VASTOGIRARDI (IS) - Castello
Di probabile origine tardo-longobarda,entrò a far parte del Regno di
Sicilia, poi del Regno di Napoli e infine del Regno delle Due Sicilie. Nel 1260
il feudo di Vastogirardi apparteneva a Raimondo di Maleto per essere assegnato
nel 1279 a Restaino Cantelmo, il cui figlio lo alienò, con diritto di
recessione, a Corrado Acquaviva (1310), che lo detenne per un ventennio. Nel
1384, tornato al Demanio della Corona, fu concesso in feudo dalla regina Margherita
di Durazzo ad Andrea Carafa, signore di Forlì del Sannio, la cui famiglia lo
detenne sino al 1404, quando passò ai Castelmauro e da questi ai Mormile. Nel
1442 Vastogirardi era feudo dei Caldora, che ne vennero privati nello stesso
anno, mentre durante la reggenza aragonese, appartenne ai d'Aquino per passare
ai d'Avalos, casa marchesale di Pescara, e di seguito a Faleio d'Afflitto,
conte di Trivento. Dal d'Afflitto il feudo venne alienato a Giovan Leonardo
Petra, nel 1540, regio assenso del 30/06/1570, alla cui discendenza si deve la
ristrutturazione del castello in palazzo baronale, come attestato da una lapide
che sovrasta il portale d'accesso; la chiesa di S.Nicola, all'interno del
castrum, fu ristrutturata dal figlio di Giovan Leonardo Petra, Prospero, che ne
commissionò gli affreschi. Egli fu sepolto nella chiesa dove è tuttora presente
la sua lapide obituaria con il suo stemma, partito con quello della moglie, Giulia
d'Evoli di Trivento. Carlo I Petra venne investito del titolo di duca di
Vastogirardi con regio diploma il 20 agosto 1689. Il castello, senza il titolo
ducale, fu in seguito venduto da Nicola Petra, secondo duca di Vastogirardi e
primo marchese di Caccavone. Nella seconda metà del diciottesimo secolo il
feudo, quindi, venne acquistato dalla famiglia d'Alessandro del ducato di Pescolanciano,
che lo detenne sino all'eversione della feudalità.
La
tipologia del castello di Vastogirardi fa pensare ai castelli-recinto dell’area
abruzzese-molisana il cui esempio più vicino, non solo geograficamente, è
quello di Pesche, dove è assente come in quello di Vastogirardi, a differenza
degli altri esemplari del medesimo tipo, il puntone. In tutti e due questi casi
il castello-recinto è posto poco distante dall’abitato in modo da essere
facilmente raggiungibile dalla popolazione. La similitudine si ferma qui perché
mentre a Pesche e nelle altre località il castello- recinto, ormai spesso allo
stato di rudere, ha carattere esclusivamente militare, a Vastogirardi esso è un
vero e proprio nucleo abitato. Questo castello doveva apparire come un’autentica
cittadella nella quale hanno sede le funzioni di governo, sia civile (il
palazzo del feudatario), sia religioso (la parrocchia), rappresentando così il
centro dell’agglomerato urbano. La Chiesa di San Nicola, che sorge nel punto
più alto del castello, simmetrica rispetto alle due porte di accesso,
sottolinea visivamente il ruolo preminente della presenza ecclesiastica, che
affianca nella gestione del potere, come nella disposizione urbanistica, la
dimora feudale. Quest’ultima si deve essere venuta a sovrapporre in un secondo
momento all’aggregato preesistente, adattando a residenza probabilmente il
corpo di guardia che doveva essere presente a difesa della porta, e altre
costruzioni. Come la Chiesa anche il palazzo del signore rinunzia a porsi come
un’eccezione nell’impianto castellano del quale rispetta l’altezza degli
edifici e l’assenza di partiti architettonici nella facciata, conservando così
la pregevole armonia dell’insieme; piuttosto il feudatario installandosi
all’ingresso, tenta di accreditare l’idea che l’intero complesso formi un unico
immobile, cioè formi un solo palazzo. Il castello non si riduce però solo
all’edificio di culto e alla residenza baronale, ma comprende anche diverse
abitazioni; qui sembrano addensarsi numerose funzioni urbane come la Chiesa
(che assolve anche al compito di luogo di sepoltura), la fortificazione, la
porta, la piazza. Si può parlare quasi di una anticipazione della lecorbusiana
“dimensione conforme”, cioè di una tipologia urbanistica ottimale, capace di
assicurare la presenza delle attrezzature indispensabili per la comunità insediata.
