SANT'ANGELO A FASANELLA (SA) - Castello baronale
Giungendo a Sant'Angelo si nota
immediatamente lo sperone roccioso che emerge con evidenza, con le
caratteristiche laminazioni del calcare locale, rocca naturale sulla quale
sorge il castello baronale, isolato e ormai abbastanza malridotto dopo il
terremoto del 1980. L'edificio occupa la parte preminente dell'abitato più
antico, lasciando ai suoi margini solo poco più che delle ripide scarpate, in
gran parte inaccessibili. Il castello utilizza, insomma, la quasi totalità
della superficie disponibile, avendo all'ingresso una vasta corte esterna di
forma trapezoidale, che costituisce il 'guasto' o largo del castello, a fini di
difesa, tipica di tali strutture soprattutto nella loro più antica
organizzazione. Poiché la superficie disponibile sulla terrazza naturale non
consentiva lo sviluppo con corpi di fabbrica estesi sui quattro lati, il
fabbricato fu articolato già in origine, prima delle modifiche successive, come
una L rovesciata fortemente allungata, il cui braccio maggiore seguiva il bordo
meridionale del pianoro, mentre il braccio minore, cui si affiancarono corpi di
fabbrica secondari, fronteggiava il paese verso sud ovest, dove - sotto la
ripida scarpata naturale - un breve spazio destinato ad orto e uliveto
costituiva un'altra piazza a ridosso delle basse mura meridionali. Le corti
avevano perciò una configurazione parzialmente aperta verso nord, dove la forte
pendenza e gli strapiombi della roccia rendevano l'accesso molto difficile.
L'edificio attuale conserva solo limitatamente l'aspetto di quello che doveva
essere l'antico impianto. Nella facciata meridionale verso valle, corrispondente
al lato più lungo del fabbricato, si riconoscono le tracce di importanti
trasformazioni subite dall'antico edificio nel corso dei secoli; in particolare
una notevole variazione nella disposizione e nel numero delle aperture,
originariamente più piccole, corrispondente alla successiva destinazione a
palazzo patrizio, già verosimilmente alla fine del XVI secolo. Di rilevante
interesse urbanistico è l'insediamento della chiesa parrocchiale di Santa Maria
Maggiore, su di uno sperone naturale accanto al castello, posta quasi di fronte
all'ingresso della prima corte. Qui si spezza l'antica via della Chiesa o via
Roma per riprendere più giù, con le prima case dell'antico abitato subordinato
al castello, dove la strada conserva ancora il toponimo medioevale di "via
piedi la terra". La conferma della posizione centrale e dominante del
castello viene dall'estensione del territorio che lo circonda, ancora in parte
munito di mura e resti di torri, come verso la via comunale dei "Iardini",
altro toponimo che ricorda le sistemazioni a terrazze ortive di questo lato del
paese e del terreno competente al castello. Tornando alla configurazione della
fabbrica, è evidente la sua organizzazione a corti successive, rispetto alle
quali era ancora possibile, per tutto l'Ottocento, se necessario, apprestare
una difesa costituita da sbarramenti successivi, prima di giungere alla scala
che conduce agli appartamenti. Di tale organizzazione difensiva è oggi visibile
soprattutto la torre angolare, ancora provvista di saettiere e mensole delle
caditoie, ma priva del coronamento della merlatura; altre saettiere si
riconoscono lungo il muro perimetrale sul prospetto orientale, raggiungibili un
tempo con passerelle in legno oggi scomparse, ma di cui si notano ancora i fori
d'imposta. Il castello attuale deve la sua costruzione al ripristino del potere
feudale nella zona, dopo che Federico II di Svevia - in seguito alla congiura
di Capaccio, cui parteciparono Pandolfo e Riccardo di Fasanella - ebbe raso al
suolo molti dei villaggi della baronia, e certamente quindi anche la sede
fortificata di Fasanella, posta su di una collina a circa due chilometri dalla
sede attuale. Ai primi del Trecento esisteva ancora un villaggio con questo
nome, superstite della vendetta, insieme al più importante villaggio di
Sant'Angelo, accresciuto dai profughi del primitivo centro abitato. P. Ebner,
in "Chiesa baroni e popolo nel Cilento", ricorda che la località
nella quale si osservavano ancora alla fine del Settecento i ruderi di
Fasanella era denominata "santa Manfreda" e si trattava anche del
luogo nel quale, dai tempi più antichi, si faceva tradizionalmente il mercato;
qui era anche una cappella dedicata a San Manfredo, ricordata in un inventario
del 1616. Il castello di Fasanella, dunque, è quello nel quale fu inflitto a
Teobaldo Francesco, Riccardo e Roberto di Fasanella, oltre a Gisulfo di Maina,
Guglielmo Sanseverino, Goffredo di Morra e 150 tra soldati, balestrieri e
familiari la terribile mutilazione dell'accecamento e della recisione del
braccio, in seguito alle quali torture morirono, prima di essere condotti
dinanzi al re. Pandolfo scampò alla cattura fuggendo a Roma, dove aveva
ottenuto la protezione del Pontefice Innocenzo IV. È verosimile che al suo
rientro con l'avvento di Carlo d'Angiò, non si sia dedicato alla costruzione di
un castello che non sarebbe mai stato occupato dalla sua famiglia, dal momento
che la moglie era già morta, e senza lasciare eredi. Più probabile è che i beni
di Sant'Angelo, pervenuti nuovamente alla corona alla morte di Pandolfo,
abbiano cominciato a subire una sistematica organizzazione anche residenziale e
militare, in conseguenza della loro identità feudale, quando furono concessi a
Tommaso Sanseverino. Certamente, ancora nel 1339 Sant'Angelo era un suffeudo di
Bartolomeo Sanseverino, cosa che non lascia supporre una tale autonomia da
giustificare la costruzione di un castello. Fu perciò solo con il secondo
Tommaso Sanseverino, che acquistò il feudo nel 1426, che il luogo acquisì piena
e centrale identità amministrativa. La struttura attuale mostra infatti
elementi che non è agevole far risalire molto più indietro nel tempo, mentre -
come si è detto - assai numerosi sono stati invece gli interventi successivi.
