sabato 22 aprile 2017

Il castello di domenica 23 aprile






MONTE VIDON COMBATTE (FM) – Mura e palazzo Pelagallo

Monte Vidon Combatte è situato su di una collina, all'interno della media Val d’Aso, sul versante sinistro del fiume Aso. Per la sua posizione strategica è sempre stato oggetto di contese tra la giurisdizione di Fermo e quelle dell’abbazia di Farfa. La leggenda narra: "C'era una volta, sul colle della sponda sinistra del fiume Aso, un antico Castello munito e forte, e Guidone ne era il feudatario. Un brutto giorno però, come spesso accadeva in quei tempi litigiosi, egli entrò in guerra contro il signore della Rocca Monte Varmine, che voleva espandersi anche sull'altra sponda del fiume, e Guidone, ahimè, era proprio di fronte al suo Castello. La battaglia si faceva sempre più cruenta e venutosi a trovare in grande difficoltà Guidone incaricò un messaggero di consegnare una missiva a suo fratello Corrado che era Signore di un Castello nelle vicinanze. Il messaggero arrivò al galoppo al cospetto di Corrado. Questi lo accolse e lesse il messaggio che il fratello Guidone gli aveva fatto recapitare: “Corri Corrado che Guidon Combatte!”. Era una richiesta disperata di aiuto da parte di Guidone che stava con fierezza resistendo al nemico. Dell'esito di quella battaglia nessuno sa a tutt'oggi il responso, ma probabilmente la minaccia fu respinta e Guidone ebbe la meglio, grazie al soccorso fraterno, tanto che da quel giorno in poi i Castelli dei due fratelli Corrado e Guidone furono legati indissolubilmente da questo fatto d'armi medievale e chiamati: Monte Vidon (da Guidone) Combatte e Monte Vidon Corrado.". Il paese, successivamente, seguì le vicende della città di Fermo, di cui divenne un produttivo possedimento agricolo. Monte Vidon Combatte è un castello su un’altura il cui circuito murario ricalca le fattezze del sito, di pianta vagamente trapezioidale. Intorno al paese è conservato buona parte del tracciato delle cortine castellane caratterizzate (specie quelle del fronte meridionale) da una scarpatura in pietrame e da una torre rompitratta prossima ad un loggiato pensile innestato proprio sulla scarpatura che precede di pochi metri l’odierno ingresso. Le mura, recentemente restaurate, nel corso dei secoli XIV e XV furono dotate di torri rompitratta: alla porta principale venne associata un’antiporta con dispositivo a trappola (porta a doppio fornice), ponte levatoio e caditoie. L’elemento fortificato di spicco è la Ianua Castri, un corpo di fabbrica che ha subito almeno due momenti costruttivi. Prima di immetterci nella Porta a doppio fornice della metà del XIV sec., l’attenzione viene attirata dalla loggia a cinque archi, incorporata in un palazzo privato, il Palazzo Pelagallo di origine trecentesca, una volta di proprietà di signori feudali. L’odierno ingresso cui si accede per il tramite di una ripida rampa non è quello originario, essendo stato (quello più tardo) ricavato sventrando la parte est dell’edificio che costituisce la porta castellana. Il primogenio ingresso si trova infatti a meridione, forse anticamente appellato “Porta da Sole”. Il fornice della porta originaria con arco ogivale (quindi di matrice trecentesca) è ripetuto in quello di uscita, seppure di restauro. Trovandosi a dislivello la porta era servita da una rampa successivamente demolita, allorché si è deciso di spostare l’ingresso da meridione a oriente. La porta era attrezzata alla sua destra con una feritoia da spingardella, arma da fuoco leggera su cavalletto. La realizzazione del secondo fornice (caratterizzato da un arco a tutto sesto) ha determinato un innalzamento della quota del piano interno di calpestio della porta castellana, con parziale tamponamento del primigenio fornice ogivale ed in parte anche della feritoria da artiglieria leggiera testé menzionata. L’odierna copertura a capanna del corpo di fabbrica analizzato, ha sostituito un apprestamento in aggetto su sporto di beccatelli e caditoie che coronavano con il parapetto merlato la porzione terminale della torre portaia. Di questo apprestamento residuano due grossi beccatelli nel lato posteriore della torre, ove verosimilmente si trovava il probabile ingresso a dislivello per accedere negli alloggi delle scolte deputate alla difesa della porta (il vano soprastante all’androne della porta-torre era infatti verosimilmente destinato ad alloggio delle scolte). L’androne è caratterizzato dalla presenza nella parete ovest di tracce di un affresco cui oggi è stata aggiunta in posizione sottostante la riproduzione ceramica di una Madonna crivellesca. Attraverso il primo fornice, alquanto suggestivo si accede al vecchio incasato; superato il secondo, per un altro arco, si arriva al centro storico, interessante per la Chiesa Parrocchiale di San Biagio, progettata dall’architetto ticinese Pietro Maggi sul finire del secolo XVIII, dotata di un possente campanile recentemente restaurato. La torre campanaria della chiesa parrocchiale si fonda sui resti di una torre quadrata del perimetro castellano di chiara matrice militare: ne fanno fede diverse feritorie per bombardiere.

