MINERVINO MURGE (BT) – Torre Del Balzo e Castello normanno-Pignatelli
Secondo la leggenda, Minervino Murge, venne fondata nel 216 a.C. quando
alcuni legionari romani, scampati alla battaglia di Canne, trovarono riparo
sulle Murge. Qui s'innamorarono delle pastorelle del luogo e decisero di
rimanerci, celebrando i riti nuziali in una grotta che loro stessi dedicarono
alla dea Minerva (l'attuale grotta di San Michele). Più volte devastata da
incursioni saracene, se ne ha la prima precisa menzione in documenti dell'XI
secolo. Appartenne ai principi di Taranto nel XV secolo e nel 1508 fu concesso
da Ferdinando il Cattolico al conte Forti Onorati d’Aragona. A titolo di
principato fu poi dei Pignatelli nel XVI secolo, poi appartenne ai Carafa ed ai
Tuttavilla. Fra i monumenti più significativi di Minervino certamente la torre
occupa un posto importante. Nel 1454, alla morte di Gabriele Orsini, duca di
Venosa, che era anche barone di Minervino, la città fu ereditata dalla figlia
di costui, Maria Donata, che era sposata a Pirro Del Balzo, figlio di
Francesco, duca di Andria. Fu proprio il Del Balzo che fra il 1454 e il 1462
costruì la torre su una delle ultime colline nord-occidentali della Murgia.
Essa nacque come osservatorio: infatti, sul muro esposto a ponente esisteva una
lapide senza data, la cui iscrizione ne precisava la destinazione. La
trascrizione della lapide è "
CONSTRUIVIT
IN SPECULA DUX HUIUS TERRAE DEL BAUCIA PIRHUS". Al di sopra di essa
era stato anche posto uno stemma in marmo dei Del Balzo, una stella a
diciassette punte, che evidentemente dovette essere asportato, in data
imprecisabile, nel corso di uno dei numerosi scempi che la torre ha subito nei
secoli. Si tratta di una costruzione massiccia a pianta circolare con un muro
spesso circa tre metri, a diversi piani che comunicano tra loro non con
scalinate costruite ma con scale mobili di legno, per ovvi motivi di difesa.
All'esterno era circondata da un bastione a pianta quadrata, che costituiva la
sua prima difesa. Fra la torre e questo muraglione esterno lo spazio era in
gran parte sgombro, con piccole costruzioni addossate al muro del bastione; in
esse si riparavano uomini e cavalli e venivano depositati carriaggi ed altro
materiale. Passata l'epoca eroica della torre, tale spazio fu utilizzato dai
pastori del luogo come rifugio per i propri armenti. Il bastione esisteva
ancora nel XVII secolo e non si sa quando e perché sia stato demolito.
L'attuale proprietario della torre è don Luigi Gravina. Originariamente la
costruzione era isolata, fuori dell'abitato, e così rimase per molto tempo,
sino a quando verso la fine del XVII secolo il paese non cominciò ad estendersi
verso Sud, occupando la collina dove essa è posta. Attualmente, soffocata
tutt'intorno da altre costruzioni addossate ad essa e sfregiata in molte sue
parti, è appena visibile il suo corpo superiore. Sulla sua sommità un chiosco,
costruito in epoca recente, costituisce una prova evidente di cattivo gusto e
scarsa considerazione per l’antico monumento cittadino. La Torre è legata a
vari episodi della Storia del Meridione. Il più importante avvenne nel 1462.