Tra il 1426 ed il 1528, quando la baronia di Fasanella fu venduta dal Principe
di Bisignano Pietrantonio di Sanseverino al duca di Martina G. Battista
Caracciolo, il toponimo di Fasanella non è più menzionato né tra le località
maggiori né tra i casali. Segno evidente che nel frattempo la costruzione del
castello a Sant'Angelo ed i successivi ampliamenti avevano indotto anche gli
ultimi abitanti di Fasanella ad abbandonare il loro villaggio rudere (o vi
erano stati costretti), per ridursi nel borgo maggiore che ormai aveva assunto
in pieno la funzione di sede feudale. Dell'impianto dei primi del Quattrocento
sussistono certamente, oltre la torre angolare con caditoie, i locali
sotterranei, tra i quali due segrete, coperti a botte e formanti un unico
ambiente separato da un arcone, accessibili per mezzo di una rampa di scale
dalla prima corte interna; provvisti di finestre che si aprono al termine di
profonde lunette ogivali, essi dovettero essere adibiti a celle carcerarie, per
essere poi adattate ad altri usi con la costruzione di un poggiolo perimetrale,
forse negli anni ricordati da una data dipinta presso l'ingresso (1619). Anche
le due cisterne, ricavate nella parte estrema della fabbrica, verso il suo
fronte settentrionale, sono antiche e direttamente connesse con l'attività dei
locali sovrastanti, destinati a mulino, cantina vinaria e olearia e cucina dei
famigli. L'ubicazione delle cisterne fa pensare che si sia sfruttato
opportunamente il dislivello della roccia, che verso il fronte occidentale è
fortemente accentuato, per ridurre il lavoro di scavo e utilizzare il materiale
già sul posto per l'erezione del muro perimetrale. I contrafforti visibili su
questo lato sono il risultato di interventi provvisionali conseguenti a danni
di antichi terremoti, ma risalgono al più tardi al XVII-XVIII secolo. Al piano
terra, come già accennato, l'edificio conserva gran parte degli ambienti
originariamente destinati all'attività agricola ed agli usi rustici. Così,
subito a destra nella prima corte, lo spazio su cui un tempo prospettava una
torre quadrangolare (oggi poco riconoscibile, a destra dell'androne di accesso
alla seconda corte), fu sistemato forse già nel Settecento come
"trappeto" o frantoio per le ulive; vi si conserva gran parte
dell'attrezzatura molitoria originale. Di fronte, sempre a piano terra, sono
alcuni grandi locali di rimessa; mentre, al di là dell'androne, subito dopo la
scala, i locali terranei sono stati adibiti, tra Cinquecento e Settecento, a
cantine vinarie (cellai) e olearie, dove si conserva l'originaria attrezzatura
dei grandi orci in terracotta murati tutt'intorno all'ambiente. Superata la
seconda corte, che ha un lato protetto da uno sperone roccioso e da un muro,
verso settentrione, si accede ad un altro profondo androne, che corrisponde
all'ala estrema della costruzione. Questa doveva inizialmente arrestarsi in
corrispondenza dell'accesso alla grande stalla, costruita verosimilmente più
tardi, e disposta trasversalmente, come corpo aggiunto. Al piano superiore vi è
l'appartamento ducale, di sviluppo volumetrico inferiore al corpo principale e
coperto da una falda autonoma. Una sorta di loggia, cioè, in corrispondenza
dell'appartamento della duchessa, i cui vasti ambienti guardavano la Terra
sottostante e il paesaggio lontano degli Alburni verso Roccadaspide. Altri
locali, anch'essi adibiti a stalla, si trovano sulla sinistra dell'androne,
mentre a destra vi è il mulino a macina già ricordato. La scala, aperta subito
dopo il primo androne, in posizione coperta, raggiunge il salone principale,
dove quattro grandi aperture guardano due la valle e due la montagna. Il
salone, oggi in condizioni di estremo degrado per i crolli successivi al
terremoto e per i danni prodotti dalle piogge, aveva una copertura a travi in
vista, rivestita interamente da strisce di cartapecora sulle quali era dipinta
a tempera a vivaci colori una ornamentazione a grottesche floreali, con piccole
figure di angeli dal volto femminile, alternate a semplici riquadrature.
