martedì 24 dicembre 2013

Buone feste 2013



A tutti gli amici del mio blog i più sentiti auguri di Buon Natale e di un 2014 che sia davvero l'anno di una svolta positiva. Come di consuetudine in questo periodo dell'anno....anche se sono in ferie cerco di "godermi" la famiglia per cui interrompo gli articoli quotidiani sui castelli. Conto di riprendere a gennaio, probabilmente dopo l'Epifania ma....non si sa mai :-)  Valentino

lunedì 23 dicembre 2013

Il castello di martedì 24 dicembre






AYMAVILLES (AO) – Castello Challant

Situato su una collinetta morenica che degrada verso la Dora Baltea, in un'ottima posizione di avvistamento per controllare il passaggio nella valle centrale (vie delle Gallie che collegava Mediolanum a Lione) e verso la val di Cogne (per l'estrazione di marmo), l'edificio ha una pianta quadrangolare, ma al posto degli angoli vi sono quattro torri cilindriche dotate di caditoia. Le prime tracce dell'edificio risalgono al 1287 quando era una casaforte simile al Castello di Ecours a La Salle o al Castello di La Mothe a Arvier, con un muro di cinta per difesa della popolazione in caso di pericolo, sul modello dei castelli di Cly e di Graines. Della torre duecentesca esistono ancora oggi le grosse murature d'ambito, caratterizzate dall'essere fortemente scarpate, ed un muro di spina che la divide, per tutta l'altezza, in due ambienti. è ipotesi generalmente accettata che la torre fosse conclusa da torricelle sospese agli angoli e da una merlatura corrente. Internamente la torre, coperta da un tetto in legno poggiante sulla merlatura, era divisa in sei livelli dei quali quello interrato, che ospitava la cappella, la cucina e le cantine, era coperto da volte in pietra tuttora esistenti, mentre i restanti erano separati tramite solai lignei. Nel 1354, i conti di Savoia affidarono il castello a un ramo della famiglia Challant, denominata in seguito Challant-Aymavilles. Venne aggiunto un piano e allargato verso ovest il donjon. Nel 1357 Aimone di Challant diede il via ad opere di rinforzo difensivo della struttura, probabilmente ritenuta troppo vulnerabile soprattutto per via dell'andamento pianeggiante del terreno circostante, e ordinò la costruzione di un secondo muro di cinta, di un fossato e di un ponte levatoio. All'inizio del Quattrocento, per volere di Amedeo di Challant, furono aggiunte le quattro torri dotate di beccatelli (due a motivi guelfi le restanti a motivi ghibellini), leggermente diseguali nelle dimensioni (sia nel diametro sia nell’altezza), caratterizzate dall’ampio spessore della muratura e collegate tra loro da un sistema di gallerie e logge, oltre che a delle torrette di difesa sulle mura di cinta. Le pietre utilizzate furono il tufo e il travertino. Almeno due delle torri in origine contenevano delle scale in pietra di cui effettivamente rimane qualche traccia. Nel contempo nella torre quadrangolare le finestre vennero incorniciate in pietra e dotate di sedili, sempre in pietra, analogamente a quanto avvenne nel castello di Fénis edificato dallo stesso Aimone di Challant. Accanto alla struttura sorge ancora oggi un piccolo edificio con tetto tradizionale in pietra che un tempo ospitava le stalle. Nel 1450 Giacomo Francesco II conte di Challant integrò al complesso un fabbricato semicircolare di fronte alla torre di sud est che doveva servire come dimora signorile, ma a parte questo intervento il castello non subì alcuna modifica strutturale per un periodo di circa tre secoli e mezzo. Nel 1728, per volere del barone Giuseppe Felice di Challant (Joseph-Félix de Challant), le fortificazioni esterne furono demolite, così come il corpo semicircolare eretto nel 1450 da Giacomo Francesco II, e il terreno fu sistemato a terrazze e giardini. Il castello, che da quel momento restò praticamente immutato fino ad oggi, diventò un maniero con un parco, uno scalone monumentale e una grande fontana. Per volontà di Joseph-Félix de Challant vennero realizzare anche le logge barocche tra le torri, nascondendo così alla vista il primitivo donjon quadrangolare. L'accesso al castello, sulla faccia esposta a sud est, è segnalato da una doppia scala che conduce ad un loggiato, con funzione di portico, sormontato da un balcone. Queste ultime trasformazioni fecero sembrare l'edificio di stile rococò. Il 18 ottobre 1804 si spense nel castello di Aymavilles Maurice-Philippe de Challant-Châtillon, l'ultimo discendente maschio della famiglia Challant. A seguito di questo evento il castello cominciò a essere venduto a privati: il primo fu il conte Clemente Asinai Verasis di Castiglione, nel 1870, a cui seguì nel 1882 il senatore Giovanni Bombrini. In questo periodo vennero ritrovate nelle soffitte del castello due tavole rappresentanti la Madonna e l'Arcangelo Gabriele. Nel 1970 fu acquistato dallo Stato e ora appartiene all'amministrazione regionale. Quest'ultima ha cominciato sin dal 2004 la progettazione della serie di lavori di restauro mirati alla riapertura del sito al pubblico, che si credeva potesse avvenire nel 2014. Invece, a maggio 2013 è stato annunciato l'inizio dei lavori di restauro, mentre l'apertura è stata prevista per il 2017. Si ipotizza la destinazione delle strutture collaterali (cascina, scuderie) a funzioni inerenti l'ambito della vitivinicoltura, essendo il Comune di Aymavilles aderente al circuito delle Città del vino e posto sulla Route des vins. Nel 2009 si è registrata la straordinaria affluenza di pubblico in occasione del cantiere evento e dei concerti organizzati al castello di Aymavilles dal 1° al 5 agosto, nell’ambito dell’iniziativa culturale Châteaux Ouverts, che hanno visto la presenza di oltre 4000 visitatori, registrando il tutto esaurito.
Sul web vi è un video, dedicato ad alcuni castelli valdostani, in cui all’inizio compare quello di Aymavilles: http://www.youtube.com/watch?v=xBGw2DVS8uk
Altro video consigliato è quello presente, più o meno in fondo allo schermo, nella seguente pagina: http://www.aymavilles.vda.it/it/index.cfm/castello.html
Infine, altre foto del maniero le potete trovare su: http://www.comune.aymavilles.ao.it/ca/index.cfm/foto-castello-pondel.html
 

