DOZZA (BO) - Rocca Sforza
Le prime notizie
documentate risalgono al 1126, e in quell'epoca il castello risultava soggetto
al controllo della chiesa imolese. Conquistato e distrutto dai Guelfi Bolognesi
nel 1198, fu ricostruito nel 1220 ad opera del legato papale Giovanni Re di
Gerusalemme. Riconquistato dai Bolognesi nel 1222, gli stessi nel 1310
eseguirono, sotto Romeo Pepoli, importanti lavori di fortificazione, fra cui il
torrione detto "dei Bolognesi". Seguirono anni di sanguinose contese
fra Guelfi e Ghibellini, fino al 1412, anno in cui la rocca divenne feudo degli
Alidosi ai quali succedettero i Riario. Nel 1488 alla morte di Girolamo Riario
la rocca passò sotto il dominio della moglie, Caterina Sforza, Signora
di Imola e di Dozza. L'aspetto attuale del maniero risale alla ristrutturazione
effettuata alla fine del 1400 proprio sotto il dominio di quest'ultima, su
progetto dell'ingegnere militare Giorgio Marchesi, per adattare l'originaria
struttura alle nuove esigenze difensive dovute all'avvento delle armi da fuoco.
Venne ricostruita una parte delle cortine e fu eretto il torrione maggiore, il
Torresino, splendido esemplare di architettura militare. Proprio tali fortificazioni nel 1499 consentirono al castello di resistere
per un intero mese agli assalti di Cesare Borgia, prima di capitolare tornando
così sotto il dominio della Chiesa. Venduta nel 1529 da Papa Clemente VII al
cardinale Lorenzo Campeggi per 4000 scudi d'oro, rimase sotto il controllo di
questa famiglia che iniziò una parziale modifica del fabbricato da fortilizio a
palazzo signorile, iniziata da Annibale, Baldassarre e Vincenzo Campeggi
che occuparono l’edificio nel 1565 e terminata da Antonio Campeggi nel 1594. Estintasi nel 1728 la stirpe dei Campeggi, passò per
eredità a Francesca Maria Campeggi, moglie di Matteo Malvezzi, trasferendo così
i diritti a quest'ultima famiglia che assunse il doppio cognome
Campeggi-Malvezzi. Il fabbricato restò di proprietà di questa casata fino al
1960, anno in cui fu acquistata dal comune di Dozza e venne aperta al
pubblico. Il complesso è a pianta esagonale, con un perimetro di circa 200
metri, ed è caratterizzato da due torrioni angolari circolari innestati sul
corpo centrale a pianta poligonale. L’accesso alla rocca avviene tramite un
ponte che aggetta su un fossato, un tempo pieno d’acqua. Un portone ferrato
immette nel palazzo, mentre un corridoio conduce a un cortile che presenta
colonne con capitelli finemente decorati e due logge di gusto rinascimentale. Con
accesso dal cortile interno, si aprono la lavanderia e la suggestiva cucina, tipico complesso di attrezzatura patriarcale emiliana con
madie, casse, tavolo, pozzo, torchio e utensili d’uso quotidiano (databili al
1500). Vicino all’ingresso della rocca, un grosso torrione circolare, detto
Torresino, di mt 16 di diametro e con uno spessore delle mura variabile dai 3
ai 6 metri, è posto a presidio della parte più importante dell’edificio. Di
minori proporzioni è invece l’altro torrione, il cosiddetto Torrione dei Bolognesi, dal diametro
di 11 metri e spesso dai 2 ai 4 metri. I muri perimetrali delle altre due
facciate sono fortemente scarpati, toccano direttamente il terreno e
comprendono due bastioni romboidali. Osservando la struttura attuale si possono
notare alcuni elementi precedenti e tentare una possibile ricostruzione
dell’antico edificio nel periodo del dominio degli Sforza. I torrioni, così
come tutto il resto del fortilizio, erano scoperti, ed erano coronati da merli.
Tale coronamento prevedeva, alternativamente, delle aperture al centro dei
merli, attraverso le quali era possibile tirare le frecce e osservare,
protetti, le mosse degli aggressori. Sotto, in corrispondenza di queste
aperture, si possono vedere tuttora dei fori circolari, che servivano per fare
passare le bocche dei lunghi fucili, detti spingarde. Sul pavimento, per il
tiro verticale, erano realizzati ulteriori fori, le cosiddette caditoie, dalle
quali si poteva attaccare il nemico che si fosse spinto fin sotto le mura della
Rocca. Dalle caditoie, per ridurre le resistenze dell’avversario, spesso veniva
gettata anche acqua o olio bollente. Le trasformazioni, che hanno fatto della
Rocca una residenza signorile, hanno insistito proprio sull’eliminazione di
questi elementi, perché erano di carattere principalmente militare. Tutta la
struttura è stata coperta e i vuoti tra i merli hanno assunto la funzione di
finestre. Sul lato sud-ovest inoltre la merlatura è stata abbattuta e sono rimasti
solo gli archetti. Le modifiche maggiori sono tuttavia avvenute all’interno
dell’edificio. Di notevole interesse il primo piano o piano nobile che
corrisponde alla antica residenza dei Campeggi-Malvezzi. Sono visitabili la
sala maggiore con pinacoteca di famiglia, la sala rossa con notevole specchiera
dorata del XIX secolo e soffitto a cassettoni, la camera di Pio VII con mobilia
del 1600, la sala d'armi contenente una raccolta di armi d'epoca e una piccola
cappella intitolata alla Madonna immacolata. Da notare nei locali di fronte il
pozzo a rasoio, antico trabocchetto militare di difesa interna, scoperto e
riportato alla luce negli anni ’70 a seguito di interventi di restauro
dell’edificio. Ulteriori due locali sono la camera da letto e la camera degli ospiti.
Da quest'ultima si accede a un ingresso di servizio che presenta tracce di
decorazioni del ’400, mentre sulla loggetta sulla corte lato nord si apre un
locale con “bagno” realizzato in scagliola. Dall’appartamento del feudatario,
una scala conduce al Torrione dei Bolognesi e, seguendo gli antichi
camminamenti di ronda della cortina sud, alla sommità del Torresino. All’interno
dei torrioni trova spazio la stanza
della tortura, dalla quale si accede alla grande fossa dei supplizi alle
antiche prigioni con le celle di segregazione, che conservano ancora le scritte
dei detenuti graffite sui muri. In una cella è incisa la rozza sagoma di uno
scheletro seguito da versi scritti da Bartolomeo Monti nel 1640: “O tu che
guarda insu/io era come dici tu/tu serrai commo sono io/guarda in questo e
spera in Dio”.
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