoli si instaurarono sordide lotte tra gli amministratori dei Borghese e la Comunità. Giudici di tali dispute furono alti ed autorevoli prelati dello Stato pontificio. Verso la metà del 1800 alcuni uomini di Percile parteciparono ai moti risorgimentali contro il malgoverno del Papa Re e ancora oggi la piazza principale del Paese è dedicata a Garibaldi in onore e in ricordo degli sfortunati reduci garibaldini che passarono a Percile dopo la sconfitta di Mentana. Solo con l’annessione al Regno d’Italia di tutto lo Stato pontificio, si realizzò il sogno della libertà. Percile dopo il 1870 potè finalmente darsi un libero e democratico governo. Il nucleo storico del paese è sovrastato dal Palazzo Baronale del XIII secolo (che insieme all’adiacente Chiesa di S. Lucia rappresenta il castello di Percile), oggi sede del Municipio e di uno Spazio Giovani.

Fonti: http://comune.percile.rm.gov.it/storia/, https://it.wikipedia.org/wiki/Percile, http://www.anienetour.it/comune.php?comune=Percile, http://www.openwinemap.it/wordpress1/category/scopri-la-provincia/citta-paesi-e-borghi/i-comuni/percile/

Foto: la prima è presa da http://comune.percile.rm.gov.it/galleria-percile/, la seconda è di Adriano Di Benedetto su https://www.ilquotidianodellazio.it/articoli/19864/percile-un-paese-incastonato-in-un-presepe-tra-i-monti-ct3-foto-ct3

venerdì 26 ottobre 2018

Il castello di venerdì 26 ottobre




ALBARETTO DELLA TORRE (CN) - Torre

Albaretto della Torre si trova su una dorsale collinare tra le valli del Belbo e del Tanaro ed è emblematicamente rappresentato dalla torre risalente al secolo XIII che ancora svetta ben conservata nel giardino della casa parrocchiale. Rinvenimenti archeologici attesterebbero l'origine romana dell'abitato, che sorge su un rilievo e domina dall'alto la valle del torrente Talloria, tipico delle langhe. La storia antica è ancora poco nota, così come incerte le attribuzioni toponomastiche per spiegare l'origine del nome. C'è chi sostiene che il termine Albaretto comprenda il piemontese "arbra" e indichi un luogo ricco di vegetazione e in particolare di pioppi. Del castello di Albaretto della Torre rimane appunto solo il torrione quadrangolare, oltre ad alcuni frammenti di muraglia. La slanciata torre, che svetta nel centro delle case, a dominare la piazza e la chiesa parrocchiale, è costruita in pietra da taglio ed è coronata alla sommità da un triplice ordine di archetti pensili. La costruzione viene così sinteticamente descritta nell'interessante volume Itinerario di una provincia di Andreina Griseri : " ...ad Albaretto la torre quadrata superstite, del Secolo XIII, è parte del primitivo castello, che era, come Arguello, terra di Bonifacio il minore". Il castello fu edificato da Manfredo del Carretto a scopo di avvistamento. Fu distrutto dalle artiglierie francesi, durante la guerra di successione per il Monferrato, nel 1630. E' attualmente di proprietà comunale: recentemente ne è stato possibile l'accesso, anche se le scale, particolarmente ripide nell'ultimo tratto, ne consigliano l'ascesa esclusivamente a persone molto agili. Dalla sommità, ovviamente, si può godere dello splendido panorama delle Langhe e delle montagne del Cuneese. Altri link suggeriti: http://www.centrostudibeppefenoglio.it/it/articolo/9-11-826/patrimonio-artistico/architettura/torre-di-albaretto-della-torre, https://it.depositphotos.com/161064756/stock-photo-tower-of-albaretto-torre-piedmont.html (bella foto)

Fonti: http://www.albarettotorre.it/storia.aspx, http://www.comune.albarettodellatorre.cn.it/Home/Guidaalpaese/tabid/14564/Default.aspx?IDPagina=5967&IDCat=881

Foto: la prima è di Murialdo su http://www.centrostudibeppefenoglio.it/it/articolo/9-11-826/patrimonio-artistico/architettura/torre-di-albaretto-della-torre, la seconda è di Simona LoveinAvoid su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/52276/view

giovedì 25 ottobre 2018

Il castello di giovedì 25 ottobre





CARPANETO PIACENTINO (PC) - Castello in frazione Cerreto Landi

Cerreto Landi è una frazione del comune di Carpaneto Piacentino, dal quale dista cira 2,5 km. Il castello di Cerreto o Cereio, collocato fra il torrente Riglio ed il Chero, viene documentato di proprietà di Oberto Landi nel 1385. Successivamente, nel corso delle lotte condotte dai guelfi piacentini contro i duchi di Milano, il cronista piacentino Musso afferma la fedeltà del fortilizio di Cerreto a favore dei Visconti. Durante il ducato di Gian Galeazzo Maria Sforza, nel 1490, la Camera Ducale si impossessò parzialmente del castello, allora in mano a Bartolomeo Landi, concedendolo poi a Galvano Landi e al fratello Verzusio che ne ottenne l'investitura nel 1516. Alla fine del XVII secolo, con l'estinzione del ramo maschile dei Landi, il castello passò alla Camera ducale farnesiana, poi a Lorenzo Verzusio Beretti, figlio di Muzio e di Antonia Maria, ultima discendente in linea femminile dei Landi di Cerreto. Nel 1726, dopo un altro passaggio di proprietà, fu venduto al chierico Andrea Giacometti. Nel 1736, l'investitura feudale di Cerreto fu attribuita a titolo gratuito all'ambasciatore del duca Francesco Farnese alla Corte d'Inghilterra, il generale G. Angelo Gazzola. Il titolo fu trasmesso al figlio Felice, generale al servizio del Re di Spagna, fondatore dell'Accademia d'Artiglieria a Segovia e, nel 1771, dell'Istituto d'Arte di Piacenza per avviare i giovani sprovvisti di mezzi allo studio della pittura e della scultura. Tali vicende, legittimano la trasformazione, in età barocca, del castello a signorile palazzo di campagna, attuata nel rispetto degli originari caratteri fortificatori. La struttura architettonica del fortilizio, a pianta rettangolare, dotato di ponte levatoio, conferma la sua funzione di controlllo di un' interessante rete di comunicazioni che collegava la collina piacentina alla Via Emilia. Della pusterla sono visibili nel muro del torrione gli incastri per le catene. Il castello presenta tre torri angolari quadrate e un bel mastio d'ingresso (in cui, al centro del fronte principale, si aprono due ingressi, pedonale e carraio), collegati dai corpi di fabbrica. Nel cortile all'interno del castello si notano le fondamenta dell'antica torre isolata che, in caso di attacco da parte dei nemici, rappresentava l'ultimo ridotto di difesa. Al di là del fossato che circonda il castello, si conserva l'oratorio privato dedicato a San Gaetano, che viene aperto al pubblico in occasione della ricorrenza liturgica del Santo. Un secondo oratorio esisteva all'interno del Castello di cui però restano solo tracce di stucchi e di affreschi neoclassici. Nei muri in sasso e ciottoli di torrente, classica struttura delle costruzioni piacentine del XIII secolo, appaiono inserti più moderni in laterizio, aperture e porticati con arco a tutto sesto ed alcune feritoie nella torre di nord-ovest. L'edificio, abbellito da un parco secolare, funge attualmente da residenza estiva. Altri link suggeriti: http://geo.regione.emilia-romagna.it/schede/castelli/index.jsp?id=1437, http://www.emiliaromagna.beniculturali.it/index.php?it/108/ricerca-itinerari/8/149

