venerdì 17 agosto 2018

Il castello di venerdì 18 agosto



MONTECAROTTO (AN) – Mura e Torrione dell’Orologio

Il significato del nome Montecarotto ha dato vita a numerose ipotesi pittoresche, come quella per cui il toponimo originario sarebbe stato "Mons Iscariotae", cioè paese di Giuda Iscariota. Ironicamente si dice che in paese si conserva l'albero al quale il discepolo traditore si impiccò. In realtà il nome deriva dal latino "Mons Arcis Ruptae", cioè "Monte della rocca rotta", in riferimento ad una fortificazione posta a difesa di una località strategicamente importante, della cui esistenza attestano tuttora i resti su cui è costruita la chiesa collegiata, distrutta da un evento di guerra o da un terremoto. Non si hanno però notizie sull'epoca e a chi detta rocca debba attribuirsi, pertanto è impossibile avanzare ipotesi sull'esistenza di questo centro nel Basso Medioevo. Notizie più precise di Montecarotto si hanno, dopo il Mille, quando emerge la realtà delle sette Pievi esistenti nel territorio diocesano di Jesi, con i suoi castelli, le sue "ville" e le numerose chiese. La Pieve era un territorio su cui esercitava la giurisdizione ecclesiastica la chiesa più importante del territorio stesso, dotata di fonte battesimale, detta appunto "pieve", dalla quale dipendevano le altre chiese parrocchiali sparse nell'ambito della circoscrizione, che provvedevano alla cura spirituale delle popolazioni ivi residenti. La Pieve di Montecarotto, se non la più importante della Diocesi di Jesi, era certamente la più vasta, estendendosi per quasi 60 kmq, comprendente gli attuali territori comunali di Montecarotto, Poggio San Marcello, Castelplanio e Rosora. Il castello di Montecarotto dominava la sommità della collina, al cui centro era la rocca, mentre la chiesa plebana era ancora posta fuori della cerchia muraria castellana. Montecarotto entra a far parte della storia documentata a cominciare dai primi decenni del XIII secolo. Nel 1248 il cardinale Raniero, vicario del Papa, cedette il castello Turris Ruptae, arcaico tiponimo che si presume identifichi Montecarotto, appartenente in origine al comune di Senigallia, al comune di Jesi. Nell'ambito dell'antica Pieve si formarono i quattro Castelli di Montecarotto, Castelplanio, Poggio San Marcello e Rosora, con propri organi amministrativi e circoscrizione ecclesiastica autonoma. Il XIV secolo e la prima metà del XV furono segnati dalle drammatiche vicende delle Signorie e da tragiche calamità naturali; al termine di quel periodo però Montecarotto emerge come parrocchia e castello facente parte del Contado di Jesi, centro sempre più importante per numero di abitanti e per le sue istituzioni amministrative, religiose, culturali ed artistiche. In quello stesso periodo la nuova chiesa parrocchiale venne costruita entro le mura castellane e il suo campanile eretto sulle fondazioni della antica rocca distrutta. Li realizzò entrambi la comunità montecarottese, che pertanto rivendicò sempre il giuspatronato su detta chiesa. La cinta muraria venne edificata nel 1509; molte opere d'arte arricchirono le chiese del paese, tra cui notevoli quelle del Ramazzani ed Antonuccio da Jesi. Nel XVII secolo sorse il convento di San Francesco e il monastero femminile delle Carmelitane accanto alla chiesa della Madonna delle Grazie, ricostruita all'inizio del XVIII secolo. Molte altre chiese vennero costruite nel paese e nelle campagne attigue. Si svilupparono anche i due borghi fuori della cinta muraria. Al posto degli antichi patroni del paese San Filippo e San Giacomo, nel XVII secolo prese sopravvento il culto di San Placido; anche San Floriano riceveva nel luogo vasto culto, come attestano le ripetute immagini del Santo patrono dello "Stato di Jesi". Nel giorno della festa del Santo, il 4 maggio, anche Montecarotto inviava a Jesi il suo rappresentante per presentare il Palio del paese; mentre per Jesi questo indicava soggezione del Castello alla città egemone, per il paese significava solo un atto di culto al Santo e di fraternità con la comunità cittadina. Sul finire del XVII secolo lo "Stato" di Jesi assumeva una nuova forma istituzionale con il "Governo libero" retto da un Governatore dipendente direttamente da Roma, che condizionava sempre maggiormente le autonomie dei singoli Castelli e Montecarotto divenne uno dei castelli leader nella lotta contro la prepotenza cittadina. Il XVIII secolo, in conseguenza della intelligente politica granaria stabilita dai Pontefici, nuova ricchezza venne affluendo in tutta la Vallesina, e anche a Montecarotto. Ne sono testimonianza le grandi realizzazioni edilizie di quel secolo: la Chiesa Collegiata, la canonica, le chiese della Madonna delle Grazie e della Madonna del Popolo, ed altre ancora, come pure notevoli palazzi gentilizi. Il Comune contava 2537 abitanti. L'irruzione francese significò il globale rivolgimento del secolare assetto