MONTE VIDON COMBATTE (FM) – Mura e palazzo Pelagallo
Monte Vidon Combatte è situato su di una collina, all'interno della media Val
d’Aso, sul versante sinistro del fiume Aso. Per la sua posizione strategica è
sempre stato oggetto di contese tra la giurisdizione di Fermo e quelle dell’abbazia
di Farfa. La leggenda narra:
"C'era una volta, sul colle della sponda
sinistra del fiume Aso, un antico Castello munito e forte, e Guidone ne era il
feudatario. Un brutto giorno però, come spesso accadeva in quei tempi
litigiosi, egli entrò in guerra contro il signore della Rocca Monte Varmine,
che voleva espandersi anche sull'altra sponda del fiume, e Guidone, ahimè, era
proprio di fronte al suo Castello. La battaglia si faceva sempre più cruenta e
venutosi a trovare in grande difficoltà Guidone incaricò un messaggero di
consegnare una missiva a suo fratello Corrado che era Signore di un Castello
nelle vicinanze. Il messaggero arrivò al galoppo al cospetto di Corrado. Questi
lo accolse e lesse il messaggio che il fratello Guidone gli aveva fatto
recapitare: “Corri Corrado che Guidon
Combatte!”. Era una richiesta disperata di aiuto da parte di
Guidone che stava con fierezza resistendo al nemico. Dell'esito di
quella battaglia nessuno sa a tutt'oggi il responso, ma probabilmente la
minaccia fu respinta e Guidone ebbe la meglio, grazie al soccorso fraterno,
tanto che da quel giorno in poi i Castelli dei due fratelli Corrado e Guidone
furono legati indissolubilmente da questo fatto d'armi medievale e chiamati:
Monte Vidon (da Guidone) Combatte e Monte Vidon Corrado.". Il
paese, successivamente, seguì le vicende della città di Fermo, di cui divenne
un produttivo possedimento agricolo. Monte Vidon Combatte è un castello su
un’altura il cui circuito murario ricalca le fattezze del sito, di pianta
vagamente trapezioidale. Intorno al paese è conservato buona parte del
tracciato delle cortine castellane caratterizzate (specie quelle del fronte
meridionale) da una scarpatura in pietrame e da una torre rompitratta prossima
ad un loggiato pensile innestato proprio sulla scarpatura che precede di pochi
metri l’odierno ingresso.
Le mura, recentemente restaurate,
nel corso dei secoli XIV e XV furono dotate di torri rompitratta: alla
porta principale venne associata un’antiporta con dispositivo a trappola (porta
a doppio fornice), ponte levatoio e caditoie. L’elemento fortificato di spicco
è la
Ianua Castri, un corpo di fabbrica che ha subito almeno due momenti
costruttivi.
Prima di immetterci nella Porta a doppio
fornice della metà del XIV sec., l’attenzione viene attirata dalla loggia a
cinque archi, incorporata in un palazzo privato, il Palazzo Pelagallo di origine
trecentesca, una volta di proprietà di signori feudali. L’odierno
ingresso cui si accede per il tramite di una ripida rampa non è quello
originario, essendo stato (quello più tardo) ricavato sventrando la parte est
dell’edificio che costituisce la porta castellana. Il primogenio ingresso si
trova infatti a meridione, forse anticamente appellato “
Porta da Sole”. Il
fornice della porta originaria con arco ogivale (quindi di matrice trecentesca)
è ripetuto in quello di uscita, seppure di restauro. Trovandosi a dislivello la
porta era servita da una rampa successivamente demolita, allorché si è deciso
di spostare l’ingresso da meridione a oriente. La porta era attrezzata alla sua
destra con una feritoia da spingardella, arma da fuoco leggera su cavalletto. La
realizzazione del secondo fornice (caratterizzato da un arco a tutto sesto) ha
determinato un innalzamento della quota del piano interno di calpestio della
porta castellana, con parziale tamponamento del primigenio fornice ogivale ed
in parte anche della feritoria da artiglieria leggiera testé menzionata. L’odierna
copertura a capanna del corpo di fabbrica analizzato, ha sostituito un
apprestamento in aggetto su sporto di beccatelli e caditoie che coronavano con
il parapetto merlato la porzione terminale della torre portaia. Di questo
apprestamento residuano due grossi beccatelli nel lato posteriore della torre,
ove verosimilmente si trovava il probabile ingresso a dislivello per accedere
negli alloggi delle scolte deputate alla difesa della porta (il vano soprastante
all’androne della porta-torre era infatti verosimilmente destinato ad alloggio
delle scolte). L’androne è caratterizzato dalla presenza nella parete ovest di
tracce di un affresco cui oggi è stata aggiunta in posizione sottostante la
riproduzione ceramica di una Madonna crivellesca.