domenica 22 dicembre 2013

Il castello di lunedì 23 dicembre




MONTEGIORDANO (CS) – Castello

A Piano delle Rose (località Castello), che si trova sopra la Marina di Montegiordano, sorge un castello seicentesco, costruito dai Pignone del Carretto, come residenza invernale e di caccia. Il castello è dotato di vasti locali, una volta adibiti a stalle e magazzini, disposti attorno ad un bel cortile pavimentato a massicciata, con pozzo centrale. Una scala ed un ampio arco a tutto sesto, danno accesso al piano superiore. Poco più a valle del castello, sorge quella che una volta era la cappella gentilizia dedicata alla Madonna del Carmine. Questa cappella, abbandonata perché fatiscente, risale al principio del secolo scorso, e fu ricostruita in seguito allo sbancamento di un'altra precedente, la quale ne sostituiva ancora un'altra. Le diverse riedificazioni, dovute ai continui smottamenti del terreno, hanno portato ad un trapianto topografico radicale per cui l'attuale Cappella del Carmine è stata posta molto più a nord del castello. Nella località Piano delle Rose, alcuni studiosi, ritengono fossero presenti sia il monastero di S. Anania sia il castello di Petra Ceci, nominati in una carta del 1015 relativa ai possessi della chiesa di S. Pietro di Brahalla, presso Oriolo: in tale documento Nicone, monaco e il figlio Ursulo, turmarca di Oriolo, donano a Luca, egumeno di S. Anania, il suddetto castello, perché, in caso di incursioni degli Infedeli (incursioni saracene 916-1048), i monaci ed il popolo vi si possano ritirare. Se così fosse, sul Piano delle Rose, già all'inizio dell'XI secolo, ci sarebbe stato un abitato accentrato attorno ad un castello e a un monastero greco. Nella sua Cronaca (scritta nel 1695), Giorgio Toscano, ricorda che in questa località, vi era “un castello forte e munito di cui oggi non si riconoscono altre vestigia in fuori di alcune mura dirute”. In un altro passo, egli sostiene che il Castello della Marina, dove i Pignone solevano risiedere in alcuni mesi dell'anno per deliziarsi nelle bellissime cacce di fiere selvatiche “era quasi del tutto diruto, ma poi rifatto e ristaurato dai suoi Posteri”. Purtroppo, il Toscano non dà datazioni, ma, da quel che scrive si evince chiaramente che il castello, esistente all'epoca sua, era stato ricostruito dai Pignone sui ruderi di uno precedente. Fino alla fine degli anni ‘40 il castello è stato abitato dalla famiglia Solano che lo ha acquistato insieme alla Tenuta nel 1898. Il fortilizio era adibito a centro dell’attività produttiva della contrada, con il suo frantoio oleario, il mulino, le stalle, le ex-carceri trasformate in magazzini per il grano. Durante il periodo di raccolta delle olive e durante la mietitura ospitava  i contadini e le loro famiglie, come testimoniano i locali che si affacciano sul cortile interno, intorno al bel pozzo seicentesco. Per approfondire
vi è un sito dedicato: http://www.tenutadelcastello.com


Foto: la prima scattata da me qualche anno fa e la seconda dal sito http://www.scoprirealtojonio.it


sabato 21 dicembre 2013

Il castello di domenica 22 dicembre






PELAGO (FI) – Castello in frazione Altomena

Ad Altomena si arriva percorrendo da Pontassieve la statale per Arezzo fino alla frazione di Carbonile; da qui si imbocca la strada per Paterno, da cui poco dopo si stacca sulla sinistra il viale di accesso alla villa. Il castello è posto su uno sperone delle alture che degradano verso l’Arno, tra il fosso di Vitorchioni ed il torrente Vicano, a poco più di 300 m. di altitudine. Il complesso ha assunto nel corso dell’età moderna i caratteri di una grande villa-fattoria, con l’assorbimento delle preesistenze medievali (oggi solo in parte leggibili) del cassero (corrispondente alla torre centrale) e del cortile del palagio trecentesco. Vi è anche inglobata la chiesa di San Niccolò che dava il nome ad un popolo della lega di Diacceto e che conserva in parte le originarie strutture romaniche. E’ molto probabile che essa sia stata in origine un oratorio "privato" al servizio del castello e che solo in un secondo tempo (sicuramente dal 1332) abbia assunto la dignità di "popolo" autonomo. Il toponimo Altomena è attestato per la prima volta in un atto di vendita di beni fra privati risalente al 1080 (Archivio di Stato di Firenze, Abbazia di Vallombrosa). I rapporti dei monaci con questa località sono confermati da altri documenti successivi (1102, 1123, 1171). L’appartenenza dell’antico castello per tutto il XII secolo ai Conti Guidi è confermata da alcuni diplomi imperiali tra cui un privilegio di Arrigo VI del 25 maggio 1191. Allorché però Firenze cominciò ad estendere la propria influenza lungo il corso dell'Arno (con la conquista dei vicini castelli di Quona nel 1140, e di Monte di Croce nel 1153) i Guidi furono costretti a ritirarsi verso il Casentino, pur rimanendo formalmente titolari del potere feudale fino al secondo decennio del '200. Fu soltanto allora che il distretto castrense di Altomena passò sotto la piena giurisdizione del Monastero di Vallombrosa, confermata dalla nomina da parte dell’abate Benigno (1226) di Ruggeri d’Alberto da Quona a visconte e vicario per i castelli di Magnale, Ristonchi e Altomena e da un contratto di vendita del 1229 di beni posti in castello et curte de Altomena. Il Repetti ci informa che anche Altomena fu interessata dalle scorrerie compiute in tutto il contado dai Ghibellini dopo la battaglia di Montaperti (1260), che in questa località comportarono probabilmente la distruzione del castello. Altomena rimase sotto il diretto controllo vallombrosano fintanto che un ricco ed intraprendente borghese fiorentino, deciso ad investire i guadagni di un'avviata bottega d'oreficeria, non ne rilevò la proprietà: del 12 maggio 1377 è infatti l'acquisto da parte di Zanobi di ser Zello di Goso di due poderi con case, più 10 pezzi di terra e una torre colombaia, il tutto situato nel popolo di S. Niccolò ad Altomena in luogo detto alle Pendesi nei pressi del Castello di Altomena. E' ipotizzabile che tale atto di acquisto seguisse un altro (di cui non abbiamo notizia) relativo al castello, e compiuto dal padre-fondatore della famiglia dei "Serzelli"- forse qualche anno prima. Comunque sia, circa 50 anni dopo (1427), il figlio di Zanobi, Bernardo denunciò la proprietà del complesso di Altomena, composto da un "palagio", una casa con corte (posta però parzialmente fuori dal circuito murario del castello), una torre, e due case di cui una con una piccola porta da cui si accedeva al castello. Oltre a ciò Bernardo Serzelli risultava proprietario dei poderi e delle rispettive case da lavoratore di Seranza, Meleto, Valle Relle, Torre, a Colla, al Colle, Casa Bruno, Rigorsa, il Formicaio, Piano di Selvoli, alla Selva, tutti nel popolo di Altomena. I Serzelli mantennero e coltivarono le terre del luogo per diversi secoli, fino all’estinzione avvenuta nel 1803. Nello stesso anno, un ramo cadetto della famiglia dei Conti Bardi di Firenze subentrò ai Serzelli e ne assunse il cognome, divenendo Bardi Serzelli. I Conti Bardi Serzelli abitarono Altomena sino alla metà del XX sec. e furono loro a dare alla complessa e articolata pianta della villa l’assetto che tuttora la caratterizza. Il complesso di Altomena – oggi residenza di campagna, circondata dai poderi che ad essa facevano capo - si presenta oggi come una struttura articolata in tre corpi principali: la villa, sviluppata attorno alla torre (unica testimonianza dell’esistenza dell’antico castrum), la chiesa di San Niccolò e la fattoria, sorta sulle vestigia del palagio trecentesco. Vi è un sito ad esso dedicato: www.altomena.it

