CALTABELLOTTA (AG) – Castello
I due nomi del castello di Caltabellotta, che da alcuni è chiamato Conte
Luna e da altri della Regina Sibilla (per distinguerlo dall’omologo di Sciacca)
derivano: il primo dalla famiglia più importante che, nel corso dei secoli, ne
ha detenuto per più tempo la castellania; il secondo da un fatto storico
avvenuto all’interno di esso. Pochi segni rimangono di quella che doveva essere
un’inespugnabile roccaforte; solamente un muro, un significativo portale e le
fondamenta di alcuni vani resistono alle ingiurie del tempo. Anche se dal punto
di vista architettonico poco è conservato, tuttavia è sempre entusiasmante
salire lungo la ripida scalinata incastonata nella roccia, che permette di
raggiungere la vetta a quota 949, comunemente detta il Pizzo, sulle cui pendici
sorgevano le possenti mura dell’antico maniero. Carichi di leggenda e di
storia, i pochi ruderi rimasti riescono ancor oggi ad infondere nel visitatore
il fascino dell’antico Medioevo. Là, in alto, lo sguardo del visitatore può
spaziare a 360 gradi ed è possibile ammirare uno splendido paesaggio,
dall’entroterra siciliano fin dentro il mare africano, che non fa rimpiangere
la limitatezza delle strutture castellane. Ci si rende così conto
dell’importanza strategica che ebbe fino a quando, negli ultimi secoli del
Medioevo, raggiunse il suo massimo splendore. Da lassù sono facilmente
visibili: il castello di Giuliana, per qualche tempo pure dei Peralta; i resti
del castello di Cristia, inerpicato su un promontorio sopra l’abitato di S.
Carlo (Pa), che nel XIV secolo fu di notevole importanza strategico-militare
nelle vicende che insanguinarono la Sicilia di allora; il castello saraceno di
Burgio; il castello di Poggiodiana, posto al confine fra il territorio di
Caltabellotta e di Ribera, di cui rimangono splendide vestigia e il Castello
Luna di Sciacca, appartenuto alla stessa potentissima famiglia. Il castello, in
quanto articolato a varie quote in aderenza simbiotica con la roccia della
montagna, ha determinato l'importanza del sito come arroccamento nei periodi di
crisi, dall'antichità all'età del vescovato bizantino di Triokala, al regno
normanno, agli angioini. Le strutture del castello trovavano potenziamento da
tutta la posizione dell'abitato e dal sistema di corridoi scavati nella roccia
della struttura poi divenuta l'eremo di San Pellegrino. La posizione elevata e
mimetica lo rendeva inespugnabile, ponendolo contemporaneamente in condizione
di controllo del versante marino mediterraneo per un orizzonte molto vasto e in
corrispondenza, attraverso collegamenti visivi con il sistema dei castelli dell'interno
dell'isola, con il versante tirrenico. Il suo impianto planimetrico si presenta
molto articolato, anche se quanto rimane di esso è estremamente ridotto. Si
snodava a tornanti sul fianco della montagna, con più ambienti allineati quando
i pianori lo consentivano. Lo scavo archeologico effettuato agli inizi degli
anni '80 dall'architetto S. Braida, incaricato del restauro attuato poi nel
1984, ha messo in luce la base di un corpo aggettante a lato della torre con
funzione di porta. Esso si presenta come un robusto contrafforte a scarpa,
proteso verso il pendio. Oltrepassato il varco ogivale della porta, questa ci
rivela un corpo a tre elevazioni. Dalla lettura effettuata per il restauro è
emerso che sono stati connessi due diversi momenti costruttivi. Al portale
ogivale esterno, per tutto lo spessore del muro, corrisponde all'interno una
volta a botte a pieno centro che cela modifiche ad un manufatto di epoca
precedente. Ciò si nota per le incongruenze non altrimenti spiegabili in un'opera
costruita in unica soluzione. Il corpo della torre presenta un paramento
murario a piccoli conci. La scansione dei tré piani è segnata dai fori dei
solai, ora crollati, e distinta da nicchie e aperture. La più importante è una
nicchia ogivale tanto vasta da costituire alloggiamento per un arciere; è
visibile l'incasso per il posizionamento della balestra, denunciato all'esterno
da una feritoia in asse con il portale. La porta-torre è stata restaurata in
anni imprecisati, in quanto è visibile, come si ricava da alcune fotografìe di
inizio secolo pubblicate da V. Giustolisi (1981), un crollo sullo stìpite
sinistro. In proseguimento all'ingresso si sviluppano alcuni muri affioranti
che occupano un pianoro, detto “Lugetta”. Lo scavo ha riportato alla luce un ambiente
quasi quadrato, con le pareti rivestite di cocciopesto, probabile silos, e un
altro ambiente di più ampie dimensioni, come si ricava dalla relazione di
restauro dell'architetto Braida. Nell'intervento è stata ripristinata anche la
via d'accesso al castello sul lato nord-est. La tecnica muraria della porta si presenta a sacco con rivestimenti in conci
squadrati e riempimento di pietrame a pezzature regolari legato da malta grassa.