Maurizio Mauro, Castelli rocche torri cinte fortificate delle Marche (I castelli dello Stato di Fermo), castella 72, vol. IV, Tomo II, [Roma], Istituto Italiano dei Castelli / Adriapress Ravenna, 2002; pp. 395-399; l’opera complessiva è di 8 volumi

La torre rompitratta, ovvero l’ingresso del castello, ha subito numerose modifiche dalla sua origine altomedievale (X-XII sec.) grazie alle alterne vicende del suo fossato e del ponte levatoio. Con il ponte levatoio aumentava la capacità di difesa della torre tenendo a maggior distanza dalle mura gli eventuali assalitori. Tutto l’edificio di ingresso risultava probabilmente più basso di oggi e vi era una merlatura (le cui tracce si possono intravedere nella muratura) presidiata da arcieri. Certamente dalla seconda metà del XV al XVII sec., la struttura del castello e della porta d’ingresso subì dei cambiamenti. In effetti in questo lasso di tempo vennero realizzate le evidenti scarpature, le feritorie per le armi da fuoco (per bombardiere, spingardella, ecc…) in molti punti della cinta delle mura, ed in particolar modo sulla torre a nord del castello, anch’essa cimata come richiesto dalle nuove esigenze militari (base della futura torre campanaria progettata da Pietro Maggi sul finire del XVIII sec); forse sempre nello stesso periodo fu realizzata la copertura a capanna della torre rompitratta. Ci fu quindi sicuramente un adeguamento alle nuove tecniche guerresche di tutto l’apparato difensivo del Castrum. Non è noto se nello stesso periodo o in epoca più tarda, ma di certo il ponte levatoio dovette rappresentare una scomodità. Bisogna considerare che il fossato richiedeva una certa manutenzione e se molti erano i suoi vantaggi, ben molti erano anche i suoi svantaggi, come le esalazioni maleodoranti, le malattie che può portare l’acqua stagnante e, nel caso in questione, l’eccessivo restringimento del tratto stradale, oltremodo scomodo: si preferì eliminare il ponte levatoio e il fossato. Così facendo si abbassò il profilo della torre rompitratta e venne forse deciso di elevarla di qualche metro coprendo i vecchi merli (ormai solo un ricordo dei vecchi metodi di guerra) e di predisporla di feritoie anche basse per fornire la difesa radente, tecnica utilizzata dalla comparsa delle armi da fuoco. In effetti abbiamo ancora oggi la testimonianza di una feritoia da spingardella, arma da fuoco leggera che si usava su un cavalletto, che è posta proprio in direzione d’entrata al castello. All’estremità alta della torre è visibile un semicerchio, presumibilmente di un vecchio orologio o di una meridiana: forse era realizzato dello stesso stile di quello più piccolo in basso oggi visibile.

Gianluca Monaldi, L’architettura militare nel fondo antico a stampa della biblioteca Oliveriana di Pesaro, tesi di laurea dattiloscritta in Conservazione dei Beni Culturali, Urbino, 2006.




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