venerdì 20 dicembre 2013

Il castello di sabato 21 dicembre





BEVERINO (SP) – Castello in frazione Cavanella Vara

Cavanella è uno dei tanti feudi fortificati dei Malaspina (ricordiamo a tal proposito Tommaso di Villafranca) sul cui fortilizio principale del 1508, edificato su di un piccolo dosso a levante dell’abitato, posa ancora l'abside della chiesa parrocchiale, dedicata a San Martino Vescovo. Una curiosità sulla frazione di Cavanella: sulla prima casa venendo da Nord (e quindi l'ultima venendo da Sud), si può notare un punto interrogativo dipinto sulla facciata. Il perché di questa decorazione è rimasto avvolto nel mistero per molto tempo. Mario Soldati addirittura parla di questa curiosità, nel libro La casa del perché, edito da Mondadori.

Foto: da http://www.dodecapoli.com

giovedì 19 dicembre 2013

Il castello di venerdì 20 dicembre






CAPRARICA DI LECCE (LE) – Castello Ducale
(di Mimmo Ciurlia)

La prima struttura fortificata di Caprarica, molto probabilmente risale al XII sec., quando i Normanni e soprattutto Tancredi d'Altavilla, incentivarono al massimo lo sviluppo dell'edilizia a scopo difensivo. Considerando che dal XV sec. in poi, le invasioni e le scorrerie di pirati levantini diventarono una spina nel fianco per le popolazioni del Salento, molto probabilmente, il barone di Caprarica Antonello Guarini, decise di costruire nei pressi della torre fortificata, un imponente castello, all’indomani dell’invasione turca del 1480, per per meglio difendere il suo casale ed i suoi possedimenti da nuove incursioni. Questo almeno si evince dagli stemmi impressi sia sulla torretta di avvistamento posta a destra del castello che al centro della gran torre fortificata ubicata nel giardino del maniero. Al momento, non si hanno notizie certe circa l'autore del progetto di questo castello, ma è possibile ipotizzare che l'architetto sia stato Gian Giacomo Dell'Acaya, considerando che tra i Dell’Acaya ed i Guarini vi era parentela e che il castello presenta il portale d’ingresso bugnato liscio e due angeli posti sull’architrave esterna del portale d’ingresso,vera e propria "firma" del Dell'Acaya. Le famiglie feudatarie che nei secoli ne ebbero il possesso, lo rimaneggiarono a più riprese secondo l'arte ed il gusto del momento. I Giustiniani, nel XVII secolo ristrutturarono il castello e ne impressero l'attuale fisionomia che lo rende conforme ad un fortino vero e proprio. Il palazzo ha l'aspetto di una residenza gentilizia arricchita da balconate in stileRococò pur conservando elementi dell'architettura militare come le due torri laterali con feritoie. Si ritiene che il castello, abbia avuto 99 ambienti. Attraverso il portale bugnato si accede nel cortile centrale, da dove una scalinata porta al piano superiore. Tra i vari ambienti esistenti, ricordiamo il famoso salone detto “degli Specchi” arredato con mobili sei-settecenteschi ed annessa quadreria e la stanza destinata agli indesiderati, i quali venivano fatti cadere, attraverso una botola, in un pozzo dove erano presenti delle lance acuminate infisse nel terreno. Il castello è dotato anche di un passaggio sotterraneo dal quale, dopo un lungo percorso, si esce nella campagna, per sfuggire ad eventuali assalitori.


Foto da: www.mondimedievali.net e di Burgenfuzzi su http://www.panoramio.com

mercoledì 18 dicembre 2013

Il castello di giovedì 19 dicembre






UMBERTIDE (PG) – Castello in frazione Polgeto

Fu costruito nel 1399 intorno a un fortino già esistente nel XII secolo che apparteneva a Biagio di Buto, fuoruscito perugino. Nel 1399 gli abitanti di Polgeto chiesero a Perugia l´autorizzazione per costruire nei dintorni alcune abitazioni e in seguito furono erette la chiesa di S. Lorenzo e quella della Madonna del Sasso. Nella guerra tra Urbano VIII e i fiorentini (1643) il castello fu occupato dai Toscani, che vi organizzarono il loro quartier generale durante i tentativi di prendere la Fratta. Nel periodo maggio-giugno 1944, prima della liberazione di Umbertide, fu requisito per ospitare, ammalato, il comandante superiore germanico maresciallo Kesselring, di non lieta memoria. È uno dei castelli meglio conservati del territorio umbertidese, perché è stato quasi sempre abitato. Diverse foto del castello sono visibili ai seguenti link: http://vecchiecostruzioni.it/castello-di-polgeto, http://www.archilovers.com/p52930/Ristrutturazione-Castello-di-Polgeto
E sul web vi è anche un video ad esso dedicato: http://www.youtube.com/watch?v=hLmIhhM439s