Fonti: http://turismo.provincia.piacenza.it/it/scopri-il-territorio/arte-e-cultura/castelli-torri-campanili/item/castello-di-cerreto-landi.html, http://www.altavaltrebbia.net/castelli/val-chero/2194-castello-di-cerreto-landi.html, http://www.comune.carpaneto.pc.it/servizi/Menu/dinamica.aspx?idSezione=22492&idArea=22497&idCat=23166&ID=23275&TipoElemento=pagina

Foto: entrambe di Solaxart 2013 su http://www.preboggion.it/Castello_di_CarpanetoPiacentino_CerretoL.htm

mercoledì 24 ottobre 2018

Appuntamento a giovedì 25

Cari amici, oggi il blog "riposa", appuntamento a domani per un nuovo castello.

Valentino

martedì 23 ottobre 2018

Il castello di martedì 23 ottobre



COGNE (AO) - Casaforte di Tarambel

Localmente conosciuta anche come torre dei Mogni, in patois valdostano Tor de Mougne, è un rudere medievale che sorge tra i villaggi di Epinel e Crétaz, a monte della strada statale. La struttura venne edificata, nei pressi di un crocevia frequentato nel 1198 dai nobili Chesallet di Sarre che la cedettero nel secolo successivo al vescovo-conte insieme a tutti i loro beni; egli infeudò poi i terreni ai Moni (o Mogny) di Épinel, fedeli al prelato di Aosta. Secondo un'ipotesi nel 1291 Teobaldo de Casaleto la cedette insieme ad altri beni al vescovo Nicola Bersatori. La storia della casaforte di Tarambel è strettamente intrecciata con quella della comunità locale: vicino alla casaforte sorse il villaggio di Tarambel, probabilmente costituito da due abitati distinti (Mogni e Croix), che divenne il centro amministrativo di Épinel, tanto da avere diritto ad eleggere i propri rappresentanti tra quelli della comunità di Cogne. Il villaggio fu abbandonato nel corso del XVI secolo, probabilmente a causa dell'eccessiva siccità della zona, e gli abitanti si trasferirono così nel villaggio di Épinel, facendolo crescere. La casaforte è una costruzione compatta a pianta rettangolare, ormai priva sia del tetto sia dei piani. Presenta ancora diverse feritoie e i fori della colombaia sui due lati maggiori. L'edificio è diviso da impalcati, di cui rimane la sede dei travi, in tre livelli illuminati da strette feritoie. L'ingresso è rialzato, com'è frequentemente rilevato nelle architetture militari medievali valdostane, e ha un architrave semplice, senza arco di scarico. Altri link suggeriti: http://www.cogneturismo.it/datapage.asp?id=89&l=1, http://www.lovevda.it/it/banca-dati/8/castelli-e-torri/cogne/torre-di-mougne/859

Fonti: https://www.icastelli.it/it/valle-daosta/aosta/cogne/casaforte-di-tarambel-a-cogne, https://it.wikipedia.org/wiki/Casaforte_di_Tarambel

Foto: la prima è di Patafisik su https://it.wikipedia.org/wiki/Casaforte_di_Tarambel#/media/File:Casaforte_di_Tarambel_4.JPG, la seconda è presa da https://www.icastelli.it/it/valle-daosta/aosta/cogne/casaforte-di-tarambel-a-cogne

lunedì 22 ottobre 2018

Il castello di lunedì 22 ottobre





ATRIPALDA (AV) - Castello Truppoaldo e Palazzo Caracciolo

Sviluppatasi intorno allo specus Martyrum (IV sec.) e al castello di Truppoaldo da cui prese il nome (X sec.), Atripalda vanta una storia millenaria che affonda le sue radici nella città di Abellinum della quale cospicue testimonianze vengono alla luce in localita' civita. Feudo dei Capece (Marino e Corrado nell'ottobre del 1254 guidarono re Manfredi nella sua fuga verso Lucera e lo ospitarono per una notte nel castello di Atripalda) e quindi degli Orsini, la città registrò fin dal XIV sec. un notevole sviluppo economico che ne favorì l'espansione urbanistica e acuì i motivi di attrito con la vicina Avellino. Con il dominio dei Caracciolo (1564-1806) che vi fissarono la propria dimora in un imponente palazzo, del quale ancora oggi si ammirano le poderose strutture tardo-rinascimentali e uno stupendo parco, Atripalda visse uno dei periodi più intensi della sua storia. Nel 1585 la chiesa di S. Ippolisto, sorta sin dal XII sec. sullo specus Martyrum, guadagnava la sospirata autonomia dal clero Avellinese, mentre i Caracciolo davano particolare impulso alle attività economiche (potenziando la dogana e sviluppando, lungo il corso del fiume Sabato, le industrie del ferro, della carta e soprattutto della lana) e alla vita culturale (sostenendo con illuminato mecenatismo l'Accademia degli Incerti). Tra la fine del XVI e il XVIII sec. la città assunse l'assetto urbanistico che avrebbe conservato fino alla seconda metà dell'Ottocento: in particolare la strada S. Maria dove si erge la omonima chiesa annessa al convento dei PP. Domenicani(XII-XVIII sec.) si arricchì di palazzi gentilizi e al di là del fiume Sabato fu costruito il convento e la chiesa di S. Giovanni Battista (fine XVI sec.). Nel corso del XIX sec. Atripalda si sviluppò oltre il fiume Sabato, verso il largo mercato, dove fu edificata una nuova Dogana. Gravemente danneggiata dal sisma del 23 novembre 1980, la città ha registrato negli ultimi anni un notevole incremento demografico, potenziando ulteriormente la sua antica vocazione commerciale. I ruderi del castello medioevale di epoca tardo longobarda, intorno all'anno 1000, si ergono in cima alla collina che domina il vecchio centro urbano, lungo la Strada Provinciale che conduce a Serino. Della struttura, che presentava delle mura, residua una torre centrale, presumibile residenza del feudatario e nucleo centrale del sistema difensivo. Le mura sono formate da blocchi di tufo, alternati a frammenti di laterizi e materiali di riporto, provenienti da un edificio preesistente, ritenuto (Francesco Barra) il tempio di Diana della vicina Abellinum, su cui venne edificata la chiesa di S. Pietro. Truppoaldo Racco apparteneva alla famiglia degli Adelferii, i conti longobardi di Avellino. Egli ereditò la parte orientale della contea, sulla destra del fiume Sabato. Si stabilì nel castello, che fece ristrutturare e rafforzare, a ragione della sua posizione strategica, che venne sfruttata adeguatamente nei secoli XI-XIV. Tuttavia, la scomoda posizione, la limitatezza delle dimensioni e l'evoluzione delle strategie militari, ne segnarono il declassamento a mero punto di osservazione, anche in considerazione del fatto che i nuovi feudatari dal 1564, i Caracciolo, avevano una vasta corte che non poteva essere ospitata in ambienti così ristretti. Il che determinò la costruzione di un apposito ed imponente palazzo, detto appunto palazzo Caracciolo. Per raggiungere i ruderi del castello occorre imboccare una stradina non lontano dalla chiesa di S. Maria delle Grazie, in prossimità del palazzo Caracciolo. Quest'ultimo è un edificio in stile tardo-rinascimentale, che si trova nell'area del nucleo originario di Atripalda. Venne realizzato nella seconda metà del XVI secolo, quando i Caracciolo divennero feudatari di Atripalda, poichè il ristretto castello di Truppoaldo non era in grado di accogliere la loro numerosa corte. L'originaria struttura cinquecentesca, a pianta rettangolare, è a due piani e presenta al piano superiore delle ampie balconate. Ad essa venne aggiunta una seconda porzione e poi una terza, in modo da collegare le prime due. L'edificio ospitò nei suoi saloni "l'Accademia degli Incerti" voluta dalla famiglia Caracciolo sulle sponde del Sabato. L'impianto, fatto restaurare nel 1787 dal principe Giovanni Caracciolo, venne saccheggiato nel 1799, venduto nel 1806 e dichiarato monumento nazionale il 30 aprile del 1912. Le condizioni dell'edificio sono letteralmente disastrose, essendo la struttura invasa dai rovi e, probabilmente, pericolante. Pare che l'amministrazione comunale vorrebbe comprare l'edificio per destinarlo a pinacoteca o nuova sede del Comune. Il prezzo di acquisto si aggirerebbe sui 430000 euro. L'acquisto è reso problematico dal fatto che vi sarebbero ben 48 eredi e per giunta molti sarebbero non residenti. Un vasto parco, arricchito di piante rare, fontane e giochi d'acqua, impreziosisce sia il retro che il prospetto principale del palazzo. Altri link suggeriti: http://atripalda.homeip.net/storiapersonaggi/storiabarra/Il%20patrimonio%20storico-artistico.html, https://www.youtube.com/watch?time_continue=2&v=dv0UOeTvezs (video di Castelli d'Irpinia), http://canale58.com/articolo/comuni/8/abellinum-porte-aperte-il-sito-archeologico-torna-a-splendere/28895