Tipicamente seicentesca nel gusto e nel soggetto dell'ornamentazione, questa
graziosa decorazione popolare è oggi andata pressoché totalmente perduta. Nel
salone, al centro della parete meridionale, fu realizzata, in tempi non remoti,
una cappella familiare, chiudendo forse un grande camino, della cui canna
sussistono ancora in facciata le mensole in pietra. Dal salone, verso sinistra,
si attraversa un piccolo ambiente di passaggio coperto con volta a padiglione
lunettato, un piccolo camerino di attesa e di sosta, prima di accedere alle
camere del piano, costituenti l'appartamento baronale vero e proprio, con le
sale di rappresentanza e di soggiorno. Esse sono riccamente ornate da una
decorazione a tempera databile tra la fine del Seicento ed i primi del
Settecento, tipicamente rococò, che è organizzata come una grandiosa quadratura
architettonica di portali, nicchie e grandi finestre finte e cornici
mistilinee, che inquadrano sulle pareti principali scorci paesistici di
fantasia, con torri, porti, campagne, imbarcazioni, vagamente cineseggianti. Se
l'ornamentazione degli ambienti dell'appartamento ducale colpisce per la forza
e la disinvoltura degli effetti prospettici e del cromatismo dei suoi toni
bruni e dei colpi di luce, allusivi alla materialità del costruito, sia pure
effimero, gli ambienti di destra rivelano una ulteriore singolarità; quella di
essere stati decorati a servizio di una quadreria, realizzando cioè attorno ai
dipinti (di cui oggi non sussiste più alcuna traccia) una ulteriore cornice di
sinuosi profili concavo convessi, candeliere, cartocci, che si estende anche
qui sino al soffitto, lasciando in basso uno zoccolo di circa un metro,
modernamente rifatto, come nell'appartamento ducale. La decorazione deve essere
fatta risalire al tempo in cui, pervenuto il feudo in potere della famiglia
Capece Galeota, di cui si vedono i grandi stemmi in capo alle porte di
comunicazione dell'appartamento ducale, si effettuarono grandi lavori di
riattazione e trasformazione, ai quali è da ascrivere anche la costruzione del
corpo aggiunto sull'aia occidentale, di cui si è detto, con l'alcova della
duchessa. Ciò sarebbe quindi avvenuto quando, acquistato il feudo all'asta dopo
il fallimento dei Giovane dopo il 1663, Giacomo Capece Galeota, reggente del
Collaterale, vi ottenne il titolo di duca nel 1664. Sposata Eleonora Carafa, si
costituì nuovamente un casato nobiliare di Sant'Angelo, al quale si deve
verosimilmente la sistemazione del castello e soprattutto la sua
ornamentazione. È probabile che già a quel tempo si rendesse necessaria anche
l'utilizzazione del sottotetto, come guardaroba e ambienti per la servitù,
sicché all'appartamento dell'ultimo piano, di altezza netta inferiore e munito
di semplici finestre, fece riscontro una più modesta sistemazione del
sottotetto, per la parte immediatamente sovrastante al salone ed alle stanze
della quadreria, tinello e cucine. Si spiegano così le tracce di camini e
rudimentali servizi igienici che sono ancora presenti in quest'ala. La
quadreria è anche l'unico ambiente che si apre sulla valle con un piccolo ma
singolare terrazzo, il quale sfrutta probabilmente quanto restava di una torre
angolare, avendo al di sotto anche una postazione per una piccola bocca da
fuoco o un cunicolo di sortita, non meglio identificabile senza opportuni
saggi. Il castello di Sant'Angelo fu acquistato dalla famiglia Leggio (che
ancora ne ha il possesso) dopo il 1816, in seguito alle leggi eversive della
feudalità del Bonaparte. Ha subìto gravissimi danni in seguito al terremoto del
novembre 1980 ed ai successivi; ma ancora più gravi sono stati i danni
provocati dal conseguente abbandono, che ha comportato crolli ulteriori e il
deterioramento di buona parte dell'apparato ornamentale ora descritto, pur
essendo stato vincolato come edificio di interesse storico artistico, insieme
con il territorio che lo circonda.
Fonte: http://phasanella.altervista.org/index.php/castello.html
Foto: da http://www.parks.it/parco.nazionale.cilento/gallery_dettaglio.php?id=9242
e di Costa del Cilento su http://www.panoramio.com
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