venerdì 21 agosto 2015

Il castello di sabato 22 agosto






SAN POLO MATESE (CB) - Castello longobardo


San Polo Matese deve la sua origine alla posizione di controllo di una delle vie che, inerpicandosi tra i contrafforti del Matese, permette di raggiungere il cuore del massiccio. Posizionato su un colle dalle caratteristiche non particolarmente aspre anche se sufficientemente scoscese per attrezzare un sistema murario, ha perso la buona parte dell’impianto difensivo antico e quello che rimane è appena sufficiente per farci capire il disegno complessivo del piccolo nucleo fortificato. San Polo ha sofferto non solo delle medesime vicende accadute a tutti i centri che non hanno avuto il privilegio di particolari condizioni economiche o la fortuna di far parte di un organico sistema stradale, ma anche delle sventure naturali tra le quali il disastroso terremoto del 1805 che, secondo la cronache, fece almeno 130 vittime (A. SPINA, S. Polo Matese, un paese molisano, Campobasso 1992. ). Si aggiunga che l’analisi della stratigrafia urbana diventa oltremodo difficile per il quasi totale silenzio dei documenti più antichi dai quali ricavare significative notizie per collocare storicamente la sua origine. Mettendo da parte la fantasiosa ipotesi creata da Alfonso Perrella in occasione di una recita letteraria su una improbabile e indimostrabile origine del paese in conseguenza dei Vespri Siciliani del 1282 ed una successiva migrazione di siciliani nel territorio matesino, più interessante è la concessione di Rodolfo di Molise con la quale, nel 1080, concede al vescovo di Boiano i quattro feudi di S. Paolo (S. Polo Matese), di S. Stefano, di S. Pietro nei pressi di Vinchiaturo e di Tremonti presso Guardiaregia (A. PERRELLA, L’Antico Sannio, Isernia 1889, p. 466.). San Paolo, che poi per corruzione popolare, come è accaduto in altre parti d’Italia, si è modificata in una intitolazione ad un inesistente San Polo, già esisteva nel 1080 e la sua storia deve inquadrarsi in una serie di avvenimenti che videro come interlocutori i conti di Molise e l’abate Desiderio di Montecassino nel quadro più ampio dell’espansione del potere normanno nel territorio molisano. Più interessante per capire quale fosse la funzione militare di S. Polo in epoca sveva è il successivo documento del 1241 (G. DE BENEDITTIS (a cura di ), I Registri Gallucci – Documenti per la storia di Boiano e del suo territorio dal 1000 al 1600, Ercolano 1990, p. 103.) relativo alla ricognizione dei beni della diocesi di Boiano (Codice Latino 8222). Tra gli altri viene citata la chiesa di S. Polo: item de ecclesia castri Sancti Poli planetam unam de purpura, et panno de zendato rubeo, pro tarenis aureis duobus. Si tratta di una definizione che certamente deve riferirsi ad una situazione precedente alle iniziative federiciane di potenziamento solo dei castelli imperiali. Nell’elenco dei nuclei abitati che sono tenuti a contribuire alla riparazione del castrum Boiani non appare il nome di S. Polo che, evidentemente, è compreso nelle cosiddette baronie domini Thomasii de Molisio forse per la poca importanza del suo nucleo urbano: Item castrum Boyani reparari debet per homines ipsius terre, Montis Viridis, Castelli Vecclis, baronie Castri Pignani, Campi bassi, Ysernie, Rocce Madelunie, Cantalupi et baronie domini Thomasii de Molisio. Tuttavia la precedente definizione di castrum attesta la dotazione di mura urbane ed il carattere difensivo del suo impianto in epoca normanna, probabilmente in seguito alla sua aggregazione alla diocesi di Boiano. S. Polo (o S. Paolo) non appare nell’elenco delle chiese della diocesi di Boiano che pagavano le decime nella prima metà del XIV secolo anche se nelle Rationes Decimarum sono citati gli altri paesi contermini insieme a luoghi di cui non è facile trovare il riferimento attuale. Fino alla metà del XV secolo il feudo di S. Polo fu dipendente della mensa vescovile di Boiano, ma tra l’1 e il 18 maggio del 1457 (un anno dopo il disastroso terremoto del 1456) Alfonso I d’Aragona delegava il commissario Gregorio di Campitello a raccogliere il giuramento di fedeltà degli eredi di Francesco Pandone i quali accettavano che a Scipione venissero assegnati la città e le terre di Venafro, il castello di S. Pietro Infine, di Ailano, di Mastrati, il castello diruto di Rocca S. Vito, la baronia di Prata, la città di Boiano (… propter terremotum totaliter ruinata…), i castelli di Guardaregia e di Rocchetta a Volturno, la capitaneria di S. Polo Matese, le terre di Pratella, Ciorlano, Capriati, Fossaceca, Gallo e Letino (G. MORRA, Una dinastia feudale: i Pandone di Venafro, Campobasso 1985, p.18. ). La notizia è utile per capire che S. Polo in quell’epoca aveva la funzione di capitaneria e che, quindi, comunque avesse un castello in cui il capitano doveva risiedere (A.S.N. (Archivio di Stato di Napoli) Camera della Sommaria – Petizioni e significatorie dei relevi, vol. I cc.47 r. e v. (da G. Morra)). La funzione di capitaneria risulta confermata nel 1492 quando, con privilegio di Ferrante I d’Aragona, Carlo Pandone, erede di Scipione, si vede confermati i titoli e le concessioni attribuite a suo padre e nel castello di S. Polo il capitano risulta abilitato ad esercitare il mero e misto imperio (C. CAETANI, Regesta chartarum, VI, doc. 