Fonti: http://www.comune.atripalda.av.it/c064006/zf/index.php/storia-comune, http://www.irpinia.info/sito/towns/atripalda/castle.htm, http://www.irpinia.info/sito/towns/atripalda/privatebuildings.htm, https://it.wikipedia.org/wiki/Atripalda#Palazzo_Caracciolo, http://www.prolocoatripalda.it/index.php?option=com_content&view=article&id=51:palazzo-caracciolo&catid=13&Itemid=142

Foto: entrambe le foto, relative al palazzo Caracciolo, sono prese rispettivamente da http://www.atripaldanews.it/2017/11/18/partiti-i-lavori-di-messa-in-sicurezza-di-palazzo-caracciolo/ e da http://www.atripaldanews.it/2013/09/16/il-castello-delle-acque-la-mostra-che-aprira-la-dogana-alle-attivita-del-sistema-museale-diffuso-barbarisi-presto-recupero-di-abellinum-e-del-giardino-di-palazzo-caracciolo/. Per vedere un'immagine di ciò che rimane del Castello Truppoaldo potete vedere qui: http://www.irpinia.info/sito/towns/atripalda/castle.htm

venerdì 19 ottobre 2018

Il castello di venerdì 19 ottobre




FASANO (BR) - Masseria Pettolecchia

La masseria sorge, seminascosta tra gli ulivi, a metà strada tra Bari e Brindisi, lungo la litoranea che congiunge Savelletri a Torre Canne, due ridenti località balneari del territorio di Fasano. A meno di due chilometri da Savelletri, avendo il mare a sinistra, s’imbocca una stradina che immette nel regno incantato della campagna di Pettolecchia. Il complesso si presenta circondato da un alto muro di cinta, interrotto solo dal portale d’ingresso. Il fabbricato principale è formato da una grande torre, a guisa di castello, con quattro torrioni ai vertici, e costituisce l’elemento più significativo di tutta la struttura. La fortezza si presenta munita di una serie di elementi difensivi: un alto muro di cinta, caditoie e feritoie da cui sversare olio bollente sugli assalitori, camminatoio coperto e garitte per le sentinelle, sempre pronte sul terrazzo a dare l’allarme tramite campana o segnali di fumo. Per la sua posizione geografica non lontana dal mare e protetta dalla collina di Fasano, la “Pettolecchia” si aggiunge alla serie di torri interne e masserie fortificate, formanti una precisa linea di difesa dopo quella costituita dalle torri di avvistamento collocate lungo la costa. L’origine della masseria, pertanto, si può far risalire alla fine del XVI secolo, in un periodo caratterizzato dalle invasioni piratesche che resero necessario un imponente impianto residenziale fortificato a scopo difensivo. Appartenuta alla famiglia Palmieri di Monopoli fino al 1962 la masseria presenta un piccolo fossato che lambiva la torre – castello, con un vecchio ponte levatoio a fare da unico accesso al piano dell’abitazione. All’interno del complesso vi sono anche delle stalle, il frantoio e la chiesa, sormontata da una cupola con sovrastante lucernaio e munito di rosone centrale, è stata completata nel XVIII secolo. Sulla porta d’ingresso dell’abitazione sono collocati, in successione verticale, un’epigrafe, lo stemma nobiliare della famiglia di appartenenza, una caditoia di dimensioni maggiori rispetto alle altre laterali e il campanile a vela. La scala, in evidenza rispetto al corpo principale della costruzione, si ricollega alla masseria attraverso un ponte in muratura con sottostante arco, costruito in sostituzione del precedente ponte levatoio. Altri stemmi sono posti sia sulla porta d’accesso all’edificio sia sulla volta del salone centrale del primo piano. Questi stemmi, sono le uniche decorazioni presenti nel complesso: si nota, infatti, la severità dell’edificio e la sua seria compostezza. Un’interessante caratteristica della masseria è l’insediamento rupestre, alla destra della torre. Si tratta di un classico esempio di architettura spontanea: scavati nella roccia si scoprono degli ambienti, antecedenti la costruzione dell’edificio principale, in cui , successivamente, è stato adibito il frantoio, poi trasformato in carcere, con celle ricavate lungo il perimetro della grotta. Nella bellezza di una natura agreste incontaminata, sorge ”Il Casino”, splendida dependence ottocentesca di Pettolecchia. La linearità architettonica, la “rusticità”, la bucolicità vengono a rappresentare gli elementi più identificativi dello charme della masseria "Il Casino". La masseria, disabitata, che è appartenuta anche all’Ordine dei Gesuiti, è principalmente utilizzata per la coltivazione dell’ulivo e la produzione di olio. L’accesso al pubblico è consentito previo accordo con i tenutari del complesso.