Nel 1458, con la morte di Alfonso d'Aragona, il Reame era andato a suo figlio
Ferdinando. Costui, considerato molto diverso dal padre, era inviso a molti dei
Baroni, fra cui primeggiava Giannantonio Orsini, figlio di Ramondello, Principe
di Taranto. Orsini, per il prestigio goduto nel regno, non riscuoteva molte
simpatie da parte del nuovo re, che aveva anche tentato di sminuirne la potenza
sottraendogli alcuni baronaggi. Capeggiati appunto dall'Orsini, nel 1459, una
parte dei feudatari che avrebbero volentieri visto al posto di Ferdinando un
d'Angiò, ebbero contatti con Giovanni, figlio dell'ultimo Re di Napoli di
quella casata, Renato, spingendolo a tentare di rientrare in possesso del
Reame. Cominciò allora quella guerra, descritta cosi minuziosamente dal
Pontano, alla quale non furono estranei anche il Pontefice e lo Sforza. Ed è
particolarmente dal Pontano che apprendiamo le vicende di questa guerra, che
riguardano Minervino. Nel 1462 Giannantonio Orsini corse ad assediare Andria,
il cui barone, Francesco Del Balzo, cognato del Re, gli resistette per ben 49
giorni, aiutato anche dal figlio Pirro, duca di Minervino. Stremata dalla resistenza
prolungata, infine la città si arrese. La notte precedente però Pirro era
riuscito a fuggire per evitare di trovarsi il giorno dopo in presenza
dell'Orsini, che aborriva particolarmente. Questo gesto irritò maggiormente il
principe di Taranto. In Minervino intanto un tumulto era scoppiato e la città
era passata alla fazione dell'Orsini, che mandò dei messi per prenderla in
consegna. La duchessa, Maria Donata, trovò scampo con i figli e una parte dei
suoi fedeli nella torre costruita da poco, dove si rinchiuse in attesa dei
rinforzi già promessi dal Re mentre il palazzo baronale fu invaso e
saccheggiato. Dopo la presa di Andria il Principe Giannantonio si diresse
quindi alla volta di Minervino, ostinato a voler punire Pirro, che gli era già
sfuggito la prima volta. Ma Pirro non era qui. Maria Donata non volle cedere
alle intimidazioni dello zio (Giannantonio Orsini era fratello di suo padre
Gabriele, duca di Venosa) e rifiutò di arrendersi e di consegnare la Torre
nelle sue mani. La Duchessa, pur essendo incinta e prossima al parto, dimostrò
in questa vicenda una forza d'animo eccezionale che ricorda quella di Caterina
Sforza, assediata nella rocca di Forlì. Furono vane le intimazioni, le minacce,
le preghiere. Orsini allora approntò tutto il necessario per espugnare la
Torre. La costruzione, massiccia e non facilmente espugnabile, resisteva e
contro di essa, secondo il Gollenuccio, furono tirate 109 cannonate che la
danneggiarono sensibilmente. Alla costanza e all'ostinazione degli attaccanti
si rispose con eguale coraggio e tenacia da parte dei difensori, animati dalla
fierezza di questa donna eccezionale. Il Principe, maggiormente irritato da
questa resistenza inattesa che ritardava l'esecuzione dei suoi piani, raddoppiò
gli sforzi. Continue minacce dì rappresaglie feroci, di stragi, di supplizi,
che sarebbero seguiti in mancanza di una resa immediata, venivano gridate di
notte ai difensori. Una mattina, svegliandosi, la Duchessa inorridì nel vedere
davanti alla feritoia della sua stanza un corpo tagliato a pezzi appeso ad una
pertica issata dagli assedianti durante la notte. Intanto la gravidanza di
Maria Donata stava per concludersi. Avendo avuto notizia di ciò, Orsini divenne
più mite nei riguardi della nipote, non sappiamo se per affetto o per calcolo,
e prese ad inviarle giornalmente del vitto adatto al suo particolare stato di
salute. La resistenza si rivelava di giorno in giorno più insostenibile. La
Torre aveva sofferto gravi danni dalle artiglierie, che avevano sventrato il
bastione esterno, le riserve di viveri erano ormai esaurite, mentre sempre più
inconsistenti si prospettavano le speranze di ricevere rinforzi. A tale
situazione disperata si aggiungeva lo stato della duchessa già afflitta dalle
doglie del parto. Sperando nella clemenza dello zio per sé e verso quelli che
le erano stati fedeli e l'avevano seguita nella Torre, Maria Donata infine si
arrese. Spogliata di quasi tutto quello che aveva con sé fu mandata con i suoi
figli a Spinazzola, mentre con quelli che le erano stati fedeli, dice il
Tarantino, il Principe Orsini fu spietato, perché ''dicea che essi dovevano
rendersi subito e non ubbidire a una Donna in cosa che non potea avere buon
fine per loro": li fece impiccare tutti ai merli della Torre. Conclusa
questa impresa il Principe si affrettò a recarsi ad assediare Canosa, sperando
che una volta presa questa città avrebbe potuto facilmente conquistare Barletta
e impossessarsi di tutti i territori al di qua dell'Ofanto. Dopo pochi mesi,
nel dicembre dello stesso anno 1462, Giannantonio Orsini fu strangolato nel
Castello di Altamura, pare per ordine di Re Ferdinando che, dimentico di quanto
Maria Donata aveva fatto, si comportò ferocemente contro il marito di lei,
Pirro. Infatti, nel 1485, dopo la famosa Congiura dei Baroni contro di lui nella
quale Pirro aveva avuto una parte in primo piano, il Re finse di perdonare i
congiurati e li invitò a convito proprio per sanzionare la fine del dissidio.
