NARO (AG) – Castello Chiaramonte
Sorge sulla sommità di un colle situato a 600 m.s.l.m.
denominato anticamente “Monte Agragante”. Fu costruito in tufo, con molte
probabilità, durante il XII sec. sulle rovine di un preesistente fortilizio
arabo risalente alla dominazione dei Berberi. Le prime notizie certe relative
al castello risalgono però alla guerra dei Vespri quando i francesi che vi
risiedevano, compreso
il governatore Turpiano, furono uccisi dai Naritani, i quali per
sfregio li appesero per il collo, con delle corde, fuori le mura della
roccaforte. Il castello fu ristrutturato nel 1330 per volontà di
Federico III d’Aragona, il quale modificò la sua struttura originaria aggiungendo
un Mastio, ossia una torre quadrata nella quale visse durante il suo soggiorno
narese. Proprio da questa residenza egli emanò i "21 capitoli del regno, riguardanti il buon governo delle terre e città
del Regno di Trinacria", datati da Naro ed inviati ai sudditi (gli
studiosi sono incerti sull'anno di promulgazione di tale documento che viene
individuato da alcuni nel 1309 e da altri nel 1324). Il lato occidentale della
torre reca lo stemma della famiglia Aragona, mentre quello orientale è
caratterizzato da due bifore tipicamente gotiche che illuminano la grande “Sala
del Principe” situata al primo piano della torre, a cui si può accedere tramite
una scala rampante. Nel 1336, Naro passò sotto la signoria di Matteo
Chiaramonte, il quale apportò ulteriori modifiche al castello. Nel 1398 ospitò
il re Martino il Giovane e la regina Maria, quando vennero edificati a Naro il
convento e la chiesa del S.S. Salvatore. Mura alte e possenti caratterizzano
l’intera struttura, due torri circolari e due quadrangolari sono poste a difesa
della fortezza. Dall’ingresso, con portale a sesto acuto del '400, si accede al
cortile principale, con al centro un pozzo, dove troviamo la cappella, le
scuderie e gli alloggi per i soldati. Il cortile inoltre, in caso di pericolo
rappresentava un rifugio sicuro per i contadini della zona. Tra gli ambienti
interni coperti da volte a botte si segnala il bel salone a cui si accede da
una porta trecentesca e un'ampia cisterna aperta che veniva usata talvolta come
prigione. All'interno della "Sala del Principe" si conservano ancora
dei frammenti di un affresco di Cecco da Naro, pittore al quale la famiglia
Chiaramonte affidò anche la pittura della residenza palermitana, lo Steri. È
possibile recarsi anche al di sopra della torre quadrata, dalla quale si domina
con la vista un ampio territorio. Sulla torre rotonda è posta una statua della
Madonna a protezione della città. Il castello, che presenta una pianta quasi
rettangolare, occupa una superficie di 1460 mq ed ha un perimetro di 166 m. La
fortezza, di proprietà comunale, ha subìto diversi restauri mirati sia a conservare
l'edificio, sia ad inserirlo nella realtà locale con la destinazione a museo di
due livelli dell'ala sud-est e della Torre Aragonese, nonché con la creazione
di un laboratorio di restauro nell'area sud-ovest. Dal 1912 il castello è stato
dichiarato monumento nazionale. Viene anche utilizzato per celebrare i
matrimoni con rito civile. Una leggenda, risalente al tempo dei normanni, riguarda la storia di
donna Giselda, la bella castellana che si era innamorata di Bertran, uno dei
saggi di corte, e che per questo ebbe un triste epilogo. L’idillio durava già
da un po’ quando in una notte di luna piena, mentre lui cantava con il suo
liuto il suo amore alla bella donna dai capelli neri e gli occhi azzurri,
furono sorpresi dal marito Pietro Calvello. Il giovane amante fu ucciso e
gettato dall’alto della sua torre, mentre Giselda, rinchiusa nelle prigioni del
castello, si lasciò morire di dolore. Un altro fatto di sangue interessò il
castello quando, estinta la dinastia dei Chiaramonte, al tempo della Regina
Bianca di Navarra e delle sue disavventure con Bernardo Cabrera, questi, odiato
dalla città di Naro che, come quasi tutta la Sicilia parteggiava per la Regina,
non potendo espugnare il maniero, molto ben difeso, vi penetrò a tradimento.
Nella lotta che ne seguì il castellano del tempo, Lop di Leone, morì gridando
il nome della sovrana ed il Cabrera, dopo averne fatto tagliare a pezzi il
cadavere, fece anche murare viva nel castello la madre badessa, colpevole solo
di essere parente del castellano.
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