Fonti: http://www.masseriapettolecchia.it/it/home/, http://www.itriabarocco.net/web/guest/home/articolo?p_p_id=pis11_articolo_WAR_pis11&p_p_lifecycle=1&p_p_state=normal&p_p_mode=view&_pis11_articolo_WAR_pis11_f=index_articolo.jsp&_pis11_articolo_WAR_pis11_articleid=36660, https://www.mondimedievali.net/castelli/Puglia/brindisi/pettolecchia.htm

Foto: entrambe prese da http://www.masseriapettolecchia.it/it/la-masseria/la-fortezza-005.html

giovedì 18 ottobre 2018

Il castello di giovedì 18 ottobre





CANNETO SULL'OGLIO (MN) - Torre del castello Gonzaga

Il castello di Canneto (o castello di San Genesio, dal nome della chiesetta intorno alla quale sorse il maniero) è un'antica roccaforte risalente all'XI secolo. La struttura è collocata nel centro storico e si erge su piazza Matteotti. Notizie storiche del castello si hanno già intorno al 1000 quando la struttura venne ceduta a Landolfo, vescovo di Cremona. Nell'XI secolo faceva parte della cinta muraria del borgo, luogo strategico di confine a guardia del fiume Oglio. Nel 1200 entrò a far parte dei possedimenti dei conti Casaloldi che lo persero a favore del Comune di Brescia. Con l'avvento dei Gonzaga, signori di Mantova, anche Canneto e il suo castello passarono nei loro possedimenti (1391). Castello e rocca vennero rafforzati da Gianfrancesco Gonzaga intorno al 1430. Con Federico I Gonzaga, per opera dell'architetto militare Giovanni da Padova, il castello venne ampliato, dotato di ponte levatoio e torri di difesa. Nel 1543 ebbe luogo un evento importante: l'imperatore Carlo V, mentre era in viaggio da Busseto, dove incontrò papa Paolo III, verso Trento, si intrattenne nel castello con Ferrante Gonzaga, col cardinale Ercole Gonzaga e con Margherita Paleologa, per legittimare a suo figlio Francesco la duplice investitura nei titoli di duca di Mantova e marchese del Monferrato, oltre a concordare le sue future nozze con Caterina, nipote dell'imperatore. In quella occasione incoronò il letterato e poeta mantovano Giampietro Penci. Nei secoli seguenti il maniero fu più volte distrutto e parzialmente ricostruito. Gli austriaci nel Settecento operarono il completo abbattimento della struttura e la torre rimane l'unico elemento integro sino ai giorni nostri. Il castello gonzaghesco era diviso in tre parti: il borgo fortificato, con il Palazzo Pretorio - ora andato distrutto - e la Chiesa di Sant’Antonio Abate, circondato da numerose abitazioni; la Rocca, ove alloggiava la guarnigione militare; il Revellino, avamposto situato sull’opposta sponda del fiume Oglio. La Torre Civica rivestiva e riveste tuttora il ruolo di torre passante. Sopra il volto di ingresso è collocata una statua seicentesca dell’Assunta, probabile ex-voto dopo qualche pestilenza o calamità naturale. Altri link suggeriti: http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/MN360-00179/?view=luoghi&offset=25&hid=7.266&sort=sort_int, https://mapio.net/pic/p-89326234/

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Canneto_sull%27Oglio, http://www.comune.canneto.mn.it/index.php?option=com_content&view=article&id=416:cenni-storici&catid=99&Itemid=452

Foto: la prima è di Massimo Telò su https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Canneto_sull%27Oglio#/media/File:Canneto_sull%27Oglio-Torre_civica.jpg, la seconda è di Mirko1974 su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/192242

mercoledì 17 ottobre 2018

Il castello di mercoledì 17 ottobre




BELMONTE CALABRO (CS) - Palazzo del Rivellino

Il palazzo del Rivellino, o semplicemente Rivellino, è un palazzo storico di forma quadrilatera che ebbe in origine funzioni difensive situato nel comune di Belmonte Calabro, in provincia di Cosenza, nella località Marina di Belmonte. Il primo nucleo del palazzo venne edificato come torre costiera a pianta quadrata nel 1579 dal conte Torino Ravaschieri, a difesa di quel tratto di costa contro eventuali sbarchi dal mar Tirreno. La torre venne trasformata in palazzo nel 1627 dal principe Orazio Giovan Battista Ravaschieri. Attraverso un grande arco, si accede ad un ampio cortile interno con al centro un pozzo. All’ingresso vi era posta una lapide in marmo bianco ora murata nella chiesa del Carmine. Sul cortile si aprono numerosi magazzini con il soffitto a volta, che un tempo erano le carceri, le stalle per i cavalli e le scuderie che accoglievano le selle e i finimenti delle cavalcature e le portantine. Dal Rivellino partiva la strada pubblica che portava al torrente “Cervella” e costeggiava il colle dove vi era un bastione di difesa, chiamato oggi “Bastia”. Da qui, la strada proseguiva in salita fino alla porta di mare, per il castello. Dal cortile salgono due scale ben conservate: una porta al primo piano; l’altra, con pianerottolo sorretto da beccatelli ad archi in tufo, porta all’appartamento nobile dei principi, formato di diverse stanze e una sala dotata di grande camino incastonato nel muro ed incorniciato dal marmo verde di Belmonte. Un secondo piano è rimasto incompiuto. Sulla porta dell’adiacente giardino vi era lo stemma in marmo bianco dei Ravaschieri, andato perduto. Da un lato del cortile si apriva un cunicolo sotterraneo, ora interrato, che passando sotto la fortificazione, portava fuori dalle mura per il torrente Cervella. Fungeva da via di fuga in momenti di imminente assedio. Il Palazzo, per tutto il Seicento e Settecento, espletò la funzione di deposito per la seta prodotta dalle coltivazioni di proprietà principesca, per essere trasportata e venduta a Napoli. Con la discesa dei Francesi, nel 1806-07, l’edificio fu confiscato ai Pignatelli, succeduti ai Ravaschieri ed ai Pinelli, e fu venduto alla famiglia belmontese dei Del Giudice. Attualmente è lottizzato tra vari privati. Per proteggere il feudo dalle incursioni turchesche, che arrecavano gravissimi danni, saccheggi e deportazioni, Fabrizio Pignatelli, succeduto ai Ravaschieri, fece costruire torri di guardia lungo le coste, dalle quali si poteva scrutare il mare e dare l’allarme. Di giorno le guardie segnalavano il pericolo utilizzando i fornelli e, quindi, il fumo; di notte usavano le fiaccole. Oltre ai guardiani della torre, vi erano pure i “cavallai” che vigilavano a cavallo sui tratti di spiaggia compresa tra torre e torre. Le torri costiere sorgevano sulle pendici dei colli prospicienti il mare, erano alte da 15 a 20 metri e di forma cilindrica. Nel territorio di Belmonte ne sorgevano due: una, detta di Barbarie, sull’attuale colle Bastia; l’altra, di Verri, al confine con il territorio di Amantea. Nel 1741 entrambe le torri risultavano essere mal ridotte. Altro link suggerito: https://www.calabriaportal.com/belmonte-calabro-marina/3516-belmonte-calabro-marina-monumenti.html.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_del_Rivellino, http://www.comune.belmontecalabro.cs.it/index.php?action=index&p=343