Durante il banchetto però li fece prendere e sgozzare. I loro corpi, chiusi in
sacchi, furono buttati in mare. Altri episodi riguardanti, sia pure
marginalmente la Torre, avvennero in seguito. Nel 1502, durante la guerra fra
Francesi e Spagnoli per il possesso del Regno di Napoli, i primi occuparono
Minervino. Nell'aprile dello stesso anno, appresa la notizia della conquista di
Bisceglie da parte di Consalvo di Cordova, i Minervinesi decisero di
parteggiare per gli Spagnoli. Allora il Gran Capitano mandò subito delle truppe
per eliminare il presidio francese che si trovava nella Città. Costoro all'arrivo
degli Spagnoli si chiusero nel Castello e nella Torre, ma furono immediatamente
isolati. Erano sul punto di arrendersi, quando improvvisamente giunse Luigi
d'Ars, capitano francese, con trecento cavalieri e quattrocento fanti con
l'intento di liberarli. Ne seguì un violento combattimento con perdite gravi da
ambo le parti. Alla fine i Francesi riuscirono a rilevare i presidi assediati
nel castello e nella Torre, ma non potendo fronteggiare gli Spagnoli, che erano
sensibilmente superiori di numero, si ritirarono verso Venosa. Poco tempo dopo
però i Francesi, che si trovavano in Melfi, Lavello, e Venosa, in una delle
loro puntate offensive, ripresero Minervino, provocando vari e gravi danni al
suo territorio e a quelli vicini di Spinazzola e Montemilone. Intanto i pastori
transumanti d'Abruzzo non volevano condurre i loro armenti a svernare in Puglia
per timore dei danni che avrebbero potuto ricevere dagli Spagnoli che erano in
Barletta e in Andria. Allora il comandante Generale dei Francesi, Duca di Nemours,
si offrì di proteggerli e di risarcire gli eventuali guasti subiti. A questo
scopo rinforzò i presidi francesi in Cerignola, Canosa, Minervino e Spinazzola.
Per essere più pronto ad intervenire pose il suo quartiere generale in
Minervino. Qui infatti si trova il Duca quando avvenne la famosa Disfida, detta
di Barletta. Successivamente la Torre servì in talune circostanze come luogo di
presidio di soldati, che la utilizzarono anche come osservatorio ma non consta
sia stata teatro di altre vicende storiche.
Il Castello di Minervino Murge sorge sul margine del paese, sulla sommità
della collina più a nord, in chiara posizione difensiva. La piazza antistante è
ora denominata “A. Moro” (già Trento e Trieste), ma la gente, da sempre la
intende anche coma piazza “Castello”. La costruzione dell'ala più antica del
castello risale all’epoca normanna, presumibilmente nel 1042 e fu terminata
agli inizi del 1300, come attestato da uno stemma del feudatario Giovanni
Pipino posto all'ingresso di una torre negli ambienti che oggi ospitano il
Museo Civico Archeologico. Dopo essere stato utilizzato per secoli come
fortezza (in particolare ricordiamo gli assedi e le battaglie del 1341 e del
1350 tra la famiglia dei Pipino e quella dei Del Balzo) il Castello conobbe
nella prima metà del 1600 una serie di profonde modifiche ad opera dei Principi
Pignatelli, feudatari tra il 1619 e il 1657, che lo trasformarono in una
lussuosa dimora, aggiungendo tutto il corpo anteriore e la facciata, che un
ampio cortile separa dalla parte normanna. In questo periodo fu costruito un
corridoio interno che collegava il castello alla chiesa di San Francesco (oggi
chiesa di Sant’Antonio o del Purgatorio), al fine di far assistere alle
funzioni religiose i componenti della nobile famiglia all'interno della struttura
protetta. L'utilizzo continuato sino ai nostri giorni del castello, ha portato
a modificare sostanzialmente la struttura, si pensi che sino all’inizio degli
anni ’70 il castello era sede del Municipio, della Pretura, del Commissariato
di P.S., della Stazione Carabinieri e del carcere mandamentale. Oggi è sede del
Municipio, del Museo archeologico, dell’Ufficio del Il Giudice di Pace ed ha,
ancora intatti ( sono stati dismessi da sette-otto anni), gli ambienti del
carcere mandamentale. L'utilizzo continuato sino ai nostri giorni del castello,
ha portato a modificare sostanzialmente la struttura al punto che oggi, al suo
interno, non conserva alcuna di quelle decorazioni che dovevano certamente
abbellirlo.
Foto: quella della torre da
http://www.sipuglia.com, quella del
castello è di Mimmo Pazienza su http://www.panoramio.com
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