politico della Vallesina: Montecarotto venne elevato alla condizione di Cantone del dipartimento del Metauro, unico tra i Castelli della Vallesina. Nel 1808, con la costituzione del Regno d'Italia napoleonico, cessava definitivamente l'antico rapporto tra Jesi e i Castelli del Contado che acquistavano autonomia amministrativa, confermata anche nel momento del ritorno del Governo Pontificio. L'annessione delle Marche al Regno d'Italia nel 1860 significò ancora ulteriore riconoscimento dell'importanza di Montecarotto, che sul finire del secolo XIX superava i 3000 abitanti (di cui due terzi in campagna ove era dominante la mezzadria) divenendo capoluogo di Mandamento, nella cui giurisdizione erano i comuni di Serra dei Conti, Poggio San Marcello, Castelplanio, Mergo e Rosora. La cinta muraria, come detto, risale al 1509 su disegno dell'architetto Albertino Di Giacomo da Cremona che intese ampliare il vecchio impianto medievale. E' da considerarsi una delle più importanti fortificazioni della Vallesina. Le mura corrono per 625,50 m secondo una pianta a quadrilatero trapezoidale allungato nella direzione Est-Ovest, delimitando la parte più alta del colle dedicata alla chiesa Parrocchiale della S.S. Annunziata. Esse hanno subito negli anni numerosi interventi, il più marcato dei quali è stato l'allargamento dell'ingresso principale per agevolare il passaggio dei carri nei giorni del mercato, senza danneggiare dignità monumentale e valenza decorativa dell'intorno. Di questa parte, venne demolita la porzione che univa ortogonalmente il torrione dell'orologio (all'epoca meno ornato) al lato che volge a Mezzogiorno. Da questo tratto si accedeva al paese attraverso la porta d'ingresso (le altre due aperture, una a Nord e l'altra ad Ovest, sono frutto di interventi successivi) con la torre civica (su cui erano originariamente collocati l'orologio e le campane) e l'antico palazzo priorale. Della cinta muraria è ancora visibile la scarpata, mentre le cortine sono state coperte dalle abitazioni. Restano ancora visibili cinque torrioni, tra i quali spiccano per stato conservativo quelli del lato orientale: uno cilindrico, con base appena scarpata, doppio ordine di beccatelli e sporto merlato alla ghibellina e l'altro pentagonale, con scarpa evidente e sporto non merlato su robusti beccatelli. Non meno imponente è il torrione cilindrico dell'angolo nord-ovest con alta scarpa, doppio cordone e tracce di beccatelli. Ben conservata è la porta del lato Ovest; abbattuta invece quella del lato orientale che fiancheggiava a breve distanza verso Sud il torrione dell'orologio, visibile nel quadro del 1865 conservato in municipio del pittore cuprense Antonio Bonci. Il torrione dell'orologio resta il monumento più in vista del paese e, anche, sua immagine più ricorrente. Posta nel lato orientale della cinta muraria, la torre venne integralmente rivestita nel 1903, quando si decise di unire la piazza esterna (oggi Piazza della Vittoria) all'area interna (l'odierna Piazza del Teatro). Attraverso una porta posta sul camminamento di ronda, si può accedere al piano superiore, dove è custodito il quadrante dell'orologio, l'asta di collegamento, il pendolo e i pesi originali per la ricarica manuale delle lancette. Da questo primo locale, una scala in legno conduce al "cuore" dell'orologio, dove sono posti tutti i meccanismi e la ruota dentata. Progettato e costruito nel 1849 da Pietro Mei, come testimonia la scritta sulla matricola «P. Mei 1849 Montecarotto nº 22», l'orologio tuttora funzionante, viene ricaricato manualmente tutti i giorni da un addetto comunale. Continuando nella salita si arriva all'esterno della torre e alle campane, chiamate a ricevere l'urto del battente su comando dell'orologio ogni quindici minuti. Dopo la recente ristrutturazione, dal 2011 è consentito l'accesso ai visitatori, i quali, dall'alto della torrione, possono ammirare un panorama mozzafiato a 360°, che parte dall'Appennino, attraversa i tetti delle case del centro storico montecarottese e raggiunge l'Adriatico e il Conero, abbracciando la valle del Misa e dell'Esino. Altro link suggerito: https://www.youtube.com/watch?v=Zvud7nYOzeQ (video di Casse tatélé)

Fonti: http://www.comune.montecarotto.an.it/c042026/zf/index.php/servizi-aggiuntivi/index/index/idtesto/1, https://it.wikipedia.org/wiki/Montecarotto, http://www.comune.montecarotto.an.it/c042026/zf/index.php/servizi-aggiuntivi/index/index/idtesto/8, http://www.castellidelverdicchio.it/it/struttura/ric/472/

Foto: la prima, riguardante la cinta muraria, è di FAM1885 su https://it.wikipedia.org/wiki/Montecarotto#/media/File:Torrione_cilindrico_coperto_dell%27angolo_nord-ovest_delle_mura_castellane_di_Montecarotto.jpg; la seconda, relativa al torrione dell’Orologio, è del mio amico e “inviato speciale” Claudio Vagaggini, scattata proprio ieri 17 agosto.

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