Il castello di Caltabellotta pare sia stato riedificato nel 1090 all’arrivo dei
Normanni. Tale riedificazione pertanto è avvenuta contemporaneamente a quella
della chiesa della Madonna della Raccomandata, successivamente dedicata a S.
Francesco di Paola, e alla chiesa del Salvatore, ubicata alle pendici del
monte, la cui porta originaria era rivolta proprio in direzione del castello. Aldilà
degli aneddoti popolari tramandati oralmente, è storicamente accertato che il
castello di Caltabellotta, comunque lo si voglia chiamare, fu il luogo in cui
venne ospitata la regina Sibilla e dove risiedeva, preferibilmente, la famiglia
Luna al tempo del “Caso di Sciacca”. Nel 1194, infatti, morto re Tancredi cui
successe il figlio Guglielmo III ancora fanciullo, la regina madre Sibilla
cercò di organizzare la resistenza nell'isola contro lo svevo Arrigo VI, che
avanzava alla conquista del regno di Sicilia e per prima cosa si preoccupò di
mettere in salvo il giovane re e le altre tre figlie in questa sicura e
inaccessibile rocca. Essendo il Pizzo un punto preminente rispetto ai territori
circostanti e Caltabellotta luogo abitato fin dal tempo dei Sicani, certamente
nei millenni è stato sempre adibito a posto di vedetta, considerando anche che,
in giornate particolarmente favorevoli, è possibile potere osservare, a
oriente, l’Etna quando è in attività, l’isola di Pantelleria e un notevolissimo
numero di centri abitati. Vari avvenimenti sono sicuramente avvenuti
all’interno di questo maniero. Secondo alcuni storici si vuole che nel novembre
del 1270 sia stato tenuto al suo interno un famoso banchetto da Guido di
Dampierre conte di Fiandra il quale, sbarcato a Trapani di ritorno dalla
Crociata fatta con re Luigi IX di Francia, che in quell'impresa trovò morte e
santità, volle festeggiare i suoi compagni d'arme assieme a re Carlo d'Angiò. Il
nome di questo castello è ricordato anche, in una sua novella, dal Boccaccio
(Decamerone giorn. 10.7). In essa si narra che attorno al 1282, la giovane Lisa
Puccini invaghitasi perdutamente di re Pietro d'Aragona, quasi a morirne, pregò
un valente trovatore di raccontare al re, in versi, la sua pena. Re Pietro
commosso da tanto amore si recò da lei, che dalla gioia fu subito guarita, e le
diede in sposo il nobile giovane Perdicone e in dote il castello e le terre di
Caltabellotta. Verso la fine del XIII secolo divenne proprietà prima dell’Abate
Barresi e poi di Federico di Antiochia; in seguito passò a Raimondo Peralta,
che ottenne da Pietro II il titolo di Conte di Caltabellotta, e più tardi a suo
figlio Nicolò la cui erede, Margherita, andò in sposa ad Artale Luna. Il
maniero rimase alla famiglia Luna per più di due secoli fino al 1673 quando ne
divenne castellano Ferdinando d’Aragona Moncada; per successive eredità passò
ad Antonio Alvares Toledo duca di Bivona (1754) dopo di che il castello decadde.
Altri link suggeriti:
http://www.consorziodeitempli.ag.it/castello-di-caltabellotta.html,
http://www.vivict.it/usi-e-costumi/misteri-di-sicilia-il-santo-graal-e-i-due-castelli-di-caltabellotta/
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