CARBOGNANO (VT) – Castello Farnese
Notizie certe di Carbognano si hanno soltanto a
partire dal X secolo quando il feudo risultava iscritto tra i possedimenti
dell'Abbazia di Farfa. Nel secolo XIV appartenne alla potente famiglia dei
Prefetti di Vico e successivamente passò tra i possedimenti della Camera
Apostolica. Nel 1494 Papa Alessandro VI Borgia decise di concedere Carbognano
ad Orsino Orsini, signore di Bassanello e a sua moglie Giulia Farnese che vi
soggiornò fino al 1522. Dopo di lei sua figlia Laura lo lasciò in eredità a Giulio
della Rovere, nato dal suo matrimonio con Nicolò della Rovere. Nel 1630, Papa
Urbano VIII Barberini elevò Carbognano a Principato di proprietà della famiglia
Colonna dai quali aveva acquistato il principato di Palestrina, che poi
assunsero il cognome di Colonna Barberini di Sciarra, a cui rimase fino al 1870.
Il castello di Carbognano è costituito da un fabbricato a pianta quadrilatera
irregolare intorno a un piccolo cortile decentralizzato, di notevole possenza
plastica e su cui fa perno l’intero tessuto urbano dell’abitato. La facciata
principale di rappresentanza, che dà sulla piazza del comune, presenta due
ordini di finestre disposte in maniera irregolare di cui le tre superiori
recano nella cornice la scritta “IVLIA FARNESLA”. E’ coronata, come d’altronde
tutti gli altri lati, da un filare di beccatelli reggenti una sorta di
camminamento di ronda con merli a sagoma dritta e con feritoie a croce. Domina
dal retro un possente mastio a base quadrata orientato non in asse con la
facciata e coronato anch’esso dai medesimi beccatelli e merlatura. Altre due
torri di diversa forma e altezza fanno parte dell’emergenza architettonica.
Quella posta a nord è di pianta circolare scandita in due piani da un toro a
modanatura semplice. Nella parte superiore ha due finestre a cornice quadrata
mentre nella parte inferiore e percorsa. attraverso una foratura ad arco, da
una strada che collega la piazza del comune con la parte inferiore del paese.
L’altra torre è situata a est, ha base quadrilatera e sporge dal fabbricato
creando con la precedente torre una sorta di ali che racchiudono come quinta
teatrale la facciata situata a nord-est, presentante anch'essa un doppio ordine
di finestre. Quella al centro dell’ordine superiore corrisponde al salone di
rappresentanza e presenta una foratura di modulo raddoppiato rispetto alle
compagne, ma col medesimo tipo di cornice. Il lato a sud-est si affaccia
su una strada interna ai nucleo del paese e presenta anch’essa una serie di
finestre di diverse epoche ma disposte in maniera del tutto irregolare su una cortina
che termina in basso con un leggera inclinazione a mò di scarpatura. Solo due
di esse, quelle più vicine alla sporgenza della torretta a est, presentano il
medesimo tipo di cornice. Quella superiore ha nel fregio la scritta IVLIA
FARNESIA e nella prossimità della cortina muraria è situato uno stemma in
marino con lo scudo a sei gigli Farnese, circondato da una corona di frutti e
foglie. L’ultimo lato, situato a sud-ovest, è la facciata interna di ingresso.
Unici elementi che emergono sono: il portale d’ingresso ad arco con
situato, in corrispondenza della chiave, lo scudo a sei gigli Farnese ed
evidenziato da una cornice a bugnato, in peperino; e un ambiente sporgente su
beccatelli. La cortina presenta anch’essa, come il lato precedente, un’inclinazione
a scarpa e vi è ancora, come elemento separatore tra la muratura a piombo e quella
inclinata, un toro che tuttavia non impegna che un terzo della intera facciata.
L’edificio è raccordato al palazzo del comune mediante un corpo unito con un
rapporto di continuità alla facciata principale, che tuttavia è interrotto al
centro da un’arcata che permette di collegare mediante una rampa la piazza del
comune con la soprastante piazzetta del castello. L’edificio del comune,
anch’esso a pianta irregolare presenta alcuni elementi dei portali e delle
finestre che sembrano stilisticamente affini ad elementi del castello. Infine,
il portale d’accesso apre su un cortiletto delimitato a nord-ovest dal corpo
del mastio, interrotto nella sua omogeneità da una finestra quadrata con la
scritta IVLIA DE FARNESIO e a nord-est da un atrio di accesso alla doppia rampa
di scale che disimpegna i piani superiori. Sul lato del portale presenta,
addossato alla parete, un semipilastro ottagono con capitello a foglie lisce.
