venerdì 2 settembre 2011

Il castello di sabato 3 settembre



AUSONIA (FR) – Castello

Sorto agli inizi del secolo XI, Fratte o Castrum Fractarum, venne costruito storicamente in una delicata posizione geografica, al confine fra i domini dei Longobardi e dei Bizantini prima e successivamente tra il Ducato di Gaeta e i domini dell’Abbazia di Montecassino. Appartenne al ducato di Traetto fino al 1065, quando venne donato dai principi di Capua al Monastero di Montecassino, di cui fece parte con alterne vicende fino al 1421, quando fu definitivamente preso da Braccio da Montone ed affidato a Ruggero Caetani che lo tenne fino alla morte. Nel 1482 il castello fu acquistato da Onorato Il Caetani, conte di Fondi e di Traetto, per duemila ducati. Ma tale possesso non durò a lungo, perché gli eventi politici determinati dalla calata nel regno di Napoli di Carlo VIII e la conseguente guerra tra Spagnoli e Francesi spodestarono i Caetani e portarono nuovi padroni: i Colonna, i Gonzaga e i Carafa che la tennero fino al 1806. Nel 1862 il Comune ottenne il cambiamento del nome in Ausonia, per la supposizione che nel suo territorio fosse situata l'antica città di Ausona. Il Castello è costruzione militare (utilizzato a tale scopo fino al 1500) ma anche residenziale ed è stato più volte ristrutturato. Originariamente la cinta era sormontata da torri, quadrate e cilindriche, con camminamenti che costeggiavano le mura, orti e giardini che assicuravano la sopravvivenza in caso di assedio. La fortificazione attualmente porta i segni delle modifiche subite, ma l'usura del tempo non ha intaccato l'immagine maestosa dell'insieme, con la sagoma quadrata del maschio e la torre dell'orologio. Vi è poi una seconda torre superstite oltre al muro di cinta che si sviluppa con le case-torri fino alla Porta di Sopra. Alcuni elementi come finestre e bifore possono attribuirsi ad epoca normanna. Nel 1491 un inventario redatto alla morte di Onorato II descrive lo stato del castello, che appare in decadenza. Il capitano Andrea De Nardillo di Fondi e cinque suoi compagni vivevano e presidiavano il forte con poche e scarse risorse innalzando la bandiera dei Caetani (usata e vecchia), e difendendo il paese dai nemici. Un altro inventario del 1690 documenta come il castello apparisse con stanze dirute, cortile scoperto, cisterna, scalinata che accede alla loggia scoperta, sopra la torre con due stanze accessibili con scala a mano, in testa la loggia, nei quattro angoli che circondano la torre centrale quattro torrette di difesa esterna, una con orologio a campana. Nell’800 il maniero andò degradandosi sempre più e dal 1842 venne adibito a cimitero, dotato di cappella mortuaria. Alla fine della II Guerra mondiale esso subì ulteriori danni. Nei primi tempi della ricostruzione postbellica venne utilizzato come discarica di materiali edili e, in un vano ricavato da una torre crollata venne ricavata un’aula scolastica. Nell'area è stato ricavato un Museo della pietra, un percorso espositivo sull'uso della pietra in tutte le civiltà.

