lunedì 4 settembre 2017

Il castello di lunedì 4 settembre








GELA (CL) - Torre di Manfria

Manfria è, con 876 abitanti, l'unica frazione di Gela, in provincia di Caltanissetta, istituita il 24 gennaio del 2006 e distante 11,95 km dalla città. Prende il nome dalla omonima torre costiera. Sorge, inoltre, a 19 metri sopra il livello del mare. La Torre di Manfria faceva parte del sistema di avviso delle Torri costiere della Sicilia, costruite su indicazione dell'architetto fiorentino Camillo Camilliani. La fortificazione si erge su una collina sovrastante la frazione e risulta visibile da tutto il golfo di Gela. Attualmente è di proprietà privata (appartiene ai fratelli Jacono) e si presenta in discreto stato di conservazione, eccettuato per la terrazza che presenta alcuni tratti del cornicione ormai diruti. Si segnala che è una delle torri camillianee tra le più grandi, è infatti alta circa 15 metri con una base di circa metri 12,50. Era detta anche torre di Sferracavallo, ma Francesco Maria Emanuele Gaetani marchese di Villabianca, nei suoi Diari palermitani riporta che era chiamata anche Torre d'Ossuna. La sua costruzione venne iniziata nel 1549, durante il viceregno di Giovanni De Vega. La data, non completamente certa, si desume in quanto Tiburzio Spannocchi nella sua rilevazione la disegna con lo stesso basamento tronco conico della Torre Mulinazzo di Cinisi, che con certezza era già stata costruita nel 1552 sotto il viceré Giovanni De Vega. Nel 1578 è citata per essere sita in Contrada Sferracavallo, e non completata, tanto che si suggeriva che: et sarà bisogno fornirla alzandola circa duj canne di più…. Nel 1578 quindi la costruzione venne ripresa e completata su disegno dell'architetto fiorentino Camillo Camilliani, che la cita ben due volte in occasione dei suoi studi preparatori, per i quali preparò un acquarello che mostra la torre di foggia circolare con basamento che presentava una scarpata e parapetto con merli. Riporta che era assai adatta alla difesa essendo in corrispondenza a nord con il Castello di Butera, e ad est con il Castello di Gela, mentre ad ovest lo era con il Castello di Falconara. Nel primo quarto del XVII secolo la torre fu quasi del tutto ricostruita fino ad assumere l'aspetto attuale, e probabilmente, desume il Villabianca, per impulso del viceré di Sicilia Pedro Tellez Giron y Guzman, Duca di Ossuna. Dagli archivi della Deputazione del Regno di Sicilia, risulta che a partire dal XVIII secolo, negli anni 1717, 1757, 1797, la guarnigione della torre fosse composta da quattro soldati ed un sovrintendente scelto tra i cavalieri della città di Terranova (Gela). I quattro torrari che l’abitavano segnalavano, durante il dì con specchi e fumi e di notte con fuochi (i fani), l’arrivo dei barbareschi alla torre di Falconara, a Ovest, e ad Est al campanile della chiesa di Santa Maria de’ Platea che fungeva anche da torre secondaria di avvistamento e segnalazione. Con un sistema intermedio di postazioni e di torri di segnalazione, le informazioni quindi arrivavano alla torre di Camarana, a Est nei pressi di Santa Croce Camerina, e con gradualità alle altre del circuito isolano fino a raggiungere. nel giro di un’ora, quei porti dove esistevano flotte navali da guerra che immediatamente prendevano il mare per contrastare l’azione offensiva del nemico. Le segnalazioni, inoltre, erano destinate agli abitanti della città e della campagna tramite torri secondarie come quelle dell’Insegna e del convento dei Padri Cappuccini. Oltre ai torrari erano pure pertinenza della città diversi gruppi di guardie a cavallo che percorrevano il litorale fino al fiume Dirillo. Nel 1804 dalla stessa fonte è posta sotto la sovrintendenza di Don Mariano Carpinteri e Gravina, di Terranova, che nel 1805 fece costruire la scala esterna di accesso, a due rampe, ancor oggi esistente. Nel 1867 è ricompresa nelle opere militari da dismettersi. In origine la torre era costituita da due piani, il pianoterra che serviva come deposito di acqua, legna, munizioni, spingarde, schioppi, polvere da sparo e palle di cannone e il primo piano che serviva da alloggio ai torrari (caporale, tenente e soldati).  