Non è chiara la funzione di tale elemento, che si può stilisticamente
raccordare ad una serie di bifore presenti sui muri laterali della chiesa di
Santa Maria della Concezione, che hanno anch’esse delle colonnine a base
ottagonale con capitello a foglie lisce. Tutte le pareti del cortiletto
presentano tracce ancora visibili di intonaco a graffito a base scura, secondo
la tradizione romana, che simula un finto bugnato rettangolare. L’edificio,
sicuramente molto rimaneggiato nel corso dei secoli con l’aggiunta di nuove
finestre e porte e di intonacature presenta tuttavia, come rivelano alcuni indizi
(gli stemmi e le finestre “firmate” su ogni lato), almeno 1’impianto
perimetrale originale. Nelle sue massime forme attuali l’edificio ricorda
l’impianto castellano, sia nel rapporto urbanistico del palazzo col nucleo
abitato (si avverte la sua prevalenza dimensionale sul resto dell’insediamento)
sia chiaramente nel suo tipico vocabolario di torri, beccatelli, merlature,
feritoie, tipici dei castelli rinascimentali. Che tuttavia questi elementi
abbiano perso la loro funzione difensiva o di attacco e segnino il passaggio
dal tipo del castello baronale medievale al nuovo modello del palazzo
fortificato è evidenziato dalla mancanza di un fattore fondamentale
caratteristico del vero castello: la struttura prevalentemente chiusa e
compatta. La grande quantità di forature e l’impianto stesso, che ricorda più
un palazzo che una rocca, della facciata principale, sono forse il segnale più vistoso
che contraddice a tale principio. L’intero palazzo si caratterizza inoltre per
la qualificazione nobile data dall’uso frequente di portali e finestre in
peperino, dalle cornici variamente modanate, ma che presentano un unico modello
stilistico: Roma. La presenza della torre, l’intonaco a graffito.
l’allungamento orizzontale della facciata principale. Il decentramento del
portone d’ingresso, le finestre a sagoma quadrata o rettangolare con cornice
derivata dalla modulazione dell’architrave classico, che presenta in alcuni
casi sui montanti in basso i tipici risvolti quattrocenteschi, sono tutti
elementi tipici delle residenze private romane sul finire del XV secolo:
palazzo Venezia ne è il capostipite. Così come è tipicamente romano, dell’epoca
di Sisto IV e Innocenzo VIII (1471-92), l’uso dei pilastri ottagoni. La
datazione del castello in base ai suoi dati stilistici, non calcolando gli
evidenti interventi successivi, è da porre tra la fine del Quattrocento e il
primo decennio del Cinquecento. La presenza dell’enigmatico semipilastro
ottagono denota forse, come nella chiesa di Santa Maria, una preesistenza
tardo-quattrocentesca, senza dimenticare il nucleo medievale nominato nel 1256,
su cui intervenne Giulia Farnese a partire dal 1506. E, se è vero che il
castello doveva essere stato terminato, almeno nella sua parte architettonica,
nel 1515, dovette comunque essere stato costruito, a giudicare dalle tendenze
architettoniche presenti a Roma in quegli anni, da maestranze cosiddette “di
resistenza”, che rispetto alle novità stilistiche dei grandi maestri coevi,
riproponevano i modi tardo quattrocenteschi parcamente aggiornati. E’ in fondo
la linea in cui si porrà Antonio da Sangallo il Giovane, almeno in un primo
momento il quale diverrà di lì a poco (Capodimonte 1513; Gradoli 1517)
l’architetto dei Farnese. L’intervento di Giulia Farnese, che introduce in un
contesto provinciale elementi tipici della cultura romana e di un richiamo
all’antico come segno di citazione piuttosto che come legge compositiva, è
quanto mai interessante, e si rivela come uno dei primi esempi, che diverrà poi
tipico della famiglia Farnese, di quella tendenza a conferire un aspetto urbano
a dei villaggi prevalentemente agricoli, tendenza che culminerà con l’esempio
di Caprarola. La scelta di un gusto stilistico in parte retrò non è da
attribuire esclusivamente al gusto della committente che, come vedremo, saprà
mostrarsi anche all’avanguardia, ma è da situare nella precisa logistica di
Carbognano. Il castello si impone certo come un elemento nuovo, ma con sobrietà
(prendere il palazzo della Cancelleria come modello sarebbe stato fuori luogo).