Il castello di venerdì 2 settembre



MALVITO (CS) - Castello Longobardo-Normanno

Di origini Longobarde, è stato ampliato e modificato dai Normanni di Roberto d'Altavilla detto "Il Guiscardo". Dalla documentazione esistente si può stabilire che Malvito, il cui nome sembra derivare dal latino malvetum, ovvero “luogo di malve”, ebbe origine tra la fine del VII secolo e gli inizi del successivo, questo grazie al cronista longobardo Paolo Diacono che indica il centro dell' Esaro come una delle più importanti città dell'Italia meridionale. In età longobarda fu sede di gastaldato e durante il pontificato di Benedetto VII (anno 983), la chiesa di Malvito fu elevata a diocesi fino a quando, nel 1160, fu accorpata a quella di San Marco Argentano. Nel 1057 subì conquista Normanna di Roberto d'Altavilla chiamato il Guiscardo (furbo). Durante il periodo Normanno venne elevata a contea, come attesta il diploma (che si sottoscrisse nel 1083) di Roberto di Scalea, conte di Malvito, detto Scalone, terzogenito del Guiscardo e della principessa Longobarda Sikelgaita. I caratteri di fortezza medievali sono ancora oggi visibili: le case sovrapposte in un caratteristico groviglio di viuzze strette che, di tanto in tanto si aprono su improvvisi larghi dove si trovano antichi palazzi con artistici portali in tufo. Le origini del castello
sono da collocare nel IX - X secolo. E' composto dal Mastio normanno (torre principale) di forma cilindrica cui si può accedere tramite una scaletta elicoidale. Si può anche entrare dal cortile centrale attraverso una scala che comunica alla cortina. Nel cortile vi è anche l'ingresso ad una sala interrata a forma di cripta. Con la dominazione sveva Malvito godette del titolo di città demaniale, come attesta il diploma di Federico II del luglio 1224 dato a Siracusa. Ma un cambiamento decisivo si ebbe nel 1266 quando Carlo I d’Angiò strappò il trono alla Casa di Svevia e affidò Malvito nel 1269 a Nicola de Orta che ne divenne il primo feudatario, dopo un lungo periodo in cui Malvito godette della demanialità regia. Nel 1497 i malvitani ottennero, dai principi Sanseverino, gli statuti civici, cioè le prime concessioni scritte in ordine ai diritti dei cittadini: una vera e propria conquista, dal momento che il Popolo poteva appellarsi a queste regole e norme per limitare i soprusi e la protervia dei Signori locali.

giovedì 1 settembre 2011

Il castello di giovedì 1 settembre



ROCCALUMERA (ME) - Torre Saracena

Indicata anche come Torre di Sollima, dal nome della nobile famiglia messinese proprietaria della costruzione nel XVI secolo oppure Torre Ficara, dalla contrada in cui è situata (toponimo che potrebbe avere origine dall’arabo “Fakhar” che significa potente, importante), è anche chiamata saracena sebbene non esistano notizie documentate sulle origini arabe dell'edificio. La costruzione, a forma cilindrica e alta circa tredici metri, presentava il tetto conico, due lucernari e una piccola porta d'ingresso al di sopra della zoccolatura e, di fianco, alla stalla dei cavalli, visibile ancora oggi. Con molta probabilità risale agli inizi del Quattrocento anche se non mancano gli storici che collocano la sua costruzione al secolo XI. Essa faceva parte del sistema di guardia e di difesa della riviera ionica contro il pericolo di invasioni nemiche. E' l'unica superstite di una serie di torri costiere ed era in costante contatto con il Castello di Pentefur a Savoca. Gli avamposti comunicavano tra loro attraverso segnalazioni col fumo di giorno e col fuoco di notte. Nei casi di estrema emergenza si suonavano contemporaneamente le campane d'allarme: la popolazione era così avvertita e cominciava la fuga tra le alture vicine. La torre di Roccalumera era considerata dagli architetti militari di allora la migliore della zona come posizione strategica e come solidità della struttura. Dopo la fine delle incursioni arabe la costruzione subì varie modifiche: le finestre e la porta diventarono molto più ampie e fu edificata una larga terrazza, corredata di merli, che sostituì il precedente tetto conico. Agli inizi del XIX secolo l'edificio divenne "Torre Telegrafo", mettendo in comunicazione il paese di Roccalumera con Barcellona Pozzo di Gotto. Nel 1830 furono aperte, nella parte superiore, due finestre a sesto acuto in pietra bianca; il tetto venne impreziosito con una notevole merlatura guelfa che fungeva da terrazzo. La “Torre Ficara” è divenuta nel tempo il simbolo di Roccalumera. Salvatore Quasimodo le fu particolarmente legato, dedicandole la poesia “Vicino ad una Torre Saracena per il fratello morto”, riprodotta su una lapide di marmo posta alla base della torre. Oggi restaurata a cura della Associazione Internazionale Impegno Civile guidata da Carlo e Sergio Mastroeni, nell'ambito del Progetto Parco Letterario "Salvatore Quasimodo " è stata affidata al Club Amici di Quasimodo di Roccalumera. E' visitabile.