Il castello di mercoledì 18 dicembre






MONZAMBANO (MN) – Castello

E' un'antica roccaforte risalente all'XI secolo situata tra le colline Moreniche del basso Garda e affacciato sulla valle del Mincio, su un'altura sovrastante il paese, che conserva inalterato l'originario impianto urbanistico, oltre ad alcuni edifici medievali e le opere difensive, tra cui le torri e le mura perimetrali di difesa a merlatura guelfa. All'interno delle mura, assieme a molti appezzamenti, coltivati a orto e vigneto, sorgono alcune abitazioni private e il piccolo oratorio di San Biagio. Edificato probabilmente per difendere la popolazione dalle invasioni barbariche nell'XI secolo per volere di Matilde di Canossa, agli inizi del XIII secolo passò in proprietà agli Scaligeri che sconfissero i mantovani a Ponte Molino. In età scaligera rientrò nell'ampia area difensiva del basso Garda, costituita da un complesso sistema di castelli posti sulle sponde del Mincio. Si ritiene che il castello di Monzambano costituisse un importante baluardo contro i mantovani quando nel 1341 si arrivò alla guerra fra i Gonzaga e Mastino II della Scala che nel 1345, a tutela della linea di confine fra Mantovano e Veronese, intraprese la costruzione del Serraglio veronese, muraglia lunga 16 km che da Borghetto giungeva a Villafranca proseguendo fino a Nogarole Rocca. Con la conquista viscontea il castello passò di mano ai milanesi; nel 1391 fu acquistato dai Gonzaga e nel nel 1495 la Repubblica di Venezia vi si insediò in Monzambano e lo mantenne nei propri domini sino alla fine del XVIII secolo. Il XVI secolo, a causa del mutare delle tecniche di guerra e della necessità di difendere il territorio con piazzeforti ben più guarnite e resistenti alle offensive, segnò l'avvio della decadenza del fortilizio. Il castello non mancò, però, di essere nei secoli protagonista di scontri e vicende belliche. Nell'ottobre del 1512, durante la guerra delle leghe di Cambrai, il castello fu preso dal condottiero padovano Achille Borromeo, aiutato dalle truppe tedesche alloggiate nel Bresciano. Due mesi più tardi vi alloggiarono truppe spagnole, mentre nel 1528 fu saccheggiato da parte delle genti del duca Arrigo di Brunswich, dirette a Brescia. Nel 1701, durante la guerra per la successione di Spagna, il principe Eugenio di Savoia, generale degli imperiali, sconfisse e catturò i soldati franco-spagnoli che, in fase di ritirata oltre il Mincio dopo la sconfitta subita dal maresciallo francese Catinat a Villabartolomea si erano rifugiati all'interno del castello e che il maggior generale Vauborne aveva occupato tornando dall'inseguimento. Nel 1797 il comandante serenissimo Antonio Maffei, per contrastare l'avanzata napoleonica che già aveva espugnato Peschiera, pensò di potenziare il sistema difensivo di Monzambano, Castelnuovo e Valeggio. Il castello di Monzambano, caposaldo dominante le strade di Mantova, Brescia e Peschiera, fu quindi rinforzato con lavori di terra. Caduta la Repubblica di Venezia, con il trattato di Campoformio il castello entrò a far parte dei territori asburgici e ritornò a essere amministrato dai veronesi fino al 1805 quando Monzambano passò alla provincia mantovana. L'intero territorio ebbe rilievo storico e politico anche durante le vicende risorgimentali. Il castello di Monzambano costituisce oggi uno degli esempi più intatti e completi di architettura castellana del Mantovano. Appartiene a quella tipologia di fortificazioni non destinate a dimore dei signori del luogo, ma che quasi sicuramente servivano come alloggiamento alle guarnigioni di vigilanza, come luogo di rifugio d'emergenza per la gente del borgo che lì si barricava portando con sé anche il bestiame e le scorte. Oltre alla chiesa c'era il pozzo che assicurava il rifornimento idrico. La pianta, a forma poligonale irregolare, segue l'andamento del poggio e presenta quattro torri e due masti, l'uno a sud e l'altro a est, mentre la cortina è interrotta nella strozzatura rivolta al borgo dall'ingresso, costituito dalla porta carraia e da una pusterla con bolzoni per sollevare il ponte levatoio ora scomparso. Alla fine del 1300 risalgono il ponte e la passerella levatoia con chiusura ad antoni e saracinesca. La costruzione ricorda uno scudo con la facciata rivolta verso il paese. Si impone la torre civica con l'orologio a nord-est e una torre di guardia a sud. L'insieme ricorda un' autentica fortezza. Attorno alle mura poderose correva il camminamento su delle lastre di pietra, usate poi per rivestire il basamento della facciata del S.Michele; sotto la merlatura sono rimasti i buchi dove erano infisse le mensole che sostenevano i camminamenti di ronda. La muratura presenta ciottoli di pietra misti a rottami, ogni tanto intercalati da mattoni. I merli che hanno subito le ingiurie del tempo sono guelfi e portano alternate le feritoie. All'interno del castello, cui si accede attraversando un portone di legno, recentemente sono stati trovati resti di una necropoli, con alcune tombe e una fossa comune, probabilmente del IX-X secolo. Per approfondire: http://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/MN360-01361/
Sul web, inoltre, c'è questo interessante video: http://www.youtube.com/watch?v=Dv1cTxuzxxo

Foto: una cartolina della mia collezione e dal sito www.corteonida.it

martedì 17 dicembre 2013

Il castello di martedì 17 dicembre






SAN GIULIANO DEL SANNIO (CB) – Palazzo Marchesale

Sul territorio sono venuti alla luce reperti di epoca preromana. L'attuale abitato ha preso probabilmente il nome da una chiesa preesistente, dedicata a San Giuliano martire; “del Sannio” è stato aggiunto nel 1863. Durante la dominazione longobarda, normanna e sveva, fece parte del Gastaldato di Bojano e successivamente della Contea di Molise. All'inizio del periodo angioino divenne feudo di Amerigo di Sus e rimase ai discendenti di questi fino al 1300 ca; nel 1306 era di Guidone di Molino al quale succedettero quattro titolari dei quali ricordiamo Raimondo di Cabano e sua moglie Filippa. Successivi feudatari furono i Sanframondo, i di Capua, i Carafa, i Longo, e i Severino. Il Palazzo Marchesale, che fu in origine il castello urbano e che ora è la sede del Municipio, è stato più volte trasformato perdendo così quasi tutti i caratteri originari, tuttavia si sono miracolosamente conservati gli stipiti di alcuni portali interni e soprattutto un architrave su cui è il rilievo di uno scudo lapideo a testa di cavallo, con fettucce laterali, che contiene le insegne della famiglia di Capua: Di oro alla banda di argento gemellata di nero. Nessuna data aiuta a capire a quale esponente dei di Capua possa essere ricondotta la realizzazione di questo portale, ma i caratteri stilistici molto particolari possono farci restringere il campo a coloro che dominarono S. Giuliano tra gli inizi del XV secolo e gli inizi di quello successivo. I di Capua ottennero il paese la prima volta nel 1397 quando Ladislao di Durazzo lo concesse al fedele Andrea che era stato destinato a sposare nel 1392 la sua moglie Costanza ripudiata. Morto nel 1421 gli successe il figlio Luigi deceduto nel 1443, qualche anno dopo aver sposato Altobella dei Pandone di Venafro. Il feudo poi passò a Francesco che lo aveva retto per un paio di anni per conto del fratello Andrea morto giovanissimo. Dal 1488, sepolto Francesco nella chiesa delle Grazie a Riccia, S. Giuliano passò prima al figlio Luigi e poi all’altro figlio Bartolomeo nel 1496. Un altro stemma è conservato nella corte del medesimo palazzo, al piano terra. Giambattista Masciotta senza citare la fonte, scrive: “Nel 1608 il feudo era posseduto da Francesco Carafa (del quondam Girolamo), il quale con istromento 5 aprile lo vendè ad Aniello Longo. La famiglia Longo, nuova titolare di S. Giuliano, era di ceppo differente dai Longo marchesi di Vinchiaturo, giacchè non prima dello scorcio secolo XVI era riuscita a farsi ammettere nel patriziato di Cosenza, dopo aver comprovato essere discendenza dei Longo cosentini. Aveva perciò arma diversa da quella dei marchesi di Vinchiaturo, consistente in fascia di azzurro caricata di tre gigli di oro in campo di argento.” Dice bene il Masciotta, perché lo stemma dei Severino-Longo, pur conservando i tre gigli che attestano un’antica ascendenza filo-angioina, è: Troncato: rosso nel terzo superiore con tre gigli di Francia di oro, nei due terzi inferiori compartito di onde di oro e di azzurro. Lo stemma di S. Giuliano del Sannio è piuttosto tardo e non è da escludere che Camillo, l’ultimo dei Severino-Longo, avendo sposato alla fine del XVIII secolo Chiara Caracciolo di Forino, abbia voluto lasciare traccia di questa unione mettendo nello scudo da un parte le proprie insegne e dall’altra quelle dei Caracciolo Di oro al leone rampante di azzurro con la coda rivolta nel di dentro, linguato di rosso. C'è da aggiungere che lo scudo, che ha ormai i caratteri dei blasoni borghesi, è limitato da due sirene speculari con le code in forma di volute a scaglie.

