SCILLA (RC) - Castello Ruffo
La prima fortificazione della rupe di Scilla risale all'inizio del V secolo
a.C. quando, durante la tirannide di Anassila, la città di Reggio assurse a una
notevole importanza, tale da permetterle di ostacolare per oltre due secoli
l'ascesa di potenze rivali. Infatti, nel 493 a.C., il tiranno di Reggio Anassila
il giovane, per porre fine alle incursioni dei pirati tirreni che lì avevano
una sicura base per le loro scorrerie, dopo averli sconfitti col dispiego di un
notevole esercito, fece iniziare l'opera di fortificazione dell'alta rocca.
Questa divenne per Anassilao un importante avamposto di controllo sulle rotte
marittime. L'opera di fortificazione dell'alto scoglio fu portata a termine dai
successivi tiranni reggini, spesso impegnati in scontri con i pirati combattuti
avvalendosi del porto fortificato appositamente costruito nella zona
circostante, verso Punta Pacì, in un luogo inaccessibile dal lato opposto allo
scoglio. Baluardo della sicurezza dei reggini, dotata di approdo, la
fortificazione di Scilla fu di fondamentale importanza agli effetti del felice
esito della guerra contro la pirateria, consentendo ai tiranni di Reggio di
opporre per lungo tempo una valida resistenza contro gli attacchi di nuovi
nemici e contro i continui tentativi di rivalsa dei Tirreni sconfitti. Il
dominio reggino sul luogo fu interrotto per soli cinquant'anni da Dionisio,
tiranno di Siracusa, che, nel 390 a.C., assoggettò la rocca dopo un lungo
assedio. Nel cinquantennio che intercorse tra le distruzioni operate da
Dionisio e il riacquisto dell'indipendenza favorita da Timoleonte di Corinto,
che abbatté il potere tirannico di Siracusa (340 a.C.), i Tirreni rioccuparono
la rocca. Tornata la normalità, Scilla rientrò nell'orbita di Reggio. La rupe
pian piano divenne una vera fortezza, tanto che nel III secolo a.C. la
fortificazione dei reggini, alleati dei romani, resistette validamente ai Punici
alleati dei Bruzi. Successivamente Ottaviano, una volta disfattosi del rivale Pompeo,
avendo compreso l'importanza strategica della rupe di Scilla che gli aveva
offerto opportuno rifugio, decretò che venisse maggiormente fortificata.
Infatti Plinio il Vecchio citò Scilla come
Oppidum Scyllaeum (Naturalis
historia, III, 76), e
oppidum in latino è un termine usato per indicare
un grande insediamento fortificato. Alcuni scavi hanno portato alla luce
strutture murarie del monastero basiliano di San Pancrazio, edificato verso la
metà del IX secolo come difesa dalle incursioni saracene. Nel 1060, con
l'assedio di Reggio da parte dei normanni Ruggero e Roberto il Guiscardo, anche
il castello di Scilla resistette a lungo e si arrese solo per fame. Roberto il
Guiscardo quindi attestò sulla rocca un presidio militare. Nel 1255, per ordine
di Manfredi, Pietro Ruffo fortificò ulteriormente le rocca assegnandovi un
presidio, mentre nel XIII secolo il castello fu ulteriormente fortificato da Carlo
I d'Angiò. Nel 1469 Re Ferdinando I di Napoli concesse il castello a Gutierre
De Nava, un cavaliere castigliano vicino alla corte aragonese e originario
della Germania (dal quale discendono i De Nava di Reggio), che fece eseguire
nuovi interventi di ampliamento e di restauro.
