BOTRUGNO (LE) – Palazzo
Castriota-Scanderberg
I Maramonte o Maramonti erano i padroni di Botrugno sin dal
XIII secolo, e furono loro a far edificare nel 1400 un maestoso palazzo simbolo
della storia e del prestigio della famiglia feudale. Il palazzo fu eretto nella
zona più alta del paese, in una pianura circoscritta dalla Serra Salentina. L'illustre
e nobile casato annoverava famosi e prodi condottieri, come Raffaele Maramonte,
al quale fu dedicato un sepolcro nella Chiesa del Convento, ancora oggi
visitabile e attaccata al palazzo marchesale. Un dato certo è che nel 1651 i
Maramonte vendettero ai Castriota Granai - precisamente a Carlo Castriota,
barone di Melpignano
- la terra di Botrugno insieme "con suo castello seu fortellezza", e
il riferimento non può essere che al palazzo in questione. Da allora in poi i
Castriota risiedettero a Botrugno, almeno fino all'inizio del 1800. Durante la
signoria dei Castriota-Scanderberg, il palazzo marchesale cessò di avere le funzioni
di piccola fortezza di difesa, e venne trasformato in una residenza lussuosa e
nobiliare sino ad assumere le fattezze odierne che lo rendono uno dei palazzi
più imponenti e prestigiosi della provincia di Lecce. Le modifiche strutturali
e architettoniche vennero eseguite durante i primi decenni del 1700, allorquando
fu elevato il lungo balcone su mensoloni di chiara ispirazione barocca, mentre
nella seconda parte del secolo pittori "ornamentisti" (come quel Ludovico Giordani il cui nome è
leggibile ancora oggi nel salone centrale del palazzo) ne cambiarono
l'aspetto decorativo, con interventi di ornamento e affreschi. Durante il regno
dei Castriota-Scanderberg, Botrugno visse il momento di maggior splendore e
lustro, grazie al prestigio della casata e alle ricchezze prodotte mediante
scambi commerciali. Nel 1817 l'ultimo dei Castriota (e ultimo marchese di
Botrugno), Francesco Maria, donò il feudo alla famiglia dei Guarini, nella
persona di Oronzo. Allo stato attuale, l'immobile comprende al piano terra un
vasto cortile e un totale di 77 vani, tra cui cantine e depositi; il primo
piano si compone di 46 vani, tra cui due grandi saloni oltre alle ampie
terrazze che cingono il palazzo. L'edificio presenta un’impostazione
planimetrica a “elle” e si articola intorno ad un cortile a pianta rettangolare.
L’accesso avviene attraverso due portoni
che recano inquartato lo stemma dei Castriota e dei Maramonte da una parte e
quello dei Castriota con i Guarini dall’altra; essi si aprono su un ampio
fronte che si conclude con gli spigoli arrotondati del tutto simili e che
sorregge una balaustra lunga l’intera facciata con mensoloni di chiara
ispirazione barocca. Da uno di questi portoni si accede all’atrio che, tramite
uno scalone monumentale, porta ad una prima sala dove il soffitto recava
dipinti lo stemma dei Castriota, mentre sulle pareti era possibile ammirare a
colori gli stemmi di altre diciotto famiglie leccesi, tutte imparentate con i
Castriota. La pietra leccese è l'elemento dominante sia nella struttura
portante dell' opera, che è in muratura massiccia, sia nella decorazione
esterna: sagomati in pietra leccese sono i cornicioni di coronamento, i
balconi, le balaustre e le cornici delle finestre. All'interno troviamo una
varietà di coperture a volta, del tipo a botte a piano terra, a padiglione ed a
spigolo al primo piano "tutte di discreto valore architettonico per la
loro soluzione strutturale e per gli affreschi presenti al primo piano".
Da lastre di pietra leccese sono anche ricoperti i pavimenti del piano terra,
mentre al primo piano prevale il mosaico. Già da tempo alcune di queste
soluzioni sono andate distrutte, come la copertura in legno di uno dei due
saloni. Oggi una parte del palazzo è stata riaperta al pubblico per ospitare l'
Aula consiliare, la biblioteca, una sala polifunzionale, il locale Ecomuseo
urbano, con la Mappa di comunità, realizzata in collaborazione con l'Università
degli studi del Salento.
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