lunedì 16 dicembre 2013

Il castello di lunedì 16 dicembre





POZZOLO FORMIGARO (AL) – Castello

Nominato in vari atti del X secolo come Puteolus Fornuce o Puteolus de Borlasca entrò ben presto nell'orbita del comune di Tortona e fu da essa fortificato intorno all'anno 1095. Per sette secoli questo borgo fortificato rappresenterà un valido baluardo contro l’espansionismo di Genova nell’Oltregiogo. Assieme a Tortona fu conquistato nel 1155 dal Barbarossa. Tornato ai Tortonesi, grazie ad Obizzo Malaspina aiutato dai Milanesi, nel XII secolo passò tra i domini dei marchesi del Bosco. Nel 1255 la comunità locale si ribellò a Tortona e la questione fu risolta con la firma di un trattato di pace che riconosceva ai pozzolesi maggiori diritti. Nel 1437 venne acquistato dal duca di Milano. Nel 1452 il Marchese di Monferrato occupò la ben munita piazzaforte, ma Bartolomeo Colleoni, al servizio di Francesco Sforza, con l’artiglieria di campagna smantellò la rocca, penetrò nel borgo e travolse il presidio monferrino. Il duca di Milano ordinò al Condottiero bergamasco di restare a Pozzolo; sotto la sua guida militare venne eretta, con la collaborazione dell'ing. Giovanni da Sale, una nuova fabbrica difensiva rispondente alle mutate esigenze dei tempi e alla luce delle recenti esperienze: la potenza distruttiva delle bombarde aveva ormai messo da parte arcieri e balestrieri. L'edificio assunse così l'attuale aspetto in cui si riconoscono elementi architettonici sforzeschi sovrapposti a motivi viscontei. Nel 1527 venne concesso in feudo a Domenico Sauli (genovese) figlio di Antonio. Il castello restò di proprietà della famiglia fino alla sua estinzione, quando il re di Sardegna ne incamerò i diritti feudali. Passò, poi, alla famiglia Scaglia e da questa, grazie ad un matrimonio, ai marchesi Morando. L'ultimo Morando lo lasciò in eredità al figliastro avvocato G.Battista Oddini che lo donò al Comune di Pozzolo Formigaro. Il castello, dall'architettura quattrocentesca ma con una parte di struttura seicentesca, sorge sulla sommità di una terrazza alluvionale che guarda la pianura. Rappresenta il simbolo del paese ed è oggi sede municipale. Figura fra i "Castelli Aperti" del Basso Piemonte. La parte più antica conserva la porta carraia con postierla in cui sono ancora visibili le scanalature del ponte levatoio. Anticamente il mastio era isolato dagli altri corpi di fabbrica. L'arco posteriore, che dà accesso al cortile, era protetto da una poderosa grata di ferro. La botola al centro del voltone serviva ai difensori per salire, con scale retrattili, ai piani superiori, dopo aver alzato il ponte levatoio carraio e quello pedonale, e dopo aver calato la saracinesca; poteva avere anche la funzione di trabocchetto. La torre, un po' arretrata rispetto al filo degli spalti è ruotata leggermente in senso antiorario. Dietro ai merli correva il camminamento di ronda, provvisto di caditoie su beccatelli. Un tempo solamente una passerella, pensile e retrattile, consentiva il passaggio dal mastio al corpo di fabbrica centrale. In seguito fu aggiunto un corridoio di disimpegno; rimaneggiamento, dovuto probabilmente ai Sauli, che ha sacrificato la cortina merlata e la scala esterna che portava dal "cortile d'onore" al piano nobile. L'ala signorile seicentesca dietro il palazzo fu aggiunta proprio dai Sauli. Nella sala consiliare si conservano cinque fucili ad avancarica della Guardia Nazionale (1848) e gli Affreschi di Franceschino Boxilio e scuola (Madonna con Bambino, Santa Lucia, San Biagio, San Francesco), del sec.XV, strappati dalla Chiesa di Nostra Signora delle Ghiare. Della medesima provenienza sono la grandi tele con San Bovo e una curiosa scultura di legno policromo: è una Madonna con Bambino che racchiude in seno il Redentore assiso con la Croce; all'interno delle ante due angeli in adorazione del Cristo (sec. XV). Il salone di rappresentanza custodisce una suggestiva Natività del ‘700; un ritratto del canonico Bottazzi, opera di Tirso Capitini; un ritratto del Marchese Morando, uno di gentiluomo e uno di gentildonna; un grande medaglione con fotografia di G.B.Oddini. Al piano inferiore è stata ricomposta una Tomba Romana a pozzetto per incinerazione (II sec. d.C.) corredata di una lucerna fittile con marchio FORTIS; fu rinvenuta nel 1958 in località Zinzini, non lontano dalla Via "Aemilia Scauri".
Fonti: http://it.wikipedia.org, http://www.pozzoloformigaro.gov.it, http://www.castelliaperti.it, testo di Giancarlo Patrucco su http://www.marchesimonferrato.com, http://www.alexala.it/ita/risorse/castelli-fortezze/scheda/45e1606bf7417eb1e9d185b0e5d0ce5f/castello-di-pozzolo-formigaro.pdf

