GERACI SICULO (PA) - Castello Ventimiglia
La colonizzazione greca interessò il territorio geracese solo poco dopo il 550
a.C. Fu proprio questo popolo che assegnò all'insediamento il nome
Jerax,
avvoltoio, poiché la Rocca era abitata da questi predatori. Nel 241 a.C. Geraci
era un importante insediamento romano. Le Madonie entrarono infatti a far parte
della sfera culturale del mondo greco-romano e poi bizantina. La zona di Geraci
continuò a essere popolata anche durante l’età alto medievale, come testimonia
il ritrovamento di alcuni frammenti risalenti al periodo della colonizzazione
agricola della campagna madonita. Notizie certe riguardanti specificatamente
Geraci si hanno dall’840 d.C., data della conquista saracena. Durante la
dominazione il castello, che vi si trovava già da prima, fu ampliato e
fortificato. Dopo la divisione della Sicilia, da parte dei Musulmani, in tre
province (Val Demone, Val di Noto e Val di Mazzara), le Madonie, quindi anche
Geraci, fecero parte della prima e, a differenze delle altre valli, riuscirono
a mantenere la propria fede, convivendo pacificamente con l’elemento islamico.
Dopo la dominazione saracena Geraci divenne la località interna più importante,
data la sua posizione strategica. Con la conquista Normanna (1062-1064), il
borgo, in seguito alla battaglia di Cerami, fu concesso in feudo da Ruggero I
al nipote Riccardo Serlo II d'Altavilla. In epoca sveva, la contea entrò
nell'orbita della famiglia Ventimiglia: nel 1258, Enrico II Ventimiglia,
sposando la contessa Isabella, di origine normanna e membro della Casa reale di
Federico II, fu creato Conte di Geraci. Durante il regno di Corrado II, la
contea allargò i propri confini, includendo Collesano, Petralia Superiore e Inferiore,
poi Gratteri e Isnello; il conte Enrico, inoltre, ottenne importanti beni e
palazzi nella città vescovile di Cefalù. Nel 1270, gli Angioini, divisero e
concessero agli invasori provenzali i territori della contea. Durante la guerra
del Vespro, però, Enrico II e suo figlio Aldoino, guidarono il partito
svevo-aragonese nella ribellione contro Carlo I d'Angiò, riacquisendo il
controllo della contea. Gradualmente, la contea di Geraci divenne un vero e
proprio "stato nello stato", giungendo ad amministrare la giustizia e
a coniare proprie monete. Nel 1419, la capitale dello "stato delle
Madonie" fu trasferita da Geraci a Castelbuono, per volere del conte
Giovanni I Ventimiglia. Costui, valoroso comandante militare, fu anche
Governatore generale e Reggente del Regno di Napoli e, tra il 1430 e il 1432,
Viceré di Sicilia; nel 1444, divenne anche Viceré del Ducato di Atene. Nel 1430,
inoltre, Alfonso V d'Aragona concesse alla contea il diritto ereditario di
piena
giurisdizione penale. Nel febbraio-marzo 1436, la Contea di Geraci divenne
Marchesato, ponendo il signore di Geraci al primo posto - per rango - del Parlamento
siciliano. Sopra una massiccia roccia arenaria si trovano gli antichi resti del
maniero dei Ventimiglia. La costruzione fu la prima difesa occidentale della
vasta Contea in quanto la sua posizione la rendeva inaccessibile.
Dai lati Nord-Est e Sud il “maniero” era difeso dalla
natura, e nei punti in cui la roccia presentava qualche debolezza strategica,
si venne a rimediare con alcune opere murarie, al fine di rendere inespugnabile
la “Rocca”. Dal lato Ovest “il sentiero si apriva pel declive” fino a giungere
“sulla spianata dinanzi al ponte levatoio” che una volta tirato lasciava aperto
il baratro del fossato. Dal punto di vista tecnico-militare la fortezza di
Geraci si imponeva per la poderosa struttura e resistenza che la rendeva
inattaccabile, preparata per resistere anche a lunghi assalti.
