Un diploma dell'imperatore Ottone I, del 963 e un altro di Ottone II nel 980, confermano il possesso della cortem de' Melocio cum plebe alla Chiesa di Reggio Emilia. Intorno all'anno 1000 è attestato un archpresbyter Melocii e successivamente un parroco chiamato Antonio de Menotio. Nel 1070 ritroviamo Minozzo menzionato in un documento in cui il vescovo Gandolfo di Reggio Emilia che riconfermò tutta una serie beni a Beatrice e Matilde di Canossa, ma contrariamente a quanto si può pensare egli mantenne propri soldati a presidio di Minozzo, il che ci fa pensare che il vescovo attribuisse a questa località qualche particolare importanza strategica. Va inoltre ricordato che negli anni successivi Gandolfo si dimostrò uno dei più acerrimi nemici della contessa Matilde schierandosi apertamente con l'Imperatore Enrico V contro il Papa Gregorio VII; Gandolfo insieme con altri vescovi del nord Italia partecipò all'elezione dell'antipapa Guiberto di Ravenna con il nome di Clemente III in carica dal 1080 fino al 1110, e fu sconfitto dalla stessa Matilde di Canossa nella battaglia di Sorbara nel 1084 (come ci racconta il monaco Donizone di Canossa nella "Vita Mathildis"). Tutto ciò fa ipotizzare che Minozzo sotto il vescovo Gandolfo sia stata una roccaforte isolata e ostile alla potentissima Contessa Matilde, nel cuore dei suoi domini e soprattutto alle spalle del poderoso sistema difensivo costituito dai castelli di Canossa e Carpineti. Questo spiegherebbe anche il motivo per cui la Contessa Matilde per motivi strategici si riprese Poiano (dotandolo di castello) che in precedenza aveva donato al Monastero di Frassinoro dandovi in cambio il territorio di Ligonchio e altri territori in Garfagnana nel 1076. A conferma che Minozzo non orbitasse fra i territori controllati dalla potentissima Contessa Matilde vi è anche il fatto che il suo nome compare anche in un documento nel 1092 dell'antipapa Clemente III e che questo ha esercitato la sua giurisdizione solo su territori di provata fede Imperiale. Questo spiega anche la merlatura ghibellina che è riportata sullo stemma comunale raffigurante la Rocca di Minozzo, conservata in antiche carte della corte Estense di Modena. E' probabilmente in ricordo di queste vicende che gli uomini del comune di Minozzo nello “Statuta Castellantiae ac totius Praetoria Minotii” vollero fieramente che fosse ricordato in primo luogo che “gli uomini della Castellanza di Minozzo sono del vescovo di Reggio” (Homines Castellantiae Minotii sunt Episcupatus Regii). La contessa Matilde nel 1102 cita un ricovero per poveri sito in Campo Camelasio e nel 1106, fa riferimento ad un eremo situato in San Veneri nell'attuale frazione di Carù. Nel 1240 il Comune di Reggio ingrandì il suo contado sottomettendo diverse località della Montagna, nel territorio di Villa Minozzo fecero atto di sottomissione tra le altre Coriano, Costabona e Febbio. Nel 1268 i reggiani completarono le conquiste sottomettendo Minozzo. Tra le famiglie che esercitarono autorità nella zona vanno ricordati i Dalli, provenienti dalla Garfagnana e filo-estensi, i Fogliani, i Malvasia, oltre a casate fiorentine (gli Arnaldi) e modenesi (i Rocchi). Nel XV secolo si ebbero dispute coi pastori garfagnini di Soraggio per l'uso di pascoli nei dintorni di Civago; della questione fu investito il duca, che, dopo ricorsi e controricorsi, diede ragione ai toscani, i quali ottennero i pascoli in cambio di un orso vivo all'anno da portare al duca stesso, dopo qualche anno mutato in un cinghiale. Gli studiosi hanno in passato formulato diverse ipotesi sulle origini della rocca: secondo il Milani, per le tipologie costruttive utilizzate sarebbe un'opera tardo-imperiale; la datazione romana sembra tuttavia poco probabile. Secondo lo storico Andreotti l'origine della "Rocca di Minozzo" deriverebbe dal passaggio di un'antica strada per la Garfagnana, che utilizzava il passo di Pradarena, probabilmente ricalcata sulla strada romana tra Parma e Lucca. Lungo questa strada si trovano numerose rocche e castelli, che indicano la sua importanza in epoca medioevale e vi sono state rinvenute, nella località "Gatta"-"San Bartolomeo", tombe romane interpretate come indizio dell'esistenza di un piccolo insediamento; qui esisteva inoltre un "ospitale", posto lungo la Secchia, tra le valli dei torrenti Secchiello e Luccola. Un secondo tracciato che si staccava da questo, saliva sul Monte Prampa e scendeva quindi fino a Montecagno, Casalino e Piolo, dove si ricongiungeva con la strada per Ligonchio. La struttura difensiva si trovava al confine naturale, costituito dal fiume Secchia, tra i territori bizantini, dell'esarcato di Ravenna, e quelli longobardi: parte del territorio dell'alto e medio Appennino Reggiano, con la caduta del Castrum Bismanto nella prima metà del VII secolo era passato in mano ai Longobardi, mentre il resto rimaneva in mano bizantina tra cui i territori dei comuni di Toano, Villa Minozzo e Ligonchio, che vi restarono fino al 728. Il territorio, insieme all'antica via romana detta Bibulca o "via Imperiale", che metteva in comunicazione i territori bizantini nel modenese con la Garfagnana, era difesa da un Castrum Verabulum, identificato con San Vitale dei Carpineti, oppure con una località presso Bologna nei pressi dell'odierna Crespellano. Si trattava di un'opera importante, con muri alti tra i 20 e 30 metri e protetta alle spalle dal “monte Prampa”. Alle difese si aggiungevano due torri di guardia tuttora esistenti in direzione di Bismantova (nelle località di “Castellino” e di “Triglia”), altri due torrioni o rocche (nelle località "Sorogno" e "Carniana"), traccia di antichi castelli di datazione incerta nelle località di Piolo, di Toano, che conserva inoltre una chiesa romanica di epoca successiva, e di un altro, di epoca longobarda, sul torrente Dolo, presso la località di Quara. Lo stemma della Rocca, una torre che svetta sulla base di un solido muro che nasce dallo sperone roccioso sottostante, doveva essere il concio di volta dell'arco di ingresso che portava verso un castello inespugnabile, di cui oggi rimangono solo le antiche vestigia. Vestigia che conservano ancora il ricordo di quello che fu, e si svelano agli occhi dei visitatori ancora rivestite di in atavico fascino che il tempo non è riuscito a vincere. Eretta in epoca matildica, ma recante tracce risalenti addirittura all'età del bronzo, la Rocca sorgeva su un pianoro rivolto a occidente circondato da una doppia cinta muraria. Era costituita da un dongione, torre di difesa che si allungava in un quadrilatero recante gli appartamenti del podestà, e dai quartieri sottostanti dove alloggiavano il massaro e il notaio. All'interno di quelle mura si svolgeva la vita del Borgo, dove tra le abitazioni doveva esserci anche l'antica cappella, Chiesa primitiva oggi distrutta. La torre si elevava negli ambienti sommitari, e doveva essere alta 10 metri, 25 dalla base. I terremoti del 1832 e del 1920 furono un duro colpo per la già malmessa torre, ed è visibile un disassamento del muro nella "prigione degli uomini", in seguito ricovero attrezzi. Solenne e inespugnabile, la Rocca dominava le valli sottostanti, visivamente allineata con gli altri castelli del comprensorio, quali Carpineti e Bismantova. Gli scavi hanno portato alla luce ambienti, reperti ceramici che rivelano la vita dei signori Estensi, e ci regalano frammenti di storia e di tradizioni unici nel loro genere. Dagli studi recenti emerge il quadro di un tempo che fu, un tempo andato ma ancora capace di manifestarsi con foga, insinuandosi tra mura in rovina e colpendo l'occhio, suscitando ancora curiosità e fascino. Essendo proprietà ecclesiastica, la rocca venne adibita, nell'XI secolo, a residenza del preposto alla corte e del presidio di soldati stanziati dal vescovo di Reggio. Durante il governo estense, protrattosi fino alla Rivoluzione Francese, la rocca venne eletta a sede del podestà e del notaio. La fortificazione, occupata nella parte inferiore dalle carceri, era vigilata da due guardiole: una sul monte Castellino e l'altra in fondo alla borgata di Triglia. Nel 1521 la fortezza resistette all'assalto del brigante Domenico Amorotto, dando prova di grande potenza. Quando, nel 1796, gli Este vennero spodestati, il podestà non fu più ospitato a Minozzo e, nel 1815, la sede del comune venne trasferita a Villa. Lo stato di estremo degrado in cui versa la rocca, divenuta pericolosa per gli abitanti che ne denunciano i frequenti crolli, spinge il comune a decretarne l'abbattimento. Il mancato accordo sulle spese di distruzione ha annullato tale decisione, consentendo ai resti del fortilizio di sopravvivere. Altri link suggeriti: http://reggioemiliaturismo.provincia.re.it/page.asp?IDCategoria=2949&IDSezione=21416&ID=375571, http://www.parcoappennino.it/pun_dettaglio.php?id_pun=1149
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Villa_Minozzo, http://www.comune.villa-minozzo.re.it/turismo/pagina.php?id_sezione=2&id_pagina=115, http://www.appenninoreggiano.it/schede.asp?lang=it&d=rocca-di-minozzo
Foto: la prima è presa da http://reggioemiliaturismo.provincia.re.it/page.asp?IDCategoria=2949&IDSezione=21416&ID=375571, mentre la seconda è presa da http://www.redacon.it/wp-content/uploads/Rocca-di-Minozzo-archivio-fotografico-Provincia-di-Reggio-Emilia.jpg
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