sabato 14 dicembre 2013

Il castello di domenica 15 dicembre






GRADISCA D’ISONZO (GO) – Fortezza veneziana-austriaca

Il toponimo deriva dallo sloveno gradišce che significa “luogo fortificato”. Viene nominato per la prima volta nel 1160, appunto come luogo fortificato della gastaldia di Farra. Però bisogna aspettare il sec. XV perché Gradisca acquisti importanza. Sino al 1473 infatti era formata da alcune capanne, abitate da contadini alle dipendenze del castello feudale di Farra d’Isonzo. Venezia decise di costruire nel luogo una fortezza, sia per contrastare le invasioni turche sia, soprattutto, per frenare l’espansione dei conti di Gorizia e quindi le mire dell’Austria. Nonostante le proteste del conte Leonardo, la fortezza fu costruita nel territorio della contea goriziana. La cinta muraria con sette torri fu compiuta nel 1496-98 ed obbligò i Turchi nel 1499 a deviare il loro itinerario verso il Friuli. Nel 1500 fu consultato anche Leonardo da Vinci per le opere di rafforzamento. Nel 1509, , in seguito alla guerra della Lega di Cambrai, Massimiliano d’Asburgo sconfisse Venezia ed entrò in possesso di Gradisca che sarebbe rimasta austriaca, divenendo contea sovrana sotto il dominio dei principi Eggemberg sino alla prima guerra mondiale, nonostante i tentativi di Venezia di riprenderla durante la”Guerra di Gradisca”(1615-17), risoltasi per vie diplomatiche. Il 25 febbraio 1647 l’imperatore Ferdinando III la vendette, assieme a 43 comuni, e con il titolo di contea principesca, a Gianantonio Eggemberg, con il patto che, quando questo casato si fosse estinto, la contea sarebbe ritornata alla Casa d’Austria. Ebbe propri ordinamenti, propria moneta ed un’amministrazione esercitata dagli Stati Gradiscani (piccolo parlamento locale). I principi di Eggemberg non furono mai qui ad abitare. Il loro casato si estinse nel 1717 e la contea ritornò nel 1754 sotto il dominio imperiale, mantenendo però intatti i suoi privilegi. Alcuni dei suoi Capitani si resero benemeriti: come Nicolò II della Torre che completò le fortificazioni esistenti; Giacomo Attems, che non solo costruì gran parte della cinta del castello ma dotò la fortezza di nuovi ordinamenti giuridici con i quali Gradisca si resse anche quando entrò a far parte della contea di Gorizia; Francesco Ulderico della Torre, certamente il più famoso ed intraprendente dei capitani, fece costruire fra l’altro la Loggia dei Mercanti, il grande Palazzo Torriani, e il Monte di Pietà. La città fu anche coinvolta nelle guerre napoleoniche e nel 1797 fu conquistata da Napoleone. Da Gradisca nel 1813 Eugenio Beauharnais lanciò un famoso proclama. Nel 1818 il castello che da tempo era stato convertito in caserma, fu adibito ad ergastolo di detenuti condannati al lavoro. Così nel periodo del Risorgimento vi languirono molti patrioti italiani, tra cui ricordiamo Federico Confalonieri. Gradisca, nella Prima Guerra mondiale, fu testimone dei maggiori avvenimenti che si svolsero sulle alture carsiche, tra Castelnuovo, Sagrado e il Monte San Michele. Gradisca seguì poi le vicissitudini degli altri comuni del Friuli. Nella Seconda Guerra mondiale subì i bombardamenti anglo-americani e l’occupazione tedesca. La fortezza, così concepita dai Veneziani su progetto di tre architetti, Giovanni Contrin, Giacomo di Francia e Giovanni Borella, aveva una forma pentagonale irregolare con torri circolari agli angoli, due porte e circondata da un largo e profondo fossato. Le prime costruzioni realizzate all’interno della fortezza furono il Palazzo del Capitano, in origine a due soli piani, e l’Antico Arsenale Veneto. Una volta passata agli Austriaci, questi pensarono ad un potenziamento delle difese e, più tardi, alla costruzione del "castello" all'interno della fortezza. Tra il 1521 ed il 1572 vennero realizzate le mura di cinta della fortezza, con l'unica porta d'accesso preceduta da ponte levatoio sul fossato scavato attorno al colle. Nel 1784 il castello venne adibito a caserma. Furono per l'occasione costruiti nuovi edifici - una caserma sul lato nord del complesso ed una alla sinistra dell'ingresso denominata La Longa, il Palazzo del Capitano fu innalzato di altri due piani ed esisteva pure il nucleo originario della Chiesetta intitolata a S. Giuseppe. Durante l’utilizzo della struttura a carcere, al Palazzo del Capitano venne addossato prima un corpo di fabbrica per ottenere delle camere di lavoro per i detenuti e quindi, nel 1835, un ulteriore volume, confrontabile in dimensioni con quello già esistente. Nel 1846 i documenti in possesso dimostrano la realizzazione dell'ingrandimento della Cappella dell'Ergastolo di Gradisca e di altri piccoli volumi. Successivamente, in data imprecisata, furono realizzati gli altri due edifici alla destra dell'ingresso. Nel 1924 si smobilitò il carcere ed iniziarono i lavori di adattamento del complesso a caserma, che rimase operativa fino alla fine della seconda guerra mondiale, dopodiché il castello fu in gran parte abitato dalle famiglie di ufficiali e sottufficiali dell'Esercito. Attualmente il complesso è di proprietà del Demanio ma abbandonato a se stesso dal 1984.
Foto: da http://quentinsplayground.blogspot.it e da www.dulcisterrae.com

venerdì 13 dicembre 2013

Il castello di sabato 14 dicembre






GRANCONA (VI) – Castello

Bizzarra l'origine del nome Grancona. Una leggenda vuole derivi da Cancer, il granchio d'acqua dolce predone dei corsi d'acqua e della valle alluvionale del Liona. Altre teorie richiamano l'idioma longobardo 'KrankenHaus', casa o luogo salubre. Ed ancora 'Granza' a significare terreno coltivato. 'Grange' indicante i monaci benedettini e cistercensi che bonificarono la vallata. Grancona, posta "sulle sommità de’ monti" e che "fu castello fortissimo", domina la parte superiore della Val Liona laddove il fiume originato dai torrenti e dalle sorgenti che confluiscono in località Acque "per oscuri antri, pertugiandoli, spiccia fuor ne’ campi". La rapidità e l’abbondanza delle acque hanno dato origine nei tempi andati a una fitta concentrazione di mulini. Sul castellaro, il colle su cui un tempo era costruito un imponente castello, si innalza da più di un secolo la chiesa neoclassica di Grancona; della cinta muraria sono rimaste però soltanto le fondazioni e qualche breccia. Il castello ebbe in passato grande importanza: fu eretto nel X secolo per contenere una chiesetta e soprattutto per difendere la popolazione dalle invasioni degli Ungari. Durante le lotte medioevali tra guelfi e ghibellini, nel 1209, vi trovarono rifugio i vicentini guelfi, che preparavano il contrattacco a Ezzelino II; questi però assediò la cinta fortificata e, dopo averla espugnata, la distrusse. Il castello subì gravi danni nel 1227, ad opera di Alberico da Romano, durante le lotte con il vescovo di Vicenza. Durante il medioevo, dunque, non solo fu luogo di rifugio dalle invasioni e dalle guerre civili, ma fu anche oasi di pace e di riposo in tempi di tranquillità. I vescovi di Vicenza vi soggiornarono più volte, e dal castello emanarono alcuni decreti, come ad esempio, nel 1266, tre atti di investitura, firmati con la dicitura “in castrum Granconae”. Il castello fu poi definitivamente distrutto dai Veneziani alla fine della guerra contro la lega di Cambrai, nel 1500. Nel 1530 fu costruita la chiesa parrocchiale, dedicata a San Pietro, che prima sorgeva all'interno del castello, presente sul colle forse sin dal IV secolo d.C.. Per la ricostruzione furono usate le rovine del castello, di cui permane ancora oggi l'impronta in alcune parti dell'edificio. In seguito subì numerosi restauri, fin al 1872, quando con la progettazione della nuova chiesa il colle fu appianato». Alcune foto si possono trovare su http://www.comune-di.it/grancona/
Fonti: http://it.wikipedia.org, http://www.magicoveneto.it, http://www.pattoareaberica.it
Foto: da http://ciclotazze.blogspot.it e di Lancil8 su http://www.panoramio.com