Foto: la prima è presa da http://www.benessereperme.com/vacanze-in-calabria-grand-hotel-la-tonnara-offerta-di-halloween-2-notti-per-2-persone-2-cene-tutto-a-soli-178e/, la seconda è presa da http://www.comune.belmontecalabro.cs.it/index.php?action=index&p=343

martedì 16 ottobre 2018

Il castello di martedì 16 ottobre



BELMONTE CALABRO (CS) - Castello

Dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente, nell' 846 i Saraceni conquistarono la città bizantina di Nepetia, collocata nel sito dell'attuale Amantea e il cui territorio comprendeva anche quello di Belmonte, e ne rimasero padroni dopo aver creato un Emirato fino all'885 quando i Bizantini al comando di Niceforo Foca il vecchio riconquistarono la città. I primi abitati attestati nel territorio belmontese in età medioevale sono i casali di Santa Barbara, corrispondente con molta probabilità all'attuale frazione omonima, e Tinga, corrispondente probabilmente alle località attuali di Annunziata e Serra. Nel casale di Santa Barbara c'erano due chiese, Santa Barbara e San Pietro, menzionate per la prima volta nel 1097, quando il duca di Puglia e Calabria Ruggero Borsa concesse queste chiese in beneficio all'abbazia benedettina della SS. Trinità di Mileto. In seguito nel giugno 1202 Riccardo vescovo di Tropea concesse le stesse chiese all'abbazia florense di Fontelaurato di Fiumefreddo. Durante il tentativo di Corradino di Svevia di conquistare il regno di Napoli, la città fortificata di Amantea, poiché si era ribellata agli Angioini, venne assediata e conquistata da questi ultimi nel 1269 (Carlo I d'Angiò, appoggiato dal Papato e dal Regno di Francia, inviò il conte di Catanzaro Pietro Ruffo a riconquistare quel castello che, dopo aver resistito per tre mesi all'assedio angioino, fu costretto alla resa e gli esponenti del partito filo-svevo vennero puniti orribilmente). Per mantenere sotto controllo la città irrequieta, Carlo I d'Angiò ordinò al maresciallo Drogone de Beaumont di costruire un castello di proprietà demaniale in territorio amanteano, a guardia di future rivolte. Nacque così, tra il 1270 ed il 1271, Belmonte (dal nome del responsabile della costruzione del castello deriva probabilmente il nome attuale del paese). Per quanto riguarda la manodopera impiegata nella costruzione, la leggenda vuole che fosse composta da quaranta contadini della località Vallizzo o Chirico Varrizzo, obbligati a lavorare per corvée. Beaumont fondò anche un altro castello omonimo nel Foggiano, oggi in comune di San Paolo di Civitate, prima di partire per la Grecia per la difesa del principato d'Acaia (il Peloponneso), nominalmente territorio di Carlo d'Angiò.Intorno al castello iniziò rapidamente a sorgere un borgo, il cui nucleo iniziale fu l'attuale piazza senatore Del Giudice. Sorsero alcune controversie tra gli amanteoti ed i nuovi abitanti e signori di Belmonte: per risolvere alcune questioni in merito ai confini tra Belmonte ed amantea il 27 maggio 1345 Giovanna I d'Angiò emanò un decreto regionale, secondo il quale Belmonte era incluso nel territorio amanteota. Dall'inizio del XIV secolo il castello di Belmonte vene infeudato ad alcuni esponenti della nobiltà napoletana. Tra il 1305 ed il 1338 fu sottoposto alla famiglia Mastroiodice o Mastrogiudice, tra il 1338 ed il 1367 ai Cossa o Salvacossa, dal 1367 al 1443 alla famiglia Sacchi. Negli stessi periodi, i casali di Santa Barbara e Tinga avevano una loro successione feudale, fino a che non scomparvero e vennero unificati anche loro nel territorio di Belmonte. Un diploma della regina di Napoli Giovanna I di Napoli risalente al 1345 delimitò il territorio di Belmonte separandolo da quello di Amantea, sancendo de iure l'autonomia del primo paese dalla città costiera. La famiglia Di Tarsia entrò in possesso del castello e dei suoi casali nel 1443 e lo mantenne fino al 1578 tra alterne vicende. Forse, Vincenzo Di Tarsia si sposò a Belmonte nel 1506 con Caterina del Persico; di sicuro egli dovette difendersi in questo castello nel 1528 da un attacco francese, durante la seconda franco-spagnola (1526-1529), fase dei complicati rapporti tra Carlo V e Francesco I. Dovette arrendersi ai francesi, ma al termine del conflitto ottenne come ricompensa dal viceré di Napoli don Filiberto di Chalons un'esenzione fiscale decennale per sé e per il feudo di Belmonte. Nel castello soggiornò il poeta petrarchista Galeazzo di Tarsia, sesto barone di Belmonte. Nonostante il suo spirito poetico, si distinse per malgoverno e vessazioni che lo portarono addirittura in carcere sull'isola di Stromboli. Il 15 luglio 1562 venne posata la prima pietra del convento dei Padri Carmelitani, su un terreno donato appositamente dal barone Tiberio Di Tarsia e da sua moglie Ippolita Carafa. La signoria dei Di Tarsia si interruppe momentaneamente quando Tiberio Di Tarsia vendette il feudo a Camillo Sersale per la somma di 15.000 ducati, con diritto di retrovendita dopo dieci anni. Nel 1570 Tiberio morì a Napoli senza eredi legittimi, e lasciò i suoi beni al nipote Cola Francesco Di Tarsia, che aveva dei precedenti con la giustizia spagnola. Il Demanio nel frattempo requisì Belmonte e gli altri feudi ai Di Tarsia, in forza del testamento di Galeazzo Di Tarsia che sanciva, in assenza di figli maschi di Tiberio, che i suoi beni sarebbero stati donati alla Corona. Nel 1578 il feudo fu venduto ai Ravaschieri, ricca famiglia genovese. Sotto di loro Belmonte fu elevato a principato (1619). I Ravaschieri abbandonarono il castello e si trasferirono a risiedere nel palazzo Ravaschieri della Torre, con splendida vista sul mare dall'alto del colle. A loro successero i Pinelli ed i Pignatelli. Il castello risultò gravemente danneggiato dal terremoto del 1638 ed ancor di più da quello del 1783: e tuttavia non abbiamo notizia di restauri compiuti su di esso. La spedizione della Reale Accademia delle Scienze di Napoli che giunse in Calabria dopo quel devastante evento sismico, riportava che: «La porta, che dall'est presta l'ingresso agli abitatori, è di momento in momento in pericolo di cadere. Il soprastante castello è nelle interne sue membra altamente magagnato; e quasi tutta la porzione superiore è in una parte ruinante, e in altra diroccata.»
(Michele Sarconi, Istoria de' fenomeni del tremuoto avvenuto nelle Calabrie e nel Valdemone nell'anno 1783, posti in luca dalla Reale Accademia delle Belle Lettere di Napoli, Napoli 1784, in Gabriele Turchi, Storia di Belmonte, Cosenza 2004.)
Ciò nonostante, i borbonici belmontesi resistettero per circa due mesi ad un esercito napoleonico. L'Assedio di Belmonte (1806), iniziato il 30 dicembre 1806 con l'occupazione del convento dei padri Cappuccini, durò più a lungo dell'assedio della vicina Amantea, difesa dal suo forte castello, che capitolò a condizioni onorevoli il 7 febbraio 1807: Belmonte probabilmente fu presa manu militari solo il 17 febbraio di quello stesso anno. Il castello subì danni tali che fu reso inabitabile. Già i francesi dopo l'occupazione demolirono le parti pericolanti, operazione completata dopo il terremoto del 1905 dal Genio Civile di Cosenza. Negli anni Settanta la rupe del castello è stata assediata dalle case dell'espansione moderna del paese, che furono addirittura addossate ai pochi resti. Il 16 agosto 1974 venne fatta saltare in aria la praca scavata nella roccia, ossia l'accesso al castello con il fossato ed il ponte levatoio, che doveva essere analoga a quella del vicino castello della Valle di Fiumefreddo Bruzio: al suo posto venne eretto l'attuale Municipio, e l'evento viene ancora oggi festeggiato con la sagra degli ziti con carne di pecora, che si tiene ogni anno il 16 agosto. Nel 2000 il Comune di Belmonte Calabro ha realizzato nei pochi locali accessibili la biblioteca comunale. Nel 2008 anche il resto dell'area del castello è stata resa accessibile come area pic-nic attrezzata. Oggi è davvero molto difficile ricostruire la planimetria del castello, e l'articolazione dei suoi ambienti interni. Lo storico locale Gabriele Turchi ha ipotizzato una pianta quadrilatera con quattro torrioni angolari: al centro del quadrilatero, si apriva il cortile della piazza d'armi o vaglio: l'ingresso principale probabilmente era coincidente con quello attuale, in piazza Galeazzo di Tarsia. Il lato settentrionale del castello, quello rivolto verso l'attuale via Michele Bianchi, è rappresentato nella calcografia allegata alla relazione sul terremoto del 1783 eseguita dalla Reale Accademia delle Scienze di Napoli: si presentava come una robusta struttura con finestre, probabilmente rimodernata e resa abitabile dai baroni tra Quattrocento e Cinquecento, provvista di due torrioni angolari quadrati. L'unico tratto merlato rimasto è quello incluso nella ristrutturata biblioteca comunale, tra piazza Galeazzo di Tarsia e l'inizio di via IV Novembre, proprio davanti alla collegiata di Santa Maria Assunta. Nel cortile della biblioteca, si intravede l'imboccatura di una cisterna di acqua piovana. Mentre la cerchia di mura urbica è ben conservata in diversi tratti, e sono intatte addirittura quasi tutte le torri circolari a scarpa che difendevano Belmonte, della cerchia del castello resta solo un trascurabile avanzo sul lato occidentale. Ad ogni modo una salita al culmine della roccia del castello è consigliabile per il panorama sul mare e sul vasto entroterra belmontese (si domina gran parte della valle del fiume Veri), anche perché non è neppure tanto difficoltosa. Altri link per approfondire: https://www.calabriaportal.com/belmonte-calabro/4126-belmonte-calabro-castello.html, http://www.italiavirtualtour.it/dettaglio.php?id=95713 (con visita virtuale), https://www.youtube.com/watch?v=dWRPlz8UY0E (video con drone di Giuseppe De Luca), http://www.comune.belmontecalabro.cs.it/index.php?action=index&p=339

