AVELLA (AV) – Castello Longobardo
Nel lungo periodo di dominazione, Avella meritò
più volte la considerazione romana per la fedeltà mostrata in occasione della
guerra di Pirro, delle guerre sociali (contro Irpini, Lucani, i Sanniti, i Pugliesi)
e delle guerre di Spartaco. La cittadina di Avella non subì sorte diversa da
quella che il destino assegnò all’Italia intera, destino che fu infame e
malvagio se i Vandali, i Goti e i Greci la straziarono e la distrussero, ad
eccezione del “formidabile” castello, i Longobardi se la contesero mentre i
Saraceni la saccheggiarono devastandola totalmente e costringendo la
popolazione a vivere tra i monti. La calma dell’intero circondario di Avella
ritornò solo dopo svariati secoli, dominati da grandi incertezze e povertà,
ossia allorquando, con l’avvento dei Normanni, i monti vicini, divenuti ormai
ricovero sicuro dell’intera popolazione, si spopolarono e il ritorno degli
avellani nelle loro antiche sedi dette origine alla Baronia di Avella che comprendeva
anche gran parte dei territori dell’attuale Baiano e Cicciano. La scala feudale
istituita dai Normanni al loro avvento in Italia era totalmente legata alla
qualità militari, di forza e di coraggio dimostrate nelle spedizioni militari. La
dinastia dei baroni avellani ebbe inizio con Arnaldo, nipote di Riccardo, conte
di Avella e principe di Capua e si sviluppò, per pura discendenza di Casato,
attraverso Rinaldo III, cavaliere di Carlo D’Angiò, e la famiglia Orsini e, per
vendita, attraverso Filiberta di Chalou, principe di Orange, Girolamo Colonna,
Caterina Saracino e i conti Spinelli che abbellirono Avella con vie ed edifici
pubblici e riportarono all’antica gloria il Castello e il palazzo baronale che
fu arricchito, tra l’altro, da un “magnifico boschetto”. La cittadina di Avella
per circa 25 anni, dal 1578 al 1604, potè giovarsi della magnanimità del
genovese, Ottavio Cutaneo, che, oltre a far rifiorire le arti, le scienze e
l’agricoltura, ricostruì a proprie spese le case dei poveri e fece lastricare
nuove strade. Il baronato di Avella continuò successivamente con l’avvento
prima dei Doria di Genova, casato del più illustre Andrea, e poi dei Del
Carretto i quali ressero il baronato fino alla sua venuta in disgrazia, agli
inizi del XVIII secolo, quando, con la perdita di valore dei diritti baronali,
furono aboliti i feudi e le giurisdizioni e i territori divennero di uso
pubblico. Nel corso del lungo baronato, che durò dal 1705 (Arnaldo I, normanno)
al 1806 (Giovanni Andrea Colonna Doria del Carretto), l’intero casale di Avella
subì continui mutamenti nei suoi confini territoriali a causa delle donazioni
che i baroni operavano a favore di loro fidi per motivi di diversa natura. La
vita amministrativa e economica nel periodo baronale era organizzata sulla base
di norme ben precise, composta di obblighi e tributi annui che i casati
corrispondevano alla Baronia come compenso per i benefici goduti nella
divisione delle rendite boschive feudali o derivanti dal taglio dei boschi. L’amministrazione
dell’università di Avella era affidata a 40 decurioni, eletti ogni 5 anni, tra
i quali, ai primi di settembre di ogni anno, i cittadini, nel Convento dei
Frati Minori e alla presenza dei Sottointendente di Nola, eleggevano i 4 membri
responsabili del governo della città ossia delle spese, delle amministrazioni
cittadine, della vigilanza sul denaro pubblico. Il complesso monumentale del
Castello di Avella, attestato sui rilievi collinari che bordano ad Est la
pianura campana, occupa una collina dai fianchi scoscesi situata sulla destra
del fiume Clanis; alle sue spalle si stagliano i monti di Avella, barriera
naturale che separa il comprensorio avellano-baianese dalla Valle Caudina. Il
sito gode di una posizione strategica di controllo del territorio circostante, a
guardia di un itinerario naturale che attraverso il passo di Monteforte Irpino
mette in comunicazione la pianura campana con la valle del Sabato e conduce
verso la Puglia e la costa adriatica. La sommità della collina (m 320 s.l.m.) è
occupata dalle strutture della rocca, dominata dalla mole di una torre
cilindrica su base troncoconica saldata alle imponenti strutture del donjon.