Il castello di venerdì 13 dicembre






CAGLIARI – Torre pisana dell’Elefante

E' la seconda torre medievale più alta della città, dopo la torre di San Pancrazio. L'edificio, uno dei monumenti più importanti di Cagliari, si trova nel quartiere Castello al fianco della chiesa di San Giuseppe ed è raggiungibile dalla via Santa Croce, dalla via Università e dal Cammino Nuovo. La visita al monumento consente di ammirare vasti panorami della città e del circondario. La torre venne costruita nel 1307, su ordine dei consoli pisani Giovanni De Vecchi e Giovanni Cinquini, dall'architetto sardo Giovanni Capula, che due anni prima aveva edificato la gemella torre di San Pancrazio. Progettò anche una terza torre, la torre del Leone, recentemente rinominata torre dell'Aquila, ed incorporata nel palazzo Boyl poiché venne gravemente danneggiata nel 1708 dai bombardamenti inglesi, nel 1717 dai cannoni spagnoli e infine nel 1793 dall'attacco da parte dei francesi durante il quale perse la sua parte superiore. Le torri dell’Elefante e di San Pancrazio furono lodate per la loro unicità, quando, nel 1535, Carlo V, il potente sovrano del Sacro Romano Impero, le annoverò tra le migliori opere militari dell’intera Europa. Nel 1328 venne chiuso il lato nord della torre dell'Elefante per creare abitazioni per funzionari e magazzini. Nel '600 e '700 vennero addossati alla costruzione nuovi edifici che nascosero in parte la sua imponenza. In epoca spagnola l'edificio venne utilizzato anche come carcere e alle sue porte venivano appese le teste mozzate dei prigionieri condannati a morte e decapitati nella vicina plazuela (attuale piazza Carlo Alberto), come monito alla popolazione che sarebbe stata inutile qualunque insurrezione. A tal proposito si ricorda che, nella seconda metà del XVII secolo (1668), la testa del marchese di Cea, implicato nell'omicidio del viceré Camarassa, vi rimase appesa per circa 17 anni. Nel 1906, ad opera dell'ingegnere Dionigi Scano, vi fu un restauro mirato a riportare la torre all'aspetto originario, soprattutto attraverso la liberazione del lato murato nel periodo aragonese. La torre serviva come baluardo difensivo per i numerosi attacchi genovesi e moreschi. Oltre a servire come difesa era ed è ancora, insieme alla torre di San Pancrazio, la porta principale per entrare a Castello. I tre lati esterni della torre furono costruiti con la Pietra Forte di Cagliari, un calcare bianco estratto dalle cave di Bonaria. Il quarto lato, invece, rivolto verso Castello, è aperto alla tipica maniera pisana e mostra i quattro piani costruiti su soppalchi in legno. La porta era ben difesa da numerosi sbarramenti, tre robusti portoni e due saracinesche. Invece per la difesa dall'alto una serie di mensole reggeva un'impalcatura fatta di legno. In altezza raggiunge 31 metri che, considerando anche il torrino, si elevano a 35. Invece dal lato di via Cammino Nuovo raggiunge fino ai 42 metri di altezza. Chi arriva dalla via Università o dal Cammino Nuovo può scorgere,(alla base della torre) vicino alla porta, una lapide ormai scarsamente leggibile, posta a fine costruzione, in cui è riportato quando e da chi la torre fu costruita. Ma grazie alla Guida di Cagliari del Canonico Spano (del 1856) ne abbiamo la trascrizione alle pagine 105 e 106: «Pisano Comuni omnia cum honore / Concedente Domino cedant et vigore / Et hoc opus maxime Turris Elefantis / Fundatum in nomine summi triunphantis / Sub annis currentibus Domini millenis / Quarte indictionis septem trecentenis / Dominis prudentibus Joanne Cinquina / Joanne Devecchis gratia divina / Castelli essentibus Castri Castellanis / Atque fidelissimis civibus Pisanis / Cuius fuit electus sagax operarius / Providus et sapiens Marcus Caldolarius / Atque sibi deditus fuit Oddo Notarius / Ubaldus compositor horum ritimarius / Et Capula Ioannes fuit caput magister / Numquam suis operibus inventus sinixter» ("mai nelle opere sue trovato incapace"). Più in alto si notano diversi stemmi dei castellani pisani di Cagliari oltre a quello della città e, su una mensola che sporge dal muro, la piccola scultura raffigurante un elefante (scelto in quanto era uno dei simboli usati da Pisa) forse coeva alla torre.
Fonti: http://it.wikipedia.org, http://www.cagliariturismo.it, http://www.areasardinia.com, http://www.comune.cagliari.it/portale/it/scheda_sito.wp?contentId=SIT481, http://www.cagliaricentro.it
Foto: una cartolina della mia collezione e un particolare della torre preso da www.tripcagliari.it

mercoledì 11 dicembre 2013

Il castello di giovedì 12 dicembre

 

 
TRICASE (LE) - Castello Del Balzo di Caprarica del Capo (di Mimmo Ciurlia)

Il borgo di Caprarica del Capo sorse intorno al XII secolo e faceva parte della Contea di Alessano, dove erano feudatari i Della Ratta. Successivamente la città di Alessano con tutti i suoi casali passò ai Del Balzo, poi a Ferrante di Capua e a Ferrante di Gonzaga. Dopo altri passaggi, infine, arrivò al feudatario di Tricase Stefano Gallone, che lo comprò nel 1736. Il castello di Caprarica fu edificato nel 1524 dall’architetto di Tricase Antonio Renna, come riporta il De Giorgi, citando un'epigrafe, oggi scomparsa, da lui letta su una delle torrette da cui è possibile evincere committente e anno di costruzione: "CASTELLO FACTO PER MASTRO ANTONIO RENNE DE TRICASE A(nno) 1524". La costruzione, di piccole dimensioni, ha una forma rettangolare con 4 torri cilindriche agli angoli e anticamente era circondata da un fossato sormontato da un ponte levatoio. Le mura, alte dai 6 ai 7 metri e spesse 1,40 metri, sono realizzate in conci irregolari di carparo bruno e presentano un robusto toro marcapiano, sono sormontate da piccoli beccatelli che sostengono la cornice superiore e sono rafforzate agli angoli dalle torri circolari con base scarpata. Il severo portale è difeso da una tripla caditoia. All'interno si disponevano numerosi ambienti: quattro camere al pian terreno, sei al piano superiore, magazzini e cantine. Dentro le mura trovavano posto anche un giardino e cisterne per l'approvvigionamento idrico, granai, botole per i prigionieri e anche una prigione. Nel castello esisteva anche una chiesetta dedicata a S. Cristoforo, oggi completamente distruta e probabilmente identificabile con un vano con volta costolonata sorretta da colonne addossate alla muratura, dove agli inizi del Novecento, era possibile ancora scorgere traccia degli affreschi. Il castello fu adibito a masseria alla fine dell'Ottocento.
 
http://www.comune.caprarica.le.it/la-storia/41-capitolo-iii-caprarica-baronale-dal-xv-al-xviii-secolo
http://www.nelsalento.com/guide/tricase/caprarica-del-capo-rione-di-tricase.html
http://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Caprarica
www.mondimedievali.net