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Belmonte_Calabro, https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Belmonte_Calabro

Foto: la prima è un fermo immagine del video di Giuseppe De Luca precedentemente citato, la seconda è di Giuseppe Pagnotta su https://www.pinterest.it/pin/420382946442754446/?lp=true

lunedì 15 ottobre 2018

Il castello di lunedì 15 ottobre




TOLMEZZO (UD) - Torre Picotta

Le prime notizie storiche di Tolmezzo si hanno verso la fine del primo millennio, in un documento compare col nome Tulmentium ed è inclusa tra i feudi del Patriarcato di Aquileia. Molto probabilmente però la cittadina è più antica, si pensa abbia avuto origine da un piccolo borgo risalente all'epoca preromana. Sotto il Patriarcato di Aquileia tra il 1077 ed il 1420, Tolmezzo visse anni prosperi all'insegna dello sviluppo non solo economico ma anche sociale. I Patriarchi fecero costruire un castello (di cui ancora oggi si possono ammirare alcuni resti) che dominava la valle, da qui si controllavano i traffici commerciali e si dava protezione agli abitanti. Sempre nel periodo patriarcale la città fu dotata di un mercato (intorno al 1200) che contribuì all'aumento della popolazione migliorandone le condizioni di vita e fu concesso lo status di Terra che prevedeva una certa autonomia amministrativa. Già nel 1258 Tolmezzo godeva di una certa indipendenza se il patriarca Gregorio di Montelongo concedeva alla cittadina il privilegio di ospitare un mercato. Lo sviluppo della città condusse all'erezione di un sito fortificato a difesa del territorio, una cortina che cingeva tutto il borgo, alla nascita di un arengo e di un consiglio e alla nomina del gastaldo. Anche il patriarca Raimondo della Torre fu largo di concessioni, pur ricavandone anche vantaggi con l'appalto della muta. Anche per questo, già nel XIII secolo, Tolmezzo era uno dei centri principali della Carnia, divenendo ben presto la capitale commerciale e politica di questa area geografica. Visse apparentemente in tranquillità sino al 1323 quando una sommossa popolare mirata a colpire alcuni signorotti del uogo, che avevano cominciato ad abusare dei poteri loro concessi, creò pesanti discordie interne. «Durante il patriarcato di Giovanni di Moravia ai numerosi privilegi accordati si aggiunse la conferma degli antichi Statuta communis e terræ Tulmetii e più tardi lo stesso Patriarca elargì 113 marche di denari per mettere in buono stato il castello nostro». Nel 1356, Tolmezzo divenne la capitale della Carnia ad opera del Patriarca Nicolò di Lussemburgo che suddivise il territorio in quattro quartieri amministrativi: Gorto, Socchieve, Tolmezzo e San Pietro. Entrato nell'orbita di Venezia nel 1420, Tolmezzo fu nuovamente munito per opera della Serenissima e divenne un'attiva cittadina fortificata, le cui alte mura che la circondavano erano dotate di 18 torri:

della Porta di Sopra
Modesti
del Degan
Reitembergher
della Fontana
di Santa Caterina
Giacomo Cosse
Grande d’angolo
della Porta di Sotto
Sopra la Roggia
Grande del Ridotto
Pianesi
Nicolò Vuruz
della Scuola
del Pievano
Agustini
del Romitorio
Andrea Alessi

Più altre due torri esterne tra cui l'arroccata torre Picotta e la torre del Corpo di Guardia. Le porte della città erano quattro: le principali chiamate Porta di Sopra (in direzione nord-ovest) e Porta di Sotto (a sud-est), e le secondarie poste una in prossimità della fontana di Cascina (lato nord-est) e l'altra presso il Romitorio (lato sud-ovest). Intorno alla cinta muraria scorreva un fossato, e dominante sul territorio stava l'imponente castello patriarcale. Di quelle strutture, oggi sopravvivono solamente la Porta di Sotto, alcuni lacerti murari sparsi qua e là ed ormai assorbiti dalle recenti costruzioni, e la Torre Picotta, collocata in cima al colle che sovrasta la cittadella, dalla cui sommità si può godere un magnifico panorama sulla pianura sottostante e sulla valle dell'Alto Tagliamento con lo sbocco della Valle del But. Eretta nel 1477 per far fronte alle invasioni dei Turchi, venne distrutta durante il secondo conflitto mondiale (1944) dai tedeschi, ed è stata in seguito ricostruita (il più fedelmente possibile all'originale) grazie agli studi fatti su vecchi documenti e fotografie. Posta su una altura, una volta raggiunta a piedi attraverso un sentiero, vi si può ammirare tutto il paesaggio circostante e la città stessa. Altri link suggeriti: https://www.mondimedievali.net/castelli/friuli/udine/tolmezzo.htm, https://www.archeocartafvg.it/portfolio-articoli/tolmezzo-ud-il-castello-e-la-torre-picotta/, http://www.loppure.it/__trashed-2/, https://www.youtube.com/watch?v=mVgRQ1ud43E (video di michel gambon), https://www.youtube.com/watch?v=IREMqw-TtZQ (video di mariutine sanvit), https://www.youtube.com/watch?v=z0sHTGsPH7A (video di Hippy Owls).