2988, Sancasciano Val di Pesa 1928, p. 163 (da G. Morra)) che era un jus che si riferiva non solo alle vertenze civili ed amministrative, ma anche alle cause penali. Il titolare di tale diritto applicava, a seconda del reato, pene variabili che potevano prevedere anche l’amputazione di arti, fino alla condanna a morte. Nel 1531 la terra di S. Polo è citata in un rilievo dei beni appartenuti a Enrico Pandone prima della confisca seguita alla sua decapitazione per alto tradimento quando lasciò Carlo V per schierarsi con i Francesi. E’ interessante notare che in quell’anno S. Polo avesse una popolazione di 70 fuochi ed una rendita di 118 ducati, 50 dei quali Enrico era tenuto a versarli per censo al vescovo di Boiano e 60 a sua madre che vantava crediti per le garanzie prestate per l’assegno dotale (G. MORRA, Una dinastia ecc, op. cit. , p.85.). Dalla documentazione sopravvissuta sappiamo che i Pandone possedevano nel territorio di S. Polo quattro molini ed una scuderia di 50 cavalli. Dopo la confisca i beni furono venduti dalla Regia Corte, S. Polo fu acquistato da Camillo Gaetani e tenuto dal 1531 al 1532. Il feudo sicuramente subì la stessa sorte di altri feudi dei Pandone passando nelle mani di Francesca Mombel, vedova del vicerè di Napoli Carlo Lannoy, che lo aveva acquistato, e successivamente al figlio Filippo nel 1552 e al nipote Carlo nel 1553 e infine al di lui fratello Orazio nel 1568. Masciotta, riprendendo da Lorenzo Giustiniani (L. GIUSTINIANI, Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli, Vol. VIII. Napoli 1797, p. 216), attribuisce successivamente il feudo di S. Polo ai Mormile e poi ai Filomarino, succeduti ai di Costanzo che erano stati signori di Boiano. In altri termini S. Polo, proprio per il suo carattere di assoggettamento alla cattedrale, ha subito le stesse sorti feudali di Boiano con l’obbligo dei suoi feudatari di corrispondere annualmente alla mensa vescovile una sorta di risarcimento disposto da Alfonso d’Aragona a far data dall’usurpazione fatta da Francesco Pandone. In tal modo il pagamento di un canone garantiva al vescovo la conservazione dei diritti dominicali e del titolo baronale. Masciotta riferisce che dai documenti del 1738 risulta che il Principe di Colledanchise, feudatario di Boiano, pagava al vescovo il canone annuo di 50 ducati (G.B. MASCIOTTA, Il Molise ecc., op. cit, vol. III, p. 482-483). Oggi del castello di San Polo rimangono pochi ruderi ormai inglobati negli edifici che nel tempo si sono impiantati sulle strutture murarie sopravvissute. Non è facile capire da quel poco che rimane quale fosse il suo sviluppo planimetrico. Sul lato nord orientale del paese rimane una torre circolare nella cui base, mediante una breccia di epoca relativamente recente, è stato ricavato un passaggio. Sembra però che non si tratti di una torre del castello vero e proprio quanto piuttosto uno degli elementi di raccordo della cinta muraria urbana realizzata in quella parte del paese che era più vulnerabile. Ad essa dovevano attaccarsi, da un lato e dall’altro, due tratti di muro che costituivano parte della difesa che probabilmente conteneva una delle due porte. Quella che in genere viene definita come porta da capo, presumibilmente posta nelle adiacenze della chiesa di S. Nicola che, per essere dedicata al patrono della comunità, certamente è la chiesa più antica del nucleo. Una seconda torre, invece, per essere stata trasformata in campanile della contigua chiesa di S. Pietro in Vincoli, probabilmente era parte del castello. Ciò che rimane di una base di torre circolare, sul lato sud occidentale, può in qualche modo farci ritenere che una delle facce del quadrilatero del castello corrispondesse in linea di massima all’allineamento dell’attuale facciata della chiesa di S. Pietro in Vincoli che, ovviamente, nel XIV secolo ancora non esisteva. Non solo le fonti, ma anche le sopravvivenze murarie sono avare di informazioni, sicché non rimane che limitarci a congetture per capire cosa sia accaduto al castello di S. Polo. Fino all’epoca di Enrico Pandone e dei suoi immediati successori, ovvero fino alla metà del XVI secolo una struttura di una certa consistenza doveva ancora sopravvivere se è vero che era sede di una capitaneria in cui si esercitava il mero e misto imperio, ovvero vi si amministrava la giustizia del suo territorio. All’epoca dei Pandone (fine XV e inizio XVI secolo) non sembra siano state effettuate trasformazioni particolari. I conti venafrani avevano trovato una struttura quadrangolare munita di almeno tre torri circolari la cui epoca di costruzione certamente non è anteriore al XIV secolo. Dunque l’impianto originario, o comunque la struttura dell’XI secolo, era sicuramente molto più semplice. Poco più di un quadrilatero privo di torri negli angoli. Non conosciamo l’epoca di fondazione della chiesa che oggi è attaccata ad una delle due torri sopravvissute, ma è lecito supporre che sia di epoca successiva al terremoto del 1456, e, presumibilmente, dopo il dominio dei Pandone che, come sappiamo, terminò nel 1528 con la condanna a morte di Enrico.

 
Fonti: http://www.francovalente.it/?p=193 - da Franco Valente,Castelli, rocche e cinte fortificate del Molise” (Volume in preparazione)


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