La
congiura dei baroni del 1485, coinvolse la famiglia de Nava, quindi, la
castellania, fu affidata ad un regio capitano. In seguito ai successivi
mutamenti politici, i de Nava, riebbero il feudo di Scilla. Ma, nel 1533, Gutierre
de Nava, figlio di Pietro, oberato dai debiti, cedette il feudo al cognato
Paolo Ruffo, conte di Sinopoli. I Ruffo, detennero il titolo baronale sino
all'eversione della feudalità. Il 1620 segna la svolta per la cittadina
tirrenica e, di conseguenza, per il suo castello. La blasonata famiglia
calabrese, spostò la sua residenza dal palazzo gentilizio di Chianalea
trasferendo la propria dimora all'interno del manufatto militare. I Ruffo
apportarono varie e notevoli modifiche alle strutture abitative presenti
nell'antico manufatto militare. Inoltre, nei sotterranei della fortezza,
vennero ubicate le tremende carceri. Queste erano suddivise in vari gradi
punitivi. Per i delitti più gravi veniva utilizzata la cosiddetta
"fossa", un ambiente umido e privo di fonti di luce. In questi lugubri
locali, gli armigeri propinavano ogni tipo di nefandezza nei confronti dei
prigionieri. Il titolo di principe di Scilla fu concesso, nel luglio del 1578,
da re Filippo, a don Fabrizio Ruffo. Agli inizi del 1700, il castello perse la
sua funzione militare. Per ordine del principe Carafa, il comandante della
piazzaforte di Reggio, Enrico Lodovico Conte di Welz, prelevò da castello
Ruffo, 74 barili di polvere da sparo, 69 cassette di palle per moschetti, 291
granate, 1000 pietre focaie e 3880 palle per cannone. Nel 1713, in occasione
della guerra di successione al trono di Spagna, il castello venne in parte
occupato dagli Austriaci. A seguito della pace di Vienna (1738), il Regno delle
due Sicilie fu assegnato ai Borboni. Il tragico sisma del 5 febbraio 1783,
provocò la caduta dell'ala esterna lato mare e della chiesa di San Pancrazio.
Il sovrano Ferdinando IV di Borbone, inviò in Calabria le squadre di soccorso
che erano coordinate dal vicario reale, principe Francesco Pignatelli. Il
delegato regio, dopo avere visitato il castello, decise di far chiudere
l'immondo penitenziario, disponendo l'arresto degli armigeri del principe,
ritenuti i principali responsabili delle pervertite violenze inflitte ai
reclusi. Inoltre, il principe Pignatelli sciolse definitivamente il presidio di
truppe baronali. Dopo la caduta della Repubblica Partenopea, le armate francesi
di Napoleone invasero il Regno di Napoli. I transalpini, istituirono nel
castello un presidio (200 uomini) comandato dal colonnello Michel. Nel 1803,
morì Francesco Fuco Ruffo, ultimo feudatario di Scilla. Poi, tra 1806 il e il
1809, venne applicata la legge sull'eversione feudale. Quindi, la famiglia
Ruffo si trasferì da Scilla. Per alcuni anni il possesso del castello si
alternò tra le truppe francesi e quelle inglesi. Nel 1808, i francesi, dopo un
lungo assedio, riuscirono ad impossessarsi del manufatto militare, costringendo
i militari inglesi a fuggire e raggiungere il mare calandosi da una scala
segreta, i cui gradini, in parte, sono ancora visibili. Un episodio luttuoso e
controverso che, ancora oggi, non è stato chiarito definitivamente, riguarda
una esplosione, avvenuta nella santabarbara del castello, che causò la morte
del capitano Bonavita e del sottotenente Emanuele. La versione ufficiale
afferma che, il 12 luglio 1812 un fulmine abbattutosi nei locali adibiti a
polveriera provocò una devastante esplosione. Secondo alcune ricerche
effettuate dallo storico Antonio Capograssi, il contingente di 3.000 francesi
accampato nei Piani della Melia, che assediava il forte di Scilla, riuscì a
conquistare il castello, rispedendo oltre Stretto gli inglesi. Ma, il generale
Partouneaux, dopo avere ricevuto l’ordine del re di muovere verso la capitale
fece saltare in area la fortezza. Scoppiata l'insurrezione contro i Borboni
(1847), al castello venne dichiarato lo stato d'assedio. Nel 1860 i soldati
borbonici, non opposero resistenza alle truppe garibaldine che si insediano nel
castello, dopo che, il comandante della guarnigione napoletana Polistena,
consegnò "amichevolmente" la fortezza. Costituita l'unità d'Italia,
tra il 1861 e il 1876, il castello ospitò, oltre al distaccamento
d'artiglieria, una guarnigione della Guardia nazionale italiana, comandata dal
capitano Costantino Melidoni. Dell'antica e splendida residenza dei principi
Ruffo, oggi non restano che ruderi ed alcuni sotterranei. Il terremoto del 28
dicembre 1908, determinò il crollo degli ultimi resti della residenza
nobiliare, compromettendo l'utilizzazione della vasca refrigerante della
stazione foto - elettrica. In tempi recenti e fino alla seconda guerra
mondiale, la rocca, divenne alloggio del Presidio militare reggino e sede del
centro d’avvistamento dell’artiglieria da costa della 14° Legione della Milizia
marittimaNel
1913 la parte più superiore della fortezza venne chiusa per ospitare il faro.
