CROSIA (CS) – Castello di Mirto del Barone Mandatoriccio
Durante il periodo feudale, Crosia fu dominio di 33 feudatari, tra i
quali i più importanti furono i Matteo, i Cariati e i Sambiase. Nel 1596 il
Barone GiovanMichele Mandatoriccio (nato a
Rossano nel 1570 e 1° Barone di Crosia)
acquisto' da Laudomia Grisara anche il fondo Mirto, che insieme alla
Mastrodattia di Caloveto fruttava 800 ducati all'anno. Due anni dopo ingrandì
il feudo con l'acquisto da Vespasiano Spinelli della baronia di Calopezzati per
25.500 ducati. Al nobile sembra dovuto il cambio di titolo dell'arcipretura, da
lui dedicata a S. Michele Arcangelo, mentre, certamente fino al 1596, come si
evince da un Regesto Vaticano, era intitolata genericamente a S. Angelo. Gli
atti del notaio Francesco Greco di Bocchigliero, fanno riferimento a una torre
di origine normanna con frantoi, che costituiscono il primo nucleo dell'attuale
masseria, meglio nota come castello, ubicata sull'altura della frazione di
Mirto e fatta edificare dal Mandatoriccio all'inizio
del 1600.
Le motivazioni che hanno portato il Barone ad edificare, se pur in
diverse fasi, tutte quelle strutture, sono da ricercare nelle esigenze del
grosso feudo di Crosia (del quale facevano parte Calopezzati, Caloveto, Campana, Mandatoriccio, Bocchigliero e Pietrapaola) le cui attività
erano prevalentemente agricole. La vastità dei territori impiantati ad uliveti,
determinava una produzione d'olio per
centinaia di quintali, gran parte del quale veniva esportato ed ecco la
necessità di impiantare le strutture per lo stoccaggio oltre al frantoio per la
molitura delle olive. La produzione massiccia di cereali e
la loro commercializzazione impose la costruzione di enormi magazzini non solo
sotto il palazzo baronale di Crosia ed a Calopezzati, ma soprattutto a Mirto, che
era il cuore delle attività. Tutto ciò, oltre alla mania delle cose in grande,
che era caratteristica del barone, fece nascere attorno alla vecchia torre diversi nuovi edifici:
la dimora padronale ancora oggi visibile, l'abitazione del fattore, le case per
il personale di servizio e per gli operai salariati, le rimesse e le stalle, i
magazzini ed un grande locale dove trovavano posto i lavoratori stagionali.
Venne costruita anche la sala degli "ordini", così
chiamata perchè vi venivano impartiti gli ordini per il giorno
successivo dal fattore. Il castello aveva una cappella all'interno del cortile
padronale (ormai diruta), presso la quale nel 1635 il Duca ottenne uno speciale
indulto papale. Le necessità crescevano con l'ingrandirsi del feudo e sorgevano
nuove costruzioni attorno alla corte, finché la struttura assunse le
dimensioni e l'aspetto attuale, in fase di degrado. Presenta una pianta
rettangolare e l'accesso è garantito da due porte ad arco; una grande scalinata
è sormontata dallo stemma nobiliare caratterizzato dall'immagine del Drago; le
stanze per la residenza sono venti. Morto Francesco Mandatoriccio senza figli
(1676), il feudo passo alla sorella Vittoria e per essa al marito Giuseppe
Sambiase. L'imponente struttura fu anche teatro dei tragici fatti della "restaurazione
borbonica" del 1799. Nei pressi della "Cibbia"
del giardino è ancora visibile il muro del martirio degli antiborbonici.
L'imponente torrione
con la finestra dalla quale Francesco Ruffo assisteva
all'esecuzione dei ribelli (Pasqua 1799).
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