venerdì 18 luglio 2014

Il castello di venerdì 18 luglio






SANT'ANGELO A FASANELLA (SA) - Castello baronale

Giungendo a Sant'Angelo si nota immediatamente lo sperone roccioso che emerge con evidenza, con le caratteristiche laminazioni del calcare locale, rocca naturale sulla quale sorge il castello baronale, isolato e ormai abbastanza malridotto dopo il terremoto del 1980. L'edificio occupa la parte preminente dell'abitato più antico, lasciando ai suoi margini solo poco più che delle ripide scarpate, in gran parte inaccessibili. Il castello utilizza, insomma, la quasi totalità della superficie disponibile, avendo all'ingresso una vasta corte esterna di forma trapezoidale, che costituisce il 'guasto' o largo del castello, a fini di difesa, tipica di tali strutture soprattutto nella loro più antica organizzazione. Poiché la superficie disponibile sulla terrazza naturale non consentiva lo sviluppo con corpi di fabbrica estesi sui quattro lati, il fabbricato fu articolato già in origine, prima delle modifiche successive, come una L rovesciata fortemente allungata, il cui braccio maggiore seguiva il bordo meridionale del pianoro, mentre il braccio minore, cui si affiancarono corpi di fabbrica secondari, fronteggiava il paese verso sud ovest, dove - sotto la ripida scarpata naturale - un breve spazio destinato ad orto e uliveto costituiva un'altra piazza a ridosso delle basse mura meridionali. Le corti avevano perciò una configurazione parzialmente aperta verso nord, dove la forte pendenza e gli strapiombi della roccia rendevano l'accesso molto difficile. L'edificio attuale conserva solo limitatamente l'aspetto di quello che doveva essere l'antico impianto. Nella facciata meridionale verso valle, corrispondente al lato più lungo del fabbricato, si riconoscono le tracce di importanti trasformazioni subite dall'antico edificio nel corso dei secoli; in particolare una notevole variazione nella disposizione e nel numero delle aperture, originariamente più piccole, corrispondente alla successiva destinazione a palazzo patrizio, già verosimilmente alla fine del XVI secolo. Di rilevante interesse urbanistico è l'insediamento della chiesa parrocchiale di Santa Maria Maggiore, su di uno sperone naturale accanto al castello, posta quasi di fronte all'ingresso della prima corte. Qui si spezza l'antica via della Chiesa o via Roma per riprendere più giù, con le prima case dell'antico abitato subordinato al castello, dove la strada conserva ancora il toponimo medioevale di "via piedi la terra". La conferma della posizione centrale e dominante del castello viene dall'estensione del territorio che lo circonda, ancora in parte munito di mura e resti di torri, come verso la via comunale dei "Iardini", altro toponimo che ricorda le sistemazioni a terrazze ortive di questo lato del paese e del terreno competente al castello. Tornando alla configurazione della fabbrica, è evidente la sua organizzazione a corti successive, rispetto alle quali era ancora possibile, per tutto l'Ottocento, se necessario, apprestare una difesa costituita da sbarramenti successivi, prima di giungere alla scala che conduce agli appartamenti. Di tale organizzazione difensiva è oggi visibile soprattutto la torre angolare, ancora provvista di saettiere e mensole delle caditoie, ma priva del coronamento della merlatura; altre saettiere si riconoscono lungo il muro perimetrale sul prospetto orientale, raggiungibili un tempo con passerelle in legno oggi scomparse, ma di cui si notano ancora i fori d'imposta. Il castello attuale deve la sua costruzione al ripristino del potere feudale nella zona, dopo che Federico II di Svevia - in seguito alla congiura di Capaccio, cui parteciparono Pandolfo e Riccardo di Fasanella - ebbe raso al suolo molti dei villaggi della baronia, e certamente quindi anche la sede fortificata di Fasanella, posta su di una collina a circa due chilometri dalla sede attuale. Ai primi del Trecento esisteva ancora un villaggio con questo nome, superstite della vendetta, insieme al più importante villaggio di Sant'Angelo, accresciuto dai profughi del primitivo centro abitato. P. Ebner, in "Chiesa baroni e popolo nel Cilento", ricorda che la località nella quale si osservavano ancora alla fine del Settecento i ruderi di Fasanella era denominata "santa Manfreda" e si trattava anche del luogo nel quale, dai tempi più antichi, si faceva tradizionalmente il mercato; qui era anche una cappella dedicata a San Manfredo, ricordata in un inventario del 1616. Il castello di Fasanella, dunque, è quello nel quale fu inflitto a Teobaldo Francesco, Riccardo e Roberto di Fasanella, oltre a Gisulfo di Maina, Guglielmo Sanseverino, Goffredo di Morra e 150 tra soldati, balestrieri e familiari la terribile