Poi durante il periodo fascista alcuni ambienti vennero divisi in appartamenti
destinati a impiegati e funzionari pubblici, uso che contribuì al
danneggiamento di ciò che rimaneva della struttura. Nell'ultimo trentennio il
castello è stato utilizzato come ostello della gioventù, ma oggi, dopo un nuovo
restauro, è stato destinato a diventare un centro culturale: ospita infatti il
Centro
regionale per il recupero dei centri storici calabresi ed è sede di mostre
e convegni. Il castello di Scilla si erge sul promontorio che divide le due
spiagge di Marina Grande e di Chianalea. L'edificio presenta una pianta
irregolare con parti databili a diverse epoche ma che nel complesso conservano
tutt'oggi la configurazione abbastanza omogenea di una fortezza dotata di
cortine, torrioni e feritoie. Dal punto di vista costruttivo il manufatto subì
numerose trasformazioni per cui sono riscontrabili murature in pietrame sbozzato
e mattoni, murature di mattoni, pietre squadrate per archi ed elementi
decorativi, volte in pietrame all’interno. L'ingresso è preceduto dal ponte che
conduce all'edificio il cui ambiente principale è caratterizzato dal portale di
pietra costruito con arco a sesto acuto, sui cui campeggiano lo stemma
nobiliare dei Ruffo e la lapide che celebra il restauro del castello eseguito
nel XVI secolo. Superato l'androne a volta ribassata si apre un cortile, e da
qui, percorrendo il grande scalone, si giunge all'ingresso della residenza.
Questa è dotata di ampi saloni, essendo stata di proprietà di una delle più ricche
e importanti casate del regno di Napoli. Nella zona sud un corpo di fabbrica
con sei vani coperti con volta a botte oggi rappresenta il piano terra
dell’antico castello. L’edificio ha la configurazione del forte e poggia sulla
roccia. La gradinata esterna poggia su volte a botte e su due vani coperti da
volte a crociera. Nella zona nord-est dopo degli interventi della
Soprintendenza per i Beni Architettonici Paesaggistici e Ambientali della
Calabria sono stati ritrovati una galleria di difesa, le cisterne, le
fondazioni dell’antica residenza baronale e della cappella. Data la posizione
dominante del castello sullo Stretto di Messina, nel 1913 venne costruito un
faro per fornire un riferimento alle navi che attraversavano lo stretto. Il
faro di Scilla, una piccola torre bianca con la base nera, è tuttora attivo ed
è gestito dalla Marina Militare. Nella zona centrale si articolano due edifici
di recente costruzione adibiti a residenza dei guardiani del faro.
Tra le opere conservate nel maniero da segnalare: il già citato portone d'ingresso, sovrapposto dallo stemma araldico della
famiglia Ruffo e da un'iscrizione riguardante il feudatario Paolo (1543); il
medaglione marmoreo, raffigurante la Madonna col Bambino in Gloria (presunto
normanno), che sormonta il portale d'accesso alla piazza d'armi; il monumento
posto a ricordo dei due ufficiali del Real Reggimento periti nell'esplosione
del 1812; la gradinata che portava all'abitazione del principe, poggiata su
volte a botte e a crociera rivestite di pietra di Siracusa; una scritta, incisa
su pietra, da tale Antonio Timpano, nel 1576, sormontata da un sole nascente. Altri link suggeriti: http://www.istitutoitalianocastelli.it/risorse/il-castello-del-mese/castello-ruffo-di-calabria-a-scilla.html, https://www.youtube.com/watch?v=074Ws92n1JI (video di ciccioollug6114), https://www.youtube.com/watch?v=IxjdCCBYFxg (video di Antonio Florino).
Fonti: https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_Ruffo_di_Scilla, http://atlante.beniculturalicalabria.it/schede.php?id=122,
http://www.arbitrio.it/scilla/storia/castello.html (tratto dal volume
"Scilla Aquila d'argento" (Arbitrio Editori Sas), t
esto
di Pino d'Amico.
Foto: la prima è presa da http://www.calabriavillage.it/il-castello-ruffo-di-scilla/,
la seconda è una cartolina della mia collezione
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