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Tolmezzo, https://consorziocastelli.it/icastelli/udine/tolmezzo

Foto: la prima è di Sebi1 su https://it.wikipedia.org/wiki/Tolmezzo#/media/File:TolmezzoTorrePicottaIngresso.jpg, la seconda è un femro immagine del video di elvis mattia (https://www.youtube.com/watch?v=RfjIa-NW7BQ)

Comunicazione importante

Cari amici del blog,

come forse alcuni di voi si saranno accorti, in questi ultimi due fine settimana non sono stati pubblicati post su nuovi castelli e purtroppo, fino a tempo indeterminato sarà così, per problemi "tecnici" del sottoscritto. Dunque il mio blog proseguirà la sua attività regolarmente ma dal lunedì al venerdì. A presto

Valentino

venerdì 12 ottobre 2018

Il castello di venerdì 12 ottobre




CAMAIRAGO (LO) - Castello Borromeo

Di antica origine, appartenne all'arcivescovo di Milano Ariberto d'Intimiano, ai Visconti e ai Borromeo (1440), che ricostruirono il castello, dopo le distruzioni causate dalle lotte comunali tra Milano e Lodi. Fortificata da Marco Antonio Colonna (1521), soffrì l'occupazione dei Lanzichenecchi diretti a Mantova (1621). In età napoleonica (1809-16) Camairago fu frazione di Cavacurta, recuperando l'autonomia con la costituzione del Regno Lombardo-Veneto. Il nome antico, di epoca alto-medievale, era "Camariaco" che deriva da Camerte Camairago, ritenuto l'effettivo fondatore. L'abitato conserva il castello dei Borromeo, edificato per volontà di Vitaliano Borromeo, il quale ricevette il feudo da Filippo Maria Visconti, ultimo duca di Milano, come ricompensa dei meriti in battaglia (in molte occasioni si era distinto per coraggio e forza al suo fianco). Il Visconti nel 1339 gli assegnò la città di Arona, nominandolo conte della città sei anni dopo, e nel 1340 gli donò il feudo lodigiano come ricompensa per l'aiuto offertogli. Nell'atto di donazione Filippo Maria Visconti consentiva di fortificare ulteriormente il borgo, che possedeva già un castello del XII secolo e che venne distrutto dai milanesi nel 1158 nella guerra intrapresa contro la città di Lodi. Il nuovo signore di Camairago, sebbene prediligesse altre fortezze e possedimenti borromaici, cominciò immediatamente l'edificazione di un nuovo sistema difensivo che esibisse il prestigio raggiunto e gli consentisse, eventualmente, di appoggiare i signori di Milano in una nuova impresa bellica contro Lodi. Nei secoli successivi venne fortificato sempre di più, per poter diventare sede militare. Anche se da questo castello non partì mai un attacco alla città, protetta un tempo da Federico Barbarossa, il maniero fu protagonista degli scontri del 1547 tra Francesco Sforza e i veneziani. Dopo un periodo di relativa pace e prosperità all'inizio del XVI secolo il feudo di Camairago, subì alcuni danneggiamenti in occasione dell'arrivo delle truppe francesi. Analoga sorte toccò al castello col passaggio dei Lanzichenecchi che presero parte all'assedio di Mantova nel 1629. Piccole trasformazioni e adeguamenti si susseguirono nel decenni successivi, sino a quando nuovi lavori si resero necessari alla metà del XIX secolo, quando il castello fu occupato dalle truppe austriache del maresciallo Radetzky, che qui stanziò il suo quartier generale. Dopo il tormentato periodo militare durato più di 3 secoli, il Castello di Camairago, sempre sotto la guida della famiglia Borromeo, è diventato dimora agricola privata. Il rivellino, collocato al centro del prospetto principale, svetta per imponenza e dimensioni e conserva, quasi inalterati nel tempo, il suo sistema difensivo basato sulla presenza di merlature sommitali e un sistema tradizionale di travi contrappesate per il sollevamento del ponte levatoio del quale sono ancora ben visibili le feritoie e gli alloggiamenti dei bolzoni. Integro è anche il duplice sistema d'ingresso, basato sulla presenza di un ampio fornice a tutto sesto per il passaggio delle merci e degli uomini a cavallo, e del più stretto ingresso pedonale, posto a destra del primo, al quale originariamente si accedeva attraverso una passerella mobile. Al centro del varco si staglia ben visibile lo stemma araldico della famiglia Borromeo al quale il castello ancora oggi appartiene; sono immediatamente percepibili gli elementi che la collegano alla casata degli Sforza, del quale è raffigurato il biscione in alto a sinistra; il dromedario "prostrato", simbolo introdotto nello stemma da Vitaliano I Borromeo che rappresenta la pazienza e la devozione; il Liocorno che si rivolge contro il biscione visconteo, anch'esso legato alla figura di Vitaliano I, che rappresenta il valore della casata in battaglia; il morso dei cavalli, ad indicare la capacità di trattenere all'occorrenza l'irruenza e l'impetuosità della forza; i tre anelli legati insieme, che indicano la stabilità delle unioni familiari. Nella corte, con lacerti dell'originaria decorazione, rimane nel prospetto settentrionale il portico ritmato da archi a sesto acuto; all'interno, nella sala degli stemmi, ritorna fittamente ripetuto il termine Humilitas, segno ancora una volta del dominio antico della casata dei Borromeo. Dal lato est del castello si può apprezzare la valle dell'Adda, la campagna sottostante e, nelle giornate limpide, anche le Alpi. Oggi, grazie alla passione e alla dedizione della famiglia Borromeo, il Castello è a disposizione di chi ricerca un luogo unico per un giorno importante. L'edificio ha pianta allungata a corte rettangolare, con due torri angolari allineate alla possente torre centrale del rivellino, posta in corrispondenza dell'ingresso del fortilizio. Il lato est si innalza sulla scarpata della valle dell'Adda ed è chiusa agli estremi dalle due torri superstiti. Il lato sud presenta al centro il rivellino separato dal corpo principale da un fossato. Tutte le murature presentano riseghe e cornici in cotto. Il cortile interno è porticato con archi a sesto acuto, alcuni dei quali tamponati. Il fronte nord è stato per un breve tratto demolito. Fronti in muratura stilata delimitate da torri agli angoli e torre in corrispondenza dell'ingresso. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=6nfUGSOV5ro (video di Castello Borromeo di Camairago), http://www.preboggion.it/CastelloIT_di_Camairago_Borromeo.htm