Attraverso
il primo fornice, alquanto suggestivo si accede al vecchio incasato; superato
il secondo, per un altro arco, si arriva al centro storico, interessante per la
Chiesa Parrocchiale di San Biagio, progettata dall’architetto ticinese Pietro
Maggi sul finire del secolo XVIII
, dotata di
un possente campanile recentemente restaurato. La torre campanaria della
chiesa parrocchiale si fonda sui resti di una torre quadrata del perimetro
castellano di chiara matrice militare: ne fanno fede diverse feritorie per
bombardiere.
Maurizio Mauro, Castelli
rocche torri cinte fortificate delle Marche (I castelli dello Stato di Fermo),
castella 72, vol. IV, Tomo II, [Roma], Istituto Italiano dei Castelli /
Adriapress Ravenna, 2002; pp. 395-399; l’opera complessiva è di 8 volumi
La torre rompitratta, ovvero
l’ingresso del castello, ha subito numerose modifiche dalla sua origine
altomedievale (X-XII sec.) grazie alle alterne vicende del suo fossato e del ponte
levatoio. Con il ponte levatoio aumentava la capacità di difesa della torre
tenendo a maggior distanza dalle mura gli eventuali assalitori. Tutto
l’edificio di ingresso risultava probabilmente più basso di oggi e vi era una
merlatura (le cui tracce si possono intravedere nella muratura) presidiata da
arcieri. Certamente dalla seconda metà del XV al XVII sec., la struttura del
castello e della porta d’ingresso subì dei cambiamenti. In effetti in questo
lasso di tempo vennero realizzate le evidenti scarpature, le feritorie per le
armi da fuoco (per bombardiere, spingardella, ecc…) in molti punti della cinta
delle mura, ed in particolar modo sulla torre a nord del castello, anch’essa
cimata come richiesto dalle nuove esigenze militari (base della futura torre
campanaria progettata da Pietro Maggi sul finire del XVIII sec); forse sempre
nello stesso periodo fu realizzata la copertura a capanna della torre
rompitratta. Ci fu quindi sicuramente un adeguamento alle nuove tecniche
guerresche di tutto l’apparato difensivo del Castrum. Non è noto se
nello stesso periodo o in epoca più tarda, ma di certo il ponte levatoio
dovette rappresentare una scomodità. Bisogna considerare che il fossato
richiedeva una certa manutenzione e se molti erano i suoi vantaggi, ben molti
erano anche i suoi svantaggi, come le esalazioni maleodoranti, le malattie che
può portare l’acqua stagnante e, nel caso in questione, l’eccessivo
restringimento del tratto stradale, oltremodo scomodo: si preferì eliminare il
ponte levatoio e il fossato. Così facendo si abbassò il profilo della torre
rompitratta e venne forse deciso di elevarla di qualche metro coprendo i vecchi
merli (ormai solo un ricordo dei vecchi metodi di guerra) e di predisporla di
feritoie anche basse per fornire la difesa radente, tecnica utilizzata dalla
comparsa delle armi da fuoco. In effetti abbiamo ancora oggi la testimonianza
di una feritoia da spingardella, arma da fuoco leggera che si usava su un
cavalletto, che è posta proprio in direzione d’entrata al castello. All’estremità
alta della torre è visibile un semicerchio, presumibilmente di un vecchio
orologio o di una meridiana: forse era realizzato dello stesso stile di quello
più piccolo in basso oggi visibile.
Gianluca Monaldi, L’architettura
militare nel fondo antico a stampa della biblioteca Oliveriana di Pesaro,
tesi di laurea dattiloscritta in Conservazione dei Beni Culturali, Urbino,
2006.
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