mercoledì 31 agosto 2011

Il castello di mercoledì 31 agosto





PENNABILLI (RN) - Rocca Malatesta

Nel 1004 un discendente della famiglia Carpegna, Gianni della Penna, soprannominato “Malatesta” per le intemperanze del carattere, edificò il castello della Penna e diede inizio all’omonimo casato, che nel corso degli anni, dopo aver fatto tappa a Verucchio, si insediò a Rimini. Comunque il primo Malatesta di cui si hanno notizie certe, è sicuramente un Giovanni primo, detto Malatesta della Penna, che visse nella prima metà dell’anno mille; fu il padre del dantesco Mastin Vecchio da Verucchio e nonno quindi degli altrettanto celebri Gianciotto, Paolo e Malatestino dall’occhio.
I due castelli di Penna e di Billi costituirono due comunità distinte per molti anni, finché, nel 1350 divenuti liberi comuni, per volontà popolare, decisero di fondersi. Il patto fu sancito presso quella che fu poi denominata “pietra della pace” interrata nei pressi dell’attuale fontana della piazza principale del paese. Lo stemma di Pennabilli così costituitosi, è rappresentato, infatti, da un’aquila appollaiata su due rocche. Il nuovo comune passò più volte sotto l'influenza dei Malatesta, dei Montefeltro, dei Medici e dello Stato Pontificio. Nel 1572, con il trasferimento della sede vescovile da San Leo, papa Gregorio XIII lo insignì del titolo di "Città". Pennabilli è tuttora sede della diocesi di San Marino-Montefeltro. Della rocca rimangono ruderi quasi informi, con tracce di cisterne, a coronamento del Roccione e della Rupe (così si chiamano le due cime, a cui facevano capo due distinti abitati, Penna e Billi, unificati nel XIV secolo). Sul Roccione sono visibili anche i resti di un bastione poligonale mentre ai ruderi della fortificazione della Rupe si appoggia in parte il monastero delle suore Agostiniane, costruito all'inizio del XVI secolo con le pietre della rocca distrutta. Nell'abitato esistono ancora avanzi delle mura di cinta e due porte rimaneggiate, con stemmi malatestiani e feltreschi: testimonianza del passaggio del luogo dai Malatesti ai Montefeltro, avvenuto definitivamente nel 1462, l'anno precedente la disfatta di Sigismondo Malatesta ad opera delle milizie papali comandate da Federico da Montefeltro.

martedì 30 agosto 2011

Il castello di martedì 30 agosto



SERMIDE (MN) - Torrione Gonzaga

La Torre gonzaghesca situata nel cuore del paese è l’unica rimasta della cittadella costruita dal Comune di Mantova verso il Mille e fortificata da Ludovico Gonzaga dopo il 1370. Questa possente struttura merlata, che si innalza alla destra dell`edificio municipale ottocentesco, si presenta fregiata di un elegante stemma dei Gonzaga in terracotta restaurato di recente. Fu pesantemente rimaneggiata negli anni ’30 e mettendo a confronto le fotografie di prima e dopo i lavori di restauro si rivelano subito gli interventi vistosi: chiusura di feritoie e finestrelle, scomparsa di antiche inferiate e di un orologio murale, aggiunta del grande stemma dei Gonzaga tra le incassature delle travi dell’antico ponte levatoio, sistematica sostituzione di mattoni, farinosi di salnitro e di vecchiaia. Le finestre, di dimensioni ridotte come si conviene a un torrione, continuano a sovrapporsi appaiate fino ai grandi finestroni terminali: due a nord e tre sugli altri lati.
Grazie a questi interventi, preceduti nei secoli dall’aggiunta di speroni di consolidamento (rispettivamente nel 1781 e nel 1932-3) è scomparso quel velo rossiccio di mattoni sfarinati che sottolineava la vetusta nobiltà del fortilizio gonzaghesco. All’interno dell’androne passante sono state collocate lapidi ai caduti di tutte le guerre e stemmi di alcune famiglie nobili del territorio mantovano: Castellani, Magnaguti, Bardini, Gonzaga, Gioppi, Bonacolsi. Ad una parete della scala che conduce alla cella campanaria con i grandi campanoni civici è infissa una lapide con il seguente testo: INVITTA CONTRO IL TEMPO IL FIUME GLI EVENTI UNICA SUPERSTITE DELLE OTTO TORRI CHE CORONAVANO IL FORTE E BEL CASTELLO CONOBBE LO SPLENDORE DEI GONZAGA E TRA I BAGLIORI DELLE FIAMME GLORIOSE SCORSE LA NUOVA AURORA DEI FULGIDI DESTINI DELLA PATRIA OR RESA INCROLLABILE LI ATTENDE CERTA IMAPAVIDA E SECURA A. XIII E.F. Non esistono elementi per confermare l’esistenza “delle otto torri che coronavano il forte e bel castello” di Sermide. I documenti e l’iconografia oggi disponibili consentono al massimo di confermare l’esistenza di cinque.