Una dimensione dell’organismo edilizio che è in rapporto con le attività e le
funzioni in esso collocate e non ha relazione con la grandezza del resto
dell’agglomerato urbano. Il castello quindi come oggetto definito, brano
urbanistico conchiuso in contrapposizione all’abitato sottostante che invece
muta la propria forma nelle varie epoche storiche per i successivi
accrescimenti. Esso è in sintesi una parte urbana compiuta che non interagisce
con il resto. Queste peculiarità del Castello di Vastogirardi, di borgo
all'interno di un borgo più grande, una specie di paese doppio, ne fanno
un caso abbastanza singolare nel panorama locale in cui si è abituati ad
associare al castello l’immagine di un edificio, sia esso rocca, sia torrione,
ecc. La costruzione delle mura è il primo atto della fondazione di un centro
urbano, e proprio l’etimologia della parola castello adoperata per indicare il
borgo fortificato di Vastogirardi, che risale a castrum, rimandava al
ruolo che ha avuto la murazione nella nascita del complesso abitativo. Dunque
qui castello va inteso non nel significato di un unico manufatto, maniero o
rocca che sia come è nell’uso corrente, ma nel senso di recinto che racchiude
un nucleo edilizio. Ciò denuncia l’importanza che riveste la cinta muraria
nella storia di questo agglomerato, rappresentando per esso un monumento
(con un termine utilizzato da Aldo Rossi nel suo saggio “L’architettura
della città”), cioè un elemento quasi primordiale che costituisce
l’essenza stessa dell’insediamento, capace di condizionare le evoluzioni
dell’intero impianto urbanistico, al cui interno poi la porta è un monumento
anch’essa. La trasmissione fino ai giorni nostri del perimetro murario conferma
il ruolo di monumento nell’accezione che si è detta, della fortificazione. In
effetti un grosso contributo alla permanenza delle mura è stato l’obbligo di
provvedere alla loro costruzione e riparazione che rappresentava un gravoso
onere economico per 1a popolazione alla quale, del resto, toccava (non a milizie
professionali) garantire la difesa. Si conserva ancora l’orizzontalità della
cinta, necessaria per consentire in passato rapidi spostamenti dei difensori da
un punto all’altro di essa, a seconda di dove gli eventuali assalitori stanno
per preparare l’attacco. L’altezza costante è il frutto di un pregevole
adattamento al sito, per cui la cortina è più alta dal lato verso il basso (il
fronte a nord) e più bassa dal lato verso l’alto (il fronte a sud).
Originariamente la murazione, alla quale in seguito si sono addossate le
abitazioni, doveva essere servita da un coronamento in legno per i movimenti
delle truppe con scale per accedervi, anch’esse in legno. L’andamento
orizzontale è spezzato visivamente dalle torri che danno un senso di verticalità
alle mura. Queste torri, o perlomeno qualcuna, che oggi sono allineate alla
quota della cortina muraria, in precedenza, forse, erano più alte per poter
consentire l’avvistamento a distanza. Di torri oggi ve ne sono tre, delle quali
una rompitratta e due angolari, cioè il Torrione di Casa De
Dominicis e quella a presidio della Porta la cui base poligonale, e non rotonda
come le altre, fa ritenere che sia successiva, nella forma attuale, al XVI
secolo (la datazione più probabile è quella che la fa risalire alla fine del
Seicento, quando avvenne l’intervento di trasformazione dell’organismo
castellano). Si può immaginare l’esistenza, sempre sullo stesso fronte, di un
ulteriore torre rompitratta sia per la presenza di una cuspide nella murazione
che impedisce la continuità visiva, sia per l’eccessiva lunghezza del tratto di
cortina che rimarrebbe sguarnita. Mancano invece torri nel lato del castello
che dà verso il paese perché qui l’esigenza di una fortificazione, che pure
doveva esserci, come attesta l’esiguità nella parete della Chiesa (vi è solo
una finestra che, però, è sicuramente coeva alla ristrutturazione barocca
dell’edificio di culto), è meno forte. Per poter colpire lateralmente gli
assalitori, le torri sono munite di aperture nei diversi ordini di piano; vi
sono luci anche nella parte inferiore che risulta vuota e non piena come ci
sarebbe stato da attendere per strutture tanto antiche. É possibile la presenza
di bucature nella muratura, finanche di finestre, pure nel passato, ma certo
non nel numero di quelle odierne, perché esse per lo spessore rilevante della
muratura sono facilmente attrezzabili a feritoie. Le feritoie vere e proprie
sono numerose all’interno del castello dove dovevano servire a difendere
l’ingresso. Le mura per il loro delimitare l’interno dall’esterno dell’abitato,
definendo un dentro e un fuori, sono di grande importanza ambientale. Il
castello come porta d’accesso al borgo. In questo modo si assicurava la difesa
dai banditi e il controllo dei vagabondi che avessero cercato di penetrare
nell’agglomerato urbano. Di porte per entrare nel castello ve ne sono due: la
seconda, rivolta com’è verso il paese, risulta priva di apparati difensivi,
dovendo servire semmai a proteggersi dalla popolazione del posto. Anche qui
come nell’altra sono visibili i cardini in pietra del portone di chiusura;
mentre questo ingresso, però è solo pedonale, la porta principale è carrabile.
Le porte sono sui due opposti crinali del colle sul quale è situato il
castello, nei punti più bassi, e ciò consente il deflusso delle acque piovane e
lo smaltimento della neve che si accumula all’interno della piazza nei lunghi
inverni di questa zona di montagna. Sulla porta che guarda verso il territorio
rurale sono collocati gli stemmi nobiliari e un’iscrizione celebrativa della
famiglia Petra, titolare del feudo, che nel XVII secolo operò la trasformazione
del complesso edilizio: questi elementi decorativi esaltano il valore simbolico
della porta che è il punto di transizione dal naturale all’urbano. Questo
carattere sembra confermato dall’assenza nelle sue prossimità di qualsiasi
accenno di espansione extra-moenia. La parte rivolta in direzione del Tratturo,
la principale via di comunicazione del passato, costituisce un marcato segno
territoriale visibile da chi si trovava a transitare lungo questo percorso di
collegamento di livello interregionale. (Tratto da: Almanacco del Molise.
Il Borgo fortificato di Vastogirardi. Francesco Manfredi Selvaggi. Edizioni
Enne, Campobasso 1991.). Altri link consigliati: http://www.turismolise.it/item/il-castello-di-vastogirardi-molise/,
http://iserniaprovincia.altervista.org/Percorsi/Castelli/vastogirardi.php
Fonti: http://www.comune.vastogirardi.is.it/CASTELLO.php,
http://it.wikipedia.org/wiki/Vastogirardi
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