Due cinte murarie, sviluppandosi a diversa quota, cingono le pendici del colle
e si ricongiungono sul lato settentrionale, alla base della rocca. La prima, datata
ad epoca longobarda (Peduto 1984), ha una pianta ellittica e abbraccia una
superficie di circa mq 10.000; del circuito si conservano dieci semitorri (una
è inglobata alla base dell’angolo settentrionale del donjon) delle quali cinque
a sezione troncoconica e quattro di forma troncopiramidale. La seconda cinta, a
pianta poligonale, prevede una porta carraia nell’angolo sud-orientale e nove
torri, tutte quadrangolari eccetto quella dell’angolo sud-occidentale della
fortificazione, a pianta pentagonale; la superficie racchiusa all’interno del
circuito è di circa mq. 21.000. Alcuni saggi esplorativi condotti nel 1987 in
occasione di un intervento di restauro hanno fissato la datazione del suo
impianto al periodo normanno (XI-XII secolo) ed evidenziato l’esistenza di
interventi di ristrutturazione nel corso del XIII secolo (Iannelli 1989).
Nell’area compresa tra le due cinte murarie, in forte pendio verso sud, sono
visibili i resti di numerosi ambienti riferibili a strutture abitative; l’unico
edificio conservato in elevato è una grande cisterna a pianta rettangolare,
situata immediatamente all’interno della cinta muraria interna. Nonostante
rappresenti dal punto di vista monumentale uno dei complessi medievali più
rilevanti della Campania, solo in anni recenti il castello è stato oggetto di
esplorazioni sistematiche grazie alla disponibilità di finanziamenti destinati
alla realizzazione di un parco archeologico. Le indagini, condotte tra il 2000
e il 2001 dalla Soprintendenza peri Beni Archeologici delle province di
Salerno, Avellino e Benevento, si sono concentrate sulla rocca allo scopo di
definirne lo sviluppo planimetrico e di tracciare, su basi stratigrafiche, una
prima periodizzazione delle sue fasi di occupazione. Come si afferma e conferma
in un documento spagnolo, i leggendari costruttori del maniero furono due innamorati,
venuti dalla Persia, per motivi amorosi, Cofrao e Bersaglia: “Narra la
leggenda, che, nell’anno 300 dell’era volgare, un cavaliere percorse di volo
quella pianura. Le zampe ferrate del suo cavallo, nero come l’ebano,
sprigionavano fasci di scintille dalla terra. Le fanciulle avellane fissarono
su di lui cupidi occhi; ma il suo cuore non ebbe un palpito per esse. Era bello
e prestante, era figlio del re di Persia e si nomava Cofrao. E’ bella era la
sua bersaglia, ma di umile condizione. Il suo occhio aveva il guardar dolce
della gazzella; le sue chiome bionde le scendevano intorno al collo candido
come neve; la sua voce era soave, come i concenti della lira. Fuggitivi dalla
Persia, col loro schiavo preferito Eraclione, vagabondi per contrade diverse,
trepidi nella gioia del presente, immemori del passato, immersi nella
beatitudine d’un sogno d’oro, cercarono un nido per covare a primavera del loro
amore, delle loro brezze, e lo trovarono su quella collina e vi fabbricarono
quel castello, che risuonò sovente di celesti accordi. Là, su quel poggio, fra
lo smagliante oleazzare dei fiori, fra il sorriso del cielo, fra il verde dei
prati ed il canto degli uccelli, con le farfalle, fior alati dell’aria, con la
mitezza limpida del cielo, con la voluttà dei profumi, complici silenziosi