Inoltre, il terrazzo, provvisto di parapetti, tettoia e due balconate, sostenute da eleganti mensoloni di arenaria, ospitava due cannoni. L’accesso alla torre avveniva dal primo piano con una scala di legno o una corda retrattili prima che nel 1805 fosse costruita una scala in muratura a due rampe. Nello stesso anno fu anche realizzato il secondo piano. depredati. Una decina di anni fa la Torre di Manfria, grazie ad un progetto approntato dal Comune, fu illuminata con fari a vapore di sodio che la resero visibile di notte in tutta la sua possente maestosità a decine e decine di chilometri di distanza. L'illuminazione, però, durò solo qualche mese. Infatti, i fari, comprese le pesanti nicchie di pietra che li contenevano, e lo stesso impianto elettrico furono oggetto di una feroce azione vandalica tale da mettere fuori uso definitivamente l’intero impianto. Da allora in poi, tranne un intervento di recupero (peraltro inconsistente) di qualche anno fa, la Torre di Manfria continua ad essere erosa dalle intemperie e rovinata da ulteriori azioni vandaliche senza che nessuno riesca ad intervenire. E così, da più di un cinquantennio, si continua ad assistere impotenti alla degrado di questo importante monumento dell'antichità. Alla torre è legata la leggenda di Manfrino, un uomo tanto grande da identificarsi con il nome di Gigante, altri nomi non conosciamo di questo personaggio così grande ed anche  così buono. Il Gigante aveva una sorella bella e splendente nella sua giovinezza e che per riservatezza non usciva mai dalla sua terra, tanto che nessuno sapeva il suo nome e quindi la chiamavano "la bella Castellana". La Torre di Manfria aveva annesso un grande territorio che arrivava vicino al Castello di Falconara, suo confinante,  ed era un territorio molto bello e molto fertile tanto che ospitava tanti alberi, secolari, da frutta, palme, campi da orto e una distesa di fiori che il Gigante aveva voluto coltivare per la gioia della sorella, la Castellana, a cui tanto piacevano. Nel territorio di Manfria scorrevano un fiume e tanti  piccoli ruscelli e l’acqua, purissima, non mancava mai. Tutto questo ben di Dio lo avevano ereditato da un cavaliere di Malta di cui non si conosce il nome. Il Manfrino  come lo chiamavano  i suoi pari di Sicilia o Il Gigante come lo chiamava il popolino non stava mai fermo e con il suo cavallo era sempre in giro  sia perché gli piaceva correre, sia perché così controllava tutto quello che accadeva nel suo territorio e nulla gli sfuggiva. Un giorno, in una di quelle galoppate, vide in lontananza una bellissima figura di donna, aveva una folta chioma bionda, vestita con eleganza e si muoveva con una grazia che  lui non aveva mai visto in altre donne, che si aggirava nei suoi campi come se si fosse perduta. Il nostro Gigante spronò il cavallo a tutta velocità per andarle incontro e conoscerla, ma allorquando arrivò nei pressi di lei, quella figura svanì nel nulla come per incanto. Di quella corsa forsennata restò come ricordo l’impronta di uno zoccolo del suo cavallo, impronta che è stata custodita fino a che sopra di essa  fu costruita una fontanella d’acqua (Marina di Manfria). Il Gigante da quel momento non ebbe più pace, anelava di poterla conoscere e scambiare con lei intere giornate d’amore, e questo pensiero non lo fece più dormire,  tanto che la notte invece di dormire scriveva