mutilazione dell'accecamento e della recisione del braccio, in seguito alle quali torture morirono, prima di essere condotti dinanzi al re. Pandolfo scampò alla cattura fuggendo a Roma, dove aveva ottenuto la protezione del Pontefice Innocenzo IV. È verosimile che al suo rientro con l'avvento di Carlo d'Angiò, non si sia dedicato alla costruzione di un castello che non sarebbe mai stato occupato dalla sua famiglia, dal momento che la moglie era già morta, e senza lasciare eredi. Più probabile è che i beni di Sant'Angelo, pervenuti nuovamente alla corona alla morte di Pandolfo, abbiano cominciato a subire una sistematica organizzazione anche residenziale e militare, in conseguenza della loro identità feudale, quando furono concessi a Tommaso Sanseverino. Certamente, ancora nel 1339 Sant'Angelo era un suffeudo di Bartolomeo Sanseverino, cosa che non lascia supporre una tale autonomia da giustificare la costruzione di un castello. Fu perciò solo con il secondo Tommaso Sanseverino, che acquistò il feudo nel 1426, che il luogo acquisì piena e centrale identità amministrativa. La struttura attuale mostra infatti elementi che non è agevole far risalire molto più indietro nel tempo, mentre - come si è detto - assai numerosi sono stati invece gli interventi successivi. Tra il 1426 ed il 1528, quando la baronia di Fasanella fu venduta dal Principe di Bisignano Pietrantonio di Sanseverino al duca di Martina G. Battista Caracciolo, il toponimo di Fasanella non è più menzionato né tra le località maggiori né tra i casali. Segno evidente che nel frattempo la costruzione del castello a Sant'Angelo ed i successivi ampliamenti avevano indotto anche gli ultimi abitanti di Fasanella ad abbandonare il loro villaggio rudere (o vi erano stati costretti), per ridursi nel borgo maggiore che ormai aveva assunto in pieno la funzione di sede feudale. Dell'impianto dei primi del Quattrocento sussistono certamente, oltre la torre angolare con caditoie, i locali sotterranei, tra i quali due segrete, coperti a botte e formanti un unico ambiente separato da un arcone, accessibili per mezzo di una rampa di scale dalla prima corte interna; provvisti di finestre che si aprono al termine di profonde lunette ogivali, essi dovettero essere adibiti a celle carcerarie, per essere poi adattate ad altri usi con la costruzione di un poggiolo perimetrale, forse negli anni ricordati da una data dipinta presso l'ingresso (1619). Anche le due cisterne, ricavate nella parte estrema della fabbrica, verso il suo fronte settentrionale, sono antiche e direttamente connesse con l'attività dei locali sovrastanti, destinati a mulino, cantina vinaria e olearia e cucina dei famigli. L'ubicazione delle cisterne fa pensare che si sia sfruttato opportunamente il dislivello della roccia, che verso il fronte occidentale è fortemente accentuato, per ridurre il lavoro di scavo e utilizzare il materiale già sul posto per l'erezione del muro perimetrale. I contrafforti visibili su questo lato sono il risultato di interventi provvisionali conseguenti a danni di antichi terremoti, ma risalgono al più tardi al XVII-XVIII secolo. Al piano terra, come già accennato, l'edificio conserva gran parte degli ambienti originariamente destinati all'attività agricola ed agli usi rustici. Così, subito a destra nella prima corte, lo spazio su cui un tempo prospettava una torre quadrangolare (oggi poco riconoscibile, a destra dell'androne di accesso alla seconda corte), fu sistemato forse già nel Settecento come "trappeto" o frantoio per le ulive; vi si conserva gran parte dell'attrezzatura molitoria originale. Di fronte, sempre a piano terra, sono alcuni grandi locali di rimessa; mentre, al di là dell'androne, subito dopo la scala, i locali terranei sono stati adibiti, tra Cinquecento e Settecento, a cantine vinarie (cellai) e olearie, dove si conserva l'originaria attrezzatura dei grandi orci in terracotta murati tutt'intorno all'ambiente. Superata la seconda corte, che ha un lato protetto da uno sperone roccioso e da un muro, verso settentrione, si accede ad un altro profondo androne, che corrisponde all'ala estrema della costruzione. Questa doveva inizialmente arrestarsi in corrispondenza dell'accesso alla grande stalla, costruita verosimilmente più tardi, e disposta trasversalmente, come corpo aggiunto. Al piano superiore vi è l'appartamento ducale, di sviluppo volumetrico inferiore al corpo principale e coperto da una falda autonoma. Una sorta di loggia, cioè, in corrispondenza dell'appartamento della duchessa, i cui vasti ambienti guardavano la Terra sottostante e il paesaggio lontano degli Alburni verso Roccadaspide. Altri locali, anch'essi adibiti a stalla, si trovano sulla sinistra dell'androne, mentre a destra vi è il mulino a