All’interno gli ambienti avevano una distribuzione ed una
collocazione militaresca, priva di lusso. Nel sottosuolo vi erano le
cisterne per l’acqua, gli spazi per le provviste e le prigioni; al pianterreno
c’erano le scuderie, le cucine, le sale d’armi i forni, i locali per i Vassalli
e armigeri e le feritoie sui muri per i tiratori; il piano superiore, invece,
era adibito a residenza della famiglia del conte, sede dei servizi
amministrativi, dei Consigli di coordinamento e dei piani logistici. La
merlatura coronava l’edificio. L’unico punto vulnerabile era costituito dal
lato del fossato. Nella corte c’era una porticina dalla quale si giungeva per
un corridoio segreto sul fossato, risalito il quale si arrivava sulla spianata
del Castello; un altro sotterraneo conduceva alla Chiesa di S.Bartolomeo fuori
le mura, seguendo i capricci della roccia. In fondo si trovava una cisterna
d’acqua. Si presume che il castello sia stato costruito in età bizantina. I Normanni
lo trasformarono per le loro esigenze militari e al tempo degli Aragonesi e dei
Ventimiglia divenne una vera e propria fortezza militare; risale a questo
periodo infatti la chiusura del perimetro urbano con le grandi porte di cui
ancora oggi si possono intravedere i segni. Nell’840 la Rocca di Geraci
capitolò al feroce Emiro “Ibni Timna” il quale ampliò e modificò la fortezza
(l'edificio conserva una tipica finestra moresca). Nel 1062 il Normanno Ruggero
I espugnò la città di Geraci e la diede in vassallaggio al nipote “Serlone”. Nel
1169 il Conte Ruggero da Creone, accrebbe i mezzi di difesa della Rocca. Nel
1269 la “Rocca” di Geraci riappare negli annali bellici. Ridottasi in frantumi
la dinastia sveva, in seguito alle sconfitte subite da Manfredi sul Garigliano
(1266) e da Corradino a Tagliacozzo (1268), i partigiani siciliani tentarono di
ostacolare gli Angioini, ma non valse a nulla. Carlo d’Angiò preso il
sopravvento spazzò via i partigiani e tra questi Arrigo Ventimiglia, il quale
venne spodestato nel 1269, dopo un tenace assedio degli Angioini alla fortezza
di Geraci. Nel 1337, Francesco I Ventimiglia venne accusato di tradimento per
essersi rifiutato di prendere parte ai Parlamenti indetti dal re. Questi
aizzato dai Chiaramonte e dai Palizzi, acerrimi nemici dei Ventimiglia, assediò
la “Rocca” di Geraci che capitolò, grazie ai Geracesi che non volendo
partecipare alla battaglia, aprirono le porte della città alle truppe
assedianti. ( la porta , da dove entrarono gli assedianti fu detta “Porta
Baciamano”, proprio perchè i Geracesi si inginocchiarono davanti al re
baciandogli la mano in segno di sottomissione). Il Conte cercando di mettersi
in salvo perse la vita. L’episodio della morte non è molto chiaro. Alcuni
dicono che si sia gettato dalla rupe (oggi vicolo Mandolilla) con il cavallo
bendato; altri dicono che sia stato derubato e ucciso da due giovani; altri
ancora, e sembra più probabile, che durante l’assedio sia stato trovato ferito
dal Conte Valguarnera e dato in mano ai soldati che fecero scempio del suo
corpo. Era il 3 febbraio 1338. Il popolo ricordò la pagina dolorosa con i versi
: “CASTEDDU DI JRAGI MALIDITTU - ROCCA VISTUTA DI SANGU E DI LUTTU. Oggi
sopravvivono i ruderi di una fortificazione le cui linee architettoniche sono
difficili a stabilirsi. Si notano gli angoli mozzati delle torri, gli squarci
delle feritoie, la finestra moresca, gli archi pesanti dei passaggi
sotterranei, entro le cisterne vuote o colme di detriti. Solo la chiesetta di
S.Anna impera sulle rovine. In essa era conservato il simulacro di S.Anna (il
teschio), successivamente, nel 1454, trasferito a Castelbuono.
Fonti: http://www.comune.geracisiculo.pa.it/2010042359/Monumenti/Il-Castello.html,
it.wikipedia.org,
http://www.palermoweb.com/Geracisiculo/
Foto: da http://www.icastelli.it/castle-1234886219-castello_di_geraci-it.php
e di Alessandro Saieva su http://rete.comuni-italiani.it
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