lettere e poesie, al chiar di luna sotto il dolce rumore del mare che spiaggiava sotto la sua Torre, alla sua adorata visione. Sua sorella, la Castellana, vedendolo che si distruggeva d’amore e che ogni giorno vagava alla sua ricerca inutilmente, pensò di dare una grande festa cosi da far ritornare la bella bionda e farla incontrare con il fratello. E così fu. Si fece la festa e vennero principi e nobili da tutte le parti della Sicilia, e a festa già incominciata entrò furtiva e lieve quella figura di donna  così bella e così cara ai suoi occhi da non considerare più tutti gli altri. Le sue attenzioni, i suoi pensieri erano solo per lei e non si accorgeva di quello che stava accadendo attorno a lui. La torre con la sua tenuta era conosciuta e desiderata da tutti i nobili e per averla non si sarebbero fermati davanti a nulla, ma la presenza del Manfrino, metteva paura a chicchessia e nessuno si azzardava ad infastidirlo per paura di essere sconfitto. Ma quella era la sera buona, involontariamente tutta la nobiltà che bramava quel possedimento era riunita proprio nella torre del Manfrino e si potevano fare alleanze contro di lui.
La bella biondina, l’amore sublime e infinito, come la descriveva il Manfrino nelle sue poesie, uscì dalla Torre per una passeggiata vicino alla riva del mare e ammirare la luna cha pallida nel cielo rischiarava la costa. Il Manfrino, durante la festa si ricordò del vaticino di una vecchiarella, la quale gli aveva predetto che nel giorno più bello della sua vita egli sarebbe morto assieme alla sorella e che tutto quanto era in suo possesso sarebbe svanito nel nulla, la terra si sarebbe inaridita e l’acqua non sarebbe stata più così abbondante e pura come prima. Il Manfrino non diede ascolto a quel ricordo ma era intenzionato a ricercare la donna a cui voleva svelare il suo amore e poterla fare sua consorte. Uscì quasi di corsa per incontrarla, ma il destino quella sera era contro di lui, infatti non si sa perché la bella fanciulla smise di passeggiare e si inoltrò nel mare aperto e non si fermò più finchè l’acqua non la sommerse del tutto. Il Manfrino cercò di buttarsi in mare per raggiungerla e salvarla ma una voce, anzi, un lamento di aiuto che aleggiava nell’aria, invece di spronarlo lo inchiodava sulla spiaggia causandogli dolori indicibili che gli paralizzavano i muscoli  e la mente.
Nel frattempo alcuni principi invitati alla festa fecero complotto contro di lui e sprangata la porta di accesso alla Torre uccisero tutti gli invitati e per ultimo, per maggior crudeltà, uccisero la Castellana, poi uscirono fuori, si recarono alla spiaggia e vedendo il Manfrino fermo come paralizzato si presero di coraggio e tutti insieme lo uccisero. Uccisero il Manfrino, il Gigante buono, ma non poterono uccidere il suo ricordo e quelle grida d’aiuto che ancora oggi nelle notti serene nella quiete silente del sito ad orecchie attente non possono sfuggire. A Manfrino sono collegate sia la presunta guardia di un tesoro nascosto, nata dal ritrovamento di monete greche e romane nella zona, sia una formazione rocciosa, oggi non più visibile, interpretata come la sua orma lasciata nella roccia. Altri link suggeriti: https://www.youtube.com/watch?v=CYCBjLusMhg (video aereo di dj8simo6, http://www.virtualsicily.it/Monumento-Torre%20di%20Manfria-Gela-CL-457, http://www.icastelli.it/it/sicilia/caltanissetta/gela/torre-di-manfria.

Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Manfria#Torre_di_Manfria, http://www.gelacittadimare.it/manfria.html

Foto: la prima è di LuckyLisp su https://upload.wikimedia.org/wikipedia/it/archive/0/0a/20060415065816%21Torre_di_manfria.jpg, la seconda è presa da http://www.archeoclubgela.it/torre_di_manfria.htm

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