macina già ricordato. La scala, aperta subito dopo il primo androne, in posizione coperta, raggiunge il salone principale, dove quattro grandi aperture guardano due la valle e due la montagna. Il salone, oggi in condizioni di estremo degrado per i crolli successivi al terremoto e per i danni prodotti dalle piogge, aveva una copertura a travi in vista, rivestita interamente da strisce di cartapecora sulle quali era dipinta a tempera a vivaci colori una ornamentazione a grottesche floreali, con piccole figure di angeli dal volto femminile, alternate a semplici riquadrature. Tipicamente seicentesca nel gusto e nel soggetto dell'ornamentazione, questa graziosa decorazione popolare è oggi andata pressoché totalmente perduta. Nel salone, al centro della parete meridionale, fu realizzata, in tempi non remoti, una cappella familiare, chiudendo forse un grande camino, della cui canna sussistono ancora in facciata le mensole in pietra. Dal salone, verso sinistra, si attraversa un piccolo ambiente di passaggio coperto con volta a padiglione lunettato, un piccolo camerino di attesa e di sosta, prima di accedere alle camere del piano, costituenti l'appartamento baronale vero e proprio, con le sale di rappresentanza e di soggiorno. Esse sono riccamente ornate da una decorazione a tempera databile tra la fine del Seicento ed i primi del Settecento, tipicamente rococò, che è organizzata come una grandiosa quadratura architettonica di portali, nicchie e grandi finestre finte e cornici mistilinee, che inquadrano sulle pareti principali scorci paesistici di fantasia, con torri, porti, campagne, imbarcazioni, vagamente cineseggianti. Se l'ornamentazione degli ambienti dell'appartamento ducale colpisce per la forza e la disinvoltura degli effetti prospettici e del cromatismo dei suoi toni bruni e dei colpi di luce, allusivi alla materialità del costruito, sia pure effimero, gli ambienti di destra rivelano una ulteriore singolarità; quella di essere stati decorati a servizio di una quadreria, realizzando cioè attorno ai dipinti (di cui oggi non sussiste più alcuna traccia) una ulteriore cornice di sinuosi profili concavo convessi, candeliere, cartocci, che si estende anche qui sino al soffitto, lasciando in basso uno zoccolo di circa un metro, modernamente rifatto, come nell'appartamento ducale. La decorazione deve essere fatta risalire al tempo in cui, pervenuto il feudo in potere della famiglia Capece Galeota, di cui si vedono i grandi stemmi in capo alle porte di comunicazione dell'appartamento ducale, si effettuarono grandi lavori di riattazione e trasformazione, ai quali è da ascrivere anche la costruzione del corpo aggiunto sull'aia occidentale, di cui si è detto, con l'alcova della duchessa. Ciò sarebbe quindi avvenuto quando, acquistato il feudo all'asta dopo il fallimento dei Giovane dopo il 1663, Giacomo Capece Galeota, reggente del Collaterale, vi ottenne il titolo di duca nel 1664. Sposata Eleonora Carafa, si costituì nuovamente un casato nobiliare di Sant'Angelo, al quale si deve verosimilmente la sistemazione del castello e soprattutto la sua ornamentazione. È probabile che già a quel tempo si rendesse necessaria anche l'utilizzazione del sottotetto, come guardaroba e ambienti per la servitù, sicché all'appartamento dell'ultimo piano, di altezza netta inferiore e munito di semplici finestre, fece riscontro una più modesta sistemazione del sottotetto, per la parte immediatamente sovrastante al salone ed alle stanze della quadreria, tinello e cucine. Si spiegano così le tracce di camini e rudimentali servizi igienici che sono ancora presenti in quest'ala. La quadreria è anche l'unico ambiente che si apre sulla valle con un piccolo ma singolare terrazzo, il quale sfrutta probabilmente quanto restava di una torre angolare, avendo al di sotto anche una postazione per una piccola bocca da fuoco o un cunicolo di sortita, non meglio identificabile senza opportuni saggi. Il castello di Sant'Angelo fu acquistato dalla famiglia Leggio (che ancora ne ha il possesso) dopo il 1816, in seguito alle leggi eversive della feudalità del Bonaparte. Ha subìto gravissimi danni in seguito al terremoto del novembre 1980 ed ai successivi; ma ancora più gravi sono stati i danni provocati dal conseguente abbandono, che ha comportato crolli ulteriori e il deterioramento di buona parte dell'apparato ornamentale ora descritto, pur essendo stato vincolato come edificio di interesse storico artistico, insieme con il territorio che lo circonda.

Fonte: http://phasanella.altervista.org/index.php/castello.html

Foto: da http://www.parks.it/parco.nazionale.cilento/gallery_dettaglio.php?id=9242 e di Costa del Cilento su http://www.panoramio.com

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