Una doppia rampa porta a un anticamera al secondo piano, su cui si aprono due
porte, una delle quali presenta una cornice riccamente modanata con fregio e
stemma Farnese al centro e ai lati la scritta IVLIA FARNESIA tramite l‘altra porta
si entra in un piccolissimo ambiente di disimpegno con volta a botte. Nella
lunetta della parete a nord-ovest si intravede un busto dipinto, secondo
l’iconografia degli imperatori romani, ma totalmente illeggibile a causa
dell’annerimento della volta. Da qui si entra nel salone principale. La
dislocazione delle stanze, che per struttura e altri elementi quali stemmi o
affreschi si possono dire tutte originarie del periodo di Giulia Farnese,
ripete il classico schema della grande sala al centro con camere ai lati. Nella
pianta reperita al catasto di Viterbo, si nota anche una stanza circolare, in
corrispondenza del torrione a nord, che qui viene definita come cappella, ma da
altri come il bagno privato di Giulia. Le stanze affrescate sono cinque:
l’ambiente di disimpegno, il salone, la cucina (dei cacciatori), la camera da
letto a destra del salone (camera di Giulia), la cappella. Tutte le stanze
presentano una volta a schifo lunettata su capitelli pensili in
peperino; in alcune, al centro del soffitto, vi è lo stemma Farnese
scolpito in peperino. Il soffitto del salone, presenta una sorta di pergolato
rosso molto stilizzato con al centro tre stemmi campeggianti su fondo chiaro:
uno piccolo al centro, forse di legno colorato, mostra lo scudo a sei gigli blu
in campo giallo. E’ circondato da una corona ovale. Gli altri due stemmi,
disposti simmetricamente rispetto a questo, sono simili fra loro, anche se non identici,
e presentano uno scudo inquartato Farnese (sei gigli blu in campo giallo) e
Caetani (inquartato: nel I e nel IV di giallo con due bande ondate blu scuro,
nel II e nel III d’azzurro con aquila spiegata gialla). Sono coronati in alto
da nastri a fiocco svolazzanti e sono entrambi circondati da due interessanti
corone costituite da spighe, alloro, pomi, melagrani, uva bianca e pere. Le
corone e il suddetto stemma a rilievo sono a loro volta circondati da nastri
svolazzanti rossi puntinati di bianco che fingono di proiettare un’ombra sul
soffitto, con chiaro effetto illusionistico di trompe l’oeil. Le vele, le
lunette, gli spicchi, sono tutti decorati a grottesche e sono conclusi in basso
da un piccolo fregio con elementi floreali interrotti di tanto in tanto da
tondi con vedute molto approssimative a monocromo. Tale fregio probabilmente è stato
completamente rifatto forse nel XVIII o XIX secolo. Altri due stemmi sono
presenti nella stanza: la lunetta centrale della parete sud-ovest presenta uno
scudo con gigli blu su fondo giallo, sormontato da una croce latina vescovile e
da un cappello rosso da cardinale guarnito da due lunghi cordoni intrecciati
terminanti con i caratteristici fiocchi. E’ chiaramente lo stemma del cardinale
Alessandro Farnese. Nella lunetta centrale della parete opposta, sopra la
grande finestra, c’è uno stemma inquartato Della Rovere quercia gialla
sradicata in campo blu scuro, i rami passanti in doppia croce di S. Andrea e
Orsini tre zone: la inferiore è bandata di rosso e bianco, la mediana ha
un’anguilla nera in lascia bianca. la superiore una rosa rossa a cinque petali
in campo bianco). Lo stemma è coronato anch’ esso da nastri svolazzanti e
affiancato da due uccelli rapaci, da racemi, da due uccelli trampolieri e da
graziosi draghetti. E’ chiaramente lo stemma che segna il matrimonio tra
Niccolò Della Rovere e Laura Orsini, figlia di Giulia, il cui doppio stemma, invece,
ostentatamente personale, è quello che campeggia al centro del soffitto: Giulia
Farnese era figlia di una Castani. Tutti questi stemmi, dislocati tra l’altro
in maniera strategica, celebrano quindi, anche in una proiezione verso il
futuro, le fondamentali alleanze instaurate dalla famiglia Farnese. Alleanze
che faranno, o che si spera facciano, la fortuna della casata: con la Chiesa,
rappresentata dallo scudo del cardinale Alessandro, situato in una posizione discreta
ma presente; con la famiglia Caetani, primo passo verso 1’alta aristocrazia
romana: con i Della Rovere e gli Orsini, segno dell’entrata definitiva in Roma.