lunedì 29 agosto 2011

Il castello di lunedì 29 agosto



TORRIGLIA (GE) - Castello Fieschi-Doria

Non esiste una data certa riguardante la sua costruzione, che presumibilmente avvenne immediatamente dopo l'anno Mille, sui resti di una fortificazione precedente, nata per controllare la zona di transito tra la Val Trebbia e la Valle Scrivia. Le prime notizie che ci sono giunte risalgono ad una bolla papale del 1153 del pontefice Anastasio IV. Nel 1180, il castello apparteneva ai Malaspina che lo mantennero fino al 1250 con l'approvazione dell'imperatore Federico II del Sacro Romano Impero. In seguito, nella seconda metà del XIII secolo, il castello fu acquisito dai Fieschi conti di Lavagna. Nel 1392, la fortezza subì un primo serio tentativo di assedio da parte delle forze di Raffaele Adorno. Nel 1430, le truppe inviate da Filippo Maria Visconti riuscirono nell'impresa, ma il castello tornò nelle mani dei Fieschi dopo meno di due anni. Tranne che per brevi periodi, infatti, Torriglia rimase possedimento della famiglia genovese fino al 1547, anno della ben nota congiura ai loro danni, in seguito alla quale il castello insieme ad altri beni di loro proprietà, vennero confiscati e passarono ad Andrea Doria. Sotto quest'altra grande famiglia genovese, il cui dominio durò ben oltre due secoli, il maniero cambiò profondamente aspetto. Vi si amministrava la giustizia dell'intero Feudo, si giudicavano tutti i reati, provvedendo agli interrogatori, alla tortura ed all'esecuzione delle pene corporali previste dallo Statuto. Era pertanto provvisto di carceri e di ambienti destinati alla tortura, collocati nella torre, da come si apprende dai documenti dove, tra gli altri, vengono documentati inoltre numerosi tentativi di evasione. C'erano poi i locali ove i notai del Borgo rogavano gli atti e si registravano le licenze, numerose stanze, cucine, magazzini e una Cappella dedicata a N.S. Signora della Neve. Nel 1799, due anni dopo la fine dei Feudi Imperiali, il castello venne assalito e distrutto dalla stessa popolazione di Torriglia, in quanto simbolo di asservimento. Il castello cadde in una inesorabile rovina che lo portò ben presto allo stato di rudere; il maniero fu tuttavia protagonista nella seconda guerra mondiale in quanto fu utilizzato come rifugio e punto di osservazione dalle bande partigiane nella lotta di Resistenza. L'opera di distruzione, insieme con i rifacimenti cui fu sottoposto nel corso dei secoli, rende purtroppo molto difficile risalire alla struttura originaria del castello. Senza dubbio, la torre a pianta quadrata e alta in origine almeno 19 metri, da cui forse Torriglia prende nome, è l'elemento di maggior rilevanza del complesso. Le numerose indagini effettuate dalla metà dell'Ottocento in poi hanno consentito di individuare tre fasi essenziali, dalla costruzione, al periodo medievale, alla trasformazione rinascimentale. Al primo periodo risale la torre attuale con le sue immediate adiacenze, assegnata all'inizio del Duecento. Fino ad un'altezza di circa sette metri la torre è costruita con grosse pietre regolari e rettificate, solidamente incernierate agli spigoli, che si sono infatti conservati. La parte superiore ha invece un tessuto più grossolano e fragile ed è andata quasi totalmente perduta. Interventi successivi comportarono l'aggiunta di baluardi a protezione della base della torre, con passaggi dalla copertura a volta. A sud della torre si sviluppa l'area residenziale, allungata sullo sperone di roccia che sovrasta il paese, per una lunghezza di circa venti metri. Con l'insediamento dei Fieschi sono ipotizzabili interventi atti a migliorare le caratteristiche abitative del complesso, ma è sicuramente successiva, con l'evoluzione delle armi da fuoco, la trasformazione dell'area meridionale: fu aggiunto a sud il possente bastione dalla caratteristica forma di prora, che conferisce al castello l'aspetto di una nave, e furono rinforzati i lati lunghi con due ulteriori bastioni semicircolari, ad assicurare la completa copertura dei due versanti. Durante il domino dei Doria, il castello assunse una spiccata funzione residenziale e gli spazi interni vennero nuovamente ridistribuiti secondo le nuove necessità. Interessato da lavori per il recupero dell'intero complesso, finanziati con fondi del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e della Regione Liguria, il castello è nuovamente accessibile al pubblico dal 2009.