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Camairago, http://www.castellodicamairago.it/storia.html (suggerisco di visitare questo sito web, dedicato proprio al castello), http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/LO620-00057/

Foto: la prima è presa da http://www.comune.camairago.lo.it/2015/01/matrimoni-civili-castello/, la seconda è di Daniele Bonelli su http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/LO620-00057/

giovedì 11 ottobre 2018

Il castello di giovedì 11 ottobre





BIENTINA (PI) - Torri

La prima menzione storica del paese di Bientina – dal latino "Bis antes", cioè "due siepi" per alcuni, dal gentilizio etrusco "Plitine" secondo altri – risale al 793 d.C., quando Saximondo di Gumberto, diacono, concesse a Giovanni, Vescovo di Lucca, una porzione di terreno nel Monastero di S. Andrea in luogo di Bientina. Un documento del 1117 di dà notizia della vendita, da parte del Marchese di Toscana Robodone, del castello con il suo distretto e con la giurisdizione signorile a favore dell'Arcivescovo di Pisa. Nel 1178 l'Arcivescovo Ubaldo, per riunire in un unico luogo tutti gli abitanti del territorio tra il Monte Pisano e la sponda sud ovest del Lago di Sesto ed evitare le ricorrenti liti con Lucca, obbligò i Bientinesi ad abitare in certo luogo a oriente del ponte sul fosso denominato Cilecchio. Il 25 febbraio 1179 i consoli di Bientina con altri 120 Bientinesi giurarono di obbedire all'Arcivescovo e di andare ad abitare nel luogo assegnato. Si fa risalire a questo periodo l'inizio della fondazione del castello con le torri in gran parte visibili ancor oggi, anche se studi più recenti fanno risalire ad epoca tardo-romana alcun tratti delle mura. Nei secoli XIII e XIV fu alternativamente sotto il dominio di Lucca e Pisa, fino a che, nel 1402 si sottomise al dominio fiorentino. Ebbe a sostenere l'ultimo assedio nel 1505, durante la cosiddetta guerra di Pisa, quando fu assediata dai Pisani, sostenuti da 1.500 fanti spagnoli, ma questi furono ricacciati dai difensori. Il Senato fiorentino, in omaggio alla fedeltà dimostrata, concesse a Bientina privilegi di natura economica e fiscale, nonché l'appellativo di "Bientina Fiorentina". Nel 1699, con una fastosa cerimonia ebbe inizio il culto di San Valentino, il cui corpo proveniva dalle catacombe di San Callisto sulla Via Appia Antica. Questo santo, per i miracoli che iniziò a fare, si guadagnò subito clamorosa fama, tanto che nel 1717 lo stesso Gran Principe di Toscana Gian Gastone de' Medici venne a venerarne le spoglie. Analogo omaggio fu reso al santo negli anni 1766 e 1768 dal Granduca Pietro Leopoldo di Lorena. Con la morte di Gian Gastone avvenuta nel 1737, si estinse la dinastia Medicea e la Toscana passò sotto quella dei Lorena. Con Pietro Leopoldo ebbero inizio i primi lavori di bonifica e di regimazione della complessa idrografia della zona; tali lavori furono portati a compimento da Leopoldo II (1824-1859), sotto il governo del quale fu essiccato il Lago di Bientina, mediante il passaggio delle acque sotto l'alveo dell'Arno mercé la costruzione del Canale Emissario, opera di grande ingegneria idraulica. Nell'occasione furono apportate alcune modifiche al corso dell'Arno, dando al maggior fiume della Toscana una regimazione definitiva. Dopo la fine della dinastia Lorenese, Bientina entrò a far parte del Regno d'Italia e ne seguì le sorti fino al referendum istituzionale del 1946 quando i Bientinesi votarono a grandissima maggioranza per la Repubblica. Oggi rimangono cospicui resti delle mura medioevali con alcune torri che conservano ancora le antiche denominazioni (Paracintolo, Mora, Giglio e Belvedere), nome quest’ultimo assai significativo, in quanto, anche nel periodo medioevale era la più elevata con le sue 47 braccia toscane, pari a m.27,45. A questa torre, nel 1629 fu aggiunta una cella campanaria che portò l’altezza dell’edificio a m.36,40 che è anche l’altezza attuale. Fu ricostruita nel periodo 1975/79 a cura del Genio Civile di Pisa in seguito alla distruzione avvenuta ad opera dei tedeschi nel 1944. Le mura di Bientina dovevano presentarsi con grande imponenza per la loro elevazione e per la notevole capacità difensiva in virtù dell’ampio fossato che le circondava. Quattro erano le strade di accesso al borgo fortificato, all’incirca corrispondenti ai quattro punti cardinali. La torre ad occidente, sull’angolo della piazza oggi intitolata a Vittorio Emanuele II, era detta torre del Paracintolo; le mura, in linea retta verso sud-est erano poi delimitate dalla torre detta La Mora e proseguivano, dopo aver superato la rottura in corrispondenza delle vie del borgo (operata al fine di far circolare più aria durante l’epidemia del 1820), lungo il tratto sud-orientale verso la torre pentagonale detta del Giglio. Sotto di essa era ubicato un grande pozzo, molto profondo. Le mura volgevano poi disegnando un angolo retto per fare capo ad un’altra torre, oggi riconosciuta come l’antico mastio, unita tramite una lingua di mura alla rocca. A base pentagonale, il mastio o cassero (anticamente chiamato Rocca grande o Belvedere, poi torre del Frantoio ) sino alla metà del XIX secolo aveva un orologio privo di quadrante che suonava le ore alla francese, ossia distinguendo il conteggio tra il periodo antimeridiano e postmeridiano. È stato interamente ristrutturato e restituito all’uso pubblico ad opera dell’Amministrazione comunale nel 1997. Si sviluppa su tre piani più una terrazza esterna dalla quale è possibile osservare il panorama di tutta la cittadina. Al suo interno sono stati allestiti tre spaziosi locali: al piano terra un’ampia sala per riunioni e convegni, al primo piano è stata collocata la Biblioteca comunale che comprende più di 3.000 volumi. Annesso alla biblioteca è stato collocato l’Archivio Storico del Comune, che va dal 1402 al 1866. Dal mastio le mura ritornavano, verso ovest, alla torre del Paracintolo, chiudendo l’intera cerchia; è tuttavia assai probabile che esistessero altre torri a delimitazione di cortine intermedie.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Bientina, https://www.visittuscany.com/it/attrazioni/le-mura-e-le-torri-di-bientina/, https://www.comune.bientina.pi.it/it/Informazioni/Storia/Torri.html, http://www.toscanissima.com/bientina/bientinatorri.php, https://www.mondimedievali.net/castelli/toscana/pisa/provincia000.htm

Foto: le prime tre sono del mio amico e "inviato speciale" del blog Claudio Vagaggini, realizzate ieri sul posto (relative rispettivamente a Torre la Mora, Torre del Giglio e mastio). La quarta, con visione globale, è presa da http://iltirreno.gelocal.it/pontedera/cronaca/2014/08/19/news/benvenuti-a-bientina-la-nostra-oasi-felice-1.9778543