delle ombre, con la quieta serena della campagna, con la gioventù fervida degli
anni, con la bellezza delle forme, intenti nell’infinita tenda cilestrina, nel
palpito unisono de’ cuori a contare le stelle col numero dei baci, a narrarsi i
sogni – fantasie curiose, piene di luce e di fate – a farsi sorprendere dal
sole nel torpore dell’alba e nello spasimo degli abbracciamenti, si amarono di
quell’amore, al quale non si sopravvive. La morte è compagna dell’amore;
Bersaglia morì e Cofrao, per dimenticare quei luoghi, testimoni delle sue gioie
passate e dei suoi presenti dolori, decise di far ritorno in Persia. Di notte,
mentre scendeva dal Castello, udì, fra le ombre silenti, una fioca melodia, che
giunse gli per gli orecchi dell’anima. Era una voce purissima e mesta di
fanciulla, che accompagnava il canto con accordi tremuli d’un arpa, lievemente
sfiorata da mano destra leggera. Cofrao dimenticò tutto e fece per avviarsi al
luogo, dov’era la fanciulla che cantava; ma presto si avide ch’era impossibile
scoprirlo. Il canto pareva ora subitamente ravvicinarsi, ora lentamente
allontanarsi. Cofrao avrebbe giurato, che la voce venisse di sotterra; ma si
accorgeva ch’era sopra di lui, in alto, nello spazio purissimo del cielo. Non
intendeva le parole della canzone; ma sentiva, in quel momento, che quella
musica parlava di lui, dei suoi dolori. Intimamente commosso e con le lacrime
agli occhi, continuò a discendere; ma il cavallo, ad un tratto, s’impennò. Chi
era quella larva, chi gli appariva dinanzi? “bersaglia, tu adorata fanciulla,
tu dunque ritorni? La morte non ti rapì? Un cenno egli gli troncò la voce. Il
lieve vapore, che aveva composto quella forma, si diradò; l’ombra svanì; solo
una pezzuola bianca, intrisa di sangue, stava per terra. Il cavaliere la
raccolse e vi lesse: – compagni in vita, saremo compagni anche in morte – .
Cofrao ripigliò affannato il suo cammino, ma, ad un punto, il cavallo traboccò
e giacque morto. Il cavaliere girò gli occhi e rimase attonito; non era più il
medesimo luogo, la collina era sparita. Che erano quei sarcofagi? Ne stava uno,
aperto soltanto, dal quale usciva un dolce lamento. Cofrao si appressò, gettò
tremendo uno sguardo entro quel sarcofago e vi cadde tramortito. Quel sarcofago
li chiude ora entrambi. Colla bocca, appoggiata a quella pezzuola, intrisa di
sangue, Cofrao spirò. E per la colina s’ode ora una flebile metro di dolore. E
il rosignuolo, che ora piange là, durante la notte, il sogno svanito dei loro
dolci amori”. Altri link suggeriti per approfondire: https://avelladituttounpo.jimdo.com/monumenti-il-castello/,
http://www.fondazioneavellacittadarte.it/storia-siti/siti-archeologici/3-il-castello-di-avella.html,
http://historiemedievali.blogspot.it/2016/03/il-castello-di-avella.html
Fonti: http://www.comune.avella.av.it/c064007/zf/index.php/storia-comune,
http://www.icastelli.it/it/campania/avellino/avella/castello-di-avella,
testo di Nicola Montanile su http://www.mandamentonotizie.it/luce-a-cofrao-e-bersaglia-di-nicola-montanile/
Foto: la prima è presa da http://www.fondazioneavellacittadarte.it/images/Articoli/Castello/Castello.jpg,
la seconda è presa da http://www.mandamentonotizie.it/wp-content/uploads/2013/06/castello.jpg
Nessun commento:
Posta un commento