sabato 27 agosto 2011

I castelli delle vacanze - 10



TREPPO GRANDE (UD) – Castello di Zegliacco

Sorge su una modesta altura nei pressi dell’abitato di Zegliacco, frazione di Treppo Grande, dove anticamente si ritiene esistesse una postazione di vedetta sulla via consolare Julia Augusta, strada di collegamento tra Concordia e Norico. Non si conosce la data in cui esso fu costruito, ma possiamo risalire alla sua storia intrecciandola con quella dei suoi signori, i Nobili di Zegliacco. I primi di questa famiglia, di cui abbiamo notizia, sono Hainderico de Zelaco che troviamo citato nel 1171 e Variendo (o Garnendo o Uvariente), che aveva giurisdizione sul castello nel 1203. Un documento ci informa che nel 1252 il Patriarca Gregorio da Montelongo concesse l’investitura del castello con le sue pertinenze al figlio di Variendo, Corrado di Zegliacco. I Signori di Zegliacco vantavano per altri ragioni diritti sul castello di Socchieve e parti del Castello di Preone e altri beni a Colza, a Gracco a Collina e Invillino. Avevano diritto di partecipare al Parlamento del Friuli. Nel 1309 si misero contro il Patriarca Ottobono de’ Razzi, che li dichiarò felloni e fece incendiare il loro castello. In seguito, di quanto rimaneva divennero padroni i Savorgnan. Per qualche tempo gli spodestati perdettero la qualità di nobili e per un ventennio divennero servi di masnada dei di Prampero. Ma in seguito gli Zegliacco riuscirono a riconquistare la posizione antica e nel 1373, con Rizzardo, ritornarono in possesso del castello. Strinsero nodi di parentela con una delle famiglie più in vista del Friuli, sposando la figlia Bartolomea a Domenico Cossio, il quale aveva ottenuto il feudo di Castelnuovo (1461) e in seguito acquistò quello di Codroipo (1468-1476). L’unico rappresentante maschio della famiglia fu Boemo, notaio, che mori a Roma nel 1477. Di conseguenza la Repubblica di Venezia mise all’asta il castello e i beni annessi. Seguirono altri abitatori fino a che Nicolò Savorgnano acquistò per 950 ducati una parte del castello assicurandosi anche un seggio nel Parlamento Friulano. Vennero pure infeudati della contea di Codroipo e di Sella. Nicolò Savorgnano cedette in seguito il maniero a Daniele del fu Domenico Cossio, signore di Codroipo. Con l’andare dei secoli e la perdita della funzione militare dei castelli, i Cossio, che erano molto ricchi, preferirono come residenza un comodo palazzo a Codroipo e, inoltre possedettero una casa padronale a Cividale. Zegliacco rimase come tenuta, nei pressi della quale si organizzarono parecchie battute di caccia. Essi rimasero nel castello fino al 1881, quando passò ad altri proprietari. Il complesso castellano, oggi in buono stato di conservazione, nel tempo ha subito numerosi rifacimenti e ristrutturazioni che hanno sconvolto l’assetto originario trasformandolo in residenza di campagna. Nella torre portaia, risalente al XVII secolo, rimangono le tracce di un muro contraffortato della torre medioevale e accanto i residui del fossato. Negli ultimi anni è stato acquistato e restaurato da una multiproprietà privata, rimediando a notevoli danni arrecati dal sisma che colpì il Friuli nel 1976 (crollo della torre ovest, della copertura e dei solai del lato ovest e di parte di quelli del lato nord).