Foto: di Lupiae su http://commons.wikimedia.org e una cartolina della mia collezione

Il castello di mercoledì 11 dicembre






ASSORO (EN) – Castello Valguarnera

La planimetria del castello aveva un andamento poligonale irregolare, modulato secondo le forme delle rocce situate alla sommità della rupe (901 mt s.l.m.). Di esso rimane a vista quasi l’intero perimetro murario. Il muro di sud-ovest, conservatosi per l’altezza di pochi metri, è realizzato in pietrame calcareo in forme a grossa pezzatura legata con malta. I due muri di nord-est e di nord-ovest realizzati con lo stesso materiale e sistema costruttivo, ma con pietrame a pezzatura minuta, sono ancora visibili quasi per l’intera altezza. Le mura terminano presso una torre piena a pianta circolare, munite, sino pochi anni addietro, di beccatelli in pietra, quasi una prova dell'influsso spagnolo della famiglia Valguarnera, che dovette intervenire sul castello con opere di restauro. Una seconda muraglia è munita di finestre che guardano verso valle. Un ambiente sotterraneo di passaggio è munito di scala a chiocciola e altri ambienti, il tutto scavato nella roccia con volta a crociera. Gli altri ambienti sembrano aver avuto la funzione di magazzini, anche a giudicare dalla presenza di canalette di scolo delle acque. Di difficile interpretazione sono lunghe serie di petroglifi lineari, tutti uguali. Il castello doveva svilupparsi, nel suo complesso, oltre l’attuale parco urbano, fino al centro abitato. Le notizie storiche del maniero sono rare, doveva essere una fortificazione bizantina espugnata nel 939 dalla gualdana araba di Chalil, il quale una volta guadagnato il sito forte vi ricostruì il castello e modificò le forme delle muraglie. Il castello venne conquistato dai Normanni, e passò, con un atto di vendita firmato da Ruggero II, al vescovo di Catania che ne acquisì il diritto feudale. Progettato dallo stesso architetto che realizzò il castello Ursino di Catania, pervenne poi a Scaloro I degli Umberti, parente del Farinata di dantesca memoria, al quale venne confiscato nel 1340 e affidato al Duca di Randazzo, Giovanni, fedele al partito catalano; nel 1347 l'Umberti venne perdonato e rientrò in possesso del Castrum Asari, dove venne ucciso in una battaglia del 1351. Nel 1364 Federico IV concesse il castello e la terra a Matteo d'Aragona, che però morì lo stesso anno senza eredi. Nel 1366 il castello pervenne ad Antonio Moncada sino al 1397. In Sicilia fu sostituito nella signoria di Assoro dai fratelli Vitale e Simone Valguarnera, la cui famiglia (catalana e fedelissima alla casata aragonese) mantenne il controllo di Assoro fino alla fine del feudalesimo. Abbandonato già nella prima età moderna e poi dato in cava ai cittadini che ne deturparono l'andamento sino a renderne difficilissima la comprensione degli apparati, è oggi inserito in un bel parco urbano di nuovissima creazione che comprende tutta l'area alta del paese con i resti delle fortificazioni e dell'antica acropoli. E' possibile trovare varie foto del castello su: http://assoroweb.altervista.org/Album/Castello/album/index.html


Foto: una cartolina della mia collezione e una foto di m_filippo su http://www.comune-italia.it

martedì 10 dicembre 2013

il castello di martedì 10 dicembre






VILLACHIARA (BS) – Castello Martinengo

Citato per la prima volta in un documento del 1113, il paese fu probabilmente feudo del monastero femminile bresciano di Santa Chiara. Divenne nel '200 feudo dei Martinengo, che vi costruirono il castello verso la fine del '300 con Barolomeo III, governatore di Parma, Piacenza e Cremona. Questo bell'edificio può considerarsi più un palazzo che una fortezza, anche se con torri e ponte levatoio fu edificato a scopo residenziale, successivamente rimaneggiato tra il 1450 ed il 1530. Si presume comunque che sia sorto, come per la gran parte dei castelli siti soprattutto in pianura, su fortificazioni precedenti all'interno dell'antico "castrum". Ben presto Villachiara soppiantò la vecchia Villagana per la sua posizione centrale del territorio. Nel 1427 la vittoria di Maclodio portò al Carmagnola il feudo di Villachiara, che nel 1453 fu milanese per un solo anno e con la pace di Lodi del 1454 tornò alla Serenissima e ai Martinengo. Il castello nel '500 divenne residenza signorile dei Martinengo (ricordiamo in particolare Marcantonio M. - 1546 - che, al servizio di Venezia, si distinse nella battaglia di Lepanto) e fu teatro di guerre e tradimenti familiari, nonché di amori e incesti a corte. Passò di proprietà svariate volte ai vari discendenti della famiglia sino alla seconda meta del '700, periodo che vide abitarvi un Martinengo per l'ultima volta. Da allora fu ceduto a numerose altre proprietà, sino ai giorni nostri in cui l'edificio è adibito in parte ad abitazione e in parte ad uso rurale. Documenti storici parlano della presenza dei celebri fratelli Campi come decoratori sia per le sale interne che per gli affreschi esterni con putti festanti. Altri affreschi cinquecenteschi si intravedono nell'androne d'ingresso. L’opera di pittura, di mano di Lattanzio Gambara e allievi più notevoli, è tuttora una sala terrena dipinta a putti e grottesche nelle pareti e che esprime nel la volta il carro di Febo coi segni dello Zodiaco. Vi sono nelle sale superiori altre sale dipinte delle quali una con soffitto a cassettoni e tavolette a tempera della scuola del Gambara. Un bel cordolo in laterizio lavorato a treccia (raro se non unico nel bresciano) ricorda quello più elaborato ed in pietra del castello estense a Ferrara. Sarà un caso ma nel cinquecento fra i Martinengo di Villachiara e gli Este avvenne un matrimonio: Bartolomeo Martinengo con Rizzarda d’Este, oltre a proficui scambi culturali fra le due città veicolati da Vincenzo Maggi, lettore di filosofia alla corte estense. Insomma qualcosa si sarà pur visto e riportato... Il lato verso la piazza è una bassa costruzione percorsa da caditoie e racchiusa tra due torri cilindriche, che conserva cortine con merlatura. Il fossato che lo circondava è stato trasformato in giardino. Il Razzetto, fabbricato seicentesco porticato che precede l'ingresso, ospitava le scuderie.

Fonti: http://www.miapagina.it/comuni/storia.asp?ID=17200, http://www.bresciainvetrina.it, testo di Marco Brago su http://www.mondimedievali.net, http://www.ilborgosoncino.com, http://www.pianurabresciana.com, Testo tratto dalla relazione della Regia Soprintendenza ai monumenti di Milano, allegata al decreto di vincolo del Ministero della Istruzione Pubblica in data 21 giugno 1919 su http://www.comune.villachiara.bs.it
Foto: su http://rete.comuni-italiani.it di photo studio e di Giannifmi su http://www.panoramio.com