Gli elementi naturalistici, sia animali che vegetali, sono presenti in quantità
maggiore rispetto a quelli “mostruosi”, con una frequenza direi insistente e
per questo, ritengo, segnica. Compaiono uccelli trampolieri, spesso nell’atto
di tenere nel becco dei vivaci serpentelli, civette, granchi, draghetti alati
(molto simpatici), cavallini fìtomorfi, mascheroni, cariatidi con cesti di
frutta, motivi a candelabra. Tali motivi si presentano secondo una composizione
diradata e semplificata, dovuta probabilmente alla presenza di un pittore non
eccezionale, che sovente ha tuttavia delle punte di vivacità e freschezza
espressiva. La cucina presenta, in dimensioni più ridotte, lo stesso schema
decorativo del salone e uno stemma cardinalizio di Alessandro Farnese nello
strombo della finestra. Il fregio alla base delle lunette ospita delle vivaci
scene di caccia, a monocromo su fondo rosso, inframmezzate di tanto in tanto da
tondi con le aquile spiegate dei Caetani. Purtroppo una spessa patina di
nerofumo ricopre l’intera volta, rendendola illeggibile. Si nota comunque la
mano di un artista sicuramente più esperto di quello del salone, e molto vicino,
tra l’ altro, a quello che dipinse, forse proprio negli stessi anni, alcuni
soffitti lignei che si trovano nel palazzo Farnese di Gradoli. Per una
datazione su basi stilistiche si deve tenere conto di un fattore fondamentale:
queste grottesche non sono concepibili se non dopo la “riforma” di Giovanni da
Udine, attuata nelle Logge del Vaticano nel 1518-19. Riforma che consiste
essenzialmente: nell’introduzione di elementi naturalistici nel repertorio
fantastico tardo quattrocentesco, direttamente copiati dalla natura, spesso con
puntigliosità catalogatoria; nello stagliarsi delle grottesche su fondo bianco;
nell’uso di ghirlande con fiori e frutta realisticamente riconoscibili. Tutti
elementi che ritroviamo a Carbognano e che erano diffusi in quelle incisioni di
Agostino Veneziano, attorno al 1518-20, che in parte hanno costituito una fonte
iconografica per le nostre grottesche. Ma altri indizi fanno pensare alla
presenza di un ulteriore mediatore: Baldassarre Peruzzi. Egli stesso, a partire
dal 1518-20, influenzato dalle innovazioni di Giovanni da Udine, svilupperà un
sistema decorativo assolutamente originale e con ben determinate
caratteristiche. Innanzitutto le sue grottesche rivestono le volte con stile
decorativo vegetale piuttosto che derivato archeologicamente dalle partizioni
architettoniche della Domus Aurea, come era invece nel collaboratore dl
Raffaello, partizioni con ghirlandette e collanine, che compaiono a Carbognano,
sono frequenti nelle sue opere tra il 1518 e il 1520: il corridoio del piano
nobile della Farnesina, la loggia del cortile di casa dei Piceni, la loggia
Stati sul Palatino, la sala capitolare in San Lorenzo in Damaso. Così come
altri elementi a noi noti, quali la predilezione per gli uccelli, soprattutto
trampolieri (un trampoliere che mangia un serpentello appare su un’arcata della
Volta Dorata della Cancelleria, del 1519), draghetti. Tutto insomma fa pensare
a una datazione sul finire del secondo decennio del secolo XVI. Se ricordiamo
che Giulia morì nel 1524; che la chiesa che fece costruire è del 1522; che il
secondo marito Giovanni Bozzuto (che araldicamente non è mai nominato) morì nel
1517; che, infine, il matrimonio di Laura avvenne nel 1505, la datazione di
base (1506-1524) dovrebbe forse restringersi, per gli affreschi, tra il 1518 e
il 1522. Per quanto riguarda le maestranze che possono avervi lavorato,
l’attribuzione è molto difficile, considerato anche lo stato di conservazione
degli affreschi. Con ogni probabilità tali artisti provenivano dall’ambito
della bottega peruzzesca degli anni 1518-20 e ripresero elementi da taccuini,
stampe, affreschi, senza una precisa fonte iconografica ma ricomponendoli
diversamente nel nuovo contesto. Sebbene il genere delle grottesche sia
considerato spesso esclusivamente ornamentale, nel caso specifico di Carbognano
esse divengono portatrici di un preciso messaggio da legarsi alla figura della
committente e alla funzione del luogo in cui si trovano, che è il salone di
rappresentanza: non quindi una dimensione privata, come per le altre stanze, ma
semipubblica. Analizziamo prima di tutto l’impresa dell’unicorno, certo la
chiave di lettura di tutto il ciclo. L’unicorno, nei bestiari medioevali e nel
“Fisiologo”, era associato a due leggende: una più popolarmente conosciuta,
narrava che l’animale non poteva essere catturato che da una vergine. Tale immagine,
che tra l’altro compare nelle stanze private di Giulia con chiara
autoallusione, era interpretata come figura dell’incarnazione di Cristo e, in
ambito laico, come emblema della purezza e castità. L’altra leggenda riconosce
all’unicorno la proprietà di purificare le acque avvelenate da serpenti o altri
animali nocivi, e quindi è utilizzato ancora una volta come emblema di
purificazione. Per questo suo significato l’unicorno veniva spesso impiegato in
araldica specialmente nel mondo cortese e cavalleresco, oltre che su arazzi e
cassoni del XV e XVI secolo. Proprio legato a questa moda cavalleresca era
apparso, per la prima volta nell’iconografia farnesiana, nel sepolcro dì
Ranuccio il Vecchio, del 1449. Si ritiene che Carbognano sia cronologicamente
il primo esempio, finora noto, in cui tale soggetto compare sotto forma di
impresa associata alla famiglia Farnese, che lo adottò, da Paolo III in poi,
come animale totemico famigliare. Negli affreschi di Castel S. Angelo compare
infatti, tra le altre imprese, quella del liocorno che immerge il corno in un
rivo, accompagnata dal motto “VIRTUS SECURITATEM PARIT, o talora IN VIRTUTE TUA
SERVATI SUMUS”: la virtù genera la sicurezza, appunto. Sebbene nel nostro caso
il motto sia, purtroppo, di traduzione del tutto incerta, l’associazione tra
liocorno e fonte (tra l’altro connotata con lo stemma Farnese e quindi simbolo
della famiglia Farnese stessa) non può che significare il concetto di
purificazione dai “veleni” che hanno insidiato la famiglia Farnese e, oserei
dire, Giulia stessa. E’ purificazione che avviene grazie alla virtù e alla
unità dei membri della famiglia chiamati in causa dagli stemmi più sopra
decodificati. Virtù intesa sia come castità spirituale (di cui l’unicorno e 1’acqua
sono emblemi), sia come un impegno concreto. Da quello che s’intuisce dalle
illustrazioni del volume Viterbo delle delizie, più volte citato, gli stessi
concetti sono espressi, nelle stanze private del castello, dalla vergine con il
liocorno e dai vari cartigli con motto. Tutti richiamano ad una resurrezione,
rinascita, purificazione attraverso le opere e la scelta di una vita virtuosa:
CITO PERFICIET (presto avrà compimento), DATUR... (è possibile), OPERIBUS..
(con i fatti). Molti altri elementi delle grottesche della sala e le corone
stesse che circondano gli stemmi, sono funzionalizzati anch’essi al programma
celebrativo della committente. Gli uccelli che mangiano serpenti, ad esempio:
la maggior parte sono trampolieri (aironi, cicogne, gru, ibis): ossia i
distruttori di serpenti per eccellenza e quindi figure della Virtù-Cristo che
combatte contro il Male- Satana. Altri link suggeriti: http://www.canino.info/inserti/monografie/i_farnese/carbognano/il_nido_segreto/nido_segreto.htm,
http://www.tesoridellazio.it/pagina.php?area=I+tesori+del+Lazio&cat=Castelli+e+fortezze&pag=Carbognano+%28VT%29+Castello+Farnese+o+Sciarra,
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Carbognano, testo tratto da “ Il Castello di Carbognano, 1508 - 1524: Una Committenza Femminile Sconosciuta” su http://www.carbognanonline.it/html/il_castello_farnese.html,
Foto: la prima è una cartolina della mia collezione, la seconda è di Andrea Di Palermo su http://rete.